mercoledì 31 maggio 2023

L'esperienza della Cgil alla FIAT





E' disponibile sul sito Academia. edu l'ultimo quaderno della serie degli Archivi del movimento operaio.di cui riprendiamo la presentazione.

Presentiamo una lunga recensione di Vittorio Rieser del libro di Emilio Pugno e Sergio Garavini sulle lotte operaie alla FIAT dagli anni della ricostruzione ai primi anni Settanta. Apparso nel 1975 su “Politica comunista”, la rivista teorica di Avanguardia Operaia, il saggio testimonia di come a metà degli anni Settanta le avanguardie politiche di classe ritenessero la situazione ancora aperta a esiti positivi, pur esprimendo serie riserve sulla politica del compromesso storico del PCI e sulla pratica della concertazione sindacale, entrambe ai loro primi passi. Da qui la necessità per Rieser, prendendo spunto dal libro di Garavini-Pugno, militanti comunisti al di sopra di ogni sospetto, di fare un bilancio di un ciclo di lotte, che anche se non iniziato con il '68 dalla stagione dei movimenti aveva ripreso forza e slancio, per individuarne potenzialità e limiti nell'ottica di un'ulteriore avanzata del movimento operaio. 

Come sappiamo, le cose sarebbero andate diversamente. Mentre la sinistra rivoluzionaria concludeva il suo ciclo “sovversivo” e si adeguava con l'esperienza di Democrazia Proletaria ai riti (e al malcostume) della politica parlamentare italiana, Berlinguer spingeva all'estremo il tentativo di ingresso al governo di un PCI presentato come forza normalizzatrice offrendo al padronato lo scalpo della combattività operaia. Una politica velleitaria e inconcludente che avrebbe portato da un lato alla sconfitta epocale simboleggiata dalla vertenza FIAT del 1980 e dall'altra al declino irreversibile dello stesso PCI. 

Il 1977 avrebbe testimoniato in modo eloquente il tentativo congiunto Cossiga-Lama-Berlinguer di criminalizzazione del movimento, posto brutalmente di fronte all'alternativa fra le scelte, entrambe perdenti, del riflusso nel privato o del salto nell'illegalità di massa. Una politica culminata nell'aprile 1978 nella sostanziale messa fuorilegge ad opera della magistratura padovana dell'intero movimento antagonista. 

 Nel breve arco di due anni la situazione descritta da Rieser nel suo articolo risultava così radicalmente mutata. Ai quadri comunisti della CGIL veniva ora demandato dal partito il controllo di una conflittualità operaia sempre più assimilata al terrorismo. Sono gli anni delle schedature di massa operate dalla Federazione comunista di Torino, dei rapporti con i servizi segreti e con i carabinieri del nucleo antiterrorismo di Dalla Chiesa finalizzati alla creazione di una rete di spionaggio interna alle fabbriche in funzione antibrigatista, ma che, come rivelerà lo scandalo del 1994 (vedi Appendice), in realtà utilizzata contro ogni forma di insubordinazione operaia anche quando la minaccia terrorista non esisteva di fatto più da anni. Una politica sciagurata che nell'arco di un decennio avrebbe portato al pieno ristabilimento del potere padronale in fabbrica e ad una passività operaia destinata a durare fino ad oggi. (G.A.)



sabato 20 maggio 2023

Italo Calvino a Parigi

 


Nel mare di pubblicazioni, in uscita o già in libreria, in occasione del centenario della nascita dello scrittore, il libro di Fabio Gambaro colma un vuoto. E lo fa con una leggerezza di scrittura che rende la lettura estremamente piacevole, senza mai scadere nel cronachistico. Un libro che consiglio a chi ama Calvino.

"Italo Calvino visse a Parigi per tredici anni, dal 1967 al 1980. Fu un periodo fondamentale per lo scrittore, sul piano personale e su quello letterario. La conoscenza approfondita della cultura francese di quegli anni (Parigi era la capitale della Nouvelle Vague, degli intellettuali engagés, dello strutturalismo, della psicoanalisi), e in particolare gli stretti legami con il gruppo dell'Oulipo (di cui facevano parte Raymond Queneau e Georges Perec) e con Roland Barthes, hanno impresso un'evoluzione fondamentale al suo lavoro e alla sua visione della letteratura.

In quegli anni nascono Le città invisibili, Il castello dei destini incrociati e Se una notte d'inverno un viaggiatore, romanzi molto innovativi, che suscitarono non poche discussioni sulla "deriva francese" dello scrittore.

Per Calvino, Parigi era al contempo un rifugio, un luogo d'esilio e di creazione letteraria, come si legge nel suo Eremita a Parigi. Per certi versi, la capitale francese diventa anche una fonte d'ispirazione. E non a caso se ne ritrovano le tracce in alcune delle sue opere, ad esempio nei racconti di Palomar.

Fabio Gambaro si concentra su questo periodo cruciale della biografia di Calvino per far luce su un'esperienza essenziale ma poco conosciuta dell'autore del Barone rampante. Senza dimenticare che gli anni francesi di Calvino evocano gli ambienti intellettuali parigini, quando la ville lumière era la vera capitale mondiale della cultura. In questa prospettiva, lo sguardo dello scrittore italiano sulla città si rivela ancora oggi acuto e stimolante".

(Dalla quarta di copertina)


Fabio Gambaro
Lo scoiattolo sulla Senna
L'avventura di Calvino a Parigi
Feltrinelli 2023

lunedì 15 maggio 2023

Il Grande Dizionario della Lingua d’Oc Alpina

 


Il Grande Dizionario della Lingua d’Oc Alpina


Sarà presentato al pubblico venerdì 26 maggio alle ore 17.30 presso lo Spazio Incontri della

Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo in Via Roma 15 a Cuneo il Grande Dizionario della Lingua d’Oc Alpina, ideato e curato dal Professor Sergio Maria Gilardino, che dopo aver insegnato letteratura comparata all’Università McGill di Montreal si è dedicato allo studio delle lingue del Piemonte, in particolar modo del walser e del piemontese letterario. Il progetto è stato realizzato grazie al sostegno della Fondazione CRC di Cuneo, che sin dalle prime fasi ha creduto nell'importanza di raccogliere e custodire un patrimonio linguistico e culturale straordinariamente vario, prezioso e ancora vitale quale quello delle varietà occitane alpine orientali.

Questo lavoro, iniziato nel 2008, è stato coordinato negli anni dal Comitato per il Grande Dizionario della Lingua d’Oc Alpina, diretto da Aldo Pellegrino e formato da studiosi ed esperti delle varietà occitane del Piemonte, quali Gianpiero Boschero e Renato Lombardo, cui nella fase finale si è aggiunto il supporto dell'Associazione Espaci Occitan.

Il primo risultato del progetto, che ha visto la raccolta e collazione di oltre venti fonti scritte e la realizzazione di una decina di indagini linguistiche in altrettante località non coperte da studi editi, è la creazione di un dizionario di oltre 54.000 lemmi, che sarà disponibile per la consultazione on line sul sito web espaci-occitan.org in formato pdf, fruibile e accessibile gratuitamente al pubblico, per la ricerca di termini in numerose varianti di occitano alpino. Una copia cartacea del lavoro è conservata presso la biblioteca di Espaci Occitan ed è a disposizione per la consultazione tradizionale. Questa prima fase di catalogazione e raccolta potrà auspicabilmente essere integrata in futuro da ulteriori interviste e fonti già raccolte in nuove località.

Interverranno alla presentazione il Presidente della Fondazione CRC Dott. Ezio Raviola, Michelangelo Ghio Presidente di Espaci Occitan, il Prof. Sergio Gilardino curatore del progetto, l’Avv. Aldo Pellegrino Presidente del Comitato per il Grande Dizionario della Lingua d'Oc alpina, e l’Avv. Gianpiero Boschero, redattore della sezione sulla grafia in conformità alle norme dell’Escolo dóu Po.

Saranno presenti anche redattori, informatori e raccoglitori che a vario titolo, con la loro preziosa collaborazione, hanno contribuito alla realizzazione di questo importante e utile strumento per lo studio e l’impiego delle varietà della lingua occitana alpina.

La partecipazione è libera; è gradita conferma allo 0171.904075, segreteria@espaci-occitan.org.

L'arte irregolare e le altre

 


L’ARTE IRREGOLARE E LE ALTRE

Prima parte


Letteratura – linguaggio – avanguardie
Museo d’arte contemporanea di Villa Croce
18 maggio – 28 giugno 2023

MARCO ERCOLANI
Il caso Robert Walser
giovedì 18 maggio, ore 17

GIUSEPPE ZUCCARINO
Il caso Louis Wolfson
giovedì 22 giugno, 0re 17

SANDRO RICALDONE
Art Brut e Avanguardie
mercoledì 28 giugno, ore 17

Dal 6 all’8 ottobre 2023 si svolgerà a Genova l’VIII Festival dell’Outsider Art e dell’Arte Irregolare organizzato da un comitato che coinvolge i maggiori esperti italiani del ramo e, per la parte genovese, dall’Istituto per le Materie e Forme inconsapevoli (I.M.F.I.) di Quarto e dall’Associazione San Marcellino.

Nel percorso di avvicinamento al Festival, il Museo d’arte contemporanea di Villa Croce ospita la prima parte di un ciclo di incontri sul tema del rapporto tra l’Arte Irregolare ed altre discipline, tra cui la letteratura, i procedimenti linguistici, le avanguardie novecentesche.


MARCO ERCOLANI
Il caso Robert Walser
Giovedì 18 maggio 2023, ore 17

Una breve relazione sulla “mite follia” di Robert Walser, scrittore svizzero di lingua tedesca, autore di Jakob von Gunthen, La passeggiata, I fratelli Tanner, prediletto da Kafka. I 526 “microgrammi” che racchiudono prose e romanzi scritti in una illeggibile e minuscola calligrafia, i colloqui con Carl Seelig, la degenza nei manicomi di Waldau e di Herisau, rappresentano l’enigma di Walser: come vivere inesistendo, nascosti al mondo reale, cercando nella scrittura la sola salvezza e nell’internamento psichiatrico l’unico adeguato rifugio all’intollerabile vita concreta. “Non mi trovavo affatto male in corsia. Si sta lì distesi come un albero abbattuto, non c’è bisogno di muovere un dito. Tutti i desideri si addormentano, come i bambini quando sono stanchi di giocare. Ci si sente come in un convento, o un’anticamera della morte”.

Marco Ercolani (Genova 1954) medico psichiatra e scrittore, è stato redattore di “Fanes”, rivista di cultura psicoanalitica, di “Arca. Quaderni di scrittura” e dei “Libri dell’Arca”, con Lucetta Frisa. Tra i libri pubblicati: Col favore delle tenebre (1987); Taccuini di Blok (1992); Vite dettate (1994); Lezioni di eresia (1996); Il mese dopo l’ultimo (1999); Carte false (1999); Il demone accanto (2002); Discorso contro la morte (2008); A schermo nero (2010); Turno di guardia (2011); Preferisco sparire: colloqui con Robert Walser 1954-1956 (2014); Destini minori (2016); Galassie parallele: storie di artisti fuori norma (2019); 14 luglio 1929. Due lettere a Freud (2022), Sentinella (2022), Nottario 2015–2021 (2023). Per le edizioni Viadelvento cura una plaquette di Alberto Giacometti e una di Bruno Schulz. Collabora a Doppiozero, La dimora del tempo sospeso, Il Grande Vetro, Pangea, Metaphorica, e al Festival internazionale di Poesia di Genova. Nel 2020 fonda il blog Scritture.


GIUSEPPE ZUCCARINO
Il caso Louis Wolfson
giovedì 22 giugno 2023, ore 17

La pubblicazione, nel 1970, del libro autobiografico Le Schizo et les langues, scritto direttamente in francese da un giovane e sconosciuto psicotico di New York, ha fatto sorgere non tanto un caso clinico, quanto piuttosto un caso letterario. L’opera infatti ha suscitato l’entusiasmo di scrittori quali Le Clézio e Auster, nonché l’interesse di filosofi come Deleuze e Foucault. In quel libro, l’autore spiegava quali bizzarre tecniche avesse inventato per eludere i discorsi in inglese, fastidiosi alle sue orecchie (specie quando provenivano da sua madre), trasformandoli in un miscuglio di parole francesi, tedesche, russe o ebraiche, simili per suono e senso a quelle di partenza. Quattordici anni dopo, da un altro suo volume, Ma mère, musicienne, est morte…, apprendiamo come è proseguita la sua esistenza: mentre lui dedicava molto tempo a scommettere sulle corse dei cavalli e a sognare un’estinzione della specie umana, sua madre si è ammalata di cancro, cosa che stranamente ha contribuito a far cessare l’ostilità che egli nutriva verso di lei. Ma le avventure dello «schizo» sono continuate anche in seguito, con una vincita milionaria alla lotteria elettronica e il trasferimento in Porto Rico, dove, ultranovantenne, vive tuttora.

Giuseppe Zuccarino, nato nel 1955, è critico e traduttore. Ha pubblicato vari volumi di saggi, tra cui Percorsi anomali (2002); Il desiderio, la follia, la morte (2005); Il dialogo e il silenzio (2008); Da un’arte all’altra (2009); Note al palinsesto (2012); Prospezioni. Foucault e Derrida (2016); Immagini sfuggenti. Saggi su Blanchot (2018); Interscambi. Filosofia, letteratura, pittura (2019); Forme della singolarità. Da Michaux a Quignard (2022). Ha tradotto fra l’altro opere di Bataille, Klossowski, Blanchot, Caillois e Barthes.


SANDRO RICALDONE
Art Brut e Avanguardie
mercoledì 28 giugno 2023, ore 17

Il concetto di Art brut è stato creato nel 1945 dal pittore francese Jean Dubuffet per indicare le produzioni artistiche realizzate al di fuori delle norme estetiche convenzionali (da autodidatti, psicotici, prigionieri, persone completamente digiune di cultura tradizionale). Tra questa arte irregolare e l’arte delle avanguardie del Novecento esiste un rapporto dialettico che, a partire dall’Espressionismo, attraversa il Surrealismo e approda, dopo il secondo conflitto mondiale, a CoBrA estendendosi sino ai nostri giorni.

Sandro Ricaldone (Genova, 1951) è uno studioso e critico d’arte. Dall’inizio degli anni ’80, in parallelo con la proposta di giovani artisti, ha avviato una serie di approfondimenti intorno a gruppi e movimenti attivi nel secondo Novecento, da Cobra a Fluxus, soffermandosi in particolare sul Lettrismo, il Bauhaus Immaginista e la Scrittura Visuale. Ha presentato e organizzato esposizioni di alcuni fra i protagonisti di queste avanguardie contribuendo ad altre significative rassegne d’insieme. Tra le sue pubblicazioni più recenti: L’avant-garde se rend pas (2018) e Da una non breve unità di tempo (2023). È curatore del MADFI – Museo Attivo delle Forme Inconsapevoli di Genova Quarto.

venerdì 5 maggio 2023

Nascita delle Costituzioni di Anderson (1723)

 


Appena uscito su Academia.edu il settimo dei quaderni per la storia della Massoneria e dedicato alle Costituzioni di Anderson del 1723.

Questi i Quaderni precedenti, tutti scaricabili da academia.edu







mercoledì 3 maggio 2023

Latino, oc e oïl: testi e lingue medievali dall’Atlantico al Po

 


Latino, oc e oïl: testi e lingue medievali dall’Atlantico al Po

Un maggio medievale con l’Espaci Occitan aspettando la Fiera degli Acciugai di Dronero


L’Associazione Espaci Occitan di Dronero organizza per maggio una breve rassegna dedicata al Medioevo, e in modo particolare alle strette relazioni tra lingua e mondo d’oc e d’oïl.

Si comincia sabato 13 maggio alle ore 10.30 presso la Cappella di San Salvatore a Macra con la presentazione dell’edizione fotografica de Gli Statuti della Valle Maira Superiore del 1441, un progetto di restituzione al territorio di questo importante documento storico. Introdurranno la giornata i saluti di Michelangelo Ghio, Presidente di Espaci Occitan, e Gabriele Lice, Assessore alla

Cultura dell’Unione Montana Valle Maira e Sindaco del Comune di Prazzo. Interverrà quindi il professor Giuseppe Gullino, già docente di Storia Medievale presso l’Università di Torino, trascrittore degli statuti e curatore del lavoro di traduzione italiana, ora in fase di realizzazione. Per concludere Secondo Garnero, cultore di storia locale, che illustrerà l’idea del progetto Valle Maira 28 maggio 2028, ed Erica Castelli professionista della comunicazione che presenterà il sito 1000annivallemaira.it, di cui è curatrice. Modera Rosella Pellerino. Seguiranno dibattito econclusioni.

Giovedì 18 maggio ore 17.30 presso la Confraternita del Gonfalone a Dronero sarà la volta di Andrea Giraudo, dottore di ricerca in “Filologia e critica” presso l’Università degli Studi di Siena e l’École Pratique des Hautes Études-PSL Paris, nonché assegnista di ricerca in Filologia romanza all’Università di Torino. Tema del suo intervento sarà Donne, cavalieri e astuzie d'amore tra oc e oïl: Flamenca e Joufroi de Poitiers: poco noti al grande pubblico, i duecenteschi romanzi in versi Flamenca (occitano) e Joufroi de Poitiers (francese) consentono non solo di guardare a dame, cavalieri e amori cortesi da un punto di vista diverso e complementare rispetto alla lirica, ma aprono anche interessanti prospettive su due mondi, quello d’oc e quello d’oïl, necessariamente connessi tra loro a tutti i livelli, come i testi presentati nella conferenza.

Si finisce giovedì 25 maggio, sempre alla Confraternita del Gonfalone di Dronero, con un doppio appuntamento: alle ore 17.30 Marco Piccat, già professore ordinario di Filologia Romanza all’Università di Trieste, parlerà di Tommaso III di Saluzzo e Le livre du chevalier errant, per cui ha curato l’edizione critica edita nel 2008. Il romanzo del marchese Tommaso III di Saluzzo fu composto in lingua d'oïl forse tra 1394 e 1396, anni in cui fu prigioniero dei Savoia-Acaia prima a Savigliano e poi a Torino, o più probabilmente in un soggiorno a Parigi fra 1403 e 1405, quando Tommaso rientrò a Saluzzo col manoscritto dell’opera. Autobiografia allegorico-didattica, narra il viaggio di un cavaliere prima alla corte di Amore, poi a quella di Dama Fortuna, per giungere infine, ormai vecchio e amaramente consapevole della caducità delle glorie terrene, alla dimora di Dama Conoscenza, che gli rivela la fede in Cristo come unico bene imperituro e gli permette di ritrovare la via della salvezza.

A seguire, sempre nel pomeriggio del 25 maggio, alle 18.45 Christine e Tommaso si raccontano,recita a due voci (durata 40’) incentrata sui personaggi di Christine de Pizan, prima scrittrice professionista della storia, e Tommaso III di Saluzzo. I due sarebbero stati a Parigi negli stessi anni, e Tommaso si servì della bottega di Christine per far realizzare le copie del proprio manoscritto.

La rassegna è realizzata con il sostegno della Regione Piemonte in collaborazione con la Parrocchia di Macra, la Confraternita del Gonfalone di Dronero e l’Istituto Superiore Denina di Saluzzo.

Tutti gli appuntamenti sono a ingresso libero e gratuito. Per informazioni Espaci Occitan, tel.0171.904075, segreteria@espaci-occitan.org, www.espaci-occitan.org, Fb@museo.occitano, Tw@espacioccitan, Ig @museooccitano.

martedì 2 maggio 2023

Navigatori del cielo stellato

 


Sono tre i luoghi dove il cielo stellato manifesta la sua potenza numinosa in tutta la sua terrificante e fascinosa bellezza: il deserto, l'alta montagna e il mare aperto. In questo suo ultimo lavoro Raffaele Salinari documenta il carattere archetipico e non meramente culturale di questo richiamo. Detto in altri termini il cielo stellato ci affascina in quanto uomini e non perché figli del Romanticismo. 

Raffaele K. Salinari

Navigatori del cielo stellato


«Sulla spiaggia di Sidone un toro tentava di imitare un gorgheggio amoroso. Era Zeus. Fu scosso da un brivido, come quando i tafani lo pungevano. Ma questa volta era un brivido dolce. Eros gli stava mettendo in groppa la fanciulla Europa. Poi la bestia bianca si gettò in acqua, e il suo corpo imponente ne emergeva abbastanza perché la fanciulla non si bagnasse… Europa intanto non vedeva la fine di quella pazza navigazione. Ma immaginava la sua sorte quando avessero toccato terra… Arrivarono ad una grande isola: Creta».

Cosi Roberto Calasso inizia il celebre Le nozze di Cadmo ed Armonia, saggio insuperabile di divulgazione dei miti Greci, di quelle storie che, come dice Sallustio nel suo Sugli Dei e il mondo, «non avvennero mai ma sono sempre». Da questo mito possiamo inferire molte cose, risalire ad esempio al principio fondativo della conquista dell’Europa, qui ipostatizzata da una giovane donna che proviene dalle spiagge dell’Asia minore, da Sidone appunto, rapita e violentata dal signore degli Dei, come di fatto, sino alla svolta europeista dopo il secondo conflitto mondiale, fu inteso il suo dominio da parte dei vari regni, imperi, stati in lotta tra loro, da quello romano al Sacro romano impero, dalla Francia napoleonica alla Prussia, dalla Germania nazista all’Italia fascista e via enumerando.  D’altra parte possiamo anche leggere nella genealogia di questo episodio il seme dell’ostilità tra Asia ed Europa, che Omero ha cantato magistralmente nell’Iliade.

Ma il mito come narrazione archetipica, capace cioè di svelarci le radici stesse della storia umana, è una manifestazione simbolica della realtà, e dunque racchiude in sé piani di lettura anche molto diversi tra loro, benché tutti irradiati da uno stesso “fuoco”, come le immagini di un caleidoscopio, sempre diverse anche se illuminate dalla stessa luce.

A. K. Coomaraswamy, studioso delle relazioni tra culture tradizionali di Occidente ed Oriente insieme a Renè Guénon, hanno evidenziato nei loro lavori sul significato esoterico del mito, come esso sia la «verità penultima» di cui ogni esperienza è il riflesso reale. In questo orizzonte di significati si inserisce anche la possibilità che il racconto mitologico, o la favola popolare, siano strumenti per tramandare antiche verità, oramai perse da tempo per l’esperienza dell’umanità attuale, degradate, dimenticate, ma che nell’antichità forse preistorica servivano per produrre effetti concreti, utili alla vita di ogni giorno. Questa è la tesi, estremamente documentata ed affascinate che propone Giorgio De Santillana nel suo Mulino di Amleto, quando ci narra dei racconti che conterebbero, sotto forma di leggenda popolare, ad esempio il cambio dell’eclittica che ha riposizionato le costellazioni celesti migliaia di anni or sono.

La navigazione celeste  

E allora, posiamo trovare qualche indicazione pratica anche nel mito di Europa? In quel suo viaggio sulla groppa di Zeus teriomorfo che parte dalla spiaggia di Sidone ed arriva a Creta? Pare proprio di sì, ed a suggerirlo sono le parole stesse che usa Calasso nel suo incipit quando parla della «pazza navigazione» di Europa sulla groppa del dio. Calasso non era a conoscenza di ciò che stiamo per dire ma, proprio per quella caratteristica intrinseca al mito che lui conosceva bene, forse qualcosa aveva già intuito. 

E infatti, uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Mediterranean Archaeology and Archaeometry, suggerisce che i marinai della civiltà minoica, il cui culmine possiamo datare all’Età del Bronzo che fiorì dal 2600 al 1100 a.C. e dunque immediatamente prima della guerra di Troia, navigassero orientandosi con le stelle utilizzando tecniche simili a quelle impiegate dalle culture polinesiane e micronesiane negli stessi secoli.

In particolare l’archeologo Alessandro Berio, ha avanzato delle ipotesi molto suggestive del fatto che l’antica civiltà minoica avesse elaborato tecnologie nautiche per sostenere i commerci marittimi, direttamente legati all’espansione della sua cultura e della sua ricchezza in tutto il Mediterraneo. La bellezza, ma anche l’opulenza dei suoi palazzi senza mura, i giochi sacri come la taurocatapsia che ancora vediamo effigiati negli affreschi della reggia di Cnosso, il mito stesso di Minosse il «talassocratore» e del labirinto di Dedalo con il suo Minotauro, testimoniano, infatti, di una civiltà che evidentemente dominava gli scambi marittimi ed era in grado di trasportare merci da una sponda all’altra del vasto mare, soprattutto a causa della sua posizione geografica.

L’idea di cognizioni legate alla navigazione con l’aiuto delle stelle nasce dall’osservazione di una corrispondenza astronomica tra l’orientamenti dei principali palazzi dell’antica civiltà minoica e le direzioni di navigazione delle rotte più importanti: in particolare l’asse più lungo delle grandi corti centrali rettangolari, caratteristica distintiva dell’architettura palaziale minoica, era orientato nel senso delle rotte stellari da seguire.

Nello specifico, e questa è la suggestione più importante, l’analisi delle piantine ha mostrato come l’asse dei palazzi minoici fosse orientato verso il sorgere o il tramontare di stelle portanti per la navigazione, che avrebbero dunque tracciato la rotta per i marinai verso le destinazioni commerciali dell’Oriente e del nord Africa. È quindi possibile che i minoici avessero elaborato una sorta di “percorsi stellari”, molto simili, nella tecnica, a quelli delle cosiddette “costellazioni lineari” della tradizionale navigazione stellare polinesiana conosciuta come kaveinga.

Certo la navigazione con l’orientamento stellare era conosciuta dai Greci omerici, come testimonia questo brano dell’Odissea: «Lieto l’eroe dell’innocente vento, La vela dispiegò. Quindi, al timone sedendo, il corso dirigea con arte, Nè gli cadea su le palpebre il sonno, Mentre attento le Plejadi mirava, E il tardo a tramontar Boóte, e l’Orsa, Che detta è pure il Carro, e là si gira, Guardando sempre in Orione, e sola nel liquido Ocean sdegna lavarsi: L’Orsa, che Ulisse, navigando, a manca Lasciar dovea, come la Diva ingiunse». (V, vv. 345-355 nella traduzione di Pindemonte). Ma qui siamo oramai verso l’anno mille a.C., mentre il mito è senza tempo e certo molto anteriore alla storia narrata dal cantore cieco.

Tornando ora al mito di Europa, è interessante notare come un esempio tra i più chiari di “percorso stellare” sia proprio Spica nella costellazione della Vergine, sulla cui traiettoria che collega il palazzo di Cnosso a Sidone è orientato l’asse maggiore della costruzione. Ecco, allora, che la rotta tra Sidone e Creta, adombrata nel racconto, quella «navigazione» di cui parla Calasso, è forse uno dei contenuti nascosti del mito, all’epoca certo praticato e conosciuto in tutte le sue sfaccettature, oggi solo da noi moderni intuibile nelle sue insondabili profondità.

Un ulteriore esempio è la corte centrale del palazzo centrale di Kato Zakro, l’ultima delle grandi costruzioni minoiche venute alla luce. Questa ha un orientamento che si allinea, seguendo una traiettoria lossodromica, che tiene cioè conto del fatto che la superficie terrestre è curva, verso l’antica città di Pelusium, in arabo Tel-el- Farama, rinomata nell’antichità per la sua birra, le cui rovine giacciono a circa 30 km a sud est dell’attuale Port Said alla foce del Nilo. È interessante tornare sulla definizione che la Treccani ci dà della tecnica di questa navigazione marittima poiché essa consiste nel «mantenere per tutto il tragitto l’angolo della prua rispetto alla direzione del nord indicata dalla bussola (o desunta in altro modo), cosicché la nave taglia tutti i meridiani con un angolo costante: la rotta che ne risulta (rotta l.) è la più semplice da seguire ma, a differenza della rotta ortodromica, non rappresenta in generale il percorso più breve per raggiungere la destinazione». Ora, al di là delle questioni astronomiche, appare evidente come chi applichi questa tecnica sappia bene che la Terra è rotonda, acquisizione dunque molto antica e non certo riferibile all’epoca della cartografia moderna.

Le stelle del Pacifico

Dall’altra parte del mondo, negli arcipelaghi del Pacifico, la navigazione stellare era nota da tempo. Le vestigia preistoriche in ceramica di queste pratiche sono raggruppate in quello che gli archeologi chiamano Civiltà Lapita, che sembra essere apparsa sulle isole Bismarck fra il 1.600 ed il 1.400 a.C. I portatori della ceramica lapita colonizzarono una regione che comprendeva le attuali Fiji orientali, le Tonga, le Samoa ed altre isole. Da queste vennero in seguito popolate le isole Marchesi e della Società, gli arcipelaghi della Polinesia centro-orientale fino a giungere a Rapa Nui (l’isola di Pasqua), le Hawaii e Ao-tea-roa (la terra della grande nuvola bianca) cioè l’attale Nuova Zelanda.

Il primo dato che emerge è come si sia più o meno nel medesimo periodo storico dell’età del bronzo minoica, nella quale si sviluppa la stessa tecnica della navigazione stellare. Ancora oggi, negli arcipelaghi polinesiani, i marinari rievocano nei canti e nei loro miti di fondazione queste tecniche: «Pianta il tuo seme, spargilo al vento, tu puoi morire ma la forza della vita resta, il flusso delle correnti ti aiuterà, o viaggiatore».

In tutto il Pacifico il cielo veniva rappresentato come una cupola, o come una serie di cupole sovrapposte. Anche qui, la corrispondenza tra la volta celeste e la curvatura della Terra rappresentava la base per l’orientamento. Sappiamo, ad esempio, che gli antichi navigatori polinesiani erano consapevoli che l’altezza della Stella Polare al di sopra dell’orizzonte settentrionale era uguale alla latitudine del luogo in cui ci si trovava. Quelli che invece navigavano a sud dell’equatore usavano invece il sistema di una stella allo zenit.

Il navigatore sacerdote Tupaia

Ma, forse, il personaggio più emblematico di questi antichi saperi, e della possibilità che siano giunti sino a noi, è certamente Tupaia.  Era nato nel porto di Ha’amanino sull’isola di Ra’iatea delle Society Island intorno al 1725, e divenne uno dei principali sacerdoti ariori per il Taputapuatea marae di Ra’iatea, luogo sacro per i Maori della Polinesia Orientale e centro di una vasta rete politico-religioso-culturale del triangolo polinesiano. L’area è chiamata Te Po, cioè «dove risiedono gli dei». Il marae originale era dedicato al dio Ta’aroa. Successivamente, il dio ‘Oro , dio della vita e della morte, fu venerato al suo posto. Secondo la mitologia polinesiana, il discendente di ‘Oro, Hiro, costruì i marae dandogli il nome di Taputapuatea, che significa «luogo dei sacrifici» e dunque centro sacro. La pietra bianca Te Papatea-o-Ru’ea ancora visibile sulla spiaggia, fu ad esempio usata per consacrare i capi di Ra’iatea con la cintura maro’ura dalle piume rosse. Con la diffusione della venerazione di ‘Oro, Taputapuatea divenne così il centro di una rete di navigatori oceanici.

Il marae era dunque anche un luogo di apprendimento dove si riunivano sacerdoti e navigatori di tutto il Pacifico per offrire sacrifici agli dei e condividere le loro conoscenze sull’origine genealogica dell’Universo, ma anche sulla navigazione che, come nel caso della cosmologia greca, erano pratiche strettamente correlate. Ecco che allora Tupaia venne addestrato sulla cosmologia ed anche ad essere un navigatore stellare. Le sue conoscenze includevano interi elenchi di isole, le loro dimensioni, la forma della barriera corallina e le posizioni dei porti, se erano abitate e cosa si produceva. Ancora più importante, la sua arte navigatoria comprendeva la posizione di ogni isola, il tempo per arrivarci e la successione di stelle e isole da seguire per tracciare la rotta. Queste isole includevano le Isole della Società, le Isole Australi, le Isole Cook, oltre a Samoa, Tonga, Tokelau e Fiji.

Quando, nel 1763, i guerrieri di Bora Bora invasero Ra’iatea, ferendo Tupaia e costringendolo a fuggire a Tahiti, il sacerdote navigatore  cercò la protezione dal capo di Papara, Amo, e da sua moglie Purea. Tupaia divenne così loro consigliere e sommo sacerdote. Infine si imbarcò sull’Endeavour di James Cook nel luglio 1769 quando il Capitano passò per la sua isola natale di Ra’iatea nel viaggio di andata da Plymouth. Fu accolto a bordo su richiesta di Sir Joseph Banks, botanico ufficiale della spedizione, sulla base della sua evidente abilità di navigatore e cartografo: quando gli furono richiesti i dettagli della regione, Tupaia disegnò una carta che mostrava tutte le 130 isole entro un raggio di 3200 km e fu in grado di citarne a memoria ben 74.

La mappa di Tupaia

L’originalità di questa celebre mappa consiste nel fatto che mette in relazione due diverse visioni cartografiche, e dunque del mondo: unisce, infatti, le tecniche di navigazione non strumentale dei polinesiani, in particolare la “bussola” rappresentata dalle isole, alle rilevazioni mediante i sestanti e bussole inglesi. Questa compresenza di metodi diversi ha impedito a lungo una lettura univoca della mappa: formalmente paragonabile a una classica mappa occidentale con punti cardinali, meridiani, paralleli e contorni delle isole, la sua decifrazione pone in realtà altri problemi in quanto alcune isole sembrano mal posizionate, altre addirittura non sono identificate.

Queste difficoltà, questa «crisi della ragione cartografica» direbbe il geografo Franco Farinelli, sorge dal fatto che la mappa di Tupaia è in realtà costituita dai compassi delle isole. A differenza delle carte nautiche occidentali, infatti, la posizione delle isole è relativa al punto centrale della bussola: l’isola o addirittura la canoa su cui si trova il navigatore. Questo documento illustra quindi la visione polinesiana dello spazio marittimo e del movimento al suo interno: data la rotazione della Terra, il cielo è in moto perpetuo sopra e tutt’intorno alla canoa. Una visione dinamica ben diversa da quella fissata nelle mappe occidentali che, appunto, cercano di definire e limitare lo spazio più che di capirlo. Nelle rappresentazioni dei marinai polinesiani, invece, l’imbarcazione diventa il centro di una serie di settori, chiamati “case”, ognuno con un suo nome che comprendeva informazioni riguardanti il ​​passaggio del sole, le stelle, il loro sorgere e tramontare, e così via. Queste conoscenze mostrano, allora, un diverso rapporto con la traiettoria, con il movimento: il punto di riferimento è la canoa, è l’oceano che si muove. Torna così la visione eraclitea dell’esistenza: tutto scorre, mai ci bagneremo una seconda volta nell’acqua dello stesso fiume.

Il Manifesto/Alias 1 aprile 2023