Annotazioni sull’Alta Terra Langasca
La prima citazione del nome Langhe, più precisamente della gente Langates e Langhenses, risale al 117 a.C., ed è reperibile in un’iscrizione che commemora una pace stipulata tra i Liguri Viturii e i Romani.
La dislocazione dei Langates non corrispondeva alle attuali Langhe; ma all’entroterra di Genova, al di là del giogo alpino: le colline appenniniche gravitanti sulla Valle Scrivia e, più ancora, sulla Val d’Orba.
Si può legittimamente presupporre che in epoca antica le Langhe spaziassero tra il Tanaro a Occidente e a Settentrione, fino allo Scrivia a Oriente.
Chi individuò chiaramente “la Terra Alta Langasca” fu Napoleone che la incluse nel Dipartimento di Montenotte, accorpandola al Ponente Ligure.
In epoca preromana esisteva una “Terra dei Liguri” che vantava una grande estensione: dal corso del Rodano a Occidente; alle vette del Monte Bianco, del Cervino e del Monte Rosa a Settentrione; al corso del Ticino e alle Alpi Apuane a Meridione; e, infine, al mare che proprio dai Liguri prese il nome, a Meridione.
Quando ci fu la grande battaglia contro i Cimbri di Aix-en-Provence, gli storici antichi non esitarono a collocare questa località nelle “terre dei Liguri”.
Notizie frammentarie ci giungono da quelle epoche remote:
1) i Liguri erano considerati abili marinai e praticavano la “guerra di corsa”, la pirateria, in tutto il bacino occidentale del Mediterraneo, spingendosi fino alle Colonne d’Ercole (Stretto di Gibilterra);
2) portavano capelli lunghi e sciolti, particolare che li rendeva simili ai leoni e, per questo motivo, erano chiamati “capillati”;
3) le donne rivestivano ruoli importanti nella società ligure ed erano ritenute più bellicose degli stessi uomini!
Dionigi di Alicarnasso definì il popolo dei Liguri il più antico d'Europa e, infatti, gli stessi Romani ne ignoravano l’origine.
Il poeta Esiodo, vissuto nel VIII secolo a.C., poneva generalmente i Liguri a Occidente e gli attribuiva, anche, il controllo della Spagna mediterranea.
Ancora secoli dopo Erodoto (480 - 425 a.C.) collocava i Liguri nella Penisola Iberica.
Addirittura ai tempi di Gesù il geografo Strabone denominava con il nome di Lygustike la penisola iberica!
Gran parte degli storici, ma non è opinione generalizzata, vuole i Liguri siano di origine autoctona mediterranea, non indoeuropea, insediatisi in età immemorabile, forse nel paleolitico superiore, nell’Europa Occidentale, principalmente attorno al mare che da loro prese il nome (per lungo tempo esteso fino alle Baleari).
I Liguri furono anche chiamati Ambroni; nome che potrebbe dal commercio dell’ambra praticato da questa popolazione.
Alcuni storici fanno semplicemente derivare il nome dei Liguri dal “ligustrum”: pianta tipica della Liguria. Plinio il Vecchio scrisse: “Ligustrum silvestre ut in Liguria suae montibus”. Altri storici, invece, fanno risalire la parola “ligure” a un termine celtico “lly-gor”: uomo del mare.
E’ noto che i Liguri, fieri della loro indipendenza, opposero un’accanita resistenza alla penetrazione romana: Cicerone li definì “montani, duri et agrestes”; così pure Tito Livio “Ligurum durum in armis genus”.
La “Tavola del Polcevera”, documento unico e straordinario dove sono citati i Liguri Langhenses, lascia intendere che i Liguri vivevano in villaggi sparsi e che disponevano di ricetti fortificati su colline scoscese, facilmente difendibili: i castellari o castellieri. Ripartivano le terre in “ager privatus” (campi privati), disposti per lo più attorno ai villaggi, e in “agri pubblici” (pascoli gestiti in comune), da cui deriverebbero i termini di “prel” e “prella”. Vi era poli “l’ager compascuus” costituito da boschi pubblici, dove si poteva abbattere alberi, pascolare greggi e branchi di maiali, sovente gestito da più villaggi.
Le principali coltivazioni dei Liguri erano il frumento, l’orzo, il farro, le fave e il vino, che era già allora considerato un prodotto pregiato. Il vino dei Liguri fu infatti lodato da Plinio e da Marziale; mentre fu invece criticato da Ennodio che lasciò scritto “Sbaglia chi nelle terre Liguri definisce ubriacone qualcuno: forse che beve vino, chi beve la brodaglia dei Liguri?”
Interessante la storia narrata da Diodoro Siculo e, prima di lui, da Filiato da Siracusa (480-425 a.C.), relativa a una spedizione militare intrapresa dai Liguri in Italia centrale: un tentativo d’espansione finito male. Sulle rive del lago Trasimeno i Liguri invasori subirono una sconfitta da parte degli Umbri, che precluse loro la via del ritorno. Gli invasori furono costretti a ripiegare progressivamente a meridione, probabilmente incalzati dai nemici; finché, giunti sull’attuale Stretto di Messina, finirono per approntare una flotta: attraversarono lo stretto e approdarono in Sicilia.
Diodoro Siculo, di origine siciliana, afferma che la grande isola fu unificata per la prima volta proprio da quei Liguri in fuga e che prese il nome dal loro re: Sikylos o Sykelos. Tesi peraltro suffragata, prima di lui, da Ellanico da Mitilene (vissuto tra il 496 e il 363 a.C.) che chiamava Elimi gli antichi abitatori della Sicilia e li definiva originari della Liguria. Va precisato a riguardo che antichissime località siciliane presentano toponimi liguri, come Entella, Lerici e Segesta.

La grande espansione dei Celti (Galli per i Romani e Galati per i Greci) coinvolse pienamente l’antica Liguria. Fu un’espansione che, iniziata nel VI secolo, durò moltissimo tempo e dilatò la presenza di quel popolo, rimasto in gran parte misterioso, sul continente europeo e in Asia Minore. La Galizia spagnola, la Galizia polacca e ucraina, la Galazia nell’Anatolia Centrale attestano ancora oggi, nei loro stessi nomi, una radicata presenza celtica; come pure la regione della Boemia e della città di Bologna che derivano etimologicamente dai Galli Boi.
Come non ricordare Roma occupata nell’anno 390 a. C. dai Galli Cisalpini (gli attuali Padani) guidati da Brenno?
E noto che i Galati saccheggiarono il santuario di Delfi in Grecia…
Per questo motivo molti storici contemporanei, accennando ai popoli preromani in Piemonte, Liguria e Provenza, usano il termine di celto-liguri, ignoto però agli antichi.
Gli autori latini indicavano nel vino, non senza ironia, la causa dell’invasione dell’Italia da parte dei Celti.
Diodoro Siculo si spinse ad affermare che i Celti fossero propensi a scambiare i prigionieri catturati in battaglia con anfore di vino; anzi, erano così avidi del nettare di Dioniso da scambiare uno schiavo per una tazza di vino!
Per la verità la principale fonte d’informazione sui Celti, seppure assai tarda, è il “De bello gallico” di Giulio Cesare, nel quale si evince che la loro società era divisa in tre classi: i cavalieri, i druidi e la plebe.
“I nobili gallici sono ripartiti in due classi: i druidi e i cavalieri. Ai druidi spettano le questioni religiose, i sacrifici pubblici e privati, il giudizio su argomentazioni sacre. Gran parte della gioventù viene da loro istruita, per cui godono di un grande prestigio. I druidi prendono decisioni sulle controversie pubbliche e private, e sentenziano sui delitti, gli omicidi, le liti riguardanti l’eredità o le liti sui confini delle proprietà…”
Un’altra penetrazione preromana in Liguria, seppure di più lieve entità, fu quella degli Etruschi, probabilmente pacifica e mercantile.
Due steli testimoniano la presenza etrusca nell’attuale provincia di Cuneo: una stele funeraria a Mombasiglio, arricchita da una figura femminile, e un’iscrizione tombale rinvenuta nell’amena località di San Martino di Busca, risalente al V secolo a. C., dov’è citato un certo Larthial Muthicus. Una terza stele funeraria è andata perduta: si trovava a Roddino, sulle Langhe, e ancora nel 1969 era inserita in una parete laterale della chiesa parrocchiale.
La Liguria patì il primo ridimensionamento ed ebbe una precisa configurazione geografica da parte dell’imperatore Augusto, quando ripartì in Province il territorio italiano. In quell’occasione la Liguria fu scissa dalla Provenza e risultò delimitata a settentrione dal corso del Po ed estesa sull’arco costiero spaziante tra la foce dell’Arno e La Turbie, dove le Alpi “precipitano in mare” e dove fu eretta l’imponente “ara pacis” che si può tuttora ammirare.
Da questa provincia furono scorporati i domini del re cliente Cozio, garante delle strade sulle Alpi Occidentali su entrambi i versanti, sia italiano che “gallico”. In seguito, questo dominio montano fu ripartito in tre piccole province alpine: le Alpes Marittimes, le Alpes Cottiae e le Alpes Graiae.

Ma il territorio a settentrione del Po tornò a essere Liguria abbinata all’Emilia, in seguito al grande rinnovamento amministrativo dell’imperatore Diocleziano; mentre la Liguria di Augusto prese il nome di Alpes Cottiae, dopo aver accorpato questa piccola provincia alpina.
L’invasione dei Longobardi, che tutto stravolse, apportò un definitivo rivolgimento. Quei giganti biondi furono i barbari peggiori e, diversamente dai loro predecessori Goti, Ostrogoti, Visigoti, Eruli e Burgundi, arrecarono una profonda cesura con la civiltà classica. Furono gli ultimi invasori germanici e con loro cominciò veramente il medioevo!
Di fronte alla loro avanzata i Bizantini si arroccarono sul confine della Stura – Tanaro che delimitò per circa settant’anni il confine tra “civiltà” e “barbarie”, finché anche questo confine crollò. Tanto bastò per giungere a un ulteriore ridimensionamento della Liguria, il cui confine settentrionale fu spostato sull’asse fluviale Stura – Tanaro. Un confine che non fu modificato da altre due terribili invasioni: quella degli Ungari da Est e dei Saraceni da Ovest, dalla Provenza.
Fu dopo queste invasioni che venne a configurarsi la “Terra Alta Langasca” che sempre di più, nei secoli successivi, andò distinguendosi dalla nuova identità subalpina del Piemonte e dalla Liguria ormai identificata nella Repubblica di Genova e limitata alla Riviera.
Inizialmente il Piemonte indicava i domini provenzali (angioini) ai piedi dei monti: più precisamente i territori di Cuneo e Mondovì (includendovi geograficamente anche il Marchesato di Saluzzo). Soltanto in seguito, con l’espansione sabauda nell’Alta Val Padana, il Piemonte si dilatò e assunse il termine di Principatum Pedemonti, per l’esigenza di distinguersi sempre di più dalla Lombardia, ormai corrispondente al Ducato di Milano.
Un’altra realtà a sé stante fu per secoli il Monferrato, che fin dal XII secolo cominciò a identificarsi non soltanto nei vasti domini della casata dei marchesi del Monferrato, imparentata addirittura con gli imperatori bizantini, ma con i territori delle Repubbliche di Asti e di Alba, e del comune di Alessandria istituito nel XIII secolo in funzione antimperiale.
La prima identificazione della “Terra Alta Langasca” risale all’Alto Medioevo, con il documento imperiale di Ottone I del 23 marzo 967, in cui è riconosciuto il possesso di sedici curtes, situate in luoghi deserti, al marchese Aleramo e ai suoi discendenti.
Nel XIII secolo i possedimenti dei marchesi Del Carretto andranno configurandosi sempre di più nell’Alta Terra Langasca con sbocco al mare nel Finalese: una situazione che andrà radicandosi nonostante la continua frammentazione dei marchesati.
Nel 1577, con la congiura ai danni della Spagna padrona in Lombardia, conti e marchesi Del Carretto vagheggeranno addirittura un libero cantone dell’Alta Terra Langasca, simile a “novella Ginevra” situato tra Piemonte sabaudo, Liguria corrispondente alla Repubblica di Genova e la Lombardia, che all’epoca s’insinuava in Val Bormida a monte di Alessandria.
La secolare resistenza di Finale, desideroso di distinguersi dalla Liguria soggetta alla Repubblica di Genova, desiderosa di fagocitarlo allo scopo di assicurarsi il totale controllo del “grande arco” costituito dalla costa ligure, s’inquadra in questa “naturale identificazione” che non era soltanto culturale, ma anche politica. Non bastarono due aspre guerre a metà dei secoli XIV (quando fu interrato il porto di Varigotti) e XV (quando il marchese Galeotto Del Carretto si salvò calandosi nelle fogne), a piegare la caparbia resistenza dei Finalesi. In seguito gli stessi Finalesi preferirono “darsi” al re di Spagna, che all’epoca aveva anche il Ducato di Milano e tutta l’Italia Meridionale, piuttosto che soggiacere agli odiati Genovesi!
Soltanto con l’infausta pace di Utrecht (che trasformò i Savoia da duchi in re) l’identità territoriale della “Terra Alta Langasca”, ormai frazionata in una miriade di piccoli feudi imperiali, venne cancellata!
Interessante notare come uno scontro in armi, tra Piemonte e Monferrato (con la Terra Alta Langasca), si ebbe nella battaglia di Tagliacozzo, decisiva non soltanto per l’assetto dell’Italia, ma per il destino stesso del Sacro Romano Impero. In quella drammatica e sanguinosa battaglia del 1268 ebbe fine la casata imperiale di Svevia, resa famosa dagli imperatori Federico Barbarossa e Federico II, e trionfò definitivamente la politica papale tendente a evitare l’accerchiamento dei domini pontifici da parte dell’Impero. Quel giorno tutta l’Italia Meridionale cambio padrone, passando dagli Svevi agli Angioini; ma a scontrarsi in quella tremenda battaglia non furono cavalieri meridionali, bensì piemontesi (cuneesi, monregalesi e saluzzesi) sotto le insegne angioine e monferrini (inclusi i cavalieri della Terra Alta Langasca) sotto le insegne imperiali. E’ infatti noto e documentato l’incondizionato appoggio offerto al giovane Corradino di Svevia tanto dai marchesi del Monferrato quanto dai marchesi Del Carretto, da sempre fedelissimi al Sacro Romano Impero e inequivocabilmente ghibellini.
Guido Araldo è nato a Saliceto, vive a Cuneo. Autore di 44 opere fra romanzi e saggi storici, alcuni dei quali apparsi in Francia a cura delle edizioni Harmattan di Parigi. Nel 2000 ha vinto il primo premio del concorso letterario “Galeotto del Carretto” con il libro Prèscricia, la Pietra Scritta. I suoi libri sono presenti nel catalogo online Feltrinelli. Per informazioni più dettagliate si invita a consultare il sito Editoriale l'Espresso "ilmiolibro.it".