TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 31 luglio 2014

Parresia Alchemica. Iside e Maria



Iside e Maria alla luce dell'alchimia a partire dall’intuizione junghiana sulla necessità di una integrazione simbolica del femminile all’interno della sfera psichica.

Raffaele K. Salinari

Parresia Alchemica

Il «no» di Iside, il «si» di Maria: la Grande Dea si riflette nello specchio; ora come divinità egiziana, ora come madre del Salvatore, risponde all‘angelo annunciatore attraverso i monosillabi essenziali. «Sia il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal Maligno» dice anche il Cristo del Vangelo secondo Matteo (5,37).

Questa è la forma che condensa la pratica della parresia, quel «parlare la verità» che fu oggetto delle ultime lezioni di Foucault al Collège de France nel 1984 (Le courage de la vérité).

La verità ed il suo kairos

Il termine venne coniato da Euripide nel V secolo a.C. – età d’oro della democrazia ateniese, quella di Pericle (462-429 a.C.) – con evidenti implicazioni politiche sul funzionamento stesso delle istituzioni democratiche. Nell’Atene di quel tempo il cittadino che interveniva nelle assemblee pubbliche aveva il diritto di dire la sua verità, anche nel caso in cui questa fosse stata contraria alla doxa.

Ma il parresiastes «non è solo sincero nel dire qual è la sua opinione», afferma Foucault, è che in questo modo egli si soggettivizza: diviene soggetto e oggetto della verità che esprime; e così il parresiastes mette in gioco se stesso, fonda il suo spazio-tempo. Ma, avverte Foucault, per la riuscita del processo è fondamentale la presenza dell’«altro» – il maestro, il filosofo, l’amico, il confessore, l’amato – che ci faccia da specchio in questo principium individuationis; una pratica a due. Vedremo come il dialogo con l’«altro» sarà, nel caso degli alchimisti, quello con la Materia stessa.

Per via dell’identità esistenziale tra l’enunciante e l’enunciato, e qui sta l’arcano, la parresia rientra nella sfera di influenza di Kairos, la divinità greca del «tempo opportuno». Un tempo qualitativamente distinto da quello governato da Kronos, il dio vecchio e feroce immortalato nel celebre dipinto di Goya, intento a divorare i suoi figli, geloso del fatidico vaticinio secondo cui uno di essi lo avrebbe spodestato.

L’effige di Kairos è, invece, quella di un bel giovane che avanza rapido sui suoi talari impugnando un rasoio, segno del taglio netto tra il momento del suo comparire e quello della sua scomparsa, della cesura tra un prima ed un dopo.

Questa fuggevolezza diviene anche il motivo della curiosa pettinatura: il dio ha davanti la fronte un bel ciuffo di capelli, per essere afferrato mentre passa; la nuca è invece totalmente calva, poiché una volta fuggito nessuno lo possa riprendere.

Un prezioso bassorilievo, oggi custodito nel Museo municipale di Traù in Croazia, l’antica Tragurium romana, così lo ritrae. Il ragazzo veloce ha talvolta come simbolo una bilancia squilibrata, piegata dalla parte di un tempo che non tiene conto di alcuna ponderazione: il tempo della verità.

La cultura cristiana, a sua volta, ha definito kairos il «tempo scelto da Dio», il momento in cui la divinità decide di agire e cambiare la storia degli uomini. Nella Chiesa ortodossa orientale, prima che la liturgia inizi, il diacono scandisce la formula «kairos tou poiesai to Kyrio», cioè «È tempo che il Signore agisca», dove poiesai significa anche creare, indicando che in quel momento avviene l’incontro con l’Eternità insufflata da Dio nel cuore stesso della Materia.



Alchimia e modernità

La stessa intenzionalità per il «tempo opportuno» in cui viene emanata la Creazione e la sua verità ultima, il suo eskaton, è al cuore del processo che vede l’alchimista, il Filosofo della Natura, cercare con le sue pratiche di rettificarne il «principio vitale materiale», l’archeus come lo definiva Paracelso, e condurlo così alla parusia, la piena realizzazione dei suoi attributi sostanziali.

L’Opus magnum e la sua Pietra filosofale, infatti, altro non sono che l’«altro» che necessita al parrestiates-alchimista per diventare tutt’uno con la verità; dispositivi che inverano e verificano la possibilità di portare a compimento il télos del suo essere, trasmutandolo, nel «tempo opportuno», verso lo stato di perfezione.

Sul piano «metallico» questo significa la sintesi dell’Oro alchemico, l’elemento mistico perfetto ed incorruttibile, metafora di ogni evoluzione materiale. Trasposto specularmente sul piano della vita umana, l’alchimista mira alla Redenzione, cioè alla perfezione dello Spirito che finalmente riesce nel suo compito: riunire anima e corpo.

Ma tutto questo resterebbe confinato nella storia delle arti esoteriche se non fosse per il fatto, come afferma Françoise Bonardel, che l’Opus magnum è invece una visione del Mondo in contrapposizione con la modernità. Nel suo Philosophie de l’alchimie la definisce come «concreta assunzione di responsabilità per l’insieme del Mondo»; un «lavoro filosofale» in risposta al «percorso filosofico» che ci ha portato a distruggere ed umiliare la sacralità della Materia, e dunque di noi stessi come parte senziente di essa.

È ancora l’alchimia, intesa come pratica di cura e manutenzione del Mondo, che, rivisitata alla luce delle differenze di genere, permette di leggere in chiave politico-ecologica l’intuizione originaria di Jung sulla necessità di una integrazione simbolica del femminile all’interno della sfera psichica; per completare così, in maniera olistico-ecologica, il nostro processo di individuazione.

Afferma ancora Bonardel che la ripresa della «filosofia alchemica» può mettere fine all’unilateralità di una episteme – che si suppone essere quella quasi unanime nella modernità – di scissione tra soggetto ed oggetto, ricomponendo la matrice simbolica di una «prassi dell’alleanza» con le forze vive della Creazione. Un’alleanza, e non una competizione o una sottomissione, per dirigere finalmente lo sguardo verso l’essenza delle cose finite.



Questa «verità della Madre Materia» come diceva Giordano Bruno, ha dunque bisogno di un tempo opportuno, cairologico, in cui si compiono le operazioni di coagulazione e dissoluzione – il solve et coagula cuore della pratica alchemica – affinché le fasi dell’Opera possano maturare così da portare ad effetto il ricongiungimento: l’annullamento, simboleggiato dal Rebis filosofico, l’androgino ermetico, delle dualità che esistono tra materia e anima, visibile ed invisibile, immanente e trascendente, per ricomporle finalmente in dualitudini: coppie di opposti non oppositivi che rendono manifesta l’Unità primigenia del Creato, scopo ultimo del magistero alchemico.

L’alchimista dunque, stabilisce, come parresiastes, un patto tra sé e la verità mistica che dorme nella Madre Materia, l’«altro» o meglio l’«altra», con la quale egli è in dialogo.

E allora, operare con la materia ed attraverso la materia nel tempo giusto, implica saggiarne la capacità di sciogliersi e rapprendersi; questo rimanda, per il fatto che la materia operata trasforma a sua volta l’operatore e viceversa, alla volontà dell’alchimista di mettere nell’Athanor se stesso: considerare le proprie impurità come parte della «prima materia».

Da qui il punto di partenza della trasmutazione interiore – il neidan alchemico taoista – il cui obiettivo è la pienezza del nostro stesso esistere; ex-sistere cioè essere in atto consapevolmente per il tempo che ci è dato.

Zosimo di Panopoli (IV secolo), sostiene che tutta l’alchimia dipende dal kairos, e definisce le operazioni alchemiche kairikai baphai, tinture di kairos. Egli teorizza che i processi non avvengono da sé, ma soltanto nella giusta congiunzione astrologica.

David di Dinat, filosofo panteista del XIII secolo, difeso da Bruno ed avversato da Tommaso d’Aquino nella Summa contra Gentiles (I, 17), sostiene che la Materia sia «cosa eccellentissima e divina», come ribadirà nei suoi dialoghi De la causa, Principio et uno il monaco di Nola, e gli sarà fatale: sarà mandato al rogo in Campo dei Fiori il 17 febbraio 1600.

Qui troviamo il nucleo moderno di quella teoria delle corrispondenze tra micro e macrocosmo che verrà sviluppata più tardi da Paracelso e dall’alchimia rinascimentale. La sintonia, di stampo neoplatonico, tra il tempo soggettivo e quello planetario, al quale l’alchimista deve per così dire accordare i suoi gesti operativi, riduce poi ulteriormente l’intervallo tra soggetto ed oggetto, tra operatore e materia operata, contribuendo in questo modo all’identità dell’Opera con l’operatore.

Ecco che, come nella parresia e nel messaggio evangelico, la Madre Materia dispiega alchemicamente la sua verità tra un «no» e un «si», in altre parole tra un resistere (coagula) ed un concedersi (solve).

E dunque ripercorriamo la storia di un «si» e di un «no» pronunciati da due personaggi femminili, entrambe ipostasi della stessa Grande Madre, che agiscono con modalità speculari perché operano e sono operate in momenti diversi della storia del Mondo: l’antico Egitto e la Cristianità.

Vedremo come il «no» pronunciato da Iside alle avances sessuali dell’angelo che le offre il segreto dell’«acqua scintillante» corrisponde analogicamente al «si» sussurrato da Maria di Nazareth di fronte al messaggio di quello dell’Annunciazione.

Iside e Maria: due donne divine che rappresentano, in forme distanti nel tempo ma non distinte nell’essenza, il medesimo femminino totipotente, la matrix paracelsiana capace di portare ad effetto e far coincidere la causa materiale con quella finale.

La falce di luna comune ad entrambe, simbolo dell’eterno rinnovarsi delle cose, così come la loro verginità, cioè il numinoso intangibile ed immodificabile insito nella Materia cosmogonica di cui sono immagini – «nessuno ha mai sollevato il mio velo» dice Iside, di Maria Immacolata la purezza è provata dai suoi contemporanei con l’ordalia dell’acqua amara – testimoniano sul piano metastorico la loro sostanziale identità.

Sulla parete esterna occidentale della chiesa del Crocefisso, la prima delle cosiddette Sette Chiese di Santo Stefano in Bologna, è ancora visibile la lapide marmorea che titolava l’originale tempio romano ad Iside Vittoriosa.



Iside dice di no all’angelo

Il Codex Marcianus è un voluminoso manoscritto alchemico conservato nella Biblioteca Marciana di Venezia; sulla copertina è possibile osservare l’effigie dell’Uroboro – il serpente che si morde la coda (da oura coda e boros che morde) simbolo dell’eterna rinascita come dell’unità della materia – che racchiude la scritta En to Pan, cioè nell’Uno il Tutto, e diverse altre simbologie riferite all’arte della trasmutazione ed ai suoi apparecchi.

Un testo greco qui contenuto è intitolato La Profetessa Iside a suo Figlio. Si tratta di uno scritto risalente all’incirca al I secolo a.C.; sotto il titolo è visibile il simbolo della falce di luna. La metafora utilizzata per cifrare il processo operativo è quello di un episodio centrale della mitologia egizia: la storia che narra della famosa battaglia in cui Seth, che rappresenta il caos distruttivo della brutalità, si batte contro Horus, divinità solare dell’ordine ricostituito, figlio di Iside ed Osiride.

Nel testo alchemico Iside così esordisce: «Oh, figlio mio, quando tu decidesti di andare a combattere il perfido Tifone [Seth] per il regno di tuo padre [Osiride], io mi recai a Hormanouthi, cioè a Hermopolis, la città di Hermes [il dio Thot], la città egizia della sacra arte [l’alchimia], e vi rimasi qualche tempo. Dopo un certo passaggio dei kairoi [il necessario movimento della sfera celeste], accadde che uno degli angeli che abitavano nel primo firmamento mi vide dall’alto e venne a me desiderando congiungersi carnalmente. Aveva gran fretta che l’unione avesse luogo, ma io gli dissi no. Resistetti, perché volevo interrogarlo sulla preparazione dell’oro e dell’argento. Quando gli feci la domanda, replicò che non intendeva rispondermi poiché si trattava di un mistero capitale, ma disse che sarebbe tornato il giorno seguente e avrebbe portato con sé Amnael, un angelo più grande, il quale sarebbe stato in grado di rispondermi e di risolvere il mio problema. Ed egli mi disse qual era il suo segno [cioè in che modo Iside avrebbe potuto riconoscerlo] e che mi avrebbe portato e mostrato, reggendolo sul capo, un vaso di ceramica pieno d’acqua scintillante. Egli [l’altro angelo] intendeva dirmi la verità. Il giorno seguente, quando il sole era a mezzo del suo corso, scese dal cielo l’angelo che era più grande del primo, e fu preso dallo stesso desiderio di me e aveva gran fretta [di soddisfarlo]. Ciononostante io volevo solo fargli la mia domanda. Quando stette con me non mi diedi a lui. Gli dissi di no e vinsi il suo desiderio finché non mi mostrò il segno sul suo capo e mi consegnò la tradizione dei misteri, in piena verità e senza nasconder nulla. [A questo punto Iside vince la battaglia e l’angelo le rivela tutto ciò che sa sulla tecnica dell’alchimia]. Indicò poi nuovamente il segno, il vaso che portava sul capo, e cominciò a rivelarmi i misteri e il messaggio. Dapprima pronunziò il gran giuramento e disse: “Giuro, in nome del Fuoco, dell’Acqua, dell’Aria e della Terra; giuro in nome della Sommità del Cielo e della Profondità della Terra e degli Inferi; giuro in nome di Hermes e di Anubi, dell’ululato di Kerkoros e del drago guardiano; giuro in nome della barca e del traghettatore Acharontos; e giuro in nome delle tre necessità, e delle fruste e della spada”. Dopo che ebbe pronunciato il giuramento, lo fece ripetere anche a me e mi fece promettere che non avrei mai rivelato a nessuno il mistero che stavo per ascoltare, tranne a mio figlio, al mio bambino, e al mio più intimo amico, così che tu sei me, e io sono te».

E dunque Iside ottiene il segreto della trasmutazione resistendo alle offerte sessuali dell’angelo; una modalità che obliquamente ricorda quella di Sherazade nelle Mille e una Notte…

Qui la metafora ci dice che chi voglia giungere al compimento deve resistere alle forze che cercano di distoglierlo dal retto sentiero attraverso le lusinghe di una strada puramente sensuale, priva di salda convinzione dottrinale e retta volontà. È il cedimento di coloro i quali intraprendono l’Opera per ottenere facili guadagni materiali, dimentichi della posta in gioco spirituale. In questo senso si sviluppa anche il significato nascosto dall’allusione sessuale vera e propria: la Materia non concederà le sue grazie, cioè non si darà all’operatore, se non quando questo sarà in grado di trarre da lei il segreto con le giuste manipolazioni: mostrandosi all’altezza del potere insito nelle trasmutazioni. Eros, come agente del cambiamento, è da sempre il daimon che sovraintende questo tipo di operazioni catalizzate, ma non certo limitate, alla sfera sessuale.

Qui il tempo cairologico è una componente centrale; senza la capacità di saper aspettare il momento opportuno nessuno svelamento è possibile. Anche se l’angelo si mostra ansioso di accoppiarsi con Iside, non dobbiamo pensare che la divinità non lo sia altrettanto; ma ella ha compreso che solo sapendo attendere avrà il suo premio.



Il si di Maria

Assolutamente speculare, e dunque analoga, è la postura assunta da Maria di Nazareth che, non a caso, trasmette lo stesso nome a quella Maria la Giudea, vissuta tra il primo ed il terzo secolo forse ad Alessandria d’Egitto, che per prima ha descritto concretamente alcune operazioni alchemiche ancora oggi titolate a suo nome, tra cui il celebre «bagno Maria».

E dunque: «Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te. A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L’angelo le disse: non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine. Allora Maria disse all’angelo: come è possibile? Non conosco uomo. Le rispose l’angelo: lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio. Allora Maria disse: eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto. E l’angelo partì da lei».

Maria di Nazareth simboleggia la Madre Materia che si «lascia impregnare» dal solvente universale per sua stessa volontà; anche il suo «si», come il «no» di Iside, è pronunciato nel kairos, il momento opportuno alla fecondazione, quando l’anima può prendere posto nel suo involucro di materia, nel suo «vestito di carne» dice Francesco d’Assisi.

La metafora della fecondazione, comparsa per la prima volta nell’alchimia bizantina, così viene descritta nel Testamentum attribuito allo pseudo Raimondo Lullo per richiamare lo stile del monaco alchimista spagnolo vissuto nel XIII secolo: «Dunque figliolo, devi comprendere che nella prima cottura, quando avviene il coito e l’unione per amore della natura, allora si ottiene la prima mescolanza, unendo il corpo e lo spirito, affinché si accordino e le loro qualità si mescolino formando un composto delle virtù elementari dell’uno e dell’altro in forza del concepimento che fa dei due uno….».

Maria è dunque il «corpo perfetto per il coito perfetto» dal quale può nascere la Pietra della trasmutazione, il Lapis-Cristo, «pietra scartata dai costruttori che diviene testata d’angolo» (Salmo 117, 22-23).

Ma, nella simbologia esoterica alchemica, la congiunzione dello Spirito Santo con la Vergine di Nazareth rappresenta la ricomposizione dell’antica Unità che vedeva nella Grande Dea primigenia la scaturigine del tutto. Solo il patriarcato ecclesiale l’aveva scomposta nei due aspetti per rendere la figura femminile subalterna.

L’epistemologa femminista Evelyn Fox Keller, nella sua introduzione a Genere e Scienza, evidenzia come il «si» mariano alla congiunctio apre la porta ad un nuovo approccio che annulla la distanza tra la verità della mente e quella del corpo; dove per «corpo» si intende il codice comunicativo di tutti i fenomeni prelinguistici con i quali comunque dobbiamo negoziare la nostra permanenza sulla Terra.

Nella stessa prospettiva James Hillman ammette che «nella scienza moderna la femminilità della materia non può mai essere realmente riconosciuta» e che in questo modo il metodo galileiano si rivolta contro se stesso; dunque «la scienza attuale non può vedere le cose che l’alchimia vedeva».

Infine, come nella simbolica cristiana l’Annunciazione è aurora della nuova creazione, kairos scelto da Dio per irrompere nello spazio della storia, così per l’alchimista il momento della trasmutazione finale, l’Opera al Rosso, coincide con la sua intima transustanziazione: l’umile villaggio di Nazareth non è Gerusalemme; l’annuncio della nascita del Messia viene fatto a Maria in un luogo insignificante della semi-pagana Galilea che né Flavio Giuseppe né il Talmud nominano.

Nello stesso modo e momento, compiuta l’Opera, l’umile dimora dell’alchimista, improvvisamente, diventa il centro del Mondo.


Il manifesto Alias – 21 giugno 2014


giovedì 24 luglio 2014

Giacomo Checcucci, W l'immaginazione abbasso la realtà.

Da oggi i miei oggetti combinati in esposizione con Vuoto Critico in Progetto Viasansoni (in Via Sansoni a fine di Via Pia) e nel locale Panenudo (all'incrocio tra Via Pia e la galleria della Pinacoteca). W l'immaginazione abbasso la realtà. 

In foto la "Penna oliatore".

Da oggi Giacomo Checcucci, caro amico di Vento largo, espone i suoi oggetti duchampiani combinati con Vuoto Critico in Progetto Viasansoni (in Via Sansoni a fine di Via Pia) e nel locale Panenudo (all'incrocio tra Via Pia e la galleria della Pinacoteca).

W l'immaginazione abbasso la realtà.

Andateci e fate prendere aria al cervello.

In foto la "Penna oliatore".

A Ventimiglia e Grimaldi Superiore. Non solo spiaggia e Libri sotto le stelle



Entra nel vivo l'estate letteraria organizzata dall'Associazione Culturale LIBER theatrum, con il patrocinio della Regione Liguria, del Comune di Ventimiglia ed il supporto logistico della libreria Casella.

Venerdì 25 luglio alle ore 21.15, ad ingresso libero (e spostamento nella nuova Biblioteca di via Cavour in caso di maltempo) inizia infatti la nuova stagione di incontri d’autore “LIBRI SOTTO LE STELLE” prevista nella rinnovata e fantastica location all’aperto, finalmente e nuovamente a disposizione della cittadinanza, della “terrazza” del Forte dell’Annunziata, poco fuori le mura della città Alta di Ventimiglia. 

Anche quest'anno nomi di prestigio e appuntamenti imperdibili, a cominciare dal primo, attesissimo ospite: Oliviero BEHA, che ha firmato "Un cuore in fuga" un libro bellissimo dedicato alla figura di Gino Bartali che, durante il secondo conflitto mondiale, con il suo coraggio riuscì a salvare la vita a quasi un migliaio di ebrei. Accanto all'autore, Diego Marangon che come di consueto introdurrà la serata, e ad intervistare lo scrittore l’avvocato, critico e giornalista Alberto Pezzini.


Quella di Gino Bartali è innanzitutto una bella storia, ancor meglio raccontata, e Beha è riuscito nell'intento di narrare con passione una vicenda umana di coraggio e orrore, di puro eroismo e sana follia. Fingendo di allenarsi, infatti, "Ginettaccio" in realtà trasporta documenti falsi, nascosti nei tubi del sellino e del manubrio della sua bici. Chilometri e chilometri percorsi tra Firenze e Assisi per consegnare nuove identità alle famiglie ebree rifugiate da tutta Europa in Italia, perché perseguitate dalla barbarie nazista prima e fascista poi. Ma la figura sportiva e umana di Bartali è anche quella che permette all'Italia del dopoguerra di evitare una possibile e probabile guerra civile nei giorni che seguono l'attentato alla vita di Palmiro Togliatti.

La sua vittoria al Tour in quei giorni così pericolosi allontana di quel tanto l'attenzione dell'opinione pubblica dalle tensioni politico-partitiche  e permette al nostro paese di superare uno dei momenti più bui della sua storia più recente. Quasi un risarcimento morale il libro di Beha per un uomo spesso etichettato semplicemente e solo come il rivale eterno del Campionissimo Fausto Coppi. In realtà un uomo vero, leale e sincero sempre. Un uomo dal cuore grande: un cuore in fuga, che custodisce un grande segreto.



Da segnalare, infine, Sempre sabato, ma alle ore 18.00 presso la Società Operaia di Mutuo Soccorso, nella frazione ventimigliese di Grimaldi Superiore, il secondo appuntamento in calendario per “NON SOLO SPIAGGIA 9” con Giuseppe AMMENDOLA e il suo nuovo libro “Il cuore della luna”. A dialogare con l'autore italiano, residente in francia, Enzo Barnabà. Per chiudere la serata la consueta cena a base  


Sette anni di UBIK a Savona. Grazie, Stefano


Sette anni di UBIK a Savona. Grazie, Stefano

Zapruder 33. MOVIMENTI NEL MEDITERRANEO. RELAZIONI, SCAMBI, CONFLITTI



E' uscito il trentatreesimo numero di «Zapruder. Storie in Movimento».


Editoriale

Andrea Brazzoduro e Liliana Ellena, Rovesciare la carta. Giochi di scale

MOVIMENTI NEL MEDITERRANEO. RELAZIONI, SCAMBI, CONFLITTI

Ilham Khuri-Makdisi, Migranti, lavoratori, anarchici. La costruzione della sinistra in Egitto, 1870-1914

Emmanuel Blanchard, Massacro coloniale alla Nazione. Parigi, 14 luglio 1953

Natalya Vince, «È la Rivoluzione che le proteggerà». Movimenti delle donne e “questione femminile” in Algeria e Tunisia

Le immagini

Giacomo Miracola, Il Mediterraneo dalla soglia siciliana (a cura di Ilaria La Fata)

Patrick Altes, Una storia di rivoluzioni

Schegge

Stéphane Dufoix, Diaspora. Metamorfosi di una parola globale

Vanessa Maher, «New Times and Ethiopians News». L’antifascismo e l’anticolonialismo di Sylvia Pankhurst e Silvio Corio

Renata Pepicelli, Le donne nei media arabi a due anni dalle rivolte. Pluralità di modelli e molteplicità di sfere pubbliche

Nicoletta Poidimani, Ius sanguinis. Una sintesi di dominio maschile e dominio razziale

Luoghi
Enrico Grammaroli e Omerita Ranalli, Il Circolo Gianni Bosio di Roma

Altre narrazioni

Davide Oberto, L’immagine latente. Rappresentazione e memoria nel lavoro di Joana Hadjithomas e Khalil Joreige

Jolanda Insana, Giufà chi?

Voci

Elisa A.G. Arfini, Paola Di Cori e Cristian Lo Iacono, Dialogo su questi strani tempi (a cura di Marco Pustianaz)

interventi

Vincenza Perilli, Desiring Arabs. L’occidente, gli arabi, l’omosessualità

Lia Viola, Utopie in movimento. Riflessioni sull’attivismo lgbti in Africa orientale

Recensioni


Fabrizio Billi (Margherita Becchetti, L’utopia della concretezza. Vita di Giovanni Faraboli, socialista e cooperatore) Salvatore Cingari (Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, Altri dovrebbero aver paura. Lettere e testimonianze inedite) Vincenza Perilli (Anna Curcio e Miguel Mellino, a cura di, La razza al lavoro) Renate Siebert (Quinn Slobodian, Foreign Front. Third World Politics in Sixties West Germany)  


Per informazioni e richieste contattare il sito: http://www.storieinmovimento.org/



martedì 22 luglio 2014

Raniero Panzieri e la stagione dei Quaderni Rossi



Ritorna l'interesse per una figura centrale nel marxismo italiano degli anni '50 e '60.

Sergio Dalmasso

Raniero Panzieri e la stagione dei Quaderni Rossi

L’interessante e contro corrente collana gli antimoderati, dopo i due testi su Bianciardi e Giovanni Pirelli, prosegue con un interessante saggio di Cesare Pianciola, filosofo torinese, già autore di studi su Marx, Arendt, Sartre e l’esistenzialismo, sulla sempre attuale, anche se colpevolmente dimenticata, figura di Raniero Panzieri.

Panzieri (1921- 1964) è intellettuale e dirigente socialista dall’immediato dopoguerra. Partecipa alle lotte contadine e alla riorganizzazione del PSI in Sicilia, quindi, a livello nazionale, alla proposta di politica culturale del PSI (vedi Mariamargherita SCOTTI, Da sinistra, Roma, Ediesse ed, 2011) e alla miglior fase della rivista “Mondoperaio”. Vittorio Foa scrive di lui: Panzieri reintrodusse, in forma non scolastica o accademica, ma militante il marxismo teorico in Italia.

Questo nella ricca e tumultuosa fase che segue il 1956 e apre la strada ai fervidi anni ’60, alla rimessa in discussione delle ortodossie e delle certezze e che per Panzieri significa opposizione alla scelta per il centro sinistra del suo partito, emarginazione e ricerca di una via autonoma che lo porta alla fondazione dei “Quaderni rossi”, sino alla morte improvvisa e prematura.



Pianciola non percorre l’intera vita di Panzieri, ma si sofferma sulla fase che giudica più creativa e feconda, quella dei “Quaderni rossi” e della riproposizione di un marxismo non scolastico.

Tre gli elementi di ricchezza dei “Quaderni rossi” evidenziati nel testo:

Il ritorno a Marx, attingendo non alle scuole marxiste, ma a lui direttamente, come strumento per l’analisi del capitalismo

La lettura del capitalismo come formazione dinamica, che supera quella di un capitalismo italiano “straccione” e ritiene che la lotta di classe sia prodotta ai livelli più avanzati

Il rifiuto dello schema dell’integrazione della classe operaia.

Sempre operando una sintesi di un pensiero e di temi molto complessi, l’autore ricava quattro tesi dal lavoro panzieriano svolto nei suoi ultimi anni:

La critica dell’ortodossia dello sviluppo delle forze produttive ostacolato dai rapporti capitalistici di produzione e critica della visione apologetica del progresso tecnico- scientifico diffusa nella vulgata marxista.

Nel capitalismo la concorrenza è una fase soltanto transitoria e, inversamente, la pianificazione non è sufficiente a caratterizzare il socialismo.

Nelle lotte dei lavoratori, sia nella società capitalistica sia nei paesi socialisti, c’è l’istanza di una democrazia non delegata, come potere diretto a partire dai luoghi di produzione.

Il livello della coscienza di classe – nei suoi aspetti antagonistici e non solo conflittuali- non si lascia dedurre dall’analisi delle trasformazioni oggettive del capitalismo: occorre l’inchiesta operaia.



Proprio all’uso socialista dell’inchiesta operaia è dedicato l’ultimo scritto di Panzieri che la legge come nesso tra elaborazione teorica e verifica pratica. E’ questo uso critico degli strumenti sociologici, questo uso “marxista” della sociologia ad impedire ogni caduta in una visione mistica del movimento operaio, rimproverata a chi (Tronti, Asor Rosa, Negri…) nel 1963, dà vita, da una frattura nei “Quaderni rossi”, alla rivista “Classe operaia”.

Il testo, oltre ad una analisi delle tematiche panzieriane, offre una breve biografia, una attenta bibliografia, una postfazione di Attilio Mangano, numerose testimonianze (Foa, Asor Rosa, Tronti, Fortini, Fofi, Lanzardo, Ferraris, Baranelli, Lanzardo, Masi, Miegge, Mottura, Rieser) che ripercorrono, anche criticamente, alcuni aspetti del suo pensiero. Ne emerge uno spaccato del dibattito politico- culturale di una stagione che può parere lontana, ma che offre elementi di analisi che si dimostrano invece molto attuali.

La sintesi del pensiero e dell’opera di Panzieri è inserita da Pianciola nel quadro del dibattito culturale degli anni ‘50/’60.



La affermazione di Panzieri come maggiore interprete del ritorno a Marx è inquadrata in uno studio, sintetizzato in poche pagine, ma di grande profondità sul marxismo degli anni ’60.

Pianciola riesce, con grandissima capacità, a padroneggiare le diverse tesi del marxismo come storicismo, come scienza positiva (Della Volpe), le tematiche della scuola di Francoforte, la lettura di Marx fondata sui Grundrisse, la scoperta di Lukàcs e Korsch, il materialismo di Timpanaro, il neopositivismo.

Questa ricchezza di dibattito e di posizioni è alla base della ricaduta politica dei primi anni ’60 e della stagione successiva, dalle Tesi sul controllo operaio alla “stagione delle riviste”, dal “ritorno a Lenin” alla ricerca di parti, rimosse, della storia del movimento operaio.

Le ultime pagine, di grande profondità ed attualità, partono dalla valutazione di un Panzieri rifondatore del marxismo militante in Italia, ma si chiedono quanto resti del ricco dibattito sul marxismo e se e quanto sia possibile riferirsi a Marx, nella complessa e mutata realtà attuale.

La panoramica offerta di posizioni, valutazioni, interpretazioni anche diverse spazia da Sartre a Merleau Ponty, da Aron a Bobbio, da Giolitti a Chiodi, da Negri a Bellofiore e costituisce una sorta di saggio nel saggio che si chiude con la valutazione della necessità di un approccio a Marx come classico imprescindibile, ma non direttamente spendibile in un programma politico.

Certo, Panzieri avrebbe trovato questa conclusione “revisionista”, nel suo coraggio di andare contro corrente, di cercare nuove strade, nella sua speranza di un socialismo diverso da quello dei regimi autoritari che ne avevano usurpato il nome, di accettare l’emarginazione.

Il mezzo secolo che ci separa da lui esige bilanci, giudizi anche diversi. Ad esempio, del tutto differenti sono le conclusioni sulla sua attualità in Paolo FERRERO (a cura di), Raniero Panzieri, un uomo di fontiera, Milano- Roma, ed. Punto rosso- Carta, 2005.

Un testo breve, aperto, da discutersi, volutamente non una biografia, ma un saggio aspetti centrali del grande laboratorio aperto da Panzieri.

Il ricordo, leggendo queste pagine, non può non andare all’amico Vittorio Rieser che ci ha recentemente lasciati.


Cesare Pianciola
Raniero Panzieri
Centro di documentazione di Pistoia, 2014
euro 10

Estate a Casa Jorn


lunedì 21 luglio 2014

Taranto 1918. L'ammutinamento del British West Indies Regiment

Navigando in rete abbiamo trovato un interessante studio sui volontari afro-americani delle colonie inglesi caraibiche nella prima guerra mondiale. Ne riscriviamo la parte che ci pare più interessante.

Giorgio Amico

Taranto 1918. L'ammutinamento del British West Indies Regiment




Con lo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914, migliaia di volontari dalle Indie Occidentali raggiunsero l'esercito britannico. Erano uomini di colore, incoraggiati a farlo da integrazionisti come Marcus Garvey (1) con l'argomentazione che se avessero mostrato la loro lealtà alla corona inglese sarebbero poi stati trattati come eguali.

Inizialmente il Segretario di Stato per la Guerra Lord Kitchener rifiutò l'utilizzo di soldati di colore, ma l'intervento del re Giorgio V e la necessità di truppe resero poi la cosa possibile.

E così migliaia di afroamericani delle Indie Occidentali si arruolarono volontari. Il loro viaggio per l'Inghilterra fu lungo e pericoloso. Centinaia, dirottati in pieno inverno ad Halifax (Canada), soffrirono di assideramento e furono rimpatriati senza alcun riconoscimento del servizio prestato e dell'invalidità sofferta.

Nel 1915, fu formato il British West Indies Regiment raggruppante i volontari caraibici. Ma i comandi non si fidavano delle truppe di colore. Arrivati in zona di guerra, i reparti non ricevettero armi, riservate ai soldati bianchi, e furono assegnati al faticoso e pericoloso lavoro di portare munizioni, stendere reticolati e linee telefoniche sotto il fuoco nemico.

Le condizioni di vita erano terribili per uomini provenienti dai Tropici. Un poema anonimo, composto in trincea, The Black Soldier's Lament, mostra l'amarezza dei soldati. Una strofa dice:

Dalla trincea profonda andiamo verso il cielo.
Non siamo truppe combattenti eppure moriamo.

Durante la guerra, 15600 uomini inquadrati in 12 battaglioni servirono con le Forze Alleate. Due terzi di essi provenivano dalla Giamaica e il resto da Trinidad e Tobago, Barbados, Bahamas, Honduras britannico (Belize), Grenada, Guiana britannica (Guyana), Leeward Islands, St. Lucia e St. Vincent.

Furono impiegati in numerose aree di combattimenti contro i turchi in Palestina, Giordania e Mesopotamia (Iraq) e in Francia, Italia e Egitto.



Dopo l'armistizio dell' 11 Novembre 1918, gli 8 battaglioni presenti in Francia e Italia furono concentrati a Taranto per essere smobilitati. Ad essi si aggiunsero tre battaglioni dall'Egitto e dalla Mesopotamia. I soldati caraibici furono impiegati in attività faticose e degradanti come costruire pulire le latrine per i soldati bianchi (italiani compresi). Ne risultò un risentimento diffuso, accresciuto dalla scoperta che ai soldati inglesi bianchi veniva data una indennità di smobilitazione negata ai neri.

Il 6 dicembre quegli uomini ne ebbero abbastanza. I soldati del IX Battaglione si rivoltarono contro i loro ufficiali. Lo stesso giorno, 180 sergenti indirizzarono una petizione al Segretario di Stato lamentando le discriminazioni patite.

L'ammutinamento durò 4 giorni. Il 9 dicembre fu la volta del X Battaglione a ribellarsi contro l'ordine del proprio comandante di pulire le latrine dei soldati italiani.

Gli ammutinati furono circondati da reparti armati di mitragliatrici e costretti alla resa. I reparti furono sciolti e i soldati mandati in altre unità più sicure. Circa 60 soldati furono processati per ammutinamento e condannati a pene varianti da 3 a 5 anni di carcere, mentre i due militari considerati gli istigatori della rivolta furono condannati rispettivamente a 20 anni e alla fucilazione. Il reggimento fu sciolto nel 1921.

Sebbene l'ammutinamento fosse stato represso, il malcontento persisteva e il 17 dicembre un gruppo di soldati si riunì in assemblea per discutere la questione dei diritti dei neri e dell'autodeterminazione nelle Indie Occidentali (Caraibi). Dalla riunione nacque un'organizzazione, la Caribbean League, per portare avanti questi obiettivi.

In un altro incontro, il 20 dicembre, diretto da un sergente, si sostenne che "i neri delle Indie Occidentali avrebbero dovuto vedere riconosciuto il loro diritto alla libertà e all'autogoverno e che, se fosse stato necessario, per ottenere questo obiettivo si sarebbe dovuto usare la forza”. Questa dichiarazione fu accolta con applausi dalla maggioranza dei presenti. I soldati decisero uno sciopero generale per più alti salari da organizzare al loro ritorno in patria.

La richiesta corrispondeva a ciò che stava accadendo nelle colonie caraibiche inglesi (St. Lucia, Grenada, Barbados, Antigua, Trinidad, Giamaica e Guiana) dove negli anni di guerra si stavano per la prima volta sviluppando ondate di violenti scioperi per i diritti politici e sindacali dei lavoratori di colore che rappresentavano la quasi totalità della popolazione.

E' in questo contesto che i soldati tornarono a casa e non trovarono ad attenderli né fanfare né parate che celebrassero il loro sacrificio patriottico. Furono accolti da truppe (bianche) con le mitragliatrici puntate sui moli. Migliaia di ex soldati furono deportati a forza a Cuba e in Venezuela.

Partiti per combattere per l'Inghilterra, quei soldati tornavano come nemici dell'Impero, accesi da idee rivoluzionarie a cui non era estraneo ciò che stava accadendo in Russia dove consigli di operai e soldati avevano deposto la monarchia e instaurato un nuovo ordine socialista.

Nonostante la repressione, anche nei Caraibi inglesi il dopoguerra segnò l'inizio di un'ondata di lotte a causa della crisi economica causata dalla guerra. Dopo l'esperienza in Europa, molti degli ex soldati del British West Indies Regiment si trovarono alla testa delle lotte. Come nell'Italia del 1919-20 i reduci smobilitati chiedevano il mantenimento delle promesse fatte all'inizio della guerra di una società più libera e giusta. Trattati ancora come schiavi, i proletari di colore delle Indie Occidentali avevano preso coscienza nelle trincee di Francia e Italia dei loro diritti. Un'esperienza che non avrebbero più dimenticato.

Dall'esperienza della guerra (e della rivoluzione russa) nasceva anche nelle Antille un movimento di liberazione antimperialista che avrebbe poi trovato in CLR James il suo cantore e rappresentante.




1) Marcus Mosiah Garvey (Saint Ann's Bay, 1887 – Londra, 1940) politico e scrittore giamaicano. Lottò negli Stati Uniti e nei Caraibi in difesa degli afroamericani, predicando il ritorno in Africa da parte dei discendenti degli schiavi. Per questo fu perseguitato e costretto all'esilio.


Altare Glass Fest. I maestri vetrai di tutto il mondo si incontrano ad Altare





Aspettando Ferragosto. Tredici incontri in Valle Maira


venerdì 11 luglio 2014

’Mandali su da me alla prima notte di luna’. Itinerario notturno sui luoghi di Francesco Biamonti.




SAN BIAGIO DELLA CIMA

sabato 12 luglio 2014
ore 20.30.

Itinerari di letteratura 2014’ (10a edizione)

Mandali su da me alla prima notte di luna...’

Itinerario notturno sui luoghi di Francesco Biamonti. Ritrovo alla Chiesetta dell'Annunziata



"Varì lasciò Luvaira che era tardi.
Prese una mulattiera che saliva in una gola buia e raggiunse un dosso di pietrischi. Lo agirò e riprese a salire per le fasce di Aùrno.
«Ne abbiamo fatto del cammino assieme, - pensava salendo, - ne abbiamo conosciuti nomadi e viandanti. Eravamo due passeurs onesti, lui di mestiere io a tempo perso. Non abbiamo mai lasciato nessuno di qua del confine».
Adesso andava su fasce d'argilla marnosa con ulivi grandi agitati da una brezza ch'era come un vento. Tra quegli ulivi aveva la sua casa e più in là, protette dagli ulivi e dalle rocce, le colture floreali.
«Ne abbiamo fatto di cammino insieme, - tornò a dirsi mentalmente. - Lui adesso viaggia per altre terre: del silenzio, della penombra».
Le colline erano scure, e scure anche le montagne contro il cielo stellato. Solo la Cimòn Aurive aveva i crinali verso il mare toccati da barlumi.
S'alzò presto. Ma trovò la terra indurita dal freddo e preferì il sole prima di mettersi a innaffiare. Con l'acqua quella terra dura avrebbe morso le radici.
Mentre aspettava, vide Sabèl venire sul sentiero. Non l'aveva mai vista venire ad Aùrno a quell'ora. Camminava veloce nei fremiti del mattino, e dietro di lei il sole entrava nelle cime degli ulivi e le argentava.
- Mi dispiace, - le disse, - sapessi quanto mi dispiace per «barba» Andrea.
- S'è accasciato per strada, in paese: non ha più detto una parola non mi ha neppure riconosciuta quando l'ho chiamato.
- L'hai chiamato?
Trovava crudele chiamare chi se ne andava.
Sabèl tocco le foglie di una waldorf: le restò sulle dita una sorta di polvere.
- Si coprono di polvere per non traspirare, - egli disse. -Se continua questo secco non riusciranno a portare il fiore.
Chinate dall'aria tutte le mimose si raccoglievano dolcemente nella gran luce.
Gli sembrava che la donna guardasse il confine, desolato crinale che il sole invetrava. Poi lei gli prese la mano. Era salita, disse, per parlargli, per chiedere un consiglio, e non ci riusciva... Ecco, per farla breve: «barba» Andrea teneva nascosti due clandestini e adesso lei non sapeva cosa farne. Di abbandonarli non se la sentiva. Erano un bulgaro e una rumena, una rumena molto bella che le ricordava una ragazza conosciuta anni prima, quando andava a fare la stagione della mimosa sulla Corniche d'Or.
- Li fai partire alla prima notte chiara. Adesso no, adesso è scuro, e se adoperano la lampada li vedono da lontano.
- E se andassero di giorno?
- Li prenderebbero di sicuro.
- Non conosci un passeur? non possiamo trovare qualcuno?
- Ce n'è, ma sulla costa, molto infidi. Io non li metterei nelle loro mani. Rischiano meno a tentare da soli: se li prendono tutt'al più si fanno qualche mese nel campo di Latina. Ora dove sono?
- Sopra il paese, in un fienile.
- Nella casetta della Boeira?
Era una casetta con un mandorlo sulla porta sempre carico di colombi. Quanta gente vi aveva nascosto Andrea in tanti anni! Lo ricordavo al lavoro, gli sembrava di rivederlo: si faceva pagare per strada, non avvertiva quando passavano il confine, e s'allontanava di colpo: «Ecco, siete in Francia, andate!» perché non fossero tentati di riprendergli i soldi.
- A che pensi? - lei disse imbarazzata.
- Mandali su da me alla prima notte di luna. Sarà meglio che li accompagni io."


(Da: F. Biamonti, Vento largo)

martedì 8 luglio 2014

Vuoto critico






domenica 6 luglio 2014

Agenore Fabbri Disegni 1940-1970


venerdì 4 luglio 2014

Tutti insieme sul Beigua



Il sentiero è interamente percorribile in carrozzella.

La passeggiata è libera e aperta a tutti, presso la casa degli alpini ci sarà un piccolo ristoro e per chi vorrà e sarà possibile pranzare al rifugio di Prato Rotondo.tel. 010.9133578

Chi vuole aggregarsi a noi può inviare la propria adesione all’ email : savona@coni.it.

Hanno annunciato la loro partecipazione l’Equipe medica dell’ Unità Spinale del S.Corona, alcuni promotori di Genny Mobility Italia e amici di diverse associazioni.


giovedì 3 luglio 2014

Paesaggi di Calvino




Paesaggi di Calvino

Sabato 5 luglio 2014
Ore 17.45

Centro Polivalente "Le Rose"
San Biagio della Cima (IM)


martedì 1 luglio 2014

Pèire Bèc. Ricordo di un grande occitanista.

Ricordo di un grande occitanista.

Giorgio Amico

Pèire Bèc 


E' mancato Pèire (Pierre) Bèc, grande scrittore e linguista occitano. Aveva 92 anni. L' Occitània perde con lui uno studioso di straordinario valore e un militante appassionato.

Agli inizi degli anni '70 intraprese un lavoro scientifico per uniformare l'occitano su basi razionali e sistematiche.

Nato a Parigi nel 1921, di madre creola e di padre occitano, crebbe a Casèras (Comenge). Dal 1943 al 1945 fu prigioniero di guerra in un campo nazista. Dopo la guerra completò i suoi studi linguistici a Parigi specializzandosi in occitano antico e moderno.

Professore all’Università di Poitiers, fu direttore del Centro di Studi Superiori di Civiltà Medievale e presidente dell’Istituto di Studi Occitani (IEO). Negli ultimi anni aveva partecipato all'attività del Consiglio della Lingua Occitana (CLO) e dell’Istituto di Studi Aranesi-Accademia Occitana (IEA).

Tra le sue opere La langue occitane (colleccion Que sais-je?, 1963), Manuel pratique de philologie romane (1970-71), Manuel pratique d’occitan moderne (1973) oltre che racconti e il romanzo Sebastian (1980).




Difendere i piccoli migranti



Quando si capirà che il fenomeno dei migranti non è una emergenza temporanea, ma un fattore strutturale di una economia globalizzata che produce barbarie? In una parola, il lato oscuro (assieme alla guerra e al disastro ambientale) di un capitalismo senza più avversari. Riprendiamo un intervento (di qualche tempo fa ma purtroppo attualissimo) di Raffaele Salinari che dimostra come sia possibile intervenire concretamente già da ora iniziando dalla tutela dei bambini. 

Raffaele K. Salinari

Protezione internazionale per i piccoli rifugiati

Solo l’estrema disperazione può spingere dei genitori ad affidare a dei trafficanti di esseri umani senza scrupoli i propri figli, sapendo che lì da dove vengono per loro non c’è futuro ma che dove vanno forse non arriveranno mai.

Eppure spinti da una volontà di vita e di libertà, oramai sono migliaia i minori stranieri non accompagnati, MSNA, così si chiamano in gergo giuridico i bambini migranti senza un adulto che li accompagni, ad intraprendere un’avventura rischiosissima pur di far brillare ancora nei loro occhi la scintilla della speranza di un domani migliore, fatto di accoglienza e diritti.

Ieri, ma non è né la prima né certamente l’ultima volta, erano in maggioranza ragazzini gli immigrati somali sbarcati a Porto Empedocle. Su un totale di 97 persone 61 erano minori stranieri non accompagnati.

Ma, a farci capire, se fosse ancora possibile vedere con gli occhi ciò che ci sta sotto gli occhi, la portata epocale delle ingiustizie che vivono ogni giorno queste popolazioni, sull’imbarcazione c’erano anche 16 donne, comprese 5 incinte di cui una al nono ed una all’ottavo mese.

Di fronte a questa ordinaria normalità dovuta alla globalizzazione ineguale che stiamo vivendo, e molti subendo, la politica, specie quella italiana, in occasione delle imminenti elezioni europee, si deve interrogare sul suo ruolo e sulle possibili soluzioni che possono essere riassunte in alcuni punti ben precisi.

A livello europeo, in vista del semestre italiano: riconoscimento del fenomeno dei minori migranti quale assoluta priorità per tutta l’Unione Europea che deve essere affrontato sulla base del principio chiave di una loro effettiva ed efficace protezione, indipendentemente dal Paese di arrivo. Per farlo effettivamente bisogna modifica il cosiddetto «Sistema Dublino» che scarica sul primo Stato membro di arrivo tutto l’onere non solo dell’accoglienza ma della verifica dello status di rifugiato o richiedente asilo.

Questa necessaria revisione dovrebbe portare in primis ad aprire veri e propri corridoi umanitari per permettere ai minori in fuga un approdo sicuro; in seconda battuta armonizzare il sistema di accoglienza in Unione Europea così da mettere fine alla circolazione irregolare di minori a rischio di sfruttamento ed al respingimento di madri con bimbi alle frontiere.

A livello Italiano è necessario velocizzare la messa a punto di una Banca Dati per la mappatura delle disponibilità in tempo reale dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati su tutto il territorio nazionale, così da evitare blocchi e sovraesposizione al fenomeno di talune Regioni soltanto.



Per questo la Banca Dati deve essere sostenuta dalla garanzia, in tempi brevi per i Comuni ospitanti, dell’accesso sicuro alle coperture finanziarie di cui al Fondo Nazionale per l’Accoglienza dei Minori Stranieri così da sbloccare il sovraffollamento dei migranti in poche regioni, ormai al collasso. Per tutto questo serve un Piano Nazionale e procedure organiche a livello Paese per l’accoglienza dei minori migranti, che adottino parametri atti a garantire la tutela del «superiore interesse del fanciullo» come dice l’ONU, in tutte le fasi di accoglienza, assicurando in questo modo la concreta attuazione alla Risoluzione del Parlamento UE del 12 settembre 2013, in particolare per quanto attiene alle procedure di accoglienza dei MSNA e per le procedure di determinazione della minore età.

Ma, al di là delle leggi da sistematizzare o da far applicare, l’esperienza ci dice che è fondamentale riconoscere l’importanza strategica delle prime 48 ore di accoglienza garantendo al minore sin da subito una sistemazione in luogo salubre e protetto.

Questo implica una qualità dell’accoglienza sin dalle prime ore dallo sbarco, con una forte rassicurazione circa la loro posizione legale e sociale in Italia, che li aiuti a sentirsi accolti e ascoltati così da evitare il rischio di decisioni affrettate che portino ad autolesionismi o alla fuga.

Questo significa garantire a ciascun minore la pronta nomina di un Tutore che lo assicuri sull’effettiva pieno godimento dei diritti riconosciuti dalla normativa. Tutto questo si può e si deve fare, senza aspettare che altri morti misurino la già scarsa tenuta di quella amorfa cosa che chiamiamo valori occidentali.


Il Manifesto – 13 maggio 2014