TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 3 ottobre 2019

Storia popolare della rivoluzione cubana 3. La spedizione del Granma e l'inizio della guerriglia


Terzo capitolo della nostra Breve storia popolare della rivoluzione cubana dove si racconta della prigionia di Fidel Castro, dell'esilio in Messico, dell'incontro con il Che, della preparazione e dell'inizio della guerriglia sulla Sierra Maestra.

Giorgio Amico

Breve storia popolare della rivoluzione cubana 3.
Il prigioniero dell'Isola dei Pini

Per l'assalto al Moncada Fidel fu condannato a quindici anni di reclusione, suo fratello Raúl a tredici, tutti gli altri imputati a pene minori. Tutti furono rinchiusi nel carcere di massima sicurezza dell'Isola dei Pini dove, dopo sette mesi di isolamento, a Fidel fu permesso di organizzare per i suoi compagni dei corsi di
formazione politica. Intanto cresceva nel paese anche in conseguenza ai fatti del Moncada una diffusa opposizione al regime batistiano. Il Partito Socialista Popolare, che pure si era dissociato dall'azione di Castro considerata un'avventura priva di prospettive, tentava di incanalare la protesta operaia per il peggioramento delle condizioni di vita organizzando una lunga serie di scioperi e di manifestazioni. Anche l'università, dove la popolarità di Fidel era altissima, era in fermento. La stessa Chiesa cattolica, di fatto favorevole al regime, di fronte agli eccessi della repressione si era sentita in dovere di intervenire raccomandando il ritorno ad un clima di maggiore concordia nazionale. Il 1 novembre 1954 Fulgenzio Batista venne eletto, dopo elezioni farsa senza candidati d'opposizione, presidente della repubblica. Nel febbraio dell'anno successivo il vicepresidente degli Stati Uniti, Richard Nixon, si recò all' Avana a portare le congratulazioni del governo americano, imitato poco dopo dal direttore della CIA, Allen W. Dulles, che aveva appena organizzato il rovesciamento del governo Arbenz in Guatemala. Intanto in carcere Fidel rifletteva sul fallimento dell'azione del Moncada e sulla necessità di garantire un'efficace guida politica al movimento rivoluzionario, giungendo a conclusioni nei fatti pienamente leniniste:

"Credo fondamentalmente - scrive il 14 agosto 1954 in una lettera ad un amico - che uno dei principali ostacoli che impediscono la creazione dell'opposizione...sia l'eccesso di personalismi e di ambizioni dei gruppi
e ... dei caudillos...La situazione...mi ricorda gli sforzi di Martí per unire tutti i cubani degni nella lotta per l'indipendenza... Devo innanzitutto organizzare gli uomini del 26 Luglio e unire in un fascio indissolubile tutti i combattenti, quelli in esilio, quelli in prigione, quelli liberi... L'importanza di un simile nucleo perfettamente disciplinato darà una forza incalcolabile alla... formazione di quadri di lotta per l'organizzazione civile o insurrezionale. Da quel momento... un grande movimento civile politico deve contare sulla forza necessaria per prendere il potere, con mezzi pacifici o rivoluzionari, oppure correre il rischio di essere sconfitto due soli mesi prima delle elezioni, come l'ortodossia... Condizioni indispensabili per la creazione di un vero movimento civile sono: ideologia, disciplina, comando... Non si può organizzare un movimento in cui tutti credono di avere il diritto di fare dichiarazioni pubbliche, e non si può neanche sperare niente da un'organizzazione piena di gente anarchica che alla prima difficoltà se ne va per la strada che gli sembra migliore... L'apparato d'organizzazione e di propaganda deve essere così potente da distruggere implacabilmente chiunque tenti di creare frazioni, camarille, scissioni... Il programma deve contenere un'esposizione piena, concreta e valida dei problemi sociali ed economici che il paese deve affrontare, in modo che si possa inviare alle masse un messaggio veramente nuovo e progressivo... Soprattutto... le nostre energie non devono essere impiegate senza costrutto...". (1)

All'inizio del 1955 un comitato di madri di detenuti politici lanciò una campagna per un'amnistia generale. Batista, desideroso di migliorare l'immagine del regime, finì per accondiscendere, sperando in tal modo di recuperare parte dell'opposizione. Il governo fece sapere che tutti i prigionieri politici sarebbero stati liberati in cambio della promessa di non tentare nuove azioni armate contro il regime. Immediata e fiera fu la risposta di Fidel: il movimento di liberazione non avrebbe sottoscritto patti con la tirannia. La liberazione dei detenuti politici non poteva che essere incondizionata.

" Noi non siamo perturbatori di professione, nè ciechi fautori della violenza, se la patria migliore che desideriamo può realizzarsi con le armi della ragione e dell'intelligenza (...) La nazione cubana non ci vedrà mai promotori di una guerra civile che si potrebbe evitare; e allo stesso tempo ripeto che tutte le volte che a Cuba si presenteranno le circostanze ignominiose che seguirono al colpo di stato del 10 marzo, sarà un delitto rinunciare a promuovere l'inevitabile ribellione. Se noi considerassimo che un mutamento di circostanze e un clima di positive garanzie costituzionali esigesse un mutamento di tattica nella lotta, opereremmo questo mutamento per rispetto agli interessi e al desiderio della nazione, mai però in virtù di un compromesso con il governo, che sarebbe vile e vergognoso". (2)

Il 3 maggio, il Congresso approvò il progetto di amnistia che venne tre gioni più tardi controfirmato da Batista. Il 15 maggio Fidel e tutti i suoi compagni vennero scarcerati. L'arrivo di Fidel all'Avana fu trionfale. I principali esponenti dell'opposizione assieme ai dirigenti del Partito Ortodosso, della Federazione Universitaria e del movimento degli studenti vennero alla stazione ad accogliere l'eroe del Moncada. Nonostante dal carcere avesse richiesto lo svolgimento di libere elezioni nel più breve tempo possibile quale condizione fondamentale per il ristabilimento delle più elementari garanzie costituzionali, Fidel non credeva che il regime di Batista fosse riformabile per via parlamentare, tanto meno che il soggetto politico adatto fosse l'ormai compromesso partito ortodosso. Tornato in libertà, egli si dedicò pertanto a organizzare clandestinamente, una nuova forza politica, anche nel nome erede diretta dell'esperienza del Moncada: il Movimento 26 Luglio. Fidel, consapevole della necessità di dover presto lasciare Cuba dove per la repressione che aveva ripreso a infuriare si trovava quotidianamente in pericolo di vita, sapeva bene che, prima di partire per l'esilio, era necessario costruire una salda rete organizzativa che preparasse il terreno per un nuovo tentativo insurrezionale che non ripetesse più gli errori del Moncada. Utilizzando in gran parte veterani del Moncada, ma anche forze nuove venute al movimento dalla classe operaia e dall'università, a tempo di record fu costituito un Direttorio nazionale di undici membri. (3) A questo punto Fidel decise che era il momento di lasciare definitivamente Cuba e il 7 luglio partì per il Messico, dove già dal 24 giugno si era rifugiato suo fratello Raúl. Prima di partire, il leader rivoluzionario affidò alla rivista "Bohemia" un ultimo messaggio al popolo cubano:

"Lascio Cuba perchè mi sono state chiuse tutte le porte per una lotta pacifica. Sei settimane dopo essere stato scarcerato mi sono più che mai convinto dell'intenzione del dittatore di restare al potere per vent'anni, a qualsiasi costo, governando come ora attraverso il terrore e il crimine, e ignorando la pazienza del popolo cubano, pazienza che ha i suoi limiti. Come seguace di Martí, credo sia giunta l'ora di appropriarci dei nostri diritti e non più di chiederli, di combattere invece che di implorare. Andrò a vivere da qualche parte nei Caraibi. Da viaggi come questo non si torna o si torna dopo la decapitazione della tirannia". (4)

L'ESILIO MESSICANO

Giunto in Messico, Fidel si mise alacremente all'opera per riorganizzare le fila del Movimento, sia a livello legale, collegando fra di loro i gruppi di esiliati dispersi fra il paese centroamericano, gli Stati Uniti, il Costarica con lo scopo di raccogliere fondi, organizzare campagne di solidarietà, diffondere materiale di propaganda, fare opera di proselitismo nell'emigrazione antibatistiana; sia a livello clandestino, raccogliendo armi e munizioni e pianificando l'addestramento militare di un gruppo selezionato di combattenti per il ritorno armato in patria. Il 2 agosto egli inviò a Faustino Pérez (5) con l'ordine di diffonderlo in decine di migliaia di esemplari il "Manifesto n.1 al popolo cubano". Il programma, articolato su quindici punti, riprendeva radicalizzandole le tesi contenute ne "La storia mi assolverà". Il manifesto prevedeva la eliminazione del latifondismo, la distribuzione della terra ai contadini, la partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese, una drastica diminuzione degli affitti, la nazionalizzazione dei servizi pubblici essenziali, la riforma del sistema fiscale, eliminazione di ogni forma di discriminazione "di razza e di sesso", la riorganizzazione del sistema giudiziario, la confisca dei beni dei notabili del regime. In quei giorni Fidel incontrò un altro esule, destinato a diventare il suo più fedele compagno di lotta: il giovane medico argentino Ernesto Guevara, riparato in Messico dopo il fallimento dell'esperienza rivoluzionaria di Arbenz in Guatemala.

"Lo conobbi - ha scritto il Che - in una di quelle fredde notti messicane e ricordo che la nostra prima discussione riguardò problemi di politica internazionale. Dopo poche ore di quella stessa notte, verso il mattino, ero già diventato uno dei membri della futura spedizione". (6)

Nel mese di ottobre, grazie a un visto dell'ambasciata americana in Messico, Castro partì per un giro di conferenze negli Stati Uniti al fine di incontrare altri dirigenti dell'opposizione e di raccogliere fondi per la spedizione che stava preparando. Dopo alcuni discorsi a New York e in Florida, il governo cubano protestò e le autorità del servizio immigrazione statunitense interruppero il soggiorno di Fidel e gli ritirarono il visto per ulteriori viaggi. Prima di tornare in Messico, dalle isole Bahamas Fidel inviò in patria un secondo manifesto al popolo cubano in cui si affermava che la crisi crescente dell'economia cubana, l'infuriare della repressione, i massacri di operai, gli scontri quotidiani tra studenti e polizia, dimostravano all'intero paese che la salvezza della patria non poteva che passare per una rivoluzione non solo politica, ma anche sociale. Coerente con queste premesse, Castro recise ogni rapporto con il vecchio partito ortodosso e con i rappresentanti dell'opposizione moderata, rendendo pubblica la costituzione di un nuovo movimento rivoluzionario, deciso a portare fino alle estreme conseguenze la lotta contro la tirannide.

" Il Movimento 26 Luglio - dichiarò il 19 marzo 1956 - è l'organizzazione rivoluzionaria di tutti gli uomini umili e che agisce in favore degli umili. Se una speranza di riscatto esiste per la classe operaia cubana, cui nulla possono offrire le varie camarille politiche, essa è rappresentata da questo movimento, che è anche una speranza di terra per i contadini che vivono come paria in quella patria che i loro avi hanno liberato, una speranza di ritorno per quegli emigrati che hanno dovuto abbandonare una terra che era la loro, ma che non offriva né lavoro né vita, una speranza di pane per gli affamati e di giustizia per gli oppressi (...) Il Movimento 26 Luglio lancia un invito caloroso a serrare le fila e è pronto a accogliere tutti i sinceri rivoluzionari di Cuba, senza riserva alcuna, da qualunque partito provengano, quali che possano essere state le divergenze passate. Il Movimento 26 Luglio rappresenta l'avvenire migliore e più giusto per la patria e quest'impegno d'onore, solennemente preso di fronte al popolo, sarà mantenuto". (7)

SI PREPARA LA GUERRIGLIA

L'addestramento militare vero e proprio di quello che doveva essere il primo nucleo del futuro esercito ribelle iniziò solo all'inizio del 1956 quando dal Direttorio nazionale del Movimento 26 Luglio arrivarono a Fidel per mezzo di Faustino Pérez e di Pedro Miret i primi finanziamenti. Circa diecimila dollari raccolti a Cuba. All'inizio i futuri guerriglieri, circa una sessantina, vennero alloggiati in sei appartamenti la cui dislocazione era nota solo a Castro e al generale Bayo, un vecchio combattente della repubblica spagnola al quale era stato affidato il compito di curare l'addestramento militare degli esuli. (8) La segretezza era totale, poichè era noto a tutti che in Messico operavano numerose spie e agenti di Batista e che l'ambasciata cubana pagava un considerevole numero di militari e poliziotti messicani da utilizzare contro gli oppositori. Per garantire meglio la sicurezza delle operazioni nella primavera venne affittato il ranch Santa Rosa, vicino alla città di Chalco a una quarantina di chilometri da Città del Messico. Il ranch si estendeva per duecentocinquanta chilometri quadrati di terreno deserto e montagnoso, dove i guerriglieri avrebbero potuto addestrarsi al riparo da occhi indiscreti. Castro puntava molto sulla preparazione fisica dei combattenti che, alloggiati in due campi allestiti sulle montagne attorno al ranch, dovevano addestrarsi al combattimento e alla sopravvivenza in un terreno inospitale con poca acqua e viveri ridotti. Le armi, in gran parte acquistate negli Stati Uniti, consistevano in venti fucili automatici Johnson, parecchie mitragliette Thompson, venti fucili da caccia con mirino telescopico, due fucili anticarro calibro 50, una mitragliatrice leggera Mauser e numerose rivoltelle. Ma la polizia segreta di Batista e il servizio segreto militare
( SIM ) non erano restati con le mani in mano. In Messico operava il capo della sezione investigativa della polizia, colonnello Orlando Piedra, inviato da Batista per organizzare l'assassinio di Fidel. La sera del 20 giugno su richiesta di Piedra, la polizia messicana arrestò Fidel Castro e con lui Universo Sánchez e Ramiro Valdés. (9) Nella notte altri dodici cubani vennero arrestati nelle loro abitazioni. Dai documenti rinvenuti nel corso dell'operazione, la polizia messicana scoprì l'esistenza del ranch Santa Rosa e il pomeriggio del 24 giugno vi fece irruzione catturando Ernesto Che Guevara e altri dodici combattenti. Immediatamente il governo cubano richiese l'estradizione dei prigionieri. Juan Manuel Márquez (10), uno dei principali dirigenti del Movimento 26 Luglio, tornò immediatamente dagli Stati Uniti, dove stava raccogliendo fondi per acquistare armi, e insieme a Raúl Castro riuscì a ingaggiare due dei più importanti avvocati messicani. Venne lanciata una grandiosa campagna di solidarietà con Fidel e i suoi compagni al fine di evitarne l'estradizione. Decisivo fu l'intervento dell'ex presidente Lázaro Cárdenas, eroe della rivoluzione messicana. Il 9 luglio vennero liberati ventun ribelli e altri quattro la settimana seguente. Fidel fu rilasciato il 24 luglio, il Che una settimana più tardi. Come scrisse Guevara, i poliziotti messicani, nonostante fossero pagati dall'ambasciata cubana, avevano "commesso l'errore assurdo di non uccidere Fidel mentre era loro prigioniero". Anche in Messico Castro era ormai agli occhi di molti una figura leggendaria. Racconta una protagonista di quei giorni:

"Alto e ben rasato, i capelli castano corti, vestito sobriamente e correttamente...si distingueva tra tutti gli altri per il suo sguardo ed il suo portamento... Ti dava l'impressione di essere nobile, sicuro, deciso,,, estremamente sereno... La sua voce era pacata, l'espressione grave, i modi calmi, gentili... La sua idea fondamentale, la sua stella polare, era il "popolo"...". (11)

La preparazione militare riprese immediatamente in tre campi di addestramento situati nello Yucatan e sulla costa sud-orientale del Messico. Fidel dal canto suo rimase nella capitale per curare la preparazione dello sbarco. Mentre in Messico la spedizione rischiava di abortire sul nascere, al Cotorro, nei pressi dell'Avana, si era svolta una riunione la direzione nazionale del Movimento 26 Luglio, alla quale aveva preso parte anche Frank País, responsabile per la provincia d'Oriente. (12) Nel corso dell'incontro era emersa la necessità di recuperare altre armi. Dopo questa riunione, nel corso dell'estate Frank País si recò due volte in Messico per coordinare il piano dell'invasione con l'azione clandestina all'interno dell'isola. Il progetto deliberato consisteva prevedeva lo sbarco a Cuba entro l'anno, contemporaneamente in tutta la provincia d'Oriente dovevano scoppiare rivolte armate per tenere impegnate il maggior numero possibile di unità militari. Di ritorno a Cuba, Frank País assieme a Celia Sánchez (13) ispezionò la costa orientale per scegliere il punto più adatto per lo sbarco. Dopo un'accurata ricognizione venne scelta la zona di Niquero, da dove a bordo di alcuni autocarri predisposti dal Movimento, Fidel e gli altri combattenti potevano essere facilmente trasportati sulla Sierra Maestra. (14) Dopo di che fu inviato in Messico Manuel Echevarría perchè servisse da guida alla spedizione. Alla fine di settembre Fidel Castro acquistò per quarantamila dollari da Robert B. Erickson, un americano che viveva a Città del Messico, uno yacht di dodici metri, il Granma, ormeggiato nel porto di Tuxpán. Il motoscafo, un' imbarcazione di una dozzina d'anni in buono stato di manutenzione, poteva trasportare venticinque persone a pieno carico. Era dotato di due motori diesel e di serbatoi della capacità di settemilacinquecento litri di carburante, il minimo indispensabile per compiere la traversata fino a Cuba.

LA SPEDIZIONE DEL GRANMA

Il 19 novembre il capo di Stato Maggiore dell'esercito dichiarava alla stampa de l'Avana che non esistevano le condizioni per un ritorno clandestino degli esuli considerato che "da un punto di vista tecnico, lo sbarco di un gruppo di persone esaltate e indisciplinate, senza esperienza militare, non poteva che rivelarsi un fallimento". Contemporaneamente, però, veniva intensificato il pattugliamento aereo e navale delle coste e poste in allerta le guarnigioni della regione d'Oriente. Ciò rese a tutti evidente che il progetto di spedizione non era più un segreto per il nemico e che occorreva accelerare al massimo i tempi. La sera del 23 novembre ai comandanti dei campi di addestramento giunse l'ordine di raggiungere immediatamente con tutti gli uomini e l'equipaggiamento il porto di Tuxpán. All'1,30 del mattino del 25 novembre 1956 il Granma salpò a luci spente diretto a Cuba con 82 combattenti a bordo. Il tempo era pessimo e la traversata assunse ben presto aspetti drammatici. Salvo quattro o cinque membri della spedizione, il resto delle persone imbarcate soffrì il mal di mare. Le terribili condizioni atmosferiche, aggravate dal forte vento che spirava sul Golfo del Messico, rallentarono il viaggio dell'imbarcazione che navigava già sovraccarica, avendo a bordo ottantadue uomini con armi pesanti ed equipaggiamento da campagna invece dei venticinque per i quali era stata costruita. La rotta scelta prevedeva un gran giro a sud di Cuba, costeggiando la Giamaica e le isole del Gran Caimano, per sbarcare poi vicino alla località di Niquero. A causa del maltempo e degli imprevisti la traversata, che doveva durare cinque giorni, si protrasse per sette giorni e quattro ore. All'alba di venerdì 30 novembre, data convenuta per lo sbarco, il Granma si trovava solo a tre quarti del percorso. Ma Frank País e gli altri responsabili dei gruppi armati del Movimento 26 Luglio, ritenendo che Castro e i suoi avessero già preso terra, lanciarono come convenuto il piano insurrezionale che doveva servire da diversivo e distogliere l'attenzione delle forze repressive batistiane dallo sbarco. Il piano degli insorti era di attaccare a colpi di mortaio la caserma Moncada, contemporaneamente altri due gruppi avrebbero preso d'assalto il comando della polizia marittima e la sede della polizia nazionale, mentre alla radio sarebbe stato letto un proclama alla popolazione. Nonostante l'insurrezione fosse stata accuratamente programmata, le cose si misero subito al peggio. Il gruppo che doveva bombardare il Moncada venne intercettato dalla polizia e catturato senza che potesse sparare un solo colpo. Nonostante non si potesse più fare conto sul fattore sorpresa, alle 7 del mattino come convenuto Frank País al comando di ventotto uomini attaccò il quartier generale della polizia nazionale e della polizia marittima. Per la prima volta gli insorti indossavano la divisa verde olivo con il bracciale rosso-nero del Movimento 26 Luglio. Nella vicina Guantanamo, dove il Movimento aveva operato in profondità tra gli operai, uno sciopero generale paralizzò le fabbriche e il traffico ferroviario. Alle undici della mattina, dopo cinque ore di combattimento, i rivoltosi dovettero disperdersi lasciando sul terreno dodici caduti. Il giorno stesso il governo per avere le mani libere nella repressione, decretò una sospensione di quarantacinque giorni delle garanzie costituzionali e lanciò un'ondata di arresti che decapitò il movimento nelle principali città. Intanto il Granma procedeva con molta lentezza verso la costa. Finalmente alle due del mattino del due dicembre, quando ormai viveri, acqua e riserve di carburante erano esaurite, apparve in lontananza la luce del faro di Capo Cruz. Era ormai giorno fatto quando avvenne lo sbarco sulla spiaggia detta di Las Coloradas. Come commentò in seguito il Che più che di uno sbarco si trattò di un naufragio. Il battello, appesantito dall'eccessivo carico, finì per incagliarsi nel fango a causa della bassa marea. Fu ordinato agli uomini di raggiungere la terraferma portando con se solo le armi individuali. Il resto dell'equipaggiamento, le armi pesanti e le scorte di munizioni andarono irrimediabilmente perdute. Raggiunta la riva, gli uomini si trovarono in una palude di mangrovie, senza punti di riferimento precisi e intralciati nei movimenti dalle armi e dagli zaini. Di quei primi terribili giorni ha scritto il Che:

" Tardammo varie ore a uscire dalla palude, dove ci aveva spinto l'imperizia e l'irresponsabilità di un nostro compagno che si era detto esperto conoscitore del luogo. Proseguimmo in terraferma, alla deriva, inciampando continuamente; eravamo un esercito di ombre, di fantasmi, che camminavano come seguendo l'impulso di un qualche oscuro meccanismo psichico. Ai sette giorni di fame e di mal di mare continuo della traversata, si sommarono altri tre terribili giorni a terra. Al decimo giorno dalla partenza dal Messico, il 5 di dicembre, nelle prime ore del mattino, dopo una marcia notturna interrotta più volte per svenimenti, per crisi di stanchezza e per fare riposare la truppa, raggiungemmo una località nota, paradossalmente, con il nome di Alegría de Pío". (15)

IL COMBATTIMENTO DI ALEGRIA DE RIO

Purtroppo lo sbarco non era passato inosservato. Una imbarcazione di passaggio aveva assistito all'incagliamento del Granma e aveva prontamente segnalato il fatto alle autorità. Da Manzanillo unità della Guardia rurale e un battaglione di fanteria erano stati inviati nella zona di Niquero per intercettare gli invasori. Mercoledì cinque dicembre, dopo appena quattro giorni che Castro e i suoi compagni erano sbarcati a Cuba, la Guardia rurale, messa sulle tracce dei guerriglieri dalla delazione di un contadino, tese un'imboscata e quasi annientò il piccolo esercito rivoluzionario. Fidel e i suoi compagni furono sorpresi in un radura ai bordi di un canneto e mitragliati dagli aerei che sorvolavano i campi a bassa quota. Presi di sorpresa gli uomini si sbandarono, qualcuno propose di arrendersi. In mezzo al crepitare delle pallottole si udì allora la voce di Camilo Cienfuegos (16) gridare: "Qui non si arrende nessuno...cazzo!". Accerchiati dalle guardie batistiane, i guerriglieri si difesero disperatamente, cercando scampo nella boscaglia e nei canneti. Tre partecipanti alla spedizione furono uccisi, i restanti settantanove si divisero in piccoli gruppi e si dispersero per la campagna nel tentativo disperato di raggiungere la Sierra Maestra. L'esercito di Batista scatenò una gigantesca caccia all'uomo; molti combattenti presi prigionieri vennero trucidati sul posto, spesso dopo atroci sevizie. Nel giro di pochi giorni ventidue patrioti vennero uccisi, altri ventitrè catturati, mentre di diciannove non si seppe più nulla. Degli ottantadue sbarcati dal Granma solo sedici riuscirono a raggiungere i contrafforti boscosi della Sierra Maestra. Nei momenti più difficili, mentre i ribelli tentavano disperatamente di rompere l'accerchiamento e di sottrarsi alla cattura, Fidel continuò a mostrare grande sicurezza e fiducia nelle possibilità di un'impresa che sembrava ormai definitivamente compromessa. Come ricorda Faustino Pérez:

"Fu una grande lezione di fiducia e di ottimismo - oltre che di realismo - quella che Fidel ci insegnò in quei giorni".

Dopo il combattimento di Alegría de Pío Batista e i suoi generali erano ormai certi che Castro fosse morto e il suo movimento annientato. Il 13 dicembre le operazioni militari nella zona di Naquero vennero definitivamente sospese e le unità da combattimento ritirate, mentre veniva revocata l'attività di ricognizione aerea. Un comunicato ufficiale dell'alto comando dell'esercito dichiarava che il movimento insurrezionale era terminato e che erano stati identificati i corpi dei ribelli uccisi fra i quali Fidel Castro e suo fratello Raúl. Divisi in piccoli gruppi, senza sapere nulla gli uni degli altri, i superstiti raggiunsero tra peripezie di ogni genere la Sierra Maestra, accolti con simpatia dai contadini che vennero in loro aiuto, ospitandoli nelle loro povere capanne. Tra il 13 e il 16 dicembre i combattenti dispersi andarono via via raggruppandosi. Impresa che sarebbe stata impossibile senza il disinteressato aiuto dei contadini, alcuni dei quali addirittura batterono per giorni i sentieri della Sierra alla ricerca di qualche altro superstite. Con il loro istintivo senso di classe i contadini della Sierra avevano compreso che Fidel e i suoi compagni, per quanto pochi e scarsamente armati, rappresentavano l'unica loro reale speranza di riscatto. Argeo Gonzáles, all'epoca un povero venditore ambulante della Sierra e fra i primi a unirsi ai ribelli, spiega che la

"ragione per cui tutti i contadini li aiutavano era perchè avevano compreso la lotta contro la tirannia...I proprietari terrieri non permettevano che altri lavorassero la terra, era tutta loro...I contadini non avevano nessuna possibilità senza la rivoluzione".

Fidel aveva saputo guadagnarsi la loro fiducia, difendendoli con le armi e rispettandoli sempre a differenza delle truppe di Batista. Quando un soldato entrava in una casa, ricorda Argeo,

"si prendeva il pane e mangiava il pollo se c'era, si portava via una ragazza se ne trovava una...ma i ribelli erano diversi; rispettavano tutto e era così che si guadagnavano la fiducia".

Il 18 settembre Raul Castro, Ciro Redondo, Efigenio Amejeiras, Armando Rodriguez e René Rodriguez, si riunirono con il gruppo composto da Fidel Castro, Faustino Perez e Universo Sanchez e con un terzo gruppo composto da Ernesto Guevara, Juan Almeida, Camilo Cienfuegos e Ramiro Valdés. In tutto dodici uomini a cui nei giorni successivi si aggiunsero Calixto Garcia, Julio Diaz, Luis Crespo, Pancho Gonzales, Gustavo Aguilera e pochi altri. Il 20 dicembre Fidel inviò Mongo Perez, un piccolo proprietario terriero membro del Movimento 26 luglio, a Manzanillo e a Santiago per informare i capi del Movimento che era ancora vivo e in grado di combattere. In risposta dalla città arrivarono otto fucili, un mitragliatore Thompson, nove candelotti di dinamite e trecento proiettili. Alcuni giorni dopo Faustino Perez fu incaricato di stabilire contatti regolari con Frank País e Armando Hart (17), rispettivamente responsabili dell'organizzazione di Santiago e dell'Avana. Mentre il piccolo esercito ribelle si consolidava sulle montagne, in pianura la repressione si faceva sempre più feroce. Il giorno di Natale ventisei giovani operai, quasi tutti iscritti al Partito comunista, sospettati di simpatizzare per la guerriglia, venivano strappati dalle loro case e brutalmente assassinati.


NOTE:

  1. In: H. Thomas, Storia di Cuba, Torino 1973, p. 647-48
  2. Da una lettera del 18/3/1955 in S.Tutino, cit., pp.218-219
  3. Fidel Castro, Pedro Miret, Jesús Montané, Melba Hernández, Haydée Santamaría, José Suárez Blanco, Pedro Celestino Aguilera, Nico López, Armando Hart, Faustino Pérez e Luis Bonito.
  4. T. Szulc, op.cit., pag. 224
  5. Medico. Uno dei principali organizzatori del Movimento 26 Luglio. Dirigente di primo piano della lotta nelle città. Nel primo governo rivoluzionario ministro per il recupero dei beni dei gerarchi della dittatura. Membro del CC del PCC.
  6. E. Guevara, Scritti, discorsi e diari di guerriglia, Torino 1969, p.8
  7. U. Melotti, op.cit., pag. 108
  8. Cubano di nascita, ma di padre spagnolo, Negli anni Venti ufficiale dell'esercito spagnolo. Durante la guerra civile combattè valorosamente dalla parte della repubblica. Membro del Partito comunista spagnolo. Dopo il 1939 in esilio prima a Cuba e poi in Messico. Morto a Cuba nel 1967. Autore del manuale, pubblicato anche in Italia nel 1968 : "Teoria e pratica della guerra di guerriglia".
  9. Universo Sanchéz, contadino della provincia di Matanzas. Dopo la rivoluzione comandante delle Forze Armate Ribelli (FAR) . Ramiro Valdés Menéndez, partecipante all'assalto del Moncada. Comandante di colonna. Dopo la rivoluzione ministro degli Interni e capo dei servizi segreti cubani. Membro dell'Ufficio Politico del Comitato Centrale del Partito Comunista Cubano.
  10. Juan Manuel Márquez, capo di Stato Maggiore in seconda della spedizione. Catturato dopo lo scontro di Alegría de Pio fu assassinato dalle guardie batistiane.
  11. H.Thomas, Storia di Cuba, cit., p. 667
  12. Frank País, uno dei più fulgidi eroi della Rivoluzione, entrò nel 1955 nel Movimento 26 Luglio con la sua organizzazione studentesca "Accion Revolucionaria Nacional". Fiduciario di Castro per l'intera provincia d'Oriente, organizzò un'efficace rete clandestina a Santiago e negli altri centri della provincia. Il suo assassinio nel luglio 1957 scatenò una massiccia protesta popolare.
  13. Celia Sanchez, figlia di un medico,rivestì un ruolo importantissimo sia nella lotta clandestina in pianura che nella Sierra, dove divenne segretaria personale di Castro. Ruolo mantenuto fino al momento della morte nel 1980.
  14. Cfr. Carlos Franqui, Il libro dei dodici, Milano 1968, pp. 93-95
  15. E. Guevara, cit., p.15
  16. Camilo Cienfuegos, figlio di anarchici spagnoli emigrati a Cuba, partecipa alle lotte studentesche del 1955. Costretto a emigrare, raggiunge il Messico dove si unisce a Castro. Comandante della colonna n.2, attraversa tutta l'isola da Oriente a Occidente, sbaragliando le truppe di Batista. Scomparso il 28 ottobre 1959 mentre era in volo da Camagüey all'Avana. Di lui Che Guevara ha lasciato uno splendido ritratto nella prefazione a "Guerra di guerriglia".
  17. Armando Hart, di famiglia piccolo borghese, partecipò attivamente alle lotte studentesche. Uno dei principali dirigenti della lotta nelle città. Responsabile del settore propaganda e organizzazione del Movimento 26 Luglio. Dopo la vittoria ministro dell'Istruzione. Membro dell'UP del PCC.