«I segreti del Quarto
Reich» di Guido Caldiron, edito da Newton Compton. Fuoco del libro
sono le Ratlines, i circuiti di salvataggio di nazisti e fascisti dal
1945 in poi.
Claudio Vercelli
La fitta trama
dell’impunità criminale
C’è molto di vecchio
nel «nuovo». Il neofascismo internazionale non è la pedestre e
pedissequa ripetizione dei regimi storici, a partire da quello
italiano, ai quali comunque dichiara apertamente di ispirarsi.
Tuttavia ne recupera molti dei motivi politici e degli aspetti
antropologici. Lo fa adattandosi, come una sorta di organismo che sa
affrontare il trascorrere del tempo senza per questo esserne messo in
discussione una volta per sempre. La forza che lo accompagna, la cui
origine data al momento stesso in cui la destra antidemocratica e
reazionaria si costituì in campo politico, ossia capace di attrarre
consensi al di là dei sui tradizionali interlocutori di ceto, è
l’essersi ibridato al meccanismo dell’esistenza a rete, ovvero il
costituire una sorta di network sovranazionale.
Di questo e di altri
elementi Guido Caldiron, vivace pubblicista che da sempre è abituato
a scandagliare il variegato universo del radicalismo di destra, ci
restituisce un ampio e documentato resoconto nel suo I segreti
del Quarto Reich(Newton Compton, Roma 2016, pp. 478, euro 12,90). Il
fuoco della sua ricerca è soprattutto il sistema delle Ratlines, il
circuito di salvataggio dei criminali nazisti e fascisti che dalla
primavera del 1945 in poi fu attivato, non prima che questi si
assicurassero l’effettiva operatività delle vie di fuga, qualora
l’esito della guerra di sterminio che avevano scatenato si fosse
rivelato a loro sfavorevole.
Dalla ricostruzione di
Caldiron emerge quindi un sistema integrato di compromissioni, solo
in parte riconducibili a soggetti legati direttamente ai regimi
dell’Asse e ai movimenti collaborazionisti. Piuttosto, ed è
l’elemento più inquietante, è come se una complessa e composita
intelaiatura, preesistente alla sconfitta bellica, avesse funzionato
pressoché da sempre per poi garantire a molti l’impunità. Non
malgrado o in deroga alla legge e al senso della giustizia ma grazie
anche alla capacità di piegare l’una e l’altro ad interessi
inconfessabili.
Processi rigenerativi
C’è un aspetto di coerenza e di costanza «tecnica» nei percorsi tortuosi del lungo dopoguerra del nazionalsocialismo: i soggetti, le modalità, il luoghi, gli strumenti, i tempi in con cui le «linee dei ratti» furono attivate. Ma sussiste anche un elemento di solidarietà politica, che è il vero nodo che il volume di Caldiron solleva a più riprese. Non si tratta di sperticate lodi, di pubbliche manifestazioni di plauso bensì di una sorda connivenza, a più livelli, basata su tatticismi, opportunismi, reciprocità dirette o indirette.
Più che fare una mera rassegna di quanti si compromisero direttamente nella copertura dei criminali in fuga, aspetto che nel libro è pur ben segnalato, quel che inquieta, dalla sua lettura, è il prendere coscienza della prosecuzione del nazifascismo in assenza dei regimi nei quali si era storicamente incardinato.
Il concetto di rete
(organizzativa, politica, solidale) è quindi non solo un fatto
materiale ma un atto politico che arriva, per più aspetti, fino ai
nostri giorni, intersecandosi con i processi rigenerativi del
neofascismo che l’autore ha già diffusamente trattato in altri
testi antecedenti a quest’ultimo. Non si tratta di ravvisare in ciò
una sorta di contro-storia da anteporre o, magari, contrapporre a
quella «ufficiale». Semmai si tratta di una sovrapposizione tra la
legalità e la legittimità delle scelte operate con il 1945 dai
paesi vincitori della Seconda guerra mondiale e il persistere di
ampissime zone grigie, spesso ibridate con la stessa politica delle
classi dirigenti nelle nazioni che furono parte della coalizione
antifascista. A conti fatti, di nascosto non c’è poi neanche
troppo. Si tratta semmai di processi di convergenza tra interessi e
attori diversi, alcuni di essi anche dichiaratamente «democratici»,
che trovano un elemento accomunante, a guerra mondiale oramai da
tempo conclusa, nell’azione di salvataggio, tutela e
valorizzazione, di una sorta di competenza politica che il nazismo
aveva sviluppato come una specie di brevetto originale. L’ottica
anticomunista è un tratto senz’altro dominante, quanto meno come
movente di fondo, ma da sé non basta a giustificare la somma di
azioni che furono attivate per garantire l’impunità dei tanti.
È come se in alcuni casi
si fosse esercitata una specie di disgiunzione tra l’opposizione
militare, i combattimenti in armi, l’una e gli altri esauritisi sui
campi di battaglia nel maggio del 1945 e, su un altro versante, un
giudizio politico che faticava invece a tradursi in una coerente
prosecuzione della lotta contro i fascismi. L’acquiescenza per i
regimi autoritari che proliferarono nel Mediterraneo si inscrive in
questa logica.
Miti per proseliti
Il vero cono d’ombra sta, in fondo qui: l’utilità politica dell’ombra del nazifascismo nella ricostruzione degli equilibri postbellici e nel loro mantenimento nel corso del tempo. Così come la costruzione di una mitologia di sé, anche nel momento della sconfitta, di cui la destra radicale da sempre è maestra, attraverso la quale risorge come un’araba fenice ed esercita la sua azione di proselitismo. È un tema, quest’ultimo, che Caldiron affronta a tratti.
All’afflato eroico il
fascismo risorto affianca l’autonarrazione vittimistica, dando
origine ad un doppio dispositivo di identificazione che riduce la
politica non solo ad esercizio di sopraffazione ma anche ad
esaltazione della morte, in avversione verso ogni forma di diversità
umana e culturale. Un tratto pericolosamente fascinoso, quest’ultimo,
che si è traslato nei fondamentalismi e che sta pericolosamente
infettando i populismi europei, essendone il vero orizzonte di senso.
Più che con un libro di storia, quindi, abbiamo a che fare con uno
strumento di indagine sulle fonti dell’odierno radicalismo
ideologico e mentale.
Il manifesto – 2 luglio
2016