La Rivista Storica del
Socialismo di Merli e Cortesi, ripensando criticamente la storia del movimento operaio
al di fuori delle vulgate riformiste e togliattiane, fu tra i semi
intellettuali del lungo '68 italiano. Rinasce oggi e la cosa non può
che essere salutata con favore. L'importante è che non si scada
nell'accademismo, in quel socialismo dei professori (per usare un
vecchio termine), sganciato dalla realtà e utile solo alle carriere accademiche di baroni e
baroncini.
Carlo Lania
La nuova Rivista
Storica del Socialismo
Il socialismo non può
essere relegato nei labirinti delle accademie o espulso dalla vita di
tutti i giorni. Le ricerche storiche devono muovere da una fervida
passione e riconoscere dignità culturale alla speranza egalitaria.
Nell’epoca del supercapitalismo, l’esercito della precarietà
continua a domandare giustizia sociale e concrete forme di libertà.
Segno che la stagione del socialismo, nella sua ampia accezione, non
può tramontare.
Luigi Cortesi e Stefano
Merli hanno diretto per quasi dieci anni la «Rivista storica del
socialismo», inaugurandola nel ‘58 con un numero monografico
dedicato a Filippo Turati e ospitando interventi di spessore sul
Risorgimento, sul secondo dopoguerra, sull’evoluzione storica e
ideologica dei partiti di massa, sulla politica sindacale e operaia.
Il nuovo direttore Paolo Bagnoli, dopo una lunga fase di sospensione,
ripropone ai lettori uno strumento di studio che spazierà, con
periodicità semestrale, dalla storia all’economia, dalla filosofia
alla politica, nell’intento di provare la «straordinaria
attualità» del socialismo. Il primo numero della nuova edizione non
ha deluso le attese. Andrea Becherucci e Giuliana Nuvoli si sono
occupati rispettivamente delle nobili figure di Aldo Capitini e Anna
Kuliscioff.
La vita di Capitini è
una reazione infaticabile alle esibizioni del «male». Il fascismo
lo imprigiona due volte e lui imbraccia l’arma della nonviolenza.
Inventa i Cos (Centri di orientamento sociale) per restituire il vero
significato alla democrazia: il potere di tutti. Denuncia l’indirizzo
moderato imposto dai governi democristiani e il suo rigore morale gli
impedisce di aderire ad un qualunque soggetto politico. Respinge
compromessi e opportunismi.
Nonostante le amichevoli
insistenze di Guido Calogero, rifiuta di appoggiare il Partito
d’Azione. Vicino alle istanze comuniste, il profeta umbro
rimprovera quel cattolicesimo istituzionale che ignora il messaggio
di povertà rinnovato dal giullare di Assisi. Lo storico Becherucci
ha rievocato il rapporto epistolare fra Capitini e il discepolo
fiorentino Enzo Enriques Agnoletti. Il redattore politico de «Il
Ponte», periodico di ispirazione azionista fondato da Piero
Calamandrei, lo invita più volte a tradurre in articoli la sua
vocazione liberalsocialista. E la collaborazione non tarda ad
arrivare.
Con pari enfasi andrebbe
rivisitata la biografia di Anna Kuliscioff. Rivoluzionaria, tra i
fondatori del Partito socialista italiano, si laurea in medicina
specializzandosi in ginecologia. Scopre l’origine batterica della
febbre puerperale salvando milioni di donne dall’ignoranza. Ma gli
ospedali blasonati non la vogliono. Anna non demorde e frequenta i
quartieri poveri di Milano per offrire assistenza ai bambini e alle
mogli degli operai. Con la sua «fede» socialista, ricorda Giuliana
Nuvoli, cura corpi fragili al servizio del padrone. Sono soprattutto
emarginati abbandonati a se stessi e dimenticati dal «buon costume».
Invoca il suffragio femminile, ma non vedrà l’esito. Muore nel
1925.
il Manifesto – 6 luglio
2016