lunedì 30 gennaio 2017
domenica 29 gennaio 2017
Filosofia e poesia. "Metafisiche insofferenti per donzelle insolenti" di Nicla Vassallo
Martedì 31 gennaio –
ore 18.00
Presso la Libreria
Feltrinelli di Genova
sarà presentato
Metafisiche
insofferenti per donzelle insolenti
(edizioni Mimesis)
ultima raccolta
poetica di Nica Vassallo
Sarà presente
l'Autrice
Metafisiche insofferenti
per donzelle insolenti
In conclusione della
raccolta di poesie “Metafisiche insofferenti per donzelle
insolenti”, Nicla Vassallo scrive: “D’improvviso, ieri, in
giardino, hai chiesto: come mi viene in mente una poesia? Non ho una
risposta. E non saprei insegnare a scrivere poesie, né a scrivere in
modo creativo. Dall’enigma rimango affascinata. So nuotare bene e,
se mi domandi come mi viene in mente di nuotare, non saprei che dire.
So sciare discretamente e scierei per mesi e so insegnare a sciare.
Forse passioni e desideri giocano ruoli basilari in tutto ciò.
Qualcosa si può tuttavia estirpare dal post scriptum: dei tanti
avvenimenti, dalla mia nascita alla conclusione della presente
raccolta, dei tanti avvenimenti, spesso non segnalo i più eclatanti,
banalmente perché si trasformano in spettacolari (l’11 settembre,
per esempio) – considero la spettacolarizzazione della realtà una
delle peggiori vergogne della nostra epoca; o in devastanti, quali un
Donald Trump alla Casa Bianca.
Jorge Louis Borges
giudica ogni poesia misteriosa. L’idea non mi aggrada. Perché dare
in pasto a lettrici e lettori versi incomprensibili? I misteri
rimandano a sette segrete e ai loro ciechi seguaci. La poesia,
invece, contiene chiare profondità e sensualità. Con le parole di
Federico Garcia Lorca, ‘la poesia non cerca seguaci, cerca amanti’.
Palese, non contiene ragionamenti validi o buone argomentazioni, e
perciò Platone rimprovera il filosofo che immette poesia nel suo
filosofare; ciò non vieta di inserire gocce di filosofia nella
poesia, come ho tentato qui di fare.
A tratti trovo tuttavia
comico che un filosofo, il cui pane quotidiano consiste nel ragionare
bene, si trasformi in un poeta. E allora non posso che consolarmi con
Wisława Szymborska e il suo ‘preferisco il ridicolo di scrivere
poesie al ridicolo di non scriverne’.
Poesie queste, che, come
quelle di “Orlando in ordine sparso”, non hanno un ordine
cronologico. Poesie che contengono più amore e più dolore, insieme
a una sorta di spietatezza, spietatezza che Grazia (magnifica editor,
superba amica, purtroppo scomparsa, e senza fine in me presente) mi
ha sempre raccomandato nei confronti di quelle donzelle che
s’imbevono di crudeltà, spietatezza, al fine che io non cada nei
luoghi comuni, nelle ipocrisie, nei paternalismi: non tutte le donne
posseggono virtù effettive, benché molte donne le posseggano,
mentre io, da non masochista, al porgere l’altra guancia a chi mi
sta annientando o usando, non concedo quanto la sadica si
attenderebbe.
Nelle poesie di questa
raccolta ho tentato di conseguire una semplicità ricercata, liberata
da alcune facili contorsioni, per me, per lettrici e lettori, ma non
cercate di prendermi in quanto poeta: vi scapperò tra le dita. Così
afferma Alda Merini dei poeti”.
Purché di professione
eserciti quella della filosofia pura (è professore ordinario di
filosofia Teoretica), per di più con una matrice anglosassone,
ovvero improntata sulla razionalità, e, purché Platone, da
filosofo, si esprima contro la poesia, è in via di uscita in
libreria (il prossimo 19 gennaio) la seconda raccolta di poesie di
Nicla Vassallo (www.niclavassallo.net), dal titolo ‘Metafisiche
insofferenti per donzelle insolenti’ (Mimesis Edizioni 2017). Una
raccolta amara, a volte caustica, sofferta e sofferente, a volte
gioiosa, sull’omosessualità femminile, omosessualità, ancor oggi,
ben più nascosta di quella maschile.
Si tratta di un coming
out dell’autrice? Oppure si tratta di una sorta di
“sdoganamento”, di un’immedesimazione per trasmettere, tramite
la poesia, che l’eterosessualità non rappresenta l’unico destino
delle donne, sebbene l’omosessualità non garantisca sempre loro
paradisi terrestri? Oppure si tratta di ammettere la necessità di
nascondersi di troppe donne, di qualunque orientamento sessuale, per
comunque balzare tra inconsapevolezze standardizzate e dolorose
ribellioni da pozzi della solitudine? Tuttavia, in ‘Metafisiche
insofferenti per donzelle insolenti’, Nicla Vassallo mette in gioco
se stessa, sotto il profilo della sessualità (non del sesso), forse
nel tentativo di confidarlo con intellettualità, a chi non ha osato
e a chi non osa. Rimane, a suo avviso, una questione di libertà. E,
per di più, nelle sue poesie si “gioca” con altri intellettuali,
pure cantautori, italiani e stranieri. Senza limiti.
La poesia non consiste in
argomentazione. Eppure osare o non osare è ormai (purtroppo)
questione “diversa”: deve esserci una questione di reale amore,
che, in troppi non accettano e sono ben lungi dal comprendere, nelle
loro fortificate rigidezze: basta un nonnulla, affinché non ti
vengano improvvisamente annullati mesi e mesi di amicizia. Il
cosiddetto “esame di coscienza” pare svanito nell’egocentrismo,
nel narcisismo di troppi.
A contare è anche che in
molti/e si domanderanno il valore poetico di questa raccolta, in cui
Nicla Vassallo sperimenta un linguaggio assai diverso rispetto alla
precedente opera poetica.
La questione Trotsky nel partito e nell'Internazionale. Il congresso di Lione
Lo scontro aperto nel
partito russo fra Stalin (e Bucharin) e Trotsky determinò il
precipitare della situazione anche nel partito italiano. Il Congresso
di Lione segnò la fine della prima fase della storia del Pcd'I e
l'inizio di un nuovo corso destinato a durare fino alla svolta di
Salerno. Iniziava l'era del monolitismo stalinista, da quel momento
non ci sarebbe stato nel partito e nell'internazionale più spazio
per i seguaci di Trotsky e Bordiga.
Giorgio Amico
La questione Trotsky nel partito e nell'Internazionale. Il congresso di Lione
L'esplodere alla luce del
sole della lotta di frazione nel partito russo segna un salto di
qualità nella crisi di direzione del partito italiano. Il problema
rappresentato da un Bordiga volontariamente ai margini ma con ancora
un largo seguito si va inevitabilmente ad intrecciare con quella che
ormai apertamente viene definita la "questione Trotsky".
Superato un iniziale momento di sconcerto, Gramsci andrà via via
allineandosi con il gruppo dirigente del Partito russo e
dell'Internazionale, dove le sue simpatie vanno spostandosi sempre
più da Zinov'ev a Bucharin. (52)
E' un Gramsci che non
riesce a cogliere la portata storica della battaglia ingaggiata da
Trotsky. Pur parlandone con rispetto, Trotsky ai suoi occhi resta
l'avversario della politica di apertura ai contadini, l'uomo della
guerra di movimento, il potenziale affossatore di quella NEP che gli
appare sempre più come l'unica via praticabile per il consolidamento
del potere sovietico. Questa incomprensione segna l'intero
atteggiamento di Gramsci e spiega sia l'assimilazione forzata che
egli compie di Bordiga a Trotsky sia i metodi amministrativi con cui,
come vedremo, verrà liquidato il dissenso interno. Egli è realmente
convinto che le critiche di Trotsky rappresentino una minaccia per la
stabilità del potere sovietico, di conseguenza anche il dissenso
bordighiano non può più essere tollerato. Nel suo intervento alla
conferenza di Como (53) Gramsci per la prima volta accomuna
apertamente Bordiga a Trotsky:
"Quanto è accaduto
recentemente in seno al PC russo - dichiara - deve avere per noi
valore di esperienza. L'atteggiamento di Trotsky in un primo periodo
può essere paragonato a quello attuale del compagno Bordiga.
Trotsky, pur partecipando "disciplinatamente" ai lavori del
Partito, aveva col suo atteggiamento di opposizione passiva - simile
a quello di Bordiga - creato un senso di malessere in tutto il
partito il quale non poteva non avere sentore di questa situazione.
Ne è risultata una crisi che è durata parecchi mesi e che oggi
soltanto può dirsi superata. Ciò dimostra che una opposizione -
anche se mantenuta nei limiti di una disciplina formale - da parte di
spiccate personalità del movimento operaio, può non solo impedire
lo sviluppo della situazione rivoluzionaria ma può mettere in
pericolo le stesse conquiste della Rivoluzione". (54)
Amadeo Bordiga
Amadeo Bordiga
Posto in questi termini
il confronto non può non assumere via via toni sempre più duri. Il
6 febbraio 1925 il C.C. approva, nonostante forti resistenze da parte
dei rappresentanti della federazione giovanile, una mozione di
condanna che nel colpire Trotsky mira in realtà ad assestare un duro
colpo alla sinistra.
"E' evidente - si
afferma nella mozione con trasparente riferimento a Bordiga - che
deve essere considerato come controrivoluzionario ogni atteggiamento
che tenda a diffondere nel Partito una generica sfiducia negli
organismi dirigenti della Internazionale e del Partito russo, sia
travisando a questo scopo la questione Trotzky, sia ritornando sopra
questioni definite dal V Congresso". (55)
Alla durissima presa di
posizione del CC segue il 18 febbraio un rapporto di Togliatti con il
quale si informa la Segreteria del Comintern che all'interno del PC
permane una forte corrente filo-trotskista animata dai bordighisti.
Al rapporto Togliatti allega un articolo dello stesso Bordiga su "La
questione Trotsky", in cui Bordiga difende vigorosamente il capo
dell'Armata Rossa, denunciando gli argomenti e i metodi denigratori
usati dalla maggioranza del partito russo. (56)
E' da Mosca che arriva
agli italiani l'ordine di mettere da parte ogni riguardo nei
confronti dell'opposizione di sinistra. Nel corso della Quinta
sessione dell'Esecutivo allargato dell'IC Stalin in persona chiede al
delegato italiano Scoccimarro di rompere gli indugi e di unirsi
apertamente al linciaggio di Trotsky. Mentre Gramsci
significativamente tace, il 3 aprile Scoccimarro prende la parola per
denunciare la "deviazione" trotskista divenuta sintesi di
"tutte le deviazioni antibolsceviche".
La lotta nel PCd'I contro
Bordiga e la sinistra è ormai inseparabile dalla più generale
campagna nel partito russo e nel Comintern per la liquidazione
definitiva di Trotsky e della sinistra internazionale. E', infatti,
impossibile spiegare il durissimo contrasto che nel '25-'26 lacera il
partito esclusivamente in base alle divergenze fra Bordiga e Gramsci
sulla organizzazione comunista (sezioni territoriali o cellule),
sulla politica sindacale (comitati operai invece che ricostruzione
dei sindacati) o sulla tattica aventiniana.
Ma non è solo Stalin a
pensare che la questione italiana sia solo uno dei terreni della più
generale battaglia per il pieno controllo del Comintern. Anche per
Bordiga il contrasto è di fondo e parte da una profonda sfiducia
nella direzione del Comintern, per cui in mancanza di una vera svolta
nella dirigenza o nella linea del partito mondiale, il PCd'I semplice
sezione nazionale, non potrà fare che una politica oscillante e
perdente. Su queste basi, nel contesto di un'Internazionale ridotta
sempre più a mera appendice dello Stato russo, quella di Bordiga è
una sconfitta annunciata.
Resta ancora oggi poco
chiaro quale conoscenza Bordiga avesse della battaglia in corso nel
partito russo e nel Comintern e quanto ciò contribuisse a
determinare un atteggiamento "aventiniano" che gli aliena
molte simpatie e offre argomenti preziosi ai suoi denigratori. Di
sicuro Bordiga nutre la ferma convinzione che a Mosca la partita non
sia chiusa e che la situazione dei rapporti di classe a livello
mondiale possa ancora evolversi positivamente fino a determinare un
radicale cambiamento di prospettiva per l'Internazionale. Ragion per
cui ai rivoluzionari basta porsi in posizione d'attesa, mantenendo
nel contempo le mani libere nei confronti di una politica destinata a
sicura sconfitta.
Uno dei principali
esponenti della sinistra, Bruno Fortichiari, ha accennato a contatti
con esponenti dell'Internazionale che Bordiga avrebbe avuto
immediatamente prima di Lione.
"Forse - scrive
Fortichiari - egli da Mosca ha riportato questa convinzione, che ci
fossero delle possibilità di azione, se non immediate almeno col
tempo. Ha avuto questa convinzione che contrastava con la nostra
convinzione, mia, di Damen e di Repossi, che non abbiamo mai avuto
questa speranza. Per noi la rottura c'era e c'era poco da fare, e
interessava secondo noi affermare pubblicamente la rottura cioè
quasi sfidare la direzione minoritaria del partito ad un
provvedimento". (57)
Al di là delle possibili
interpretazioni, resta il fatto che la sinistra e in particolare un
Bordiga prigioniero di una visione astrattamente oggettivistica
dell'azione politica, giocano male le carte ancora rilevanti di cui
dispongono, (58) il tutto aggravato dal mutamento in atto nel partito
che non è più per composizione lo stesso di Livorno e del
1921-1923.
Un partito passato dopo
gli sbandamenti dovuti alla vittoria della controrivoluzione
fascista, da 9 a 30 mila iscritti, in gran parte giovani proletari
senza "memoria politica" e quindi privi di timori
reverenziali nei confronti del "padre fondatore". Giovani,
affamati d'azione, speranzosi in una possibile rivincita, a cui
l'attendismo meccanicistico di Bordiga non può che risultare
incomprensibile. Una leva di militanti conquistati al Partito
dall'attivismo gramsciano, dalla sua visione, in questo compiutamente
leninista, della centralità della politica come continuo sforzo di
definizione di obiettivi transitori praticabili a livello delle più
larghe masse. Quanto ai quadri dirigenti, nazionali e locali, del
partito risulta determinante nello spiegare il quasi generale
abbandono delle suggestioni bordighiane lo sconcerto prima, l'aperta
irritazione poi nei confronti di un atteggiamento considerato quasi
una diserzione dalle responsabilità proprie di un dirigente
rivoluzionario.
Non va, tuttavia,
sottaciuto che la sconfitta di Bordiga è anche il frutto dell''uso
sistematico nel dibattito interno al partito di metodi amministrativi
e intimidatori nei confronti della minoranza a partire almeno dalla
campagna contro il cosiddetto "Comitato d'Intesa". (59)
E' questa una pagina
oscura nella storia politica di Antonio Gramsci che nella lotta
contro la sinistra tollera l'uso di "toni da caccia alle streghe
contro il 'frazionismo', una interpretazione poliziesca delle
differenziazioni politiche, una predisposizione ad accettare
espulsioni con eccessiva disinvoltura, un giudizio favorevole sui
voti unanimi alla direzione dell'Internazionale". (60)
Che in realtà,
contrariamente a quanto pare pensare Bordiga, a Mosca i giochi siano
fatti viene a confermarlo il Quinto Esecutivo allargato
dell'Internazionale Comunista (marzo-aprile 1925) che afferma senza
esitazioni la piena identità tra bordighismo e trotskismo. Il
linguaggio ormai è quello dell'invettiva, i dissidenti sono definiti
piccolo borghesi, opportunisti, destri mascherati. Agli italiani
viene richiesto esplicitamente di scegliere "tra il leninismo e
la tattica di Bordiga". (61)
Nel Comintern non c'è
più spazio per posizioni in qualche modo vicine alla opposizione
trotskista, Stalin intende chiudere definitivamente la partita con la
minoranza. Date queste premesse, non stupisce l'annotazione di
Giuseppe Berti per cui "obiettivamente (...) bisogna dire che se
la Conferenza di Como fu preparata troppo poco, anzi per nulla, e
diede, quindi, i risultati ben noti, il congresso di Lione (...) fu,
forse, preparato un pò troppo nel senso che preliminarmente la
Conferenza di dicembre separò il grano dal loglio e fece in modo che
a Lione l'estrema sinistra bordighiana venisse rappresentata in
maniera non adeguata alle forze che ancora essa contava nel Partito".
(62)
Sarebbe, tuttavia, un
errore considerare il Congresso di Lione come un'operazione
esclusivamente burocratica volta a sanzionare con il voto della base
la liquidazione politica di un Bordiga irrecuperabile alla politica
del Comintern. Certo, Gramsci sostiene con forza le posizioni della
maggioranza dell'Internazionale, ma non si prefigge la sistematica
distruzione di ogni dialettica interna al partito; (63) così come
totalmente irriducibili allo stalinismo sono le tesi di Lione, forse
il documento maggiormente rappresentativo di un Gramsci compiutamente
approdato ad una visione matura e leninista dell'azione
rivoluzionaria.
Da qui l'estrema
attenzione posta dalle tesi all'analisi della fase e
all'individuazione delle forze motrici della rivoluzione italiana,
non in astratto secondo schemi meramente ideologici, ma nel concreto
del quotidiano confronto di classe. Ne deriva, elemento del tutto
nuovo per il partito italiano, la centralità degli obiettivi
intermedi e transitori e l'adozione di uno stile di azione politica
che permetta all'avanguardia rivoluzionaria di dialettizzarsi con gli
strati profondi della classe. Temi che riprendono suggestioni antiche
già presenti nell'esperienza ordinovista, ma ora definitivamente
depurate, anche grazie al profondo sodalizio con Bordiga del
1921-1923, da ogni influenza spuria di origine bergsoniana o
soreliana. (64)
Nonostante i metodi usati
a Lione non si può, dunque, parlare di stalinizzazione del partito,
almeno per il breve periodo della direzione Gramsci. Per affermarsi
definitivamente nel PCI lo stalinismo dovrà passare attraverso la
spaccatura del gruppo dirigente gramsciano, l'espulsione di Tresso e
Leonetti e l'abbandono definitivo del progetto politico definito
dalle Tesi di Lione in favore di una supina acquiescenza alle svolte
della politica estera sovietica. (65) Non è un caso che la "svolta"
avvenga nel 1930 che è anche l'anno della definitiva espulsione di
Bordiga e in cui diventa avvertibile l'isolamento di Gramsci rispetto
al partito.
L'ulteriore precipitare
della situazione nel partito russo con il passaggio di Zinov'ev e
Kamenev all'opposizione insieme a Trotsky e i metodi sempre più
violenti con cui Stalin porta avanti la sua battaglia determina un
profondo ripensamento all'interno del PCI. Nell'autunno del 1926
Gramsci invia a nome dell'Ufficio Politico del partito italiano una
lettera alla dirigenza sovietica in cui si chiede di "evitare le
misure eccessive" contro l'opposizione e di considerare come in
un partito comunista "l'unità e la disciplina... non possono
essere meccaniche e coatte". Pur schierandosi a fianco della
maggioranza, anche se con evidenti esitazioni, Gramsci da voce alle
preoccupazioni dei comunisti italiani per "l'acutezza della
crisi... e le minacce di scissione aperta o latente che essa
contiene". (66)
La lettera evidenzia una
concezione dei rapporti tra i partiti comunisti dell'internazionale e
i dirigenti russi che non ha nulla in comune con quanto si attendono
i dirigenti russi dai partiti "fratelli". Per Gramsci sono
gli interessi del proletariato internazionale che devono determinare
la politica russa la quale va subordinata a quegli interessi. Pur
esprimendosi, anche se cautamente e con riserve, a favore della linea
Stalin-Bucharin, nella lettera si denuncia con coraggio come la
politica intransigente della maggioranza verso l'opposizione di
sinistra comporti il rischio di una possibile degenerazione.
"Voi oggi state
distruggendo l'opera vostra, voi degradate (...) la funzione
dirigente che il Partito comunista dell'URSS aveva conquistato per
l'impulso di Lenin", giunge a scrivere Gramsci che auspica una
ricomposizione unitaria del partito nella più autentica tradizione
bolscevica. La lettera suscita una profonda irritazione in Stalin e
il timore che il PCI passi all'opposizione trotskista. (67)
Con una lettera dai toni
sprezzanti Togliatti intima a Gramsci di "tenere i nervi a
posto" e di non intromettersi nei fatti dei russi.
"Vi è senza dubbio
- scrive - un rigore nella vita interna del PC dell'Unione. Ma vi
deve essere. se i partiti occidentali volessero intervenire presso il
gruppo dirigente per far scomparire questo rigore, essi
commetterebbero un errore assai grave. Realmente in questo caso
potrebbe essere compromessa la dittatura del proletariato".
Esprimere dubbi o
perplessità riguardo agli atteggiamenti della maggioranza vuol dire
porsi dalla parte dell'opposizione. La politica di Stalin va
appoggiata in blocco senza sottilizzare troppo sui metodi usati per
imporla:
"Quando si è
d'accordo con la linea del CC, il miglior modo di contribuire a
superare la crisi è di esprimere la propria adesione a questa linea
senza porre nessuna limitazione". (68)
E' la rottura definitiva,
politica e personale, fra i due che non si scriveranno più, mentre
nei confronti di Bordiga, nonostante la durezza della battaglia del
1925-1926, Gramsci manterrà, ricambiato, fino alla fine della sua
vita sentimenti fraterni e di grande rispetto politico. (69)
Note
(52) In una lettera alla
moglie da Vienna Gramsci ammette di non conoscere "ancora i
termini esatti della discussione che si è svolta nel partito"
russo. Si dichiara però sconcertato dell'attacco di Stalin a Trotsky
che considera "assai irresponsabile e pericoloso" (Cfr. A.
Gramsci, Vita attraverso le lettere, cit., p. 51). Quanto alla sua
progressiva evoluzione filo-buchariniana utili indicazioni si
ritrovano in L. Paggi, Le strategie del potere in Gramsci, Roma 1984.
(53) La Conferenza
clandestina di Como si svolge nella primavera del '24. Gramsci,
appena tornato in Italia grazie all'acquisita immunità parlamentare
scopre di essere in maggioranza nel Comitato Centrale ma in minoranza
nel partito.
(54) Cfr. il resoconto
dell'intervento di Gramsci apparso su Lo Stato operaio del 29 maggio
1924, ora in A. Gramsci, La costruzione del Partito comunista, cit.,
pp. 459-462.
(55) Mozione del CC sulla
bolscevizzazione dei partiti comunisti, pubblicata su Lo Stato
Operaio del 19 febbraio 1925, ora in La liquidazione della sinistra
del PCd'It. (1925), cit., p. 49.
(56) A. Bordiga, La
questione Trotzky, L'Unità del 4 luglio 1925, ora in La
liquidazione..., cit., pp. 50-58.
(57) B. Fortichiari,
Comunismo e revisionismo in Italia, cit., p 154.
(58) “Non si lascia -
commenta Damen - una base organizzativa come quella della sinistra e
soprattutto quadri saldamente formati in balia degli eventi senza una
direzione, senza una responsabilità organizzativa. Il compagno
Bordiga, defenestrato d'autorità dal centro del partito, si era
praticamente autodefenestrato dalla vita politica attiva e non
assumeva nessuna responsabilità ufficiale, neppure nell'ambito della
sua stessa corrente". ( O. Damen, Gramsci tra marxismo e
idealismo, cit., p. 103)
(59) Una efficace
ricostruzione dell'esperienza del Comitato d'Intesa e dei metodi
utilizzati contro di esso dal gruppo dirigente gramsciano si può
trovare in La sinistra comunista e il Comitato d'Intesa, Quaderni
Internazionalisti, Torino 1996.
(60) L. Maitan, Il
marxismo rivoluzionario di Antonio Gramsci, Milano 1987, p. 20.
(61) P. Spriano, Storia
del Partito comunista italiano, vol. 1, cit., pp. 444-447.
(62) G. Berti, I primi
dieci anni di vita del PCI, cit., p. 188.
(63) A Lione la sinistra
ottiene il 9.2 dei voti, contro il 90.8 della centrale, ciononostante
Gramsci insistette perché la sinistra fosse rappresentata nel CC con
due rappresentanti, così come si adopererà perché Bordiga possa
partecipare in rappresentanza della minoranza al Sesto Plenum
dell'Internazionale. Sul Sesto Plenum e sul violento scontro tra
Bordiga e Stalin che vi si svolge cfr. P. Spriano, Storia del Partito
comunista italiano, vol. II, Torino 1976, pp. 3-17.
(64) Sul Congresso di
Lione esiste una vasta letteratura. Particolarmente interessanti gli
atti del seminario svoltosi a Cortona nel novembre 1987, ora raccolti
in AA.VV., Le Tesi di Lione. Riflessioni su Gramsci e la storia
d'Italia, Milano 1990. Per quanto riguarda Bordiga Cfr. Progetto di
tesi per il III Congresso del partito comunista presentato dalla
sinistra, ora in In difesa della continuità del programma comunista,
Milano 1970, pp. 91-123.
(65) Definitive ci paiono
a questo proposito le conclusioni a cui perviene Ferdinando Ormea in
Le origini dello stalinismo nel PCI, Milano 1978. Cfr. anche gli
scritti di Leonetti, Tresso e Ravazzoli raccolti in Crisi economica e
stalinismo in Occidente, a cura di F. Ormea, Roma 1976.
(66) A. Gramsci, La
costruzione del Partito comunista, cit., pp. 124-131
(67) Cfr. la lettera di
Jules Humbert-Droz a Giuseppe Berti in data 6 maggio 1964, pubblicata
in Berti, I primi dieci anni di vita del PCI, cit., p. 259 n.
(68) Cfr. la lettera di
Togliatti a Gramsci del 18 ottobre 1926, ibidem, p. 133.
(69) Cfr. le lettere ai
familiari da Ustica in cui Gramsci testimonia della grande amicizia
che lo lega a Bordiga che nell'isola lo ha iniziato ai segreti della
cucina e dello scopone scientifico (A. Gramsci, Vita attraverso le
lettere, cit., p. 153). Altrettanto significative sono le molte
lettere di Bordiga a Gramsci nel 1927, così come il tentativo di
farlo fuggire da Ustica (Cfr. C. Ravera, Diario di trent'anni
1913-1943, Roma 1973, p. 283) o i contatti intercorsi tra i due fra
il 1934 e il 1935 a Formia, proprio poco prima che Gramsci morisse.
(Cfr. la testimonianza di Leonetti in Peregalli-Saggioro, Amadeo
Bordiga. Gli anni oscuri (1926-1945), Firenze 1997, pp. 34-35.
Ancora nel 1970, a pochi
mesi dalla morte, Bordiga dichiara a Giuseppe Fiori: "Ci
stimavamo vicendevolmente. La diversità di formazione culturale, le
contese ideologiche, non ebbero mai la conseguenza d'incrinare i
nostri buoni rapporti". (Fiori, Bordiga, un combattente
coraggioso e dogmatico, in Stampa Sera, 27 luglio 1970, citata in
Livorsi, Amadeo Bordiga, cit., p. 301).
5. Fine
sabato 28 gennaio 2017
Bordiga, Gramsci, l'Internazionale e la "questione italiana"
Già dal 1922
l'emergere di un crescente contrasto fra il partito italiano e la
direzione russa dell'Internazionale comunista porta ad una dura
battaglia interna e all'ascesa del gruppo de l'Ordine Nuovo alla
guida del Pcd'I.
Giorgio Amico
Bordiga, Gramsci, l'Internazionale e la "questione italiana"
Le vicende del Partito
comunista italiano e del suo gruppo dirigente non possono essere
analizzate in modo avulso dal contesto internazionale. Il PCd'I nasce
a Livorno come sezione italiana dell'Internazionale Comunista, vero e
proprio partito mondiale della rivoluzione, ragion per cui è solo
nel quadro dell'evoluzione del Comintern e della sua sezione guida,
il Partito comunista russo, che si possono comprendere le convulsioni
che scuotono il partito italiano e che porteranno nel giro di pochi
anni al tramonto della leadership bordighiana e alla formazione di un
nuovo gruppo dirigente attorno alla figura di Gramsci. E' un percorso
quello dei rapporti fra il PCd'I e l'Internazionale assolutamente non
lineare, segnato fin dalle origini da incomprensioni e sospetti
derivanti dalla vecchia polemica sull'astensionismo tra Bordiga e
Lenin, aggravati dalla scarsa manovrabilità del gruppo dirigente
italiano che pure non perde occasione per dichiararsi interprete
fedele del bolscevismo. (38)
Nell'estate del 1921, a
pochi mesi dalla scissione di Livorno, l'Internazionale Comunista
tiene il suo Terzo Congresso in cui di fronte al riflusso dell'ondata
rivoluzionaria si inizia a riconsiderare la questione dei tempi della
rivoluzione in Occidente. La risposta verrà trovata nella tattica
del fronte unito, vigorosamente caldeggiata da Trotsky. (39) Lo
sconcerto è enorme. Terracini ricorda come i delegati italiani
fossero colti di sorpresa dalla relazione introduttiva di Radek.
"Ci sembrò una
richiesta assurda, stupefacente. Riunii la delegazione, che
presiedevo come membro dell'Esecutivo del Partito, e fummo tutti
d'accordo nell'opporre il nostro rifiuto". (40)
Il fatto è che la svolta
è vissuta come una sconfessione implicita della scissione di
Livorno, come una manifestazione di pentimento che pare giovare solo
ai serratiani o a chi, come Tasca, dentro al partito non ha mai
accettato la scissione come un fatto definitivo. La risposta di
Bordiga e, bisogna dirlo, di larghissima parte del nucleo dirigente
italiano, consisterà nelle Tesi di Roma, documento base del Secondo
Congresso del PCd'I (Roma marzo 1922). E' la nascita di una
"questione italiana" che si protrarrà per l'intero arco
degli anni '20 per chiudersi solo nel 1930 con l'espulsione dei "Tre"
e la definitiva stalinizzazione del partito.(41)
Alla redazione delle Tesi
di Roma partecipa, nonostante l'affiorare di qualche dissenso,
l'intero gruppo dirigente. E' Gramsci a darci il quadro chiaro della
situazione:
"A Roma abbiamo
accettato le tesi di Amadeo perchè esse erano presentate come
un'opinione per il Quarto Congresso e non come un indirizzo d'azione.
Ritenevamo di mantenere così unito il partito attorno al suo nucleo
fondamentale, pensavamo che si potesse fare ad Amadeo questa
concessione, dato l'ufficio grandissimo che egli aveva avuto
nell'organizzazione del partito: non ci pentiamo di ciò,
politicamente sarebbe stato impossibile dirigere il partito senza
l'attiva partecipazione al lavoro centrale di Amadeo e del suo
gruppo. (...) Allora ci ritiravamo e si doveva fare in modo che la
ritirata avvenisse ordinatamente, senza nuove crisi e nuove minacce
di scissione nel seno del nostro movimento, senza aggiungere mai
nuovi fermenti disgregatori a quelli che la disfatta determinava di
per sè nel movimento rivoluzionario". (42)
Il contrasto degli
"italiani" con il Comintern esplode nel novembre 1922 in
occasione del Quarto Congresso, quando nell'ambito della politica di
fronte unito accettata per disciplina da Bordiga ma mai messa in
pratica, Mosca impone al PC l'apertura di una trattativa con Serrati
in vista di una rapida fusione dei due partiti. Con l'eccezione di
Tasca, il partito è ancora una volta compattamente schierato con il
suo capo.
"L'opposizione di
Bordiga alla politica dell'Internazionale - ricorda Terracini - era
sostenuta dalla convinzione, pressochè unanime nel nostro partito,
che da Mosca si analizzassero le cose in modo distorto. In sintesi,
anche noi di 'Ordine nuovo' stentavamo a credere che fosse possibile
ricomporre l'unità della sinistra italiana con un'operazione di
vertice, trascurando le differenze profonde, non solo tattiche, ma
anche strategiche, che c'erano tra noi e i socialisti". (43)
A fatica, dopo estenuanti
contatti individuali, Lenin e Trotsky riescono a strappare l'assenso
dei delegati italiani. Bordiga, per la prima volta messo in
minoranza, minaccia le dimissioni e chiede un congresso straordinario
del partito con un linguaggio pesante ai limiti del ricatto che
allarma i russi ormai convinti della necessità di un cambiamento
nella direzione del PCd'I. Durante le sedute del Congresso Gramsci
viene avvicinato da Rakosi che gli propone "di diventare il capo
del partito eliminando Amadeo, che sarebbe stato addirittura escluso
dal Comintern se continuava nella sua linea".
Anche in questa occasione
Gramsci rifiuta, ma questa volta più per la paura di non essere
all'altezza che per fedeltà a Bordiga. Il fatto è che
l'atteggiamento tenuto da Bordiga a Mosca ha rinfocolato le
perplessità che Gramsci già nutriva ai tempi del Congresso di Roma
sull'efficacia politica dell'intransigenza bordighiana. In
particolare lo turba l'idea di una possibile scontro frontale con il
Comintern, così come lo allarma il tentativo della destra e di Tasca
in particolare di accreditarsi agli occhi dei russi come possibile
carta di ricambio da utilizzarsi in caso di rottura definitiva con
Bordiga.
Amadeo Bordiga
Amadeo Bordiga
"Io dissi - afferma
Gramsci - che avrei fatto il possibile per aiutare l'Esecutivo
dell'Internazionale a risolvere la questione italiana, ma non credevo
che si potesse in nessun modo (tanto meno con la mia persona)
sostituire Amadeo senza un preventivo lavoro di orientamento del
Partito. Per sostituire Amadeo nella situazione italiana bisognava,
inoltre, avere più di un elemento perchè Amadeo, effettivamente,
come capacità generale di lavoro, vale almeno tre". (44)
L'occasione per mettere
in pratica il cambiamento auspicato la fornisce la polizia fascista
che arresta Bordiga al suo rientro in Italia. Questa volta Gramsci
non può più "anguilleggiare" ed è costretto a prendere
una posizione chiara in un momento che vede il partito in grave
difficoltà.
"Essendo stato
arrestato l'esecutivo nelle persone di Amadeo e di Ruggero - scrive
Gramsci - si attese invano per circa un mese e mezzo di avere delle
informazioni che stabilissero con esattezza come i fatti si erano
svolti (...) Invece dopo una prima lettera scritta immediatamente
dopo gli arresti e nella quale si diceva che tutto era stato
distrutto e che la centrale del partito doveva essere ricostruita ab
imis, non si ricevette più nessuna informazione concreta, ma solo
delle lettere polemiche sulla questione della fusione (...) La
questione fu posta brutalmente di ciò che valesse il centro del
partito italiano. Le lettere ricevute furono criticate aspramente e
si domandò a me che cosa intendessi suggerire....Anch'io ero rimasto
sotto l'impressione disastrosa delle lettere... E perciò arrivai
fino a dire che se si riteneva che veramente la situazione fosse tale
come obbiettivamente appariva dal materiale a disposizione, sarebbe
stato meglio farla finita una buona volta e riorganizzare il partito
dall'estero con elementi nuovi scelti d'autorità
dall'Internazionale". (45)
Bordiga, in carcere,
viene escluso dal nuovo Esecutivo, ma questo atto d'imperio non è
sufficiente a mutare la linea del PCd'I che almeno per tutto il 1923
resta sostanzialmente bordighiano, anche per le esitazioni di Gramsci
ancora fiducioso nella possibilità di recuperare Bordiga alla
politica dell'Internazionale. Pesa, inoltre, il timore che una aperta
rottura del gruppo dirigente uscito dal Congresso di Livorno non
possa che agevolare il tentativo della destra di Tasca di candidarsi
alla direzione del partito. E' una situazione di stallo che inizia a
chiarirsi alla fine del 1923, quando Bordiga fa uscire dal carcere un
manifesto in cui senza mezze parole afferma che la crisi di direzione
del partito non ha origine da dissensi interni, ma dalle divergenze
tra il partito italiano e l'Internazionale Comunista. Divergenze
causate dall'abbandono non solo delle linee tattiche, ma anche del
programma e delle norme organizzative su cui l'Internazionale era
nata.
Le conclusioni di Bordiga
sono drastiche, in piena coerenza con le caratteristiche del
personaggio: la sinistra italiana non può gestire una politica che
non solo non condivide, ma che considera potenzialmente pericolosa.
Disciplinatamente si accettano le decisioni di Mosca, ma si declina
ogni responsabilità diretta nella guida del partito. (46)
Incalzato da Bordiga, il
partito sbanda. Terracini, Scoccimarro e lo stesso Togliatti paiono,
pur con mille esitazioni, disposti a firmare il manifesto. Solo
Gramsci si dichiara nettamente contrario all'iniziativa, ben sapendo
per i colloqui avuti durante il soggiorno a Mosca che questa strada
non può che portare fuori dall'Internazionale. Un'ipotesi che lo
spaventa e lo spinge decisamente dalla parte dei russi.
Umberto Terracini
Umberto Terracini
"In verità - scrive
a Scoccimarro - dopo la pubblicazione del manifesto la maggioranza
potrebbe essere squalificata del tutto e anche esclusa dal Comintern.
Se la situazione politica dell'Italia non si opponesse a ciò io
ritengo che l'esclusione avverrebbe. Alla stregua della concezione di
partito che deriva dal manifesto l'esclusione dovrebbe essere
tassativa. Se una nostra federazione facesse solo la metà di ciò
che la maggioranza del partito vuol fare verso il Comintern, il suo
scioglimento sarebbe immediato. non voglio, firmando il manifesto,
apparire un completo pagliaccio (...) Non si può assolutamente fare
dei compromessi con Amadeo. Egli è una personalità troppo vigorosa
ed ha una così profonda persuasione di essere nel vero, che pensare
di irretirlo con un compromesso è assurdo. Egli continuerà a
lottare e ad ogni occasione presenterà sempre intatte le sue tesi".
(47)
Sono concetti che
ritornano spesso nella corrispondenza che Gramsci ha in questo
periodo con i compagni del vecchio gruppo dell'Ordine Nuovo, quasi
che egli debba convincere prima di tutto se stesso della necessità
di rompere definitivamente quel sodalizio forse più umano che
politico stretto nell'ormai lontano 1920 con Bordiga.
"Anch'io penso che
il partito non possa fare a meno della sua collaborazione ma che fare
? - ribadisce a marzo - Il suo stesso carattere inflessibile e tenace
fino all'assurdo ci obbliga invece proprio a prospettarci il problema
di costruire il partito e il centro di esso anche senza di lui e
contro di lui. Penso che sulle quistioni di principio non dobbiamo
più fare compromessi come nel passato: vale meglio la polemica
chiara, leale, fino in fondo, che giova al partito e lo prepara ad
ogni evenienza. Naturalmente la quistione non è chiusa: questo è il
mio avviso, per ora". (48)
La necessità di rompere
in maniera netta con Bordiga costringe Gramsci a operare un
ripensamento complessivo della politica fino a quel momento seguita
dal partito e porsi il problema della formazione di un nuovo gruppo
dirigente. All'inizio del '24 Gramsci ritiene ormai disgregato il
vecchio gruppo dell'Ordine nuovo e improponibile una semplice
riedizione del suo programma. Questi concetti sono affermati con
grande chiarezza in una lettera a Francesco Leonetti, l'unico
schieratosi fin dall'inizio decisamente al suo fianco. Scrive
Gramsci:
"Non condivido il
tuo punto di vista che si debba rivalorizzare il nostro gruppo di
Torino formatosi intorno all' 'Ordine nuovo' (...) D'altronde esiste
ancora il nostro gruppo ? (...) Tasca appartiene alla minoranza
avendo condotto fino alle estreme conseguenze la posizione assunta
fin dal gennaio 1920 e culminata nella polemica fra me e lui.
Togliatti non sa decidersi com'era un pò sempre nelle sue
abitudini; la personalità 'vigorosa' di Amadeo lo ha fortemente
colpito e lo trattiene a mezza via in una indecisione che cerca
giustificazioni in cavilli puramente giuridici. Umberto credo sia
fondamentalmente anche più estremista di Amadeo, perché ne ha
assorbito la concezione, ma non ne possiede la forza intellettuale,
il senso pratico e la capacità organizzativa. In che dunque potrebbe
rivivere il nostro gruppo? Sembrerebbe nient'altro che una cricca
raccoltasi intorno alla mia persona per ragioni burocratiche. Le
stesse idee fondamentali che hanno caratterizzato l'attività
dell'"Ordine nuovo" sono oggi o sarebbero anacronistiche
(...) Oggi le prospettive sono diverse e bisogna accuratamente
evitare di insistere troppo sul fatto della tradizione torinese e del
gruppo torinese. Si finirebbe in polemiche di carattere
personalistico per contendersi il maggiorasco di un'eredità di
ricordi e di parole".(49)
Il Partito deve trovare
le sue ragioni d'essere non nel passato per quanto glorioso questo
sia stato, ma nell'applicazione senza riserve della linea politica
dell'Internazionale. Un Gramsci, dunque, convinto stalinista, come
scrive Ragionieri, per il quale la politica del socialismo in un
paese solo era perfetta per una fase appunto di 'guerra di
posizione'? Oppure, come sostenuto dai tardi epigoni del bordighismo,
un Gramsci opportunista che salta sul carro dei vincitori e si fa
carico senza soverchi scrupoli della stalinizzazione del PC? (50) La
realtà è ben diversa.
Educato proprio da
Bordiga a fare della disciplina e della fedeltà al Comintern il
cardine della propria azione politica, diventato alla scuola di
Livorno un vero bolscevico, Gramsci non se la sente ora di rimettere
tutto in gioco per porsi dal punto di vista di una "minoranza
internazionale" dalle prospettive incerte. Bordiga, granitico
nelle sue certezze, può anche correre il rischio di restare solo,
convinto com'è che sul lungo periodo i fatti non potranno che dargli
ragione. Gramsci, che considera il concreto agire politico (la
prassi) come inveramento del marxismo, non può accettare di
autoescludersi dall'azione politica, di restare tagliato fuori
dall'avanguardia di classe, dalla classe operaia nel suo vivere e
agire quotidiano. E' una decisione lacerante che Gramsci vivrà
imponendosi, lui apparentemente sempre così fragile e indeciso, una
linea di condotta ispirata al più rigido senso del partito e della
necessità storica. (51)
Palmiro Togliatti
Palmiro Togliatti
Note
(38) Nel 1924 Gramsci
rivela che già nei primi mesi del 1921 uno dei rappresentanti del
Comintern presso il partito italiano aveva fatto pressioni su di lui
perchè prendesse il posto di Bordiga in quanto "la tendenza di
Amadeo aveva preso il sopravvento, ciò che era contro lo spirito
delle decisioni del Comintern che voleva dare al gruppo di Torino la
prevalenza nel PCI". (Cfr. P. Togliatti, La formazione del
gruppo dirigente..., cit., p. 228). Quanto a Bordiga, egli
rivendicherà sempre il merito alla sinistra italiana di essere
stata, anche contro lo stesso Lenin, la più coerente interprete del
leninismo (Cfr. a questo proposito i due scritti del 1924 e del 1960
raccolti in La sinistra comunista in Italia sulla linea marxista di
Lenin, Milano 1964).
(39) I principali
interventi di Trotsky al Terzo Congresso dell'Internazionale
Comunista sono disponibili in italiano in L. Trotsky, Problemi della
rivoluzione in Europa, a cura di L. Maitan, Milano 1979, pp.122- 219.
(40) U. Terracini, Quando
diventammo comunisti, cit., p. 55.
(41) Cfr. per una
sintetica ricostruzione dell'intero percorso G. De Regis, La "svolta"
del Comintern e il comunismo italiano, Roma 1978.
(42) Cfr. la Lettera di
Gramsci a Togliatti, Scoccimarro e altri del 5 aprile 1924; ora in
Togliatti, La formazione del gruppo dirigente..., cit., pp. 272-273.
(43) U. Terracini, Quando
diventammo comunisti, cit., p. 71.
(44) Cfr. le lettere di
Gramsci a Scoccimarro e Togliatti del 1 marzo 1924 e a Togliatti del
27 marzo 1924, ora in Togliatti, La formazione del gruppo
dirigente..., cit., rispettivamente pp 218-230 e 252-258. Gramsci
motiva la sua scelta di prendere tempo soprattutto per la
"preoccupazione di ciò che avrebbe fatto Amadeo se io fossi
diventato oppositore: egli si sarebbe ritirato, avrebbe determinato
una crisi, egli non si sarebbe mai adattato a venire a un
compromesso....Se io avessi fatto l'opposizione l'Internazionale mi
avrebbe appoggiato, ma con quali risultati, allora, quando il partito
si organizzava a stento, nella guerra civile" (Ibidem, pp.
254-255).
(45) Cfr. la lettera di
Gramsci a Togliatti del 27 gennaio 1924, ora in Togliatti, La
formazione del gruppo dirigente..., cit., pp 174-175.
(46) Il "Manifesto"
di Bordiga, pubblicato per la prima volta da Stefano Merli nel 1964
sulla Rivista storica del socialismo, è oggi riprodotto
integralmente in Il partito decapitato, Milano 1988, pp. 54- 60.
(47) Cfr. la lettera a
Scoccimarro del 5 gennaio 1924, ora in Togliatti, La formazione del
gruppo dirigente..., cit., pp. 148-154.
(48) Cfr. la lettera a
Togliatti del 27 marzo 1924, ivi, p. 255. Togliatti, con il suo
inconfondibile stile gesuitico, commenterà che in quella situazione
occorreva "liberare i compagni italiani da un prestigio di cui
era (...) necessario che si liberassero" (ivi, p. 337). La via
della distruzione sistematica del mito di Bordiga, fondatore e capo
del Partito di Livorno, era ì tracciata e il PCI la percorrerà
interamente, anche se va detto che Gramsci non accettò mai, neppure
nei momenti in cui la polemica si fece più intensa, di scendere ai
livelli di abiezione raggiunti da Togliatti e da altri ex-bordighiani
nella polemica con la minoranza di sinistra.
(49) Cfr. la lettera a
Leonetti del 28 gennaio 1924, ora in Togliatti, La formazione del
gruppo dirigente..., cit., pp. 182-184.
(50) E.Ragionieri,
Gramsci e il dibattito teorico nel movimento operaio internazionale,
in AA.VV., Gramsci e la cultura contemporanea, vol. I, Roma 1969, p.
133. Per gli attacchi di parte bordighista a Gramsci cfr. La
liquidazione della sinistra del PCd'It. (1925), Milano 1991, pp.
33-34.
(51) Fortichiari, che lo
incontra a Vienna nella primavera del 1924, nota sorpreso questa
evoluzione: "Malgrado le sue particolari vedute personali
Gramsci diede sempre più importanza al partito; alla possibilità
che il partito svolgesse un certo lavoro, alla necessità che il
partito fosse forte (...) Gramsci si dedica talmente a questa
funzione nel partito che in fondo rinnega se stesso, perchè non è
più l'uomo che vuole i consigli di fabbrica come soviet, ora lui
vuole un partito capace di imporsi, forte, monolitico; tutto il resto
è secondario" (Fortichiari, Comunismo e revisionismo in Italia,
cit. p. 162).
4. Continua
venerdì 27 gennaio 2017
La costruzione del Partito comunista e il fascismo
Il Partito comunista
nasce in un momento difficile, in cui si inizia a sentire il riflusso
della grande ondata di lotte che aveva seguito la fine della guerra e
cresce la violenza squadristica. I comunisti non credono però nella
possibilità di una dittatura di Mussolini e il vero nemico da sconfiggere resta il riformismo.
Giorgio
Amico
La costruzione del Partito comunista e il fascismo
Il Partito comunista
nasce, dunque, nel segno di Bordiga in un congresso che è poco più
di una orgogliosa proclamazione di indipendenza dal vecchio partito
da parte dei rivoluzionari. (24) Gramsci vi gioca un ruolo subalterno
e tale comportamento non fu in seguito esente da critiche anche dure.
Ma era possibile, e soprattutto auspicabile, in quel momento e in
quelle condizioni, premere per una più netta chiarificazione? Lo
stesso Togliatti risponde di no.
"Se un dibattito
sulla funzione e sui compiti immediati del partito comunista in
Italia - egli scrive - si fosse aperto e si fosse approfondito,
sarebbero certamente venute alla luce divergenze di fondo su problemi
di importanza decisiva. Ma questo dibattito, nel momento in cui venne
immediatamente preparata la creazione del partito e subito dopo di
esso, non poteva accendersi. Il fuoco era stato concentrato contro la
destra riformista e contro il gruppo di centro che non voleva
isolarla ed espellerla dal partito, e in questa impostazione tutti
erano concordi". (25)
Ma a Livorno accade
qualcosa che va al di là della scelta politicamente giusta di non
aprire un dibattito dalle conseguenze imprevedibili. Gramsci tace
soprattutto perchè schiacciato dalla forte ostilità di parte dei
delegati che gli rinfacciano le esitazioni del 1914. Bruno
Fortichiari ci ha lasciato la vivissima descrizione di un uomo
angosciato e solitario:
"Era presente, era
con il direttivo della Frazione, ma continuava a camminare; lo vedo
ancora, dietro di noi sul palcoscenico, tutto concentrato in sé,
isolato, senza parlare con nessuno". (26)
Sarà il "settario"
Bordiga a prenderne le difese senza esitazioni o calcoli prudenziali
con un discorso "notevole, per l'efficacia anche oratoria"
con cui si rivendica la diversità del nuovo partito rispetto anche
alla parte più nobile della tradizione socialista. (27)
Difendendo Gramsci,
Bordiga chiarisce che nel nuovo partito non ci sono più nè
astensionisti, nè ordinovisti, ma solo militanti comunisti uniti
nella comune fede nella rivoluzione e nella dittatura del
proletariato.
"Mentre io rivendico
- afferma - ciò che ci allaccia al passato di questo partito ed
anche a quelli che a noi hanno appreso, uomini che oggi sono
nell'altra sponda, mentre io rivendico questo, voglio anche dire che
questo fenomeno, che deve essere considerato obiettivamente, del
socialista di guerra, a me piace raffrontarlo con quello del
socialista della parentesi di guerra, del socialista che non ha
bestemmiato perchè ha taciuto, del socialista che quando invece di
essere duecentocinquantamila eravamo nelle tessere ventimila e nella
pratica poche centinaia, non ha detto nulla, ma che, poi, passata la
bufera, è venuto a dire: "Siamo stati contro la guerra",
ed è andato nei comizi elettorali a valersi di questo (...), e dico
che io, che socialista di guerra non sono stato mai, preferisco quei
giovani che, attraverso l'esperienza tratta dall'infamia
capitalistica e dall'essere stati inviati al fratricidio sui fronti
della battaglia borghese, sono tornati con la nuova fede della guerra
per la rivoluzione". (28)
Si è parlato per il
periodo 1921-1923 di partito "bordighiano", quasi per
contrapporlo in negativo ad un ipotetico "partito di Lione"
finalmente recuperato ad una corretta strategia leninista.(29) Certo,
il PCd'I fu in quel periodo un partito modellato sulla "personalità
vigorosa" del suo fondatore, ma senza forzature o esasperazioni
leaderistiche. Le testimonianze a favore si sprecano, anche da parte
di chi "bordighista" non è mai stato. Scrive ad esempio
una storica di matrice "picista":
"Nel partito
comunista bordighiano poterono trovare posto, per fare un esempio,
Tasca e Terracini, Leonetti e Togliatti, Gramsci e Misiano, per dire
d'uomini forniti ciascuno di una concezione dell'azione politica che
in avvenire si rivelerà non sempre coincidente e talora anche
opposta. Era lo stile di lavoro di un partito leninista? Sarebbe
troppo semplice rispondere solo con un'affermazione. Certo era questo
un aspetto leninista del primo comunismo italiano, ma ciò che qui
preme sottolineare è che questo stile di vita e di lavoro si rivelò
nella pratica più forte della concezione assolutista che del partito
aveva Bordiga. Se pure egli concepiva il partito come un esercito, il
fatto è che la sua percezione dell'autentico gli impedì sempre di
circondarsi di caporali...". (30)
Il fatto è che, come
ricorda Camilla Ravera, "c'era bisogno di una forza
rigorosamente unita e disciplinata; e anche la concezione rigida di
Bordiga diventava una forza; oltre che una necessità" (31).
Quello che nasce a Livorno è un partito compatto, pienamente
convinto della necessità di dover andare oltre "alla confusione
e al marasma che era stati dominanti nel partito socialista e da cui
ci si voleva liberare una volta per sempre". (32)
Anche Gramsci condivide
questo spirito. Dal 1921 al 1923 appare in linea con Bordiga se non a
livello di analisi, almeno sul piano delle conclusioni politiche.
Così al momento delle elezioni politiche della primavera del '21, a
cui il Partito partecipa soltanto per disciplina nei confronti delle
decisioni del Secondo Congresso dell'Internazionale Comunista, anche
Gramsci sostiene a fondo su L'Ordine Nuovo le tesi del partito, anzi
sarà proprio lui a usare i toni più duri nei confronti del
parlamentarismo. (33)
C'è chi ha voluto vedere
in questo atteggiamento disciplinato nient'altro che la scelta di
attendere tempi migliori da parte di un Gramsci che, ancora sotto gli
effetti della contestazione subita a Livorno, tuttavia in privato non
risparmia dure critiche alla direzione di Bordiga. (34) E' una tesi
che getta un'ombra di doppiezza su una personalità limpida come
sempre fu, anche per ammissione dei suoi avversari, quella di Antonio
Gramsci e che non trova riscontri, se non in una frase di Togliatti
del febbraio 1924. (35) In realtà, come
testimonia Umberto Terracini:
"L'Ordine Nuovo per
circa un anno tacque sul proprio programma, e fu fedele esecutore
dell'impegno di sostenere il Partito comunista senza accentuare le
posizioni del gruppo. Ciò incominciò ad avvenire soltanto dal '22
in poi. Vi furono insufficienze, mancanze, errori nostri, che
pesarono sui primi passi del nuovo partito. D'altra parte l'esigenza
fondamentale del momento era la nascita del vero partito di classe. E
poi, anche i rapporti personali e fraterni che esistevano fra Bordiga
e noi ebbero un peso nello stemperare i contrasti. Soltanto più
tardi, quando si cominciarono ad avvertire i frutti amari della linea
politica di Bordiga prendemmo le distanze da lui e ne combattemmo le
impostazioni. Ma i rapporti affettuosi e fraterni che avevamo
stabilito non si dissolsero mai del tutto".(36)
Il pieno dispiegarsi
della controrivoluzione fascista non modifica nella sostanza questa
situazione. Bordiga e Gramsci vedono nel fascismo la risposta
unitaria della borghesia italiana all'assalto rivoluzionario della
classe operaia. In quest'ottica Mussolini non rappresenta una rottura
irreversibile degli assetti costituzionali nè tantomeno della
tradizione politica liberale. E' sul piano della prospettiva politica
e della tattica del partito che le differenze sono profonde.
Per Bordiga, ossessionato
dal timore di possibili inquinamenti "democraticistici"
della purezza programmatica del partito, non esistono soluzioni
intermedie e l'unico obbiettivo da propagandare resta la dittatura
proletaria. Di conseguenza, va accuratamente evitata ogni possibile
confusione sul piano dell'azione con tutte quelle forze che , pur
collocandosi sul terreno di un antifascismo militante, vedi ad
esempio gli Arditi del Popolo, restano tuttavia ideologicamente
spurie e di conseguenza non sicure.
Diversa la posizione di
Gramsci, più attento alle contraddizioni all'interno dello
schieramento borghese e dello stesso fascismo che gli appare incapace
di mantenere l'egemonia sugli strati intermedi e piccolo borghesi
soprattutto a livello rurale. Di qui l'attenzione al mondo cattolico
e ad una parte dell'intellettualità di cui Gobetti appare il più
degno rappresentante, ma soprattutto l'ipotesi che sia possibile una
lotta antifascista per obiettivi democratici e non direttamente
comunisti, rivolta soprattutto alla conquista delle masse contadine
del Meridione. Temi che si intrecciano al dibattito in corso nel
partito sulla tattica del fronte unico e che per Gramsci ne
rappresentano la logica estensione.
Va chiarito, tuttavia,
che, almeno per il rivoluzionario sardo si tratta di convincimenti
che matureranno col tempo e che assumeranno piena rilevanza
soprattutto dopo l'assassinio Matteotti, di fronte al fatto nuovo
rappresentato dalla tattica aventiniana dell'antifascismo
democratico-borghese. Nell'ottobre 1922, infatti, sia Gramsci che
Bordiga paiono non credere nell'effettiva possibilità di una stabile
e duratura presa del potere da parte dei fascisti. (37)
Note
(24) Ci pare, tuttavia,
assai riduttiva la tesi di Cortesi, secondo cui quella di Livorno è
"una tardiva coalizione di gruppi improvvisamente affrettata
dopo il Secondo congresso dell'Internazionale Comunista e la
irresponsabile condotta del PSI di fronte all'occupazione delle
fabbriche, ma sostenuta da una elaborazione politica e da un
confronto interno insufficienti". (Introduzione a B.
Fortichiari, Comunismo e revisionismo in Italia, cit., p. 17)
(25) P. Togliatti, La
formazione del gruppo dirigente del Partito comunista italiano nel
1923-1924, Roma 1984, p. 16. Quanto alle critiche a Gramsci si veda
in particolare la lettera di Mario Montagnana riportata dallo Spriano
(Storia del Partito comunista italiano, vol. I, Torino 1976, p. 118).
(26) B. Fortichiari,
Comunismo e revisionismo in Italia, cit., p. 135.
(27) Il giudizio è di
Franco Livorsi (Amadeo Bordiga, Roma 1976, p. 167).
(28) Il discorso di
Bordiga a Livorno è riprodotto in La Sinistra comunista nel cammino
della rivoluzione, Roma 1976, pp. 67-100.
(29) E' questo, per
intenderci, il taglio dell'intera storiografia di ispirazione
togliattiana almeno fino agli anni Settanta e di cui si avvertono
ancora tracce anche nell'opera, di ben altro spessore, dello Spriano.
(30) F. Pieroni
Bortolotti, Francesco Misiano. Vita di un internazionalista, Roma
1972, pp.100-101.
(31) C. Ravera,
testimonianza in La Frazione comunista al Convegno di Imola, Roma
1971, p. 32.
(32) P. Togliatti, La
formazione del gruppo dirigente del Partito comunista italiano nel
1923-1924, cit., pp.19-20.
(33) A. Gramsci Il
parlamento italiano, L'Ordine Nuovo 24 marzo 1921. Ora in Socialismo
e fascismo. L'Ordine Nuovo 1921-1922, Torino 1974, pp. 115-117.
(34) "Non ti
nascondo la mia opinione che tu, molte delle cose che dici ora,
avresti dovuto dirle, e non in conversazioni private e di cui si
aveva sentore indiretto, ma davanti al partito, molto tempo prima.
Nella Centrale costituita a Livorno tu rappresentavi il gruppo che
seguiva una concezione diversa da quella di Bordiga". Cfr. P.
Togliatti, La formazione del gruppo dirigente..., cit., p. 213.
(35) Cfr. a questo
proposito G. Fiori, Vita di Antonio Gramsci, cit., pp.173-178. Tra le
numerose attestazioni di stima nei confronti di Gramsci ricordiamo
soprattutto quelle di Bordiga che ancora nel 1954 definiva Gramsci il
"rappresentante più rispettabile e non solo perchè morto in
tempo" di un'intero filone del socialismo italiano (Cfr. A.
Bordiga, Meridionalismo e moralismo, Il programma comunista, 29
ottobre-12 novembre 1954; ora in A. Bordiga, Il rancido problema del
Sud italiano, Genova 1993, p.96) e di Fortichiari per il quale
Gramsci, al di là di ogni valutazione politica, "personalmente
era un galantuomo" (Cfr. B. Fortichiari, Comunismo e
revisionismo in Italia, cit., p. 142).
(36) U. Terracini, Quando
diventammo comunisti, cit., p. 44.
(37) "La cosa che
impressiona - scrive Onorato Damen - è la estrema leggerezza e la
ostentata noncuranza del fenomeno presente nei maggiori esponenti del
partito: Bordiga, ad esempio, riteneva, mentre era a Mosca per l'
"Allargato", impossibile un tentativo di marcia su Roma
delle camicie nere e proprio nel momento che tale marcia era in pieno
svolgimento, Gramsci se l'è cavata ora con la dichiarazione di
'folklore episodico e paesano', ora affrontando il problema del
'cesarismo nella storia'” (Damen, Gramsci tra marxismo e idealismo,
cit., p.107). Per una più precisa conoscenza delle posizioni di
Bordiga sul fascismo è utilissima la raccolta di testi curata
all'inizio degli anni Settanta dai francesi di "Programme
communiste" (Communisme et fascisme, Marseille 1970), mentre gli
scritti di Gramsci sono raccolti in Socialismo e fascismo, cit. e in
La costruzione del Partito comunista, Torino 1971.
3. Continua
giovedì 26 gennaio 2017
Gramsci e Bordiga nel biennio rosso: tattica astensionista e consigli operai
Nella “sinistra comunista” del PSI gli anni 1919-1920 furono segnati da un vivace dibattito sul che fare. Poco si fece invece sul piano concreto col risultato che quando, nel gennaio 1921, il Partito comunista nacque l'ondata rivoluzionaria era in riflusso mentre cresceva la reazione fascista.
Giorgio Amico
Gramsci e Bordiga nel
biennio rosso: tattica astensionista e consigli operai
L'eco della rivoluzione
russa unita alla disfatta di Caporetto mette a nudo l'ipocrisia del
"né aderire, né sabotare". In una riunione della sinistra
rivoluzionaria (Firenze, 18 novembre 1917) Bordiga è l'unico ad
avanzare apertamente l'ipotesi di una decisa azione rivoluzionaria.
(9) Gramsci tace e Serrati ha buon gioco a mantenere la sinistra del
partito al'interno del tradizionale gioco delle correnti che da
sempre connota il socialismo italiano. Bordiga, che pure non ha più
illusioni sulla recuperabilità a fini rivoluzionari del PSI,(10) nei
fatti agevola questo tentativo. Infatti, l'intransigenza con cui egli
pone la pregiudiziale astensionista rappresenta un serio ostacolo
alla formazione immediata di una unica frazione comunista.
"Era certezza in
Bordiga - scrive il "milanese" Fortichiari - di poter
uscire dal ristretto e deformante ambito del Sud per estendere ai
principali centri di Italia la corrente che egli animava. Questo
calcolo gli fece minimizzare il peso dei gruppi della sinistra
socialista sfavorevoli alla sua pregiudiziale; egli propendeva, in
fondo, ad una selezione intransigente senza tener conto dell'urgenza
degli avvenimenti". (11)
E' un'osservazione
corretta, Bordiga mostra di non dare soverchia importanza alla
questione dei tempi e di non comprendere come in quella fase il
problema dell'astensionismo rappresentasse un elemento di fatto
secondario in una corretta strategia rivoluzionaria. (12) Almeno fino
a tutto il 1920 resterà così irrisolto il nodo vero, rappresentato
dal centrismo di Serrati a cui l'intransigenza di Bordiga va in
definitiva ad offrire un comodo alibi. (13)
Oltre alla Russia anche
la forte ascesa delle lotte operaie costringe i rivoluzionari del PSI
ad andare oltre il vuoto rivoluzionarismo verbale del partito.
L'ondata operaia che tocca il suo culmine nell'aprile del 1920 con lo
"sciopero delle lancette", non va solo diretta
politicamente, ma anche compresa teoricamente, pena il riflusso e
l'avanzata della reazione. E' una lotta contro il tempo che i
rivoluzionari perderanno, tanto che l'occupazione delle fabbriche si
svolge già interamente nel segno del riflusso. Se nella sinistra
rivoluzionaria tutti sostengono la necessità della generalizzazione
delle lotte, ci si divide su chi debba assicurare la guida degli
scioperi.
A Torino il gruppo de
l'Ordine Nuovo punta tutto sul ruolo dirigente dei consigli operai
assimilati ai soviet russi. Gramsci intende fare del soviettismo la
base per il rinnovamento rivoluzionario del PSI e della CGL e il
motore stesso della rivoluzione proletaria in Italia e ciò a partire
dalla trasformazione delle commissioni interne, concepite come
"embrione di soviet", in consigli di fabbrica. Il tutto con
una oggettiva sottovalutazione non solo del ruolo del partito ridotto
a mero coordinatore di un movimento dei consigli destinato a
svilupparsi con dinamiche proprie, ma anche della tradizionale
funzione di coordinamento territoriale delle istanze di fabbrica
svolto dalle Camere del Lavoro. (14)
Su queste posizioni Gramsci è isolato, tanto da essere messo in minoranza all'interno dello stesso gruppo dell'Ordine nuovo. Dal canto suo, Bordiga gli rimprovera di credere "che il proletariato possa emanciparsi guadagnando terreno nei rapporti economici, mentre ancora il capitalismo detiene, con lo Stato, il potere politico" e di contrapporre un organo che non può che essere di natura parziale all'unico possibile strumento generale di liberazione del proletariato, il partito di classe. Per il rivoluzionario napoletano, ancorarsi allo schema dei consigli significa preoccuparsi della creazione degli istituti del potere socialista più che della conquista del potere. E' sbagliato, ammonisce dalle pagine de "Il Soviet", "fare la questione del potere nella fabbrica anzichè la questione del potere politico centrale". (15)
A differenza di Gramsci,
Bordiga non crede nel carattere di per se rivoluzionario dei
consigli. Determinante è per lui anche in questo il ruolo di
direzione del partito alla cui costruzione occorre subordinare
qualunque altra preoccupazione. Per questo nel 1920 egli abbandona il
tema delle lotte operaie, a cui pure aveva dedicato grande attenzione
nel 1918-1919, (16) per impegnarsi a fondo nella costruzione
nazionale della sua frazione. Elemento del tutto trascurato da
Gramsci che crede nella possibilità di una spontanea rifondazione in
senso classista del PSI proprio a partire dalle lotte di fabbrica. Ad
aprile nel pieno dello "sciopero delle lancette" redige le
sue tesi "Per un rinnovamento del Partito Socialista".
L'esito è negativo. Le tesi vengono di fatto ignorate dal partito,
che anzi contribuisce fortemente al soffocamento della vertenza. (17)
Lo stesso Serrati, su cui egli ripone non poche speranze, si rivela
sostanzialmente subalterno al gruppo dirigente riformista del PSI e
della CGL che arretra davanti alla richiesta di trasformare gli
scioperi in lotta aperta per il potere.
E' questa sconfitta a
spingere Gramsci verso un Bordiga che non smette di proclamare la
necessità di un nuovo partito. del tutto diverso da quello fondato a
Genova nel 1892. Nuovi compiti attendono il proletariato, occorre un
nuovo tipo di militante comunista, il partito va ricostruito a
partire dall'esperienza viva dell'illegalismo bolscevico:
"Noi - denuncia
Bordiga - siamo vissuti nella democrazia borghese: non abbiamo una
stanza per nascondere un compagno, non abbiamo un timbro per
falsificare i passaporti, non abbiamo cose che servano a questo
lavoro rivoluzionario. Noi consideriamo ancora il problema secondo la
vecchia mentalità: le armi il proletariato potrà trovarle, ma il
partito manca di mezzi tattici per l'azione che si chiama illegale;
ne manca completamente perchè si lascia attrarre dalle insidie della
democrazia borghese, che lo sovraccarica di compiti minimi e riesce
così a spezzare la sua azione". (18)
Nonostante le profonde
divergenze, i gruppi del 'Soviet' e de 'L' Ordine nuovo',
convergono ormai apertamente contro tutte quelle forze, massimalisti
in primo luogo, che si ostinano a non voler rompere con una
tradizione socialista ormai esausta. Agli inizi del maggio 1920
Gramsci è a Firenze come osservatore alla conferenza nazionale della
Frazione comunista astensionista. Nonostante sia colpito dalle
dimensioni consistenti raggiunte dalla Frazione, egli non nasconde le
sue perplessità rispetto al mantenimento della pregiudiziale
astensionista, base troppo "ristretta" per permettere la
nascita del partito comunista. (19)
L'occupazione delle fabbriche, con l'aperto rifiuto della direzione riformista del PSI e della CGL di assumere la direzione della lotta, è la definitiva conferma di quanto da sempre Bordiga va enunciando. Senza un forte e compatto partito rivoluzionario non esiste sbocco possibile ad una situazione che pure è rivoluzionaria. La lotta per il potere non si esaurisce nella fabbrica, ma deve investire direttamente lo Stato borghese.
L'occupazione delle fabbriche, con l'aperto rifiuto della direzione riformista del PSI e della CGL di assumere la direzione della lotta, è la definitiva conferma di quanto da sempre Bordiga va enunciando. Senza un forte e compatto partito rivoluzionario non esiste sbocco possibile ad una situazione che pure è rivoluzionaria. La lotta per il potere non si esaurisce nella fabbrica, ma deve investire direttamente lo Stato borghese.
Nell' ottobre 1920, a
poche settimane dalla chiusura del Secondo Congresso
dell'Internazionale comunista, si riuniscono a Milano le componenti
della sinistra socialista favorevoli all'espulsione dei riformisti e
alla trasformazione del PSI in un autentico partito comunista.
Bordiga, che a Mosca ha avuto sulla questione del parlamentarismo un
duro scontro con Lenin, rinuncia ufficialmente alla pregiudiziale
astensionista e si dichiara pronto ad accettare la partecipazione del
partito alle ormai prossime elezioni amministrative. La svolta di
Bordiga rimuove i residui ostacoli sulla via dell'unificazione dei
gruppi comunisti. Bordiga, Repossi, Fortichiari, Gramsci, Terracini,
Bombacci e Misiano vengono chiamati a far parte di un "Comitato
provvisorio della frazione comunista del Partito Socialista" che
subito nomina un esecutivo centrale formato da due astensionisti
(Bordiga e Fortichiari) e da un massimalista di sinistra (Bombacci).
L'esito della riunione
chiarisce che solo i bordighiani possiedono un peso tale da
supportare nazionalmente l'azione scissionistica. Gramsci rientra a
Torino pienamente conquistato all'inevitabilità della rottura,
fermamente convinto che se si intende realmente sbloccare in senso
rivoluzionario la situazione, occorre affidarsi a Bordiga la cui
frazione ha ormai solide ramificazioni un pò in tutta Italia. Ma
troppo è il tempo perso. L'unificazione avviene con il movimento
proletario costretto a difendersi dagli attacchi sempre più violenti
della reazione.
"Nella fase culmine
del dopoguerra - scrive uno dei protagonisti di quella stagione - la
rivoluzione proletaria non aveva avuto il suo partito e da questi una
organizzazione e una direzione adeguate a tale prospettiva, nè
l'opposizione, del resto assai viva nel PSI, era in grado di
sostituirlo in questo compito dato che i gruppi che facevano capo al
Soviet di Napoli avevano esaurito la loro capacità d'iniziativa in
un'azione infeconda basata sull'astensionismo politicamente troppo
unilaterale, angusto e scarsamente sentito dalle masse, e i gruppi
torinesi degli ordinovisti, chiusi nella città della grande
industria, erano caduti in una fase di scetticismo; falliti i
consigli nella grande prova come organi autosufficienti del
proletariato,erano stati abituati a credere ancora, nonostante tutto,
nel partito socialista e non nella necessità storica della
formazione del partito rivoluzionario". (20)
Si tratta di
considerazioni largamente condivisibili. (21) Chi, appoggiandosi
sulla riflessione critica che Gramsci fa nel '24 dell'intera
esperienza di Livorno, rimprovera a Bordiga di aver voluto una
scissione minoritaria, mostra di non cogliere la complessità della
fase e la brusca accelerazione dei tempi dello scontro di classe
rispetto ai tempi più lunghi della politica. (22) Se un appunto va
fatto a Bordiga è semmai di non avere tento conto a sufficienza del
fattore tempo. Se un limite c'è nel partito di Livorno, questo
consiste non nella sua troppo ristretta base di partenza, ma
nell'essere nato in ritardo rispetto ai tempi della rivoluzione,
quando il proletariato è già in piena ritirata sotto i colpi della
reazione fascista. Lenin stesso pare pensarlo, almeno a partire
dall'autunno 1920, quando ricorda ai compagni italiani che il
pericolo non consiste, come pare credere Serrati, nell' indebolimento
del PSI a causa dell'uscita dei comunisti, ma nel sabotaggio della
rivoluzione da parte dei massimalisti prigionieri dei loro scrupoli
unitari. (23)
Note
(9) "Bordiga
analizzò la situazione in Italia. Constatò la disfatta sul fronte,
la disorganizzazione dello Stato italiano e terminò con queste
parole: 'Bisogna agire. Il proletariato delle fabbriche è stanco. Ma
è armato. Noi dobbiamo agire'. Gramsci era dello stesso parere.
Serrati, Lazzari e la maggioranza dei presenti si pronunciarono per
il mantenimento della vecchia tattica: non aderire, né sabotare la
guerra". (G. Germanetto, Souvenirs d'un perruquier, Paris 1931,
p. 113. Nelle successive edizioni italiane, in ossequio alle
direttive togliattiane di non parlare affatto di Bordiga o di
parlarne male, il passo sparisce.
(10) Non concordiamo con
la tesi di Franco De Felice secondo cui Bordiga resta per tutto un
periodo convinto della possibilità di un recupero di gran parte
dell'area massimalista. (De Felice, Serrati, Bordiga, Gramsci e il
problema della rivoluzione in Italia 1919-1920, pp.129-130.
(11) B. Fortichiari,
Comunismo e revisionismo in Italia, Torino 1978, p. 38.
(12) E' quanto sostiene
O. Damen, figura storica del "bordighismo" italiano
(Gramsci tra marxismo e idealismo, Milano 1988, p. 80).
(13) L'atteggiamento di
Bordiga si spiega in parte con la frammentaria conoscenza delle reali
posizioni dei russi. Solo nel dicembre 1919, quando giunse in Italia
e fu pubblicato sull'Avanti, il testo dei due messaggi nei quali
Lenin esortava i comunisti dell'Europa occidentale a partecipare alle
elezioni politiche, risultò manifestamente chiaro che
l'astensionismo di principio era estraneo all'autentica esperienza
bolscevica. Nonostante ciò, la Frazione non aggiorna le proprie
posizioni. L'11 gennaio 1920 Bordiga manda una lunga lettera a Mosca
allegando i documenti della sua frazione. Il contrasto sulla tattica
si sposta dal PSI all'Internazionale comunista. Lenin, che deve già
fronteggiare l'operaismo esasperato della sinistra tedesca,
risponderà con l'opuscolo sull'estremismo. La lettera di Bordiga è
riprodotta in Storia della sinistra comunista 1919-1920, Milano 1972,
pp. 113-115.
(14) Cfr. a questo
proposito gli scritti raccolti in A. Gramsci, L'Ordine Nuovo, Torino
1975. Proprio su questa diversa valutazione del ruolo delle CdL si
compirà la rottura con Tasca e la maggioranza del gruppo
ordinovista. Cfr. per un'approfondita ricostruzione del contrasto nel
gruppo torinese lo studio di Francesco Trocchi (Angelo Tasca e l'
Ordine Nuovo, Milano 1973).
(15) A. Bordiga, Per la
costituzione dei consigli operai in Italia, Il Soviet 4 e 11 gennaio
- 1, 8 e 22 febbraio 1920; ora in Storia della sinistra comunista
1919-1920, cit., pp. 278-293.
(16) Sul ruolo dirigente
svolto da Bordiga nelle lotte operaie fra il 1918 e il 1919 si
sofferma in particolare la De Clementi. (Amadeo Bordiga, Torino 1971,
pp. 59-75).
(17) A. Gramsci, Per un
rinnovamento del Partito Socialista, L'Ordine Nuovo 8 maggio 1920;
ora in L'Ordine Nuovo, cit., pp. 116-123. Le Tesi avranno più
successo a Mosca nel corso del Secondo Congresso dell'Internazionale
Comunista. (Cfr. Lenin, Sul movimento operaio italiano, Roma 1970, p.
194).
(18) Storia della
sinistra comunista 1919-1920, cit., p. 353.
(19) Sui rapporti tra
Bordiga e Gramsci nel 1920 si sofferma Giuseppe Fiori che, però, a
nostro parere tende a dare un quadro troppo esasperato della
situazione. Cfr. G. Fiori, Vita di Antonio Gramsci, Bari 1973, p. 152
e sgg.
(20) O.Damen, Gramsci tra
marxismo e idealismo, cit., p. 83.
(21) Ritardi ed
esitazioni, quelle de 'L'Ordine Nuovo', di cui si trova conferma
nelle memorie di Umberto Terracini che testimonia come Gramsci si
ostinasse a lungo a ritenere "possibile imprimere un indirizzo
nuovo al PSI" (U. Terracini, Quando diventammo comunisti, Milano
1981, p. 40).
(22) "Fummo
sconfitti - scrive Gramsci nel 1924 - perchè la maggioranza del
proletariato organizzato politicamente ci diede torto, non venne con
noi, quantunque avessimo dalla nostra parte l'autorità e il
prestigio dell'Internazionale, che erano grandissimi e sui quali ci
eravamo fidati. Non avevamo saputo condurre una campagna sistematica,
tale da essere in grado di raggiungere e di costringere alla
riflessione tutti i nuclei e gli elementi costitutivi del partito
socialista, non avevamo saputo tradurre in linguaggio comprensibile a
ogni operaio e contadino italiano il significato di ognuno degli
avvenimenti italiani degli anni 1919-20 (...) Fummo -bisogna dirlo-
travolti dagli avvenimenti". (Contro il pessimismo, L'Ordine
Nuovo, 15 marzo 1924; ora in La costruzione del Partito Comunista,
Torino 1971, pp. 16-20).
(23) "Serrati -
scrive Lenin - teme che la scissione indebolisca il partito, in
particolar modo i sindacati, le cooperative ed i comuni. I comunisti
invece temono il sabotaggio della rivoluzione da parte dei
riformisti. Avendo nelle proprie file dei riformisti, non si può
vincere nella rivoluzione proletaria, non si può difenderla. Quindi
Serrati mette a repentaglio le sorti della rivoluzione per non
danneggiare l'amministrazione comunale di Milano. Oggi in Italia si
avvicinano battaglie decisive del proletariato contro la borghesia
per la conquista del potere statale. In un momento simile non solo è
assolutamente indispensabile allontanare dal partito i riformisti, i
turatiani, ma può esser utile persino allontanara da tutti i posti
di responsabilità anche degli eccellenti comunisti che sono
suscettibili di tentennare e manifestano delle esitazioni nel senso
della "unità" con i riformisti (...) il partito non si
indebolirà, ma si rafforzerà cento volte di più se i riformisti si
allontaneranno completamente dalle sue file e se dalla sua direzione
si allontaneranno anche eccellenti comunisti, come sono probabilmente
i membri dell'attuale direzione del partito, Baratono, Zannerini,
Bacci, Giacomini, Serrati". (Lenin, Sul movimento operaio
italiano, cit., pp. 202-218)
2. Continua