Secondo Chiara Frugoni
gli affreschi della Basilica Superiore di Assisi celebrano una
revisione in senso moderato della figura di Francesco. Secondo questa
tesi, timorosa delle possibili ricadute sociali del pauperismo
francescano, la Chiesa ne mitigò il messaggio, cancellandone gli
aspetti più sovversivi. Gli affreschi di Giotto sarebbero la prima
grande manifestazione di questa opere di rimozione. Una tesi
convincente se solo si pensa alla ferocia con cui per secoli fu
perseguitata l'altra grande corrente pauperistica medievale,
quella di Pietro Valdo e dei “poveri di Lione”.
Marco Mascolo
Chiara Frugoni, ma
quello di Giotto non è Francesco
La Basilica di
San Francesco di Assisi, grandioso complesso cultuale che custodisce
alcune delle testimonianze più alte di tutta l’arte occidentale,
suscita da molto tempo attenzioni mirate da parte di studiosi di
vario tipo, dagli storici dell’arte agli storici tout court. Le
tracce del conflitto che, sin da quando san Francesco era ancora in
vita, cominciò a dilaniare il nuovo Ordine si possono ancora
ritrovare nella divisione fra le due chiese: la Superiore, destinata
a ospitare i Capitoli generali dell’Ordine e i fedeli, votata
quindi a un ruolo più ufficiale e più pubblico rispetto a quella
Inferiore, con la sua atmosfera raccolta e adatta alla preghiera dei
pellegrini. Il problema dell’appropriazione e
dell’ufficializzazione di un messaggio tanto dirompente come quello
del Poverello di Assisi avrebbe trovato una delle sue espressioni più
alte proprio nei metri di superfici affrescate della Basilica
Superiore. Molto più delle circolari papali, dei trattati vòlti a
interpretare la vicenda di Francesco o delle biografie del santo, le
immagini ebbero un ruolo straordinario nell’affermare e stabilire
una sola, univoca immagine del santo.
Ora, in questa sua
recente fatica, Chiara Frugoni affronta e dipana proprio questi
problemi. Sin dal titolo, Quale Francesco? Il messaggio nascosto
negli affreschi della Basilica superiore ad Assisi (Einaudi, pp. 612,
222 illustrazioni, euro 80,00), appare chiaro lo scopo del ponderoso
volume: quale fu il Francesco che si volle promuovere dalle pareti
della Basilica assisiate? Il pauperista, ascetico frate che predicava
la rinuncia ai beni terreni e tentava di reimpostare i rapporti tra
la Chiesa di Roma e i fedeli?
O un Francesco il cui messaggio era
mitigato e in certo senso ‘addolcito’ rispetto al rigorismo
iniziale, capace allora di essere assorbito all’interno di quella
stessa Chiesa? La studiosa si era già concentrata, nel suo Francesco
e l’invenzione delle stimmate (Einaudi, 1993), sulle vicende che
portarono la Chiesa ad appropriarsi del messaggio, invero carico di
elementi sovversivi tanto per l’autorità pontificia quanto per le
sue gerarchie, dei frati dell’Ordine francescano.

Un Ordine nuovo, la cui
obbedienza era dovuta solo al sommo Pontefice e che usciva, quindi,
dalla giurisdizione dei vescovi. Un dettaglio, questo, sul quale si
scatenò una vera e propria battaglia a suon di testi e, come è
facile aspettarsi, di immagini. Questo processo, lungo e accidentato,
vide una prima sostanziale vittoria da parte di Roma nell’affermare,
anno 1266, la Legenda Maior di san Bonaventura come l’unica
biografia ufficiale del santo, con la conseguente distruzione delle
altre biografie di Francesco, in primis quella di Tommaso da Celano.
Proprio sulla base di Bonaventura, infatti, si sarebbe elaborato il
programma iconografico delle storie del santo nella Basilica
superiore, adornando in affresco le pareti della navata nel registro
più basso, e quindi più vicino allo sguardo dei fedeli.
Ma Chiara Frugoni,
questa volta, non si limita alle storie di san Francesco, e sottopone
a un’analisi serrata e scrupolosa tutta la decorazione della
chiesa, a cominciare dalla zona dove ebbero inizio i lavori, nel
transetto destro, sino alle opere del giovanissimo Giotto. La
studiosa rintraccia i rimandi contenuti nell’impaginato degli
affreschi, indaga le ragioni delle rispondenze delle scene dipinte
fra le diverse pareti della navata. La narrazione biblica procede
dall’alto verso il basso: si inizia con la Creazione, si
attraversano le storie dell’Antico e del Nuovo Testamento, infine
si racconta la vicenda, trascorsa solamente cinquant’anni addietro,
di san Francesco. Una storia, però, a quel punto bonificata e
mitigata, perfettamente in linea con gli orientamenti e l’esegesi
proposti da San Bonaventura nella sua Legenda Maior.

La struttura del
libro della Frugoni, sostanzialmente bipartita, permette di
avvicinare le pitture assisiati con una strumentazione non usuale. E
moltissime sono le personalità che si avvicendano nelle pagine del
libro – da dotti teologi come Gerardo da Borgo San Donnino o
Guglielmo di Sant’Amore sino all’eretico Gioacchino da Fiore,
senza trascurare papi e cardinali –, ma certo tra questi un ruolo
specialissimo, opportunamente valorizzato, spetta a Girolamo
d’Ascoli, già Ministro Generale dell’Ordine negli anni settanta
del Duecento, poi divenuto papa come Niccolò IV, primo papa
francescano ad ascendere al soglio di Pietro nel 1288.
Dopo cinque capitoli, che
seguono l’evolvere delle profonde controversie scatenatesi dentro e
fuori l’Ordine francescano – e basti citare il bel capitolo, il
terzo del volume, sulle lotte per accaparrarsi le cattedre
all’Università di Parigi tra regolari, ossia quei frati che
seguivano una regola, come i francescani e i domenicani, e secolari,
che al contrario dei primi non afferivano a un ordine –, l’autrice
conduce il lettore dentro la Basilica, e con pazienza si dedica
all’analisi delle singole scene, dei loro significati, del loro
senso, alla luce proprio degli strumenti di cui ha dotato il lettore
nei capitoli precedenti.
La necessità di
‘ammansire’ il messaggio del Poverello comportò l’attuazione
da parte della Curia pontificia di una serie di contromisure che
disinnescassero la forza, davvero incendiaria, del suo insegnamento.
Il libro permette di calarsi all’interno di quei processi per cui
le opere d’arte vengono investite di un potente messaggio
ideologico e diventano foriere di valori ben precisi. Il corso del
tempo e il passare dei secoli hanno edulcorato, come sempre accade,
gli aspetti più scottanti di queste operazioni, ma le pagine della
Frugoni, con i loro zoom storico-iconografici, permettono di
recuperarle al vivo.
La studiosa avvalora
poi la datazione ‘alta’ delle pitture murali, facendo rientrare
l’impresa della decorazione della Basilica superiore negli ultimi
anni del Duecento. Quest’idea, è bene sottolinearlo, era stata per
primo sostenuta da Luciano Bellosi. Spetta a lui, infatti,
rifacendosi a uno studio di Hans Belting del 1977 (che sarebbe
davvero il caso di tradurre in italiano), l’aver ricondotto a
questa datazione tutta la decorazione della Basilica, comprese le
Storie di San Francesco, opera di Giotto. Bellosi aveva argomentato
la sua intuizione con dovizia di particolari nel 1985 (tra l’altro,
proprio quest’anno è stato ripubblicato il suo libro, La pecora di
Giotto) e nel 1998.

Ma proprio su un
problema di datazione, forse, ci sarebbe da discutere con le
posizioni della Frugoni, quando, un po’ troppo nettamente, afferma
che gli affreschi di Cimabue nella zona dell’abside e del transetto
sarebbero opera degli anni settanta del Duecento, e non, come invece
sostenuto da Bellosi, la cui posizione non è certo isolata, in anni
non distanti dal papato di Niccolò IV, che regnò come pontefice dal
1288 al 1292. Al di là di certi aspetti, però, sui quali sarà
necessario tornare con la dovuta ampiezza, la Frugoni riconosce – e
questo è un elemento-cardine – la forte unitarietà del programma
iconografico, la spinta a dotare la chiesa madre dell’Ordine di una
decorazione all’altezza del prestigio del luogo, in linea con le
intuizioni e le ricerche di Bellosi.
Al netto di una lettura
non facile ma di certo appassionante, il lettore accede a quel
passato così lontano e può cogliere una serie di nuances che
caratterizzavano il dibattito teologico di quegli anni attorno al
problema, ad esempio, delle stigmate e di come trattare quel miracolo
sbalorditivo concesso al solo san Francesco nella storia millenaria
della Chiesa. Ma il dibattito assumeva anche connotati strettamente
politici, in cui uno dei regnanti più potenti del mondo, il papa,
vedeva fortemente minacciata la sua autorità da parte di Francesco e
dei suoi seguaci.
Moltissime sono le
illustrazioni che accompagnano il testo e che permettono di seguire,
soprattutto per la seconda parte del volume, i ragionamenti di Chiara
Frugoni. Un libro che dovrebbe far riflettere, anche, su temi assai
attuali eppure così malamente trattati, come il potere che le
immagini rivestono nel loro uso ideologicamente orientato.
il manifesto Alias – 27
dicembre 2015