Il ritorno del gruppo occitano, molto vicino ai movimenti No Tav. Brani su storie di insubordinazione e inni antimilitaristi. Parla il leader della band, Sergio Berardo.
Paolo Ferrari
Paolo Ferrari
Lou
Dalfin, canzoni ai confini del mondo
La musica endemica è
il titolo del dodicesimo album del gruppo occitano di passaporto
italiano Lou Dalfin. Prodotto da Madaski degli Africa Unite e
lanciato dal singolo Los Taxis de Barcelona, con video diretto
dal cineasta torinese Davide Borsa, il disco contiene 14 inediti.
Leader della band da 34 anni e da oltre 1.300 concerti è Sergio
Berardo, che incontriamo a Caraglio, provincia di Cuneo, nel quartier
generale dei cantori folk rock del Delfinato.
Avete definito in
passato il vostro genere «ballo canzone»: vale anche per questo cd?
Sì, il nostro sforzo
consiste sempre nell’abbinare la scrittura d’autore alla
struttura coreutica della musica che in concerto detta i movimenti ai
ballerini. Rispetto ai precedenti forse c’è un po’ più di
canzone, come quando con L’Òste del Diau vincemmo la Targa Tenco
nel 2004.
Passiamo dunque ai
testi, partendo da «Glòria al Deseseten», una storia di
insubordinazione a ordini scellerati. È un inno antimilitarista?
L’importante non è che
quei soldati non abbiano sparato, ma che non lo abbiano fatto sulla
loro gente. Era il 1907, in Linguadoca era in corso una rivolta
contro l’immissione di vino alterato chimicamente o di importazione
algerina che metteva alla fame i coltivatori locali. La capeggiava un
socialista, Ernest Ferroul, che chiudeva i comizi gridando «W la
Nazione Occitana». Al momento della repressione, i ragazzi D’Oc
del 17° Fanteria rifiutarono di fare fuoco sulla gente e si unirono
alla protesta. Per farli rientrare in caserma vennero illusi con la
chimera di un condono. In realtà furono inviati prima in Nord Africa
e poi al fronte della Guerra Mondiale, dopo il 1918 su 400 ne erano
rimasti vivi sette.
Altro anno cruciale
nella storia delle tante repressioni perpetrate da Parigi contro gli
Occitani e altro brano, «Tèrra 1209»…
Fu l’anno in cui
l’Occidente ordì l’unica crociata contro sé stesso anziché
rivolta al Medio Oriente. Il Papa e il Re di Francia attaccarono e
distrussero gli Albigesi, tutti occitani e catalani, perché non
potevano tollerare la loro civiltà illuminata. La società Catara fu
un esperimento prerinascimentale formidabile: tolleranza, tradizione
poetica dei trovatori, diritto per le donne di prendere la parola in
pubblico. Gli Occitani si difesero come poterono da quell’invasione
in arrivo da paesi distanti ed estranei, l’Île-de-France e Roma.
Fu l’inizio della colonizzazione.
Ancora un testo,
questa volta una storia di banditi piemontesi ghigliottinati a
Marsiglia: che ruolo ha avuto il banditismo a cavallo tra Piemonte e
Francia?
Il pezzo è La
beata, che significa proprio la ghigliottina. La storia è vera, la
gang imperversava a metà Ottocento e fu ghigliottinata nel 1868.
Oggi si punta il dito contro nordafricani e zingari, considerati
bacini di arruolamento per la bassa manovalanza criminale, ma allora
quel ruolo nel Sud della Francia era spesso rivestito dai Piemontesi.
Spesso erano ex soldati incapaci di reinserirsi nella società dopo
le guerre. Erano dei poco di buono, ma rappresentavano a modo loro la
natura posticcia dei confini tra Italia e Francia. Le nostre vallate
sono un mondo unico, di qua e di là dallo spartiacque, per lingua,
cultura, storia e musica.
Come funziona tutto
questo immaginario al confronto con il pubblico extra occitano?
C’è un’attenzione
sempre maggiore per la vera Europa, quella composta dalle comunità
reali anziché dai grandi stati. Inoltre, in tanti anni di lavoro in
giro per l’Italia e per il continente abbiamo seminato conoscenza
anche in materia di ballo, non c’è concerto a Roma, in Toscana, a
Milano e al Sud in cui qualche coppia non si metta a ballare la giga,
la curenta, il rigodon. Gli altri provano a fare altrettanto, e chi
non ci riesce salta come ai concerti punk. Siamo una band
coinvolgente, è da sempre uno dei nostri punti di forza.
Nonché un gruppo
molto vicino al movimento No Tav…
Sì, è una simbiosi
naturale. Noi cantiamo la montagna violata dai grandi interessi,
svuotata dei propri abitanti, emarginata dalla politica. Quando
qualcuno, come il movimento contro il TAV, alza la voce, ci trova al
suo fianco.
Il manifesto – 20
aprile 2016