venerdì 24 febbraio 2023

Quando le armi cecoslovacche salvarono Israele

 


Molti ignorano che il neonato Stato ebraico (e nato – chiariamo – non per atto proprio, ma per una decisione dell'ONU rifiutata dalle monarchie filo-inglesi che allora governavano i paesi arabi) sopravvisse nel 1948 all'aggressione di cinque Stati arabi (Egitto, Siria, Libia, Giordania, Iraq) grazie all'aiuto militare fornito dalla Cecoslovacchia. Fu grazie a questi aiuti che fu evitata una seconda Shoah. Pur vincendo la guerra, Israele perdette comunque più dell'uno per cento della sua popolazione. Una percentuale enorme anche considerando il numero limitato della popolazione del nuovo Stato.


Gita Zbavitelová

Le armi cecoslovacche che salvarono Israele


Un giorno dopo la proclamazione dello Stato di Israele, il 14 maggio 1948, una coalizione militare di paesi arabi attaccò il nuovo Stato. David Ben-Gurion si aspettava l'attacco, e poiché gli ebrei nella Palestina mandataria mancavano disperatamente di armi, aveva iniziato a cercarle molto prima della decisione delle Nazioni Unite del novembre 1947 di istituire gli stati ebraico e arabo.

Era in vigore un embargo internazionale sulle armi e l'unico paese disposto a vendere armi al nascente Stato di Israele era la Cecoslovacchia a corto di liquidità, che si offriva anche di addestrare piloti israeliani e altri specialisti. Il primo accordo tra l'Yishuv e la Cecoslovacchia fu firmato nel gennaio 1948 – e non era economico.

Gli israeliani ottennero dai cechi circa 400 tonnellate di mortai e altri armamenti pesanti, bombe aeree, fucili, munizioni, mitragliatrici, lanciafiamme, esplosivi, carri armati e veicoli da combattimento. Un accordo separato prometteva ventiquattro caccia Avia S-199 di costruzione ceca, una versione minore del Messerschmitt tedesco. Dopo il suo primo volo, Lou Lenart, un pilota di caccia americano e volontario, definì l'aereo "la peggior schifezza che abbia mai volato".

I primi piloti israeliani e volontari stranieri arrivarono in Cecoslovacchia prima dell'invasione araba, l'11 maggio 1948. L'addestramento era tutt'altro che finito quando scoppiò la Guerra d'Indipendenza; gli aerei da combattimento dovettero essere smontati frettolosamente, inviati in Israele e riassemblati.

Alla fine di maggio, i "Sakinim", come gli israeliani soprannominavano il Messerschmitt cecoslovacco, salvarono Tel Aviv. Seimila soldati egiziani stavano avanzando sulla città quando i piloti Lou Lenart, Ezer Weizman, Modi Alon e Eddie Cohen decollarono con i loro "Sakinim" e bombardarono gli invasori. In realtà inflissero solo danni minimi, ma causarono un enorme shock – gli egiziani non avevano idea che Israele avesse una forza aerea. Le truppe di terra ebraiche li attaccarono e l'Egitto si ritirò.

Nell' l'autunno, la Cecoslovacchia offrì anche i suoi Spitfire in eccedenza della seconda guerra mondiale e vendette 61 caccia a Israele.

Nel gennaio 1949, la Cecoslovacchia aveva addestrato circa 200 specialisti, paracadutisti e meccanici aeronautici israeliani, tra cui 82 piloti e 1.600 volontari provenienti dalla Cecoslovacchia e da altri paesi europei. Molti di loro scelsero dopo la Guerra d'Indipendenza di rimanere in Israele .

Per molte persone in Cecoslovacchia, aiutare Israele era una questione morale, mentre per altri era un'opportunità per fare soldi. Secondo un rapporto del 1952 del ministro degli esteri cecoslovacco Viliam Široký, la Cecoslovacchia ricevette quasi 14,5 milioni di dollari per le sue armi. Era un'enorme quantità di denaro per lo Stato di Israele, ma gli Avia S-199 hanno svolto un ruolo cruciale. Nel 1968, David Ben-Gurion disse: "Le armi cecoslovacche hanno salvato lo Stato di Israele, davvero e assolutamente. Senza queste armi, non saremmo sopravvissuti".

Nel febbraio 1948, la Cecoslovacchia divenne un paese comunista e da allora seguì ciecamente la politica dell'Unione Sovietica. Inizialmente, Stalin sostenne lo Stato di Israele, ma quando i partiti filo-sovietici persero le prime elezioni israeliane alla Knesset nel gennaio 1949, ritirò il suo sostegno – e così fece la Cecoslovacchia.

(Fonte: Jerusalem Post, 30 November 2020 – traduzione nostra)

* Nella foto: Il primo ministro David Ben-Gurion incontra due piloti di ritorno dal corso di addestramento in Cecoslovacchia: il generale Ezer Weizman, comandante in capo dell'aeronautica e il colonnello Daniel Shapiro. (Fonte: Istituto di storia militare di Praga)


Per un' Ucraina libera e indipendente

 


Per un' Ucraina libera e indipendente 

Pieno sostegno al popolo ucraino che resiste da un anno all'invasione russa.


La Russia moderna fin dall'inizio del Settecento con Pietro il Grande e poi con Caterina si è costruita sull'idea di Terza Roma, erede di Roma e Costantinopoli come centro della cristianità e della civiltà. In base a questo concetto si costruì un impero che andava dal confine polacco alla Manciuria, esteso su due continenti. L'unico impero rimasto, nonostante il crollo, prima dello zarismo e poi del comunismo sovietico. Lenin e i bolscevichi presero il potere nel 1917 proclamando il diritto all'autodeterminazione delle nazionalità non russofone. Forse ci credevano davvero, ma sicuramente fu uno strumento di propaganda importante nella lotta per la presa del potere. Alla prima occasione, nel 1939 approfittando della guerra scatenata insieme alla Germania nazista, la Russia, diventata URSS, si riprese gli Stati baltici (Estonia, Lettonia, Lituania), larga parte della Polonia e una parte della Finlandia. Insomma, Stalin, in nome del diritto dell'URSS ad avere confini sicuri, rioccupò una gran parte dei territori persi con la caduta dello zarismo.

Putin sta ora facendo la stessa cosa, non in più in nome del comunismo, ma della restaurazione del passato imperiale. Lo si vede anche nei simboli: l'aquila zarista come stemma della nuova Russia, il legame con il patriarcato di Mosca, la ripresa della teoria della Terza Roma.

Centrale nella visione putiniana è la ricomposizione dell'impero. L'indipendenza dell'Ucraina, dei paesi baltici, della Moldavia è considerata una ferita che deve essere sanata. E così dopo la pacificazione (leggi annientamento) della Cecenia, sono venute nel 2008 l'aggressione alla Georgia con l'annessione di parte del territorio, il sostegno alla secessione della Transnistria dalla Moldavia e poi l'occupazione della Crimea nel 2014, il sostegno al tentativo di secessione del Donbass, la creazione di un vero e proprio protettorato in Bielorussia e un anno fa l'invasione dell'Ucraina.

Eppure, nonostante questo, c'è chi cavilla sugli interessi russi minacciati, sulle ragioni che comunque Putin avrebbe avuto. Se costoro fossero onesti, con gli stessi argomenti, dovrebbero riconoscere le ragioni non molto diverse che spinsero Hitler nel 1939 (assieme a Stalin, lo ricordiamo ancora per chi non ama sentirlo) a invadere la Polonia e a scatenare la seconda guerra mondiale.

La guerra in Ucraina è una guerra d'aggressione, che viola le basi del diritto internazionale e della pacifica convivenza dei popoli. Per questo va condannata e fermata.

Ormai è evidente che, come per gli USA in Vietnam, Putin non si fermerà e accetterà di trattare solo quando sarà evidente che la guerra non può essere vinta.

Per questo è fondamentale fornire all'Ucraina i mezzi militari per potersi difendere dall'aggressione. Sostenere che aiutare militarmente l'Ucraina significa far continuare la guerra è oltre che la negazione dell'evidenza, un'infamia. Chi lo fa si fa complice dell'aggressione e ha le mani sporche del sangue del popolo ucraino.

La guerra è una tragedia, ma sostenere chi si difende dall'aggressione e dalle barbarie è un dovere. Come  in Spagna nel 1936, come durante la Resistenza contro i nazisti, come in Vietnam contro gli americani.



lunedì 20 febbraio 2023

Se la sinistra si affida al magistero della Chiesa



Mi ha molto colpito che realtà che del laicismo fanno una bandiera indicano una manifestazione dove il principale oratore è il vescovo della diocesi e che dunque partecipa in veste ufficiale. Ovviamente è del tutto lecito affidarsi al magistero della Chiesa in questo come in ogni altro campo. Ma poi non si protesti quando questo magistero viene esercitato su temi come il fine vita, l'aborto, la scuola. Soprattutto non si parli di intromissioni della Chiesa nella politica e di difesa dello Stato laico. Che la sinistra, vedi dichiarazioni ultime di Landini, si affidi al Papa e alla Chiesa cattolica per dare forza alle sue battaglie è la più lampante dimostrazione della sua attuale miseria politica e culturale. Togliatti e il PCI cercarono sempre l'incontro con il mondo cattolico, ma su un piano di parità e mai mettendosi sotto il mantello della Chiesa. E fu comunque, come la storia ha dimostrato, un errore sia nel 1947 con l'articolo 7 della Costituzione che con il compromesso storico negli anni 70. Certo il Papa parla di pace, ma la sua soluzione è invitare al dialogo, pregare e affidare la "martoriata Ucraina" alla Madonna. Meglio che il silenzio, certo. Ma tra questo e un concreto impegno politico per la pace esiste appunto la differenza che corre tra politica e religione.

sabato 11 febbraio 2023

Fermare la guerra di aggressione russa! Pace per l'Ucraina!

 

Fermare la guerra di aggressione russa! Pace per l'Ucraina!


Venerdì 24 febbraio ricorrerà il primo anniversario dell’invasione dell'Ucraina da parte dell'esercito russo, per ordine di Putin e del suo regime. Un anno di indescrivibili sofferenze e di spargimento di sangue per il popolo ucraino.

L'invasione totalmente ingiustificata è già costata la vita a decine di migliaia di civili e soldati ucraini. Ogni giorno il popolo ucraino si confronta con la brutalità e la violenza. Milioni di civili sono stati costretti a fuggire all'estero, milioni di altri sono sfollati all’interno del paese.

Intere città e villaggi sono stati ridotti in rovina dagli attacchi aerei e dai bombardamenti russi. Le infrastrutture civili (reti elettriche e di riscaldamento, scuole, ospedali, ferrovie, porti, ecc.) sono state sistematicamente distrutte, rendendo il Paese invivibile.

Putin vuole rendere impossibile un’Ucraina indipendente e vitale:

• L'esercito russo ha commesso omicidi di massa di civili e soldati ucraini in molti luoghi. Il destino di diverse migliaia di persone è ancora sconosciuto. Le campagne di stupro di massa e l’omicidio per stupro sono strategie di attacco consolidate. Con ogni liberazione di un villaggio o di una città ucraina, nuovi crimini vengono rivelati.

• Molti civili ucraini (tra cui diverse migliaia di bambini) sono stati deportati in territorio russo, senza permesso e spesso con la forza.

Giustamente il popolo ucraino rifiuta di essere una vittima passiva di questa guerra di aggressione e resiste attivamente e massicciamente all’invasione, con o senza armi. La diffusa solidarietà reciproca e l’autorganizzazione della popolazione giocano un ruolo cruciale nel permettere a questa resistenza di continuare, così come il sostegno internazionale in molte differenti forme.

Il massacro del popolo ucraino sotto agli occhi del mondo e la distruzione dell’Ucraina indipendente devono finire! La protesta internazionale più forte possibile contro l’invasione russa e la più ampia solidarietà possibile con il popolo ucraino sono più che mai necessarie.

Noi, organizzazioni e individui di tutto il mondo, chiediamo che la settimana del 24 febbraio sia una settimana globale di azione contro l’invasione russa e di solidarietà con l’Ucraina.

• Pace per l’Ucraina, no alla guerra russa! Cessazione immediata dei bombardamenti e ritiro di tutte le truppe russe dall’Ucraina.

• Il più ampio sostegno possibile e la più ampia solidarietà al popolo ucraino nella sua giusta resistenza all’invasione russa.

Réseau européen de solidarité avec l'Ukraine


giovedì 9 febbraio 2023

A proposito di foibe

 



Marco Bellonotto

A proposito di foibe


Direttore interinale della biblioteca civica di Trieste, nella primavera del 1945, era Pier Antonio Quarantotti Gambini. Non sarebbe tempo perso, in questi due giorni di polemiche stantie, inutili e inefficaci (si ripetono di anno di anno sempre con le medesime modalità) leggere il suo "Primavera a Trieste. Ricordi del '45", pubblicato per la prima volta nel 1951: un racconto "in presa diretta" del clima che si respirava in città e nei dintorni che furono teatro di atrocità e violenze.

Il libro di Quarantotti Gambini, per l'asciuttezza dei resoconti basati sugli appunti diaristici che l'autore - membro del Cln triestino - prese dal 29 aprile al 25 maggio, per l'equilibrio della scrittura anche in un frangente così drammatico, non poteva essere brandito né da chi ha strumentalizzato le foibe, né da chi ha cercato di minimizzarle; e ciò costituisce, a mio parere, una delle ragioni per cui non ha avuto il riconoscimento che meritava.

È un peccato perché decenni dopo, una nuova stagione di studi postideologici avrebbe confermato la veridicità di gran parte delle sensazioni registrate allora dallo scrittore istriano. E tra queste la percezione che le foibe non furono soltanto - come la sinistra radicale ripete con superficiale monotonia - un'esplosione di odio popolare antitaliano per le violenze subite dalle popolazioni slave lungo l'arco del Ventennio; limitarsi a questo aspetto che certo fu presente, così come non mancarono regolamenti di conti di carattere personale, è riduttivo (e anche un po' giustificazionista).

Dunque non di una vendetta rivolta al passato si trattò, ma dell'applicazione di un pianificato metodo terroristico, contenuto in buona parte nelle direttive emanate dal Comitato centrale del Partito comunista sloveno (e già impiegato altrove: eliminare, in tempi brevi, i futuri, possibili oppositori politici del nuovo regime, i cosiddetti "nemici del popolo", e spaventare il resto della popolazione), di occupazione e controllo del territorio in una prospettiva annessionistica, e quindi rivolta al futuro.

Detto in altri termini: "Le foibe furono, in misura non secondaria, un'azione di epurazione preventiva di oppositori reali e potenziali, in funzione dell'avvento del regime comunista totalitario" (Elio Apih, "Le foibe giuliane", Gorizia, LEG, 2010, p. 91).

È davvero così difficile prenderne atto e chiudere questa contesa? O quantomeno tentare di togliere alla destra neofascista il motivo di tanto strèpito e, soprattutto, di un indegno uso politico della storia?


Italo Calvino, Cronache di fabbrica (1951)

 












Dal 1948 Calvino lavorò all'edizione torinese de l'Unità come cronista. Riprendiamo qui un suo articolo del 1951.

Dal nostro inviato in fabbrica

Alle Acciaierie delle Ferriere. Gli «scriccatori» hanno un lavoro duro. Tutto il giorno col pesante martello pneumatico tra le braccia, che sussulta, che vibra, che tiene braccia e petto in un continuo «ballo di San Vito», con le gambe piantate salde per trattenere i balzi dello strumento? e piegate sui ginocchi perché la punta d'acciaio morda nei lingotti che scorrono bassi sulla linea. La «scriccatura» è l’eliminazione delle «cricche» ossia dei difetti di fusione delle «billette» o lingotti. Dove la «billetta» presenta un nodo, una bolla, un’escrescenza, là si fa vorticare l'urlante, divoratrice punta del martello: intanto la teoria dei lingotti scorre impassibile sulla linea. Gli «scriccatori», abituati a quel lavoro insieme di forza e di precisione, sono tipi ostinati e pignoli, amano le cose nette come i lingotti senza scorie.

Un giorno vengono in reparto i cronometristi. Brutto segno — pensano gli operai —, quando cominciano a prendere i tempi bisogna aspettarsi sempre il peggio. Dicono ci sia stata una modifica alla linea: le operazioni dovrebbero esser facilitate e i 450 chili all'ora di materiale prodotto dovrebbero esser superati. I cronometristi sono qui per fare i nuovi calcoli.

Gli «scriccatori» lavorano, guardinghi. Tra le «billette», si sa, ci sono quelle con difetti e quelle senza, che passano via tranquille, senz'esser sottoposte al martello pneumatico. Quel mattino, va a sapere, erano tutte «billette» lisce come petali di rosa. La produzione filava via d'incanto.

Una voce corse pel reparto: «Attenti! Qui c’è un trucco! Hanno messo in linea una scorta di lingotti buoni! Vogliono fregarci!».

Difatti, dal calcolo dei cronometristi, la produzione oraria andava portata a 900 chili all’ora: raddoppiata, nientemeno. E di lì a poco, scomparsi i cronometristi, sulla linea ricominciarono a scorrere lingotti con «cricche» grosse come teste di neonato. Come facevano a corrergli dietro coi martelli, a quel ritmo? Era un inferno. Il reparto scese in sciopero.

Non fu sciopero da poco. Quel che è calcolato coi cronometri è legge, dice la Direzione. Ma intanto i martelli neumatici stavano fermi, tetterò fermi diciannove giorni. Finché non l’ebbero vinta. Si rifecero i conti senza trucchi sfacciati, i lingotti ripresero a passare sulla linea a un ritmo normale, e i martelli pneumatici a cantare, liberatori d’ogni impurità.

...

Alla Grandi Motori poco tempo fa morì un operaio. Era stato un uomo sfortunato. Già era cieco d’un occhio per una disgrazia sul lavoro. Era addetto al caricamento degli elevatori della fonderia: riempiva di creta i carrelli che salgono su per la catena.

La fonderia era un'officina nuova, inaugurata da due mesi. Agli operai era stato tolto il cottimo della vecchia fonderia e non era ancora stato stabilito quello nuovo; venivano pagati sulla media aziendale.

Il caposquadra era un negriero. Apparteneva a quella triste genia che un posto di comando trasforma in aguzzini, e che sono per natura destinati a fare da strumento ai poteri dispotici. Urlava, sopra lo sferragliare delle macchine, insultava, inveiva.

Frastornato da quegli urli, l'operaio cieco da un occhio sgobbava a caricare di terra rossa i carrelli. Ma nell’elevatore, la terra ogni tanto cadendo dai carrelli finisce tra i denti della catena e la fa scivolare. Allora erano nuovi insulti del capo. L’operaio orbo, per prevenire una di queste fermate, volle pulire la cinghia mentre la macchina era in moto, e si ficcò in uno stretto vano sotto la macchina. Forse fu il ferro con cui voleva spinger via la creta che restò impigliato nella cinghia e lui cercò di riprenderlo a ogni costo per non fermare la macchina, e fu trascinato dentro; forse per l'occhio cieco non riuscì a calcolare bene i suoi movimenti in quello stretto spazio: sta di fatto che la cinghia lo prese sotto e lo uccise.

Gli operai si fermarono, quel giorno. C’era un’atmosfera di spavento. L'indomani ripresero il lavoro abbattuti, a nervi tesi. Il capo sentiva che quel giorno non andava, che non riusciva a affermare la sua autorità, e, apprensivo di natura come sono di solito quei tipi, già temeva d’averla persa per sempre. Perciò non vedeva l’ora di forzare la mano, di riprendere le redini: al primo appiglio che ebbe, si lanciò a gridare contro un operaio, lo insultò. Si fermò tutta l'officina.

Non fu un arresto momentaneo. Continuò in un lungo sciopero. La Direzione fu costretta a riconoscere la ragione degli operai, chiese loro un rapporto dettagliato sulle prepotenze del caposquadra, accettò di trattare sui cottimi, di fissare le paghe di posto. Sarebbe una storia a lieto fine, questa, se ogni volta che guardano alle tazze dell’elevatore, agli operai non venisse da piangere.

...

La terza storia che voglio raccontare è un episodio individuale. Un vecchio operaio della Mirafiori sta per compiere i trent’anni d'anzianità Fiat: potrà ritirarsi non solo con l'irrisoria pensione della Previdenza Sociale, ma anche con le quindicimila al mese del «premio di fedeltà». L'indomani c’è sciopero generale. Il suo caposquadra lo prende da parte, gli dice: «Guarda, se vuoi un consiglio, domani vieni a lavorare. Ormai, a te che te ne importa? Tra poco vai in pensione. Se scioperi, ti licenziano adesso e perdi il premio di fedeltà...». Il vecchio ci pensa su, la notte si rigira nel letto. È uno che non s'è mai tirato indietro, uno che sa che tutto quello che gli operai hanno — anche quello che pare concessione ei padroni — ce lo si è guadagnati lottando. Certo, oggi, ormai... alla vigilia d'andare in pensione... giocarsi così quell'unico sostentamento per gli ultimi suoi anni...

Indeciso, il mattino s’awia alla Mirafiori, con la borsa in mano, come sempre. Si ferma a guardare sul piazzale. Incontra i suoi compagni di reparto. «Parin, dove vai? Non sai che c’è lo sciopero?».

«Ma — dice il vecchio — il mio è un caso speciale, sentite un po’...».

Ma gli operai non gli danno retta, hanno altro da pensare, e continuano nelle loro discussioni sullo sciopero.

Il vecchio sta alle loro calcagna, ascolta, ogni tanto cerca di richiamare l’attenzione di qualcuno: «Ma nel mio caso, sapeste...».

Alla fine, dopo un’ultima occhiata alla fabbrica, grida: «Oh, diavolo! Per quei quattro soldi! In trent'anni non mi son mai venduto, mi devo vendere adesso? Sciopero anch'io! Solo se si fa così lo sciopero riesce e non è licenziato nessuno!».

E così è andata, difatti.


L'Unità 3 marzo 1951



lunedì 6 febbraio 2023

CARLO MONTESELLO città, paesaggi, tramonti

 



CARLO MONTESELLO

città, paesaggi, tramonti

a cura di Lorenzo Penco

Entr'acte

via sant'Agnese 19R – Genova

8 febbraio – 1 marzo 2023

orario: mercoledì – venerdì 16-19 apertura mostra:

mercoledì 8 febbraio 2023, ore 17


Carlo Montesello disegna instancabilmente: volti su volti, figure, città reali e fantastiche, nature morte, copia i maestri, inventa storie, vive camminando, pensa agli aborigeni, fotografa, trasfigura le sue immagini al computer, sorride, danza sui e fra i tappeti orientali, è un folletto alto due metri, o un po’ meno, ride e sorride, racconta i suoi viaggi, disegna su calendari, sui rotoli di lottomatica, sui campionari di tappezzerie, li porta a Lorenzo che li porta qui, risponde al telefono, fa mille altre cose, insomma è lui Carlo, sempre lui

Appendiamo i suoi disegni alla parete, scegliamo paesaggi, proviamo gli accostamenti, giusti, forse, sulla parete di fondo una città, bianchi ghirigori su fondo azzurro, c’è un lago e in fondo una torre luminosa, ci sono barche e un castello, navi in volo, c’è tutto quel che può esserci e magari non deve, chi sa?, scalinate, fontane, cupole: un labirinto di segni, senza parole, alchimia di colori

Il catalogo è questo, niente titoli, si commenta da sé e sta lì inchiodato al muro, non abbiate fretta, fino al primo giorno di marzo che è mercoledì

(sandro ricaldone, 26 gennaio 2023)

Carlo Montesello (Genova, 1948), autodidatta, è uno degli esponenti del laboratorio di pittura di San Marcellino.