Trovate tracce di Dna che aggiungono dettagli
all'identikit dell'uomo del Similaun. Uno studio di Scientific
Reports sull'uomo vissuto 5300 anni fa.
Gaia Scorza Barcellona
Pelliccia d'orso e cuoio così si vestiva Oetzi
Pelliccia d'orso come copricapo, cuoio ai piedi per
difendersi dal freddo e dall'acqua: ora sappiamo come si vestiva
Oetzi: senza lasciare nulla al caso. I dettagli sul suo "guardaroba"
arrivano delle tracce di Dna analizzato dai ricercatori guidati da
Niall O'Sullivan, dell'Accademia Europea di Bolzano (Eurac). Dati
preziosi che aggiungono un importante tassello all'identikit
dell'uomo del Similaun, vissuto 5300 anni fa e ritrovato mummificato
sulle Alpi nel 1991.
I risultati dello studio, diffusi da Scientific
Reports, dimostrano ad esempio che Oetzi non si occupava solo di
pastorizia ma era anche un esperto cacciatore. La conferma è
nell'uso sapiente dei pellami che l'uomo dell'età del rame era in
grado di scegliere e lavorare per coprirsi.
«La novità, rispetto ai precedenti studi sul suo
equipaggiamento — spiega Albert Zink, direttore dell'Istituto delle
mummie e dell'iceman di Bolzano — è che oggi sappiamo quali
animali Oetzi preferiva per confezionare i propri abiti». Pelli di
capra e pecora per il cappotto, ancora capra per i gambali, capriolo
per la faretra, mucca e vitello per il resto. Tutte trattate con una
procedura complessa che comprendeva raschiatura, affumicatura e
l'utilizzo del grasso, cui si è potuto risalire grazie ai residui
trattenuti dai pochi vestiti che il ghiaccio ha conservato.
Anche gli strumenti dicono molto su Oetzi, rinvenuto
con ascia, pugnale e ritoccatore (un utensile in corno di cervo con
cui lavorava la selce) — usati per cacciare e trattare le pelli che
cuciva una all'altra, in base alla grandezza. Per le chiusure, fibre
ottenute dai tendini di animali per le pelli, corde per le scarpe e
una cintura per assicurare un marsupio alla vita: trovate ingegnose,
anche se la sopraveste restava aperta.
Dettagli non secondari, che ci aiutano a capire come
spendeva, in parte, il suo tempo l'Homo sapiens.
«Poco prima di morire Oetzi aveva mangiato carne di
capriolo, quello stesso animale selvatico cacciato per vestirsi»,
spiega Zink. «Biologia molecolare, genetica, radiografie e Tac
servono ad analizzare fino all'ultimo particolare i reperti —
prosegue — solo così riusciremo a ricostruire con attendibilità
le sue abitudini, comprese dieta, patologie e intolleranze ». Quella
al lattosio, per esempio, di cui sembra soffrisse, oltre a carie,
gastrite e dolori articolari.
Eppure, a un'età stimata attorno ai 45 anni, Oetzi
è morto per una freccia che ha reciso un'arteria. Quel frammento
ancora conficcato nella schiena è servito a risolvere parte del
puzzle, come i 15 minuti di agonia. Ma la scomparsa resterà un
giallo anche per la scienza. Zink conferma: «Impossibile andare
oltre, non sapremo mai chi lo ha ucciso».
La Repubblica – 19 agosto 2016