martedì 30 giugno 2020

Quando Montanelli preparava il colpo di stato e la guerra civile




Giorgio Amico

Quando Montanelli preparava il colpo di stato e la guerra civile

"Fu Montanelli a insegnarci il rispetto per i nemici" con questo titolo Francesco Merlo interviene sulla Repubblica del 16 giugno a proposito dell'imbrattamento della statua che il comune di Milano ha dedicato al giornalista. Dunque, imbrattamenti simbolici a parte, per Repubblica Montanelli fu un maestro di tolleranza. Peccato che le cose non stiano proprio così e forse l'illustre giornalista avrebbe dovuto documentarsi un po' meglio prima di scrivere il suo francamente imbarazzante compitino.

Noi l'abbiamo fatto. 

Dal 1953 al 1956 Claire Booth Luce,  moglie di Henry Luce, fondatore ed editore di alcuni tra i più importanti periodici americani, quali Time, Life e Fortune e grande sostenitore del Partito repubblicano, fu ambasciatrice degli Stati Uniti a Roma, Nominata dal presidente Eisenhower come ricompensa per il sostegno decisivo che il marito aveva dato alla sua campagna elettorale. Incapace di comprendere le sottigliezze della politica italiana, l'ambasciatrice si rivelò ben preso una severa critica della politica della DC considerata troppo morbida verso il partito comunista. Per eliminare la minaccia comunista occorreva ben altra politica. 

Di conseguenza uno dei primi atti della Luce fu l'apertura ai fascisti. Il 21 aprile 1954 il deputato missino Anfuso incontra il Consigliere d'ambasciata Eugene Durbrow. È il primo incontro di cui si trova traccia nella documentazione del Dipartimento di Stato. Ovviamente contatti fra americani e neofascisti c'erano stati sempre a partire almeno dall'aprile 1945, basti ricordare il rocambolesco salvataggio del comandante della X MAS, Junio Valerio Borghese, sottratto alla giustizia partigiana nei giorni dell'insurrezione e trasportato a Roma travestito da ufficiale dell'esercito americano. Questa volta però la cosa è diversa: l'incontro è ufficiale e il MSI è trattato come un qualsiasi altro partito politico italiano, ovviamente se di orientamento anticomunista. Da allora i contatti saranno regolari.

La Luce fu anche fautrice di un deciso spostamento conservatore dell'asse politico, spostando il baricentro dei governi centristi a destra, in modo da ridurre il peso nell'esecutivo dei partiti laici moderati (PRI,PSDI) e di aumentare invece la forza contrattuale nei confronti della DC del PLI. A questo fine sostenne con decisione lo spostamento a destra del Partito liberale con la nuova segreteria Malagodi e la creazione di un comitato permanente di coordinamento (CONFITESA) fra Confindustria, Confcommercio e Confagricoltura allo scopo di sostenenre e finanziare i candidati del PLI e della destra DC alle elezioni amministrative del 1956.

In quest'ottica l'ambasciatrice intensificò i suoi rapporti con gli ambienti più conservatori e in particolare con personaggi come Randolfo Pacciardi, il capo dell'Ufficio Affari Riservati del Ministero dell'Interno (il nuovo nome che aveva assunto l'OVRA fascista) Gesualdo Barletta e esponenti di punta della stampa.

Particolarmente stretto fu il legame con Indro Montanelli con cui nel 1954 ci fu un intenso scambio di lettere. In queste lettere Montanelli chiedeva l'appoggio americano per una decisa azione anticomunista che doveva una volta per tutte risolvere il problema rappresentato dal PCI. Il giornalista, che vantava l'appoggio di un nutrito gruppo di industriali, proponeva l'organizzazione di una rete "terroristica" (l'aggettivo è di Montanelli) da attivare nel caso il PCI si fosse avvicinato troppo all'area del potere. Montanelli concordava con il giudizio negativo sulla politica democristiana e da questa valutazione faceva discendere l'idea che il comunismo era destinato in tempi non troppo lunghi a imporsi in Italia, sfruttando le contraddizioni del sistema e l'insoddisfazione profonda delle masse popolari. Il PCI andava fermato a tutti i costi e dunque in caso di una possibile vittoria elettorale, la questione andava risolta con le armi.

Nel corso dell'anno Montanelli si recò più volte di persona all'ambasciata americana a Roma per perorare direttamente la sua causa, sempre accolto con grande calore dall'ambasciatrice. Dalle lettere scambiate fra i due e ora rese pubbliche, risulta che Montanelli in più occasioni accennò ad una "organizzazione segreta" della Confindustria in stretti rapporti con l'organizzazione "Pace e Libertà" di Edgardo Sogno creata in funzione anticomunista dalla CIA. Il primo obiettivo era espellere con ogni mezzo i comunisti dalle fabbriche, con atti provocatori e licenziamenti di massa, secondariamente andava rafforzata la presenza dei cosiddetti "sindacati liberi", CISL e UIL. Ma i compiti dell'organizzazione non si limitavano ad un'azione anticomunista nell'ambito dei luoghi di lavoro, ma investivano l'intera società e i suoi ordinamenti democratici.
Occorre, scrive Montanelli in una delle sue missive, "difendere l'Italia fino ad accettare o anche affrettare la morte della democrazia", se questa agevola i piani del nemico. Un atteggiamento davvero rispettoso per chi non la pensava come lui.

Particolarmente significativa è la lettera che Montanelli scrive alla Luce il 6 maggio 1954. In essa, dopo una serie di considerazioni sulla incapacità della DC di affrontare in modo deciso il pericolo comunista, il giornalista propone un dettagliato piano d'azione:

"La polizia e l'esercito sono inquinati di comunismo: i carabinieri, senza il Re, hanno perso ogni mordente: la magistratura è vile. E in tutto il paese non c'è una forza capace di appoggiare l'azione di un uomo risoluto. Noi dobbiamo creare questa forza. (...) Questa minoranza esiste ancora e non è comunista. È l'unica nostra fortuna. Bisogna ricercarla individuo per individuo, darle una bandiera, una organizzazione terroristica e segreta e un capo. (..) La [persona] più adatta sarebbe Pacciardi: risoluto e buon organizzatore. Ma il suo passato di antifascista repubblicano lo rende impresentabile ad un gruppo di uomini che saranno nella maggior parte ex-fascisti monarchici. Propongo il generale Messe, uno dei pochissimi generali usciti dalla guerra con onore. (...) Gli forniremo noi le idee che egli non ha. Il programma deve essere semplice e chiaro. Reclutamento di qualità, non di quantità, condotto secondo la tecnica comunista delle "cellule". (...) Impegno con giuramento, da parte di tutti, a eseguire gli ordini.
(...) Nessuna pregiudiziale di provenienza politica: il passato non ci interessa. (...) Capi e gregari devono essere tutti PERSONAE GRATAE ai Carabinieri, con cui si impongono strettissimi rapporti di collaborazione e di cui dovrebbero, nel momento supremo, diventare la truppa di rincalzo. Infatti il movimento sarebbe destinato ad entrare in azione (azione armata) solo il giorno in cui, elettoralmente, la battaglia fosse definitivamente persa (...) pronti a scatenare in questo caso la guerra civile con tutte le inevitabili conseguenze, allo scopo fondamentale e basilare d'inchiodare l'Italia all'Alleanza atlantica".

Dunque per Montanelli fondamentale era tenere i comunisti fuori del governo (indipendentemente dal voto espresso dai cittadini) e l'Italia nella NATO, usando ogni mezzo disponibile, nessuno escluso, come ad esempio "la MAFIA che in Sicilia ha un potere decisivo, molto più grande di quello del Governo".

È lo schema della strategia della tensione, del Piano Solo del generale De Lorenzo nel 1964, del golpe Borghese nel 1970, dei progetti golpisti di Sogno e Pacciardi negli anni '70. La Luce ne fu entusiasta e caldeggiò la cosa presso il governo americano, ma il Dipartimento di Stato bloccò il progetto, ritenendolo prematuro e troppo rischioso. Nel frattempo però la CIA stringeva con i Servizi segreti e lo Stato Maggiore dell'esercito italiano gli accordi che avrebbero portato in un breve lasso di tempo alla creazione di Gladio, organizzazione segreta con gli stessi obiettivi e le stesse modalità di funzionamento.

Per un "maestro di tolleranza" non c'è male. Vero, egregio dottor Merlo?

lunedì 29 giugno 2020

Azione comunista. Da Seniga a Cervetto (1954-1966)



Sergio Dalmasso

Azione comunista. Da Seniga a Cervetto (1954-1966)

Il savonese Giorgio Amico prosegue il suo lavoro di indagine e di documentazione su pagine della sinistra comunista italiana. Dopo numerosi scritti sulle formazioni bordighiste italiane, su correnti trotskiste e anarchiche, dopo una breve biografia su Arrigo Cervetto, il fondatore di Lotta comunista, e dopo una interessante biografia sul situazionista Guy Debord, affronta ora un organico studio sulle vicende di Azione comunista, con una panoramica sugli anni dal 1954 al 1966.

La figura centrale della prima parte del testo è quella di Giulio Seniga. Nato nel 1915, operaio di fabbrica, partigiano, partecipa alla repubblica dell’Ossola. Vicino a Pietro Secchia, diviene funzionario del PCI, legato all’ala partigiana ed operaista, parzialmente critica verso l’istituzionalismo di Togliatti.

Il 25 luglio 1954, sottrae al partito documenti interni e una grossa cifra, proveniente dall’URSS, parte del finanziamento destinato per acquistare la tipografia dell’”Unità” e scompare. Ospitato a Milano, per i primi giorni, dall’amico Gianni Brera, inizia a tessere rapporti con settori critici verso il PCI e con piccole formazioni della dissidenza comunista. Al centro, l’accusa al PCI di avere abbandonato la via rivoluzionaria, la messa in discussione dell’”imborghesimento” di parte del gruppo dirigente.
Il caso Seniga ha pesanti conseguenze per Pietro Secchia che lo addebiterà ad una sorta di congiura tendente ad emarginarlo. Non a caso, dopo breve tempo, perderà il ruolo di vice-segretario nazionale e sarà nominato segretario regionale in Lombardia. Contemporaneamente, inizia lo smantellamento della struttura organizzativa “secchiana”, i cui funzionari sono progressivamente sostituiti da un nuovo quadro “amendoliano”.

La dissidenza di Seniga tenta di incidere sul PCI e raccoglie l’adesione di Bruno Fortichiari, storico fondatore del partito nel 1921 e Luciano Raimondi, già direttore del convitto “Rinascita”, del giovane Giorgio Galli, “braccio destro” di Seniga. Lo strumento usato è quello delle Lettere ai militanti del PCI, con forti accuse ai dirigenti e la riproposta di un partito classista. Nel 1956, i fatti internazionali (denuncia del ruolo di Stalin, scioperi in Polonia, repressione della rivolta in Ungheria) sembrano permettere la nascita di una formazione autonoma ed alternativa al PCI. Fortichiari e Raimondi sono espulsi, si aggregano i trotskisti dei GCR (Livio Maitan), i bordighisti del PC internazionalista (Onorato Damen), gli anarchici classisti dei GAAP (Pier Carlo Masini) che danno vita al Movimento della sinistra comunista in un incontro nazionale a Milano. Amadeo Bordiga, reale fondatore del Partito comunista nel 1921, sarà sempre estraneo a questa esperienza e fortemente critico.

Le dimensioni sono sempre modeste, ma l’organizzazione produce un foglio, finanziato con i fondi di Seniga. Le difficoltà sono, però, enormi, soprattutto per le differenze interne. E’ criticata la scelta dei trotskisti di “entrismo” nel PCI. Le valutazioni sull’URSS vedono contrasti fra richiami stalinisti, giudizio trotskista di stato operaio degenerato, quello bordighista di capitalismo di stato, dopo le critiche verso i comunisti, il PSI di Nenni inizia a interessare Masini che vede nella prospettiva autonomista la possibilità di costruire una grande forza politica socialista che svuoti il PCI.

Trotskisti e bordighisti lasciano l’organizzazione. Seniga, il fondatore, viene espulso, con conseguenti enormi problemi per la stessa stampa e distribuzione del periodico. Scarsi i legami e insufficiente l’interesse per il ciclo di lotte operaie che si apre con l’inizio del decennio (opposizione al governo Tambroni, lotte degli elettromeccanici, nascita dei “Quaderni rossi”). Nuove divisioni sulla valutazione della Cina. La rottura URSS-Cina produce anche in Italia la nascita di formazioni “maoiste” e il maoismo sembra una variante rivoluzionaria del marxismo, davanti alla “coesistenza pacifica” sovietica, un ritorno a posizioni classiste, presenti nella generazione partigiana e nei protagonisti delle lotte contadine nel meridione. Se Fortichiari tenta una mediazione, nell’illusione di ritornare al PCI del 1921 e all’Internazionale, si delineano due posizioni opposte: Raimondi è sempre più vicino alle posizioni cinesi, l’ex GAAP che dopo il passaggio di Masini al PSI e al PSDI è diretto dai “genovesi” Cervetto e Parodi è passato dall’anarchismo classista al leninismo.

Nel 1965 la rottura definitiva. Raimondi darà vita ad una delle prime formazioni marxiste-leniniste (la Federazione m-l), Cervetto fonda i Gruppi leninisti della sinistra comunista (organo “Lotta comunista”).

Amico segue passo passo queste intricate vicende, fornendo una documentazione aggiornata (molto maggiore di quella di precedenti, parziali, studi). Non tralascia di ricordare come in queste vicende entrino lo spionaggio, la guerra fredda, i mai chiariti rapporti di Seniga con i Servizi segreti, il ruolo di Pace e libertà” di Luigi Cavallo, il ruolo dell’ex partigiano Edgardo Sogno.

Non mancano alcune valutazioni dell’autore sul fallimento di questo contraddittorio tentativo di “critica da sinistra” ai partiti storici: le generose illusioni di Fortichiari, sopravvissuto ad altre fasi storiche, le contraddizioni dei trotskisti di Maitan, vincolati da una analisi “scolastica”, le rigidità teoriche dei bordighisti, l’incapacità di Cervetto di rapportarsi alle novità teoriche portate da Panzieri, dai “Quaderni rossi” e dall’analisi del nuovo ciclo capitalistico.

Il testo è di grande utilità per conoscere pagine sepolte e dimenticate della storia della sinistra minoritaria italiana, anche nei suoi rapporti con tendenze europee. Spiace che molti archivi, come sottolinea l’introduzione, siano incompleti o poco frequentati. Se la tematica di quegli anni e di quelle formazioni ci pare lontana, il non lasciarla alla dimenticanza è comunque meritorio e diventa quasi compito morale per una generazione che è passata per dibattiti teorici, esperienze organizzative, sconfitte che hanno aperto il vuoto di oggi.


Giorgio Amico, Azione comunista. Da Seniga a Cervetto (1954-1966), Bolsena, Massari ed., 2020.

https://www.citystrike.org/2020/06/28/giorgio-amico-azione-comunista-da-seniga-a-cervetto-1954-1966/

venerdì 19 giugno 2020

A proposito di cultura "fascio-massonica"


Salvador Allende G.M. della Massoneria cilena

Giorgio Amico

A proposito di cultura "fascio-massonica"

Ottavio Terranova, vicepresidente nazionale Anpi e coordinatore dell’associazione in Sicilia, contestando duramente la nomina ad Assessore regionale alla cultura di Alberto Samonà autore di una poesia dedicata alle SS, “Guerrieri della luce" e ammiratore di Evola e Delle Chiaie ha affermato che «La cultura storica siciliana non può essere rappresentata da chi ha esaltato la “cultura” fascio-massonica». E' la prima volta che ci capita di sentire parlare di cultura "fascio-massonica" e la cosa ci ha non poco stupito vista l'autorevolezza del personaggio.
Francamente facciamo fatica a capire cosa c'entri la Massoneria con le SS, Evola e Delle Chiaie. Possibile che Ottavio Terranova ignori che i regimi fascisti perseguitarono ferocemente la massoneria che per Hitler e Mussolini era il braccio operativo del complotto giudaico e dunque andava eliminata dalla faccia della terra?
Possibile che ignori anche che le SS avevano una speciale sezione, di cui fece parte pure Evola,che aveva il compito di sradicare definitivamente la Massoneria dall'Europa occupata, o che migliaia di massoni francesi furono mandati dal regime filonazista di Vichy nei campi di sterminio nazisti?
Lui, uomo di cultura, ignora forse che Garcia Lorca fu fucilato dai falangisti anche perché massone, o che Salvador Allende fu Gran Maestro della Massoneria cilena prima di diventare presidente della Repubblica? O che 20 dei martiri delle Fosse Ardeatine erano massoni e che fra i Padri Costituenti ci furono massoni illustri?
Se è naturale che in un paese democratico, fondato sui valori della Resistenza e dove non è ammessa per legge l'esistenza di organizzazioni fasciste, un simpatizzante delle idee naziste non possa rivestire cariche pubbliche,totalmente diverso è il caso della Massoneria.
Naturalmente ciascuno è libero di  pensarla come meglio crede sulla Massoneria, le sue idee, i suoi riti, ma ritenere l'appartenenza alla Massoneria motivo ostativo a ricoprire cariche pubbliche rivela una singolare concezione della democrazia.
Pensa forse Ottavio Terranova che un cittadino italiano per il solo fatto di essere o di essere stato massone, cosa perfettamente legale in Italia come in tutti i paesi democratici, abbia meno diritti degli altri? Esistono forse cittadini di serie A e serie B a seconda delle convinzioni che liberamente e del tutto legittimamente manifestano?
Se davvero fosse così allora, oltre a chiedersi come fa un personaggio simile a rivestire cariche di responsabilità nell'ANPI, sarebbe il caso di iniziare a preoccuparsi seriamente.



lunedì 15 giugno 2020

Adriano Spatola alla galleria Entr'acte di Genova



ADRIANO SPATOLA
Z di zeroglifico
a cura di Sandro Ricaldone
Entr'acte
Via sant’Agnese 19R - Genova
18 giugno – 18 luglio 2020
orario: mercoledì-giovedì 16-19
no vernissage

Mentre è ancora in corso la mostra virtuale dedicata a Edoardo Sanguineti nel decennale della scomparsa, visitabile sulla pagina Facebook di Entr’acte
(http://www.facebook.com/EntracteGenova)
e sul sito Imago Sanguineti (http://imagosanguineti.altervista.org), lo spazio di via sant’Agnese 19R riapre anche fisicamente, con una rassegna in cui vengono proposti gli “zeroglifici” di Adriano Spatola, tratti da una cartella pubblicata nel 1981 da Carlo Marcello Conti, l’animatore delle edizioni Campanotto di Pasian di Prato.

La cartella (numero speciale monografica della rivista Zeta) comprende un foglio con la presentazione critica di Corrado Costa, la poesia lineare di Adriano Spatola Z di zeroglifico, sei zeroglifici in tiratura di cento esemplari, una nota biografica dell’autore e il colophon.
Prende nome dalla poesia di cui sopra, successivamente pubblicata nella raccolta La piegatura del foglio (Guida, Napoli, 1983) e recepita nel volume The Position of Things: Collected Poems 1961-1992, traduzione di Paul Vangelisti, postfazione di Beppe Cavatorta, København & Los Angeles, Green Integer, 2008.

La mostra sarà visitabile con le cautele vigenti nell’attuale situazione: ingresso, a turno, di non più di due persone, mascherina, disinfezione delle mani all’ingresso. Per evitare assembramenti non si terrà il vernissage. I lavori inclusi nella cartella saranno progressivamente riportati su una nuova pagina FB “Z di zeroglifico”.

Il design del manifesto-invito è di Roberto Rossini

sabato 13 giugno 2020

Se il situazionismo diventa l'ultimo rifugio delle canaglie


Qualche giorno fa abbiamo salutato con piacere l'arrivo nelle librerie della rilettura che Afshin Kaveh ha fatto del lascito teorico di Guy Debord, critico feroce e attualissimo di un mondo in via di disintegrazione. Da ragazzo Guy si era profondamente identificato in Arthur Cravan, boxeur professionista e poeta che, prima di scomparire misteriosamente nel 1918, aveva reso questo straordinario omaggio a Rimbaud.

Gasteropode amaro… e sorridevo all’erba,
grande trampoliere smarrito
triste di essere un pugile
ho bisogno di soldi,
Dio santo, che razza di tempo e di primavera!
le mie musiche gaglioffe, eccoti qua, vecchio faraone!
Della luna poco m’importava; i prati stravaganti;
mordevo i passanti; un record!
Pastorale, Egloga, Georgica,
Pazzo a essere un pugile pur sorridendo all’erba;
venti volte ho rinnegato il mio cuore. Non posso più restare…

Grande poeta Cravan, diventato un mito per Breton e i surrealisti, da cui Debord riprende l'idea che l'arte sia un grande incontro di boxe, parole e gesti come pugni contro una società di spettri. Afshin nelle sue pagine rende perfettamente questa visione. Oggi proponiamo la nostra introduzione al suo libro che consigliamo di leggere assieme al volume che Adelphi ha recentemente dedicato a Cravan.

Giorgio Amico

Se il situazionismo diventa l'ultimo rifugio delle canaglie

"Voglia il cielo che il lettore, imbaldanzito e diventato momentaneamente feroce come ciò che sta leggendo, trovi, senza disorientarsi, la sua via dirupata e selvatica attraverso gli acquitrini desolati di queste pagine oscure e venefiche; infatti, a meno che non ponga nella lettura una logica rigorosa e una tensione dello spirito pari almeno alla sua diffidenza, le micidiali esalazioni di questo libro gl'imbeveranno l'anima, come l'acqua lo zucchero. Non è bene che tutti leggano le pagine che seguono; solo pochi potranno assaporare questo frutto amaro senza rischio".

Il lettore un minimo smaliziato avrà riconosciuto l'incipit folgorante de I Canti di Maldoror di Lautréamont, opera carissima a Debord che la prese a riferimento cardine della sua intera esperienza dai giovanili esordi lettristi nella Cannes conformista della fine degli anni Quaranta agli anni amari dell'autoesilio di Champot, gli anni del ritiro da un mondo diventato integralmente spettacolo che nelle sue presunte avanguardie intellettuali osava definirsi situazionista citando a vanvera idee che era incapace di comprendere e di assimilare.

A chi si avvicini all'ultimo lavoro di Afshin Kaveh tocca lo stesso ingrato compito: mettere in guardia il lettore scrivendo come sulle confezioni delle sigarette: Attenzione! Questo prodotto nuoce gravemente alla salute.

Si, perché il libro che girate nelle mani e state per aprire è un'opera pericolosa, tale da nuocere gravemente all'assoluta mancanza di pensiero del mondo accademico e al sovversivismo fasullo degli imbonitori televisivi che per fare audience si aggrappano a Debord sperando di fare scandalo con il minimo di spesa. Tanto che si può tranquillamente affermare che , come il patriottismo per Samuel Johnson, così questo presunto situazionismo evirato ed imbelle, guarnito di veline e Gabibbi, è l'ultima risorsa delle canaglie intellettuali, a partire da quelle che hanno costruito le loro fortune nelle anticamere televisive berlusconiane. E dunque ben ragione aveva avuto Debord a negare persino l'esistenza di un qualcosa definibile situazionismo, essendo la sua non una weltanschauung adattabile alla fase della decadenza senile del modo di produzione capitalistico, ma una sorta di gioco strategico atto a fornire i capisaldi teorici di una guerriglia di lungo periodo fatta di situazioni dove l'arma del ridicolo contro i detentori di una cultura e di un'arte ridotta a mera merce giocasse un ruolo non secondario.

L'utilità di questo saggio, densissimo e profondo, che l'autore con eccessiva modestia definisce pamphlet, consiste proprio nel recupero integrale della radicalità del pensiero di Debord , della sua assoluta irriducibilità ad un uso funzionale al mantenimento dello stato di cose presenti e dunque del potere. Lo stesso rifiuto che l'autore metodologicamente compie di dare un ordinamento temporale al suo lavoro, accavallando momenti, situazioni, pensieri, permette di entrare in profondità, ci si passi il termine, nella poetica debordiana, svelandone la complessità ma anche le contraddizioni, ma soprattutto facendola ritornare cosa viva.

Una lettura sovversiva, l'unica possibile, di un pensatore sovversivo, capace di prefigurare con mezzo secolo di anticipo l'inferno quotidiano in cui oggi ci ritroviamo a vivere, dove neppure il gesto artistico per quanto pensato come radicale è più capace di rappresentare una possibile via di fuga dalla banalità. E dunque ben vengano i mangiatori di banane spacciati da un Cattelan quale ultima frontiera dell'arte come se futuristi, dadaisti, surrealisti non fossero mai esistiti.

In questo farci sentire contemporanei di Debord, molto più di chi allora ebbe la ventura di vivere con lui, sta il fascino di questo libro che senza infingimenti già dalle prime righe chiarisce da che parte si schieri l'autore. Un incipit che ci ha riportato ad anni passati, al vecchio glorioso manifesto dell'occupazione di Palazzo Campana con il manichino imparruccato del potere accademico trafitto dalla lama della rivolta studentesca. Un assassinio rituale, gioiosamente crudele, che era prima di tutto uccisione simbolica dei padri che con la loro onnipotenza castratoria ci impedivano di crescere.

Il pensiero di Debord rappresentò quella lama che la mia generazione ancora imbevuta di un marxismo-leninismo ossificato fu incapace di impugnare e di usare con efficacia, in Francia come in Italia. Poche furono le eccezioni, Afshin le cita, velocemente, perché, come scrive, si tratta di "un'altra lunga storia che meriterebbe un approfondimento in altra sede". Io, che di quella storia fui se non altro per motivi anagrafici piccolissima parte, ricordo in particolare Gianfranco Faina, compagno di lotte nella Genova del '68 e poi relatore della mia tesi di laurea, lasciato morire senza cure in carcere dalla nostra Repubblica "democratica fondata sul lavoro" che nega un futuro ai giovani, il cui accanito voler essere cattivo maestro ritrovo in queste pagine che mi piacerebbe fossero idealmente a lui dedicate.

Savona, gennaio 2020




venerdì 12 giugno 2020

VITRIOL e Massoneria


Finalmente disponibile in libreria l'ultimo libro di Raffaele K. Salinari, resoconto di un viaggio iniziatico alla ricerca del senso autentico della vita.



V.I.T.R.I.O.L., Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem. Questo è l’acronimo alchemico-latomistico che esorta al viaggio verso la Pietra Occulta, posta al centro dell’essere. Per arrivarci, dice la formula, dobbiamo «rettificarci», operare cioè rettamente «dentro» e «fuori» di noi; la «retta via» diviene così metafora della meta stessa. Ma questo cammino, per essere percorso, ha bisogno che le pietre corrispondano pur mantenendo le loro diversità, le linee di fuga; la malta per connetterle sta allora nel percepire le sottili connessioni che legano tra loro tutti gli aspetti della manifestazione, a partire dall’unicità della nostra stessa esistenza. Per renderlo possibile, nelle pagine dedicate alle singole parole che compongono il V.I.T.R.I.O.L, sono innestate digressioni ad un primo sguardo forse eccentriche, ma che, proprio dal cambio di prospettiva, possono allargare l’orizzonte del viandante. Sono immagini accomunate dal senso della ricerca interiore, sfaccettature di quella tensione verso la Verità che, anche se non tutti consapevolmente ricercano, certo esiste nell’intimo di ognuno.

giovedì 11 giugno 2020

Sul Covid-19 e come uscirne migliori


Giorgio Amico

Sul Covid-19 e come uscirne migliori

Da molte parti si afferma che la vita dopo la pandemia da Covid-19 non potrà tornare più come prima. L'affermazione in sè è ambivalente e può essere intesa in modi molto diversi, dal catastrofismo di chi pensa che le basi stesse della società e dell'economia globalizzata siano state compromesse tanto in profondità da impedirne la ripresa. al millenarismo di chi pensa alla nascita di un'umanità nuova moralmente rigenerata dalla tragedia attraversata. Insomma: o tutti rovinati o tutti migliori. In realtà, come sempre accaduto, dalla peste del Trecento alle guerre mondiali del Novecento, le cose non funzionano così. Dopo le grandi tragedie la vita riprende più o meno celermente il suo corso incurante dei lutti e delle rovine e gli uomini dimenticano presto. Lo aveva ben capito Benjamin nelle sue tesi sul concetto di storia:

«C'è un quadro di Klee che si chiama Angelus Novus. Vi è rappresentato un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui ha fisso lo sguardo. I suoi occhi sono spalancati, la bocca è aperta, e le ali sono dispiegate. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un'unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e riconnettere i frantumi. Ma dal paradiso soffia una bufera, che si è impigliata nelle sue ali, ed è cosi forte che l'angelo non può più chiuderle. Questa bufera lo spinge inarrestabilmente nel futuro, a cui egli volge le spalle, mentre cresce verso il cielo il cumulo delle macerie davanti a lui. Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera».

Sembra una visione totalmente pessimistica, ma non è così. Poco prima il filosofo aveva annotato:

«Nell'idea di felicità risuona ineliminabile l'idea di redenzione. Ed è lo stesso per l'idea che la storia ha del passato. Il passato reca con sé un indice segreto che lo rinvia alla redenzione. Non sfiora forse anche noi un soffio dell'aria che spirava attorno a quelli prima di noi? Non c'è, nelle voci cui prestiamo ascolto, un'eco di voci ora mute? Le donne che corteggiamo non hanno delle sorelle da loro non più conosciute? Se è così, allora esiste un appuntamento misterioso tra le generazioni che sono state e la nostra. Allora noi siamo stati attesi sulla terra. Allora a noi, come ad ogni generazione che fu prima di noi, è stata consegnata una debole forza messianica, a cui il passato ha diritto».

Se l'idea della storia come progresso è una tragica illusione, l'idea di redenzione resta ineliminabile dalla vita degli uomini, come fonte di senso e di significato. Così come attuale resta l'insegnamento del rabbino Hillel che l'intero sapere della Torah si compendia in due domande fondamentali: Se non noi, chi? Se non ora, quando?

Allora, se è una illusione che la tragedia del Covid-19 possa da sola modificare quelle che sono le leggi di funzionamento dell'attuale società o addirittura rigenerare moralmente l'umanità, è invece assolutamente vero che essa può essere a livello individuale un momento fondamentale di conversione, di riscoperta cioè di quel principio messianico di redenzione di cui parla Benjamin. Sia ben chiaro, a evitare fraintendimenti, conversione pienamente laica ad una religione civile (alla maniera dei vecchi giellisti) basata sulla riscoperta del senso di responsabilità individuale che l'attuale società di massa tende sempre più a soffocare. Responsabilità verso sè stessi in primo luogo, responsabilità verso gli altri, responsabilità verso la natura intesa nel suo senso cosmico di un insieme organico e vivente di elementi di cui facciamo parte integrante. Insomma, quell'ecologia della mente di cui parlava Bateson.
Come in ogni momento epocale di svolta, la pandemia ci interroga ponendoci le stesse domande che sempre sono state poste agli uomini di buona volontà: se non a me, a chi tocca impegnarsi perchè il mondo sia più umano? Se il momento di questo impegno non è adesso, allora quand'è?

Se è del tutto irrazionale, come fa una certa sinistra, in tutto simile in questo ai predicatori medievali che attribuivano la peste al diavolo, associare la pandemia al capitalismo in un rapporto strettissimo di causa-effetto, perchè le grande tragedie di questo tipo hanno motivazioni e cause indipendenti dalle scelte politiche ed economiche degli uomini e tocca semmai alla medicina indagarle e non un marxismo tutto ideologico, presunta scienza delle scienze; ciò non toglie che negli sviluppi di una pandemia come quella scatenata dal Covid-19 e soprattutto nei modi di affrontarla e ancora di più prevenirla, la politica e l'economia c'entrino e non poco. Quanto ha contato, ad esempio, l'ideologia neo-liberista trionfante dagli anni Ottanta del secolo scorso e il conseguente progressivo smantellamento del sistema sanitario pubblico, in Italia, ma anche in Gran Bretagna e nei paesi più sviluppati d'Europa? Quanto ha inciso la sconfitta storica del movimento operaio e il conseguente abbandono un po' ovunque del compromesso socialdemocratico su cui dagli anni del New Deal rooseveltiano si reggevano le società occidentali? Quanto la perdita di centralità sulla scena politica, e non solo in Italia, del ruolo dei sindacati come strumento di partecipazione dei lavoratori all'assunzione delle grandi scelte strategiche? Per non parlare del declino storico della tradizionale forma-partito, sostituita sempre più da forze politiche espressione di lobby ristrette e autoreferenziali se non addirittura proprietà personale di un leader carismatico, presentato come uomo della Provvidenza.
Date queste condizioni, l'assunzione individuale di responsabilità non può non significare che il ritorno ad un rinnovato impegno politico a partire da pochi, chiari, punti:

- Il fallimento dell'attuale modello di sviluppo, incentrato sullo sfruttamento intensivo delle risorse naturali e su di una ideologia consumistica spinta al parossismo.

- La necessità, evidenziata con chiarezza dall'attuale emergenza sanitaria, di un recupero della centralità dello Stato rispetto al mercato soprattutto per quanto attiene le scelte strategiche (anche in termini di investimenti) nei servizi pubblici essenziali: sanità, scuola, assistenza agli anziani.

- La piena regolarizzazione e contrattualizzazione del lavoro soprattutto di quello dei migranti a cui vanno garantite condizioni non solo di lavoro, ma anche di vita degne di un paese civile. Onde evitare il formarsi soprattutto nelle grandi aree urbane di sacche di emarginazione e di miseria e il manifestarsi, certo con il persistere dell'attuale normativa voluta dal governo Salvini-Di Maio, anche da noi di future rivolte come quelle attualmente in corso negli Stati Uniti o nelle banlieu francesi.

- Il potenziamento delle funzioni di controllo da parte della Banca Centrale sulle attività finanziarie sia per riportare ordine in un mondo in preda ad uno stato di anarchia (vedi casi MPS, CARIGE, banche venete e toscane) sia per garantire un reale accesso al credito da parte della piccola e media imprenditoria e delle famiglie. Un dato fondamentale oggi per la ripartenza di un sistema economico ormai in larga parte bloccato dalla forzata sospensione delle attività e dalla chiusura dei mercati internazionali.

- La piena consapevolezza che di fronte a problemi di tali dimensioni l'ambito nazionale si rivela ogni giorno di più drammaticamente insufficiente e dunque il rilancio pieno dell'idea di una Europa unita, democratica, solidale ed inclusiva. E questo a partire da una fiscalità comune che eviti il formarsi di paradisi fiscali (come l'attuale Olanda e Irlanda) e dalla costruzione di sindacati a livello europeo che uniformino forme contrattuali e livelli retributivi ad evitare la pratica della delocalizzazione delle imprese usata dal capitale come strategia per contenere i livelli salariali e massimizzare i profitti.

Ma cosa significa impegnarsi politicamente in un momento in cui la politica ha perso nel pensiero dei più ogni attrattiva e viene vista al massimo come mera gestione dell'esistente, se non addirittura il malaffare eretto a sistema? La risposta è semplice: rilanciare un'idea alta di politica significa oggi ripensare percorsi e modi di partecipazione, la volontà dichiarata di riprendere la parola, di uscire dall'io per tornare al "noi", partendo dal principio basilare che la libertà non è un principio astratto. Pensarlo sarebbe ricadere nella più vieta retorica. La libertà è possibilità concreta di pensare, di agire, di organizzarsi in un contesto e in un momento storico dato. Non a caso nella storia dell'Italia repubblicana il massimo di libertà corrispose alla fine degli anni '60 e all'inizio dei '70 con il massimo di partecipazione. Senza nostalgie o rimpianti è a quella grande stagione che dobbiamo guardare come a un punto di riferimento da cui ripartire. Riprendendo il messaggio profetico di Don Milani che nei primi anni '60 nelle campagne di Barbiana insegnava ai suoi allievi, figli di contadini esclusi dal diritto allo studio, che cittadinanza autentica significava prima di ogni altra cosa partecipazione.