TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 6 maggio 2010

La strategia del riccio



Da un romanzo di successo, un film forse un pò sottovalutato dalla critica. Armida Lavagna ci parla de "Il riccio"


Armida Lavagna

La strategia del riccio

Non finirò in una boccia di vetro per i pesci.
Ci dice questo la dodicenne protagonista del film nelle sue prime sequenze, nonostante in realtà trascorra la sua vita dietro un vetro, quello della videocamera. Un vetro particolare però, che consente di guardare senza essere visti, di deformare a proprio piacimento l'oggetto inquadrato mettendolo a fuoco attraverso un bicchiere, di smettere di guardare, di mutare direzione e fuggire, sottrarsi.
La boccia per i pesci è invece sotto gli occhi di tutti, anche se chi la abita è altro, è irrimediabilmente lontano, è inesorabilmente separato e irraggiungibile, non conosce lacrime abbracci sorrisi, in una sorta di autismo del cuore scelto al principio dell'adolescenza o vagheggiato in una matura solitudine.
E allora non resta che travestirsi o nascondersi, recitare un ruolo un personaggio un mestiere fino a rischiare di annullarsi in esso; oppure considerare la vita uno spettacolo da cui non farsi coinvolgere, ma semplicemente da osservare, commentare, filmare fino alla parola fine, fino ad una morte recitata in tutte le possibili varianti, pensando a COME si muore.
Tra la ragazzina dagli occhi che frugano addosso e tutto nascondono e la portiera che tiene la televisione accesa mentre legge per non rischiare di non risultare conforme all'archetipo della portiera, salgono e scendono le scale del ricco palazzo persone che si guardano senza vedersi, si parlano senza ascoltarsi, si sfiorano senza toccarsi, rinchiuse in nevrosi, in ossessioni, intente a nuotare nella loro boccia dalla quale lo sguardo sull'altro da sé non può che essere obliquo e annebbiato.



Finché arriva qualcuno che ha la voglia e il coraggio di guardarti negli occhi con naturalezza, curiosità, simpatia sorridente. E' questo il piccolo miracolo che compie sulle due donne tanto diverse il distinto giapponese dai modi garbati che semplicemente le vede e prova piacere nel farlo. Tanto basta per ritrovare interesse alla vita, per arrivare a posare la telecamera, tanto basta per rischiare di innamorarsi, e di lasciare il buon nascondiglio, perché nessun nascondiglio in realtà è buono, nemmeno quello dei libri che diventano porta per il sogno, nemmeno quello delle delicatissime immagini disegnate dalla mano bambina che insegue geometrie, spirali, ordine, figure in successione che danno l'illusione del movimento, arte che dà l'illusione della vita.
Il riccio esce dal suo nascondiglio, anche se i suoi aculei non possono proteggerlo da un destino implacabile e beffardo.
Il pesce non finisce nella boccia, e smette di essere pesce, e l'occhio asciutto, lucido indagatore impara a piangere le lacrime anziché disegnarle.


Armida Lavagna, savonese, insegna Lettere in una Scuola Secondaria. Si occupa per Vento largo di letteratura e di cinema.