TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 17 ottobre 2019

Il mito dell'ONU




Di fronte all'aggressione turca ai curdi del Rojava, ancora una volta è emersa la sostanziale impotenza dell'ONU a far rispettare la pace e il diritto internazionale. Si tratta di una vecchia storia, come dimostra l'articolo, scritto nell'ormai lontano 2001 in occasione di un'altra guerra purtroppo ancora in corso, che riproponiamo considerandolo quanto mai attuale.

Giorgio Amico

Il mito dell’ONU

La guerra in Afghanistan divide la sinistra. Mentre i DS si schierano apertamente per l'intervento americano, Rifondazione, cossuttiani, Manifesto e parte della CGIL sostengono la necessità di un intervento delle Nazioni Unite, quasi che l'ONU rappresentasse una credibile alternativa all'imperialismo. In realtà, mezzo secolo di guerre con decine di milioni di morti mostrano non solo la totale impotenza delle Nazioni Unite a assicurare una gestione pacifica, diplomatica e non militare dei conflitti, ma la natura di vera e propria agenzia dell'imperialismo svolta dall'ONU in tutto il secondo dopoguerra.

Il nome "Nazioni Unite", coniato dal presidente americano Franklin Delano Roosevelt, appare per la prima volta nella "Dichiarazione" del 1 gennaio 1942, con cui i rappresentanti di 26 nazioni impegnano i loro governi ad una lotta a fondo contro le potenze dell'Asse. Punto di riferimento è l'esperienza da poco conclusa della Lega delle Nazioni, l'organizzazione internazionale nata all'indomani della prima guerra mondiale e definita da Lenin "covo di briganti imperialisti". Nel 1945 i governi di 50 nazioni firmano la Carta costitutiva redatta dalle potenze vincitrici: Stati Uniti, Unione Sovietica, Francia, Gran Bretagna e Cina. La "Carta" si presenta come un gigantesco monumento fatto di parole, piena di frasi ad effetto sui grandi principi, ma povera di indicazioni concrete e vincolanti sul come mantenere la pace. 

Nei fatti la nuova organizzazione internazionale sancisce la spartizione del mondo fra USA e URSS definita dagli accordi Yalta, relegando in un ruolo secondario le vecchie potenze coloniali GB e Francia, mentre la Cina nazionalista, dal 1949 ridotta all'isola di Taiwan, gode di un riconoscimento meramente formale. Come sempre sono gli accordi non scritti a funzionare meglio. Così nel 1950 Stalin non si avvale del diritto di veto, di cui l'URSS dispone come membro permanente del Consiglio di Sicurezza, per bloccare l'intervento militare americano in Corea. Sei anni più tardi Eisenhower renderà il favore lasciando che i carri armati russi soffochino nel sangue la rivoluzione ungherese. 

Almeno fino alla fine degli anni Ottanta e al crollo dell'Unione Sovietica l'ONU funzionerà principalmente come garante degli equilibri di un mondo bipolare. L'unica politica portata avanti con determinazione sarà quella della decolonizzazione, ma sempre nell'ottica degli interessi dominanti di USA e URSS, tese a sostituirsi alle vecchie potenze europee nel controllo delle materie prime e dei mercati afroasiatici. Quando, come nel 1956 a Suez o nel 1960 in Congo, gli avvenimenti sembreranno sfuggire di mano , minacciando gli equilibri della guerra fredda, allora le Nazioni Unite con il voto determinante di Stati Uniti e Unione Sovietica faranno sentire la loro voce.

Per decenni, nell'epoca della "guerra fredda", le due superpotenze avranno mano libera all'interno ciascuna della propria sfera "imperiale", senza che l'ONU trovi qualcosa da eccepire. Al massimo vaghe proteste e ancora più vaghi pronunciamenti, in un gioco delle parti che lascia le cose come stanno, soprattutto nel cosiddetto "Terzo Mondo", campo di battaglia fra imperialismi vecchi e nuovi. Di fronte a 138 guerre "locali" con decine di milioni di morti fra il 1945 e il 1989, stanno, vero monumento all'ipocrisia del mondo borghese, migliaia di risoluzioni di condanna, tutte assolutamente prive anche del minimo effetto pratico. Tale è la risoluzione 242 del giugno 1967 che intima a Israele il ritiro dai territori occupati di Cisgiorgania e Gaza, così come i numerosi documenti di condanna del blocco americano a Cuba. 

Prodotto negli anni della seconda guerra mondiale della diplomazia americana, l'ONU è stato negli anni del bipolarismo il principale strumento della supremazia delle due grandi potenze, stanza di compensazione fra gli interessi russi e quelli americani. La fine dell'URSS e della divisione del mondo sancita a Yalta segna anche la fine di questi equilibri ed evidenzia il logoramento degli strumenti diplomatici, come l'ONU, pensati per gestirli. Il "grande gioco" in atto in Asia Centrale, come la guerra del Golfo o i conflitti nei Balcani e nel Caucaso, segnano, seguendo scrupolosamente le linee degli oleodotti e dei campi petroliferi, lo scatenarsi di nuove contese per la supremazia. La guerra torna ad essere la continuazione "con altri mezzi" della politica e dell'economia. "Socialismo o barbarie", l'accorato appello di Rosa Luxemburg ai proletari agli inizi del secolo passato, torna ad essere agli inizi di questo nuovo secolo la parola d'ordine degli internazionalisti.

L'Internazionale, n.29 – Novembre 2001