lunedì 20 maggio 2024

sabato 18 maggio 2024

Gino Doné compie 100 anni

 Oggi Gino Doné, l’italiano del Granma, compie 100 anni.

Auguri a un grande militante rivoluzionario-




venerdì 10 maggio 2024

Francesco Biamonti. Le carte, le voci, gli incontri

 


Nell''ambito del "Maggio dei libri" e in collaborazione con il Comune di Imperia e la Biblioteca Civica "L. Lagorio, l'Associazione Amici di Francesco Biamonti è lieta di presentare,

domenica 12 maggio,

alle ore 17,00,

presso la Biblioteca Civica di Imperia,

il volume "Francesco Biamonti, la carte, le voci, gli incontri", curato da Matteo Grassano e Claudio Panella, edito da Il Canneto Editore. Il volume raccoglie gli atti del convegno svoltosi a San Biagio della Cima e Ventimiglia nell'ottobre del 2021 in occasione del ventennale della scomparsa di Francesco Biamonti. Interverranno: il prof. Vittorio Coletti, Il prof. Matteo Grassano e Corrado Ramella.

mercoledì 8 maggio 2024

LILIANA BASTIA Nel giardino di Flora e altre prove d’autore



LILIANA BASTIA
Nel giardino di Flora e altre prove d’autore
a cura di Sandro Ricaldone
testo di Stefano Patrone
Entr’acte
via sant’Agnese 19r – Genova
10 maggio – 5 giugno 2024
orario: mercoledì- venerdì 16-19
inaugurazione: venerdì 10 maggio, ore 17

Nel suo percorso, iniziato alla metà degli anni ’70 del Novecento, Liliana Bastia ha dato vita ad una produzione ad ampio raggio, misurandosi con l’insieme delle tecniche consolidate nella tradizione artistica: dalla pittura all’incisione, nelle sue diverse declinazioni; dalla scultura alla ceramica, affrontando, volta a volta, soggetti diversi, dalla figura umana, maschile dapprima e quindi femminile, alla rappresentazione del mondo animale, all’illustrazione di personaggi appartenenti ai classici della letteratura, dalla Commedia dantesca al Don Chisciotte. A questo suo impegno multiforme si richiama Stefano Patrone nel testo che accompagna la mostra, definendo Liliana “una giocoliera che passa da una tecnica ad un’altra, da un trucco ad un altro”. Da Entr’acte espone tre xilografie in diversi stati di impressione, con le relative matrici: Nel giardino di Flora, Nel giardino di Marvi, Leda e il cigno. Ha scritto al riguardo Vico Faggi: “Le figure da cui Liliana prende le mosse hanno spesso il loro habitat nella mitologia e sono dunque figure che trascinano con sé, con il loro stesso nome, un’aura di lontananza nel tempo e, paradossalmente, di prossimità psicologica. (…) Ed è per questo che le predilige: per il loro prestigio culturale, ma più ancora per la forza, che hanno, di alludere a pulsioni ed emozioni, scatenando associazioni di idee e visioni”.

LILIANA BASTIA

Liliana Bastia è una giocoliera, a volte un’illusionista gioca con le figure e ti attira con un astrattismo che è solo l’illusione di un non figurativo ma le cose rimangono lì e lei ci gioca è abile nel mischiare le carte ed anche i colori ma non devi dimenticare che è una giocoliera che passa da una tecnica ad un'altra da un trucco ad un altro anche quando pensi di avere afferrato il senso la forma e l’attitudine lei cambia le regole e il bianco e nero si colora spiazzandoti e reinventandosi perché il suo più grande gioco che però non è un’illusione è questo: Liliana Bastia rinasce continuamente.

Stefano Patrone

fine aprile 2024


Liguria e questione morale

 Proponiamo la stimolante nota di Franco Astengo sulla questione Toti e le nostre considerazioni in merito.

Franco Astengo

Liguria e questione morale


Premessa la debita considerazione di garantismo e di colpevolezza da dichiarare soltanto al momento di sentenze passate in giudicato il terremoto giudiziario che sta devastando la Liguria politica e imprenditoriale non può rimanere sotto silenzio.

Ancora una volta la magistratura si è mossa in un'ottica di supplenza della politica e l'analisi dei diversi intrecci rilevabili dai provvedimenti giudiziari fin qui assunto consentono alcune precise affermazioni proprio sul piano politico:

1) dagli atti fin qui portati avanti dall'autorità giudiziaria appare rilevarsi il profilo di un vero e proprio "sistema di potere" collocato ben al di fuori da un contesto di esercizio della responsabilità democratica. Le scelte fin qui compiute dal Presidente della Regione Liguria nel corso del suo mandato hanno avuto l'evidente destinazione proprio del consolidamento di questo sistema di potere attraverso scelte di carattere corporativo sia sul piano economico sia sul piano delle destinazioni territoriali (ultima in ordine di tempo ma non ultima per importanza quella della destinazione della nave -rigassificatore a Vado Ligure);

2) Questo sistema di potere (da confermare giudizialmente ma ben presente sul piano politico) può sfruttare ( e fin qui ha sfruttato) il mutamento di natura dell'Ente Regione che proprio in Liguria ha assunto caratteristiche particolarmente spiccate. Attraverso l'elezione diretta del Presidente della Giunta (che poi mezzi di comunicazione di massa e giornali hanno facilonescamente definito "Governatore") ha definito la fisionomia dell'Ente in soggetto di nomina e di spesa (anziché di coordinamento legislativo come stava nelle intenzioni di chi aveva proceduto a normare l'indicazione costituzionale);

3) In questo intreccio tra potere di nomina e potere di "elargizione di spesa" può diventare facile l'introduzione di un sistema di potere capace di connettere politica e affari in vari campi ( per quel che riguarda la Liguria oltre al sistema infrastrutturale realizzato in particolare attorno al porto di Genova non può essere dimenticato il tema del rapporto pubblico/privato in sanità: tanto per fare soltanto degli esempi).

Questi sono alcuni dei temi politici suggeriti dall'avanzare dell'inchiesta che ha messo a soqquadro vertici istituzionali, economici e imprenditoriali in Liguria.

Il pensiero non può che correre all'affare Teardo di oltre quarant'anni fa: anche in quel caso emerse un ritardo della politica nell'individuare responsabilità e natura dei fatti (così la magistratura già svolse un ruolo di supplenza) in una fase in cui l'approccio alla modernità mutava la natura dell'antica questione morale di marca democristiana: in allora ci si fermò presto e non si riuscì a vedere oltre il fatto locale (pur molto rilevante). Eppure dietro l'angolo ci stava Tangentopoli


Giorgio Amico

Ritardo o morte della politica?


Caro Franco,

qui di seguito alcune riflessioni a caldo su quanto accaduto a Genova e sulle tue considerazioni-

Rispetto al caso Teardo, qui siamo oltre. Teardo rappresentava un gruppo di potere all'interno del PSI ligure. Oggi, se le accuse saranno confermate in giudizio, è il cuore della portualità e quindi dell'economia ligure a essere coinvolto. Ci troveremmo dunque di fronte non semplicemente ad un uso disinvolto o criminale del potere politico per fini personali, ma un sistema di gestione dell'economia  regionale che va dai grandi lavori pubblici, alla speculazione edilizia, passando per la gestione di terminal e aree portuali.

Stando a quanto al momento comunicato il perno attorno a cui ruota la vicenda sarebbero infatti alcune grandi operazioni economiche già in atto o in via di progettazione e non l'azione amministrativa del presidente della Regione che semmai avrebbe avuto, sempre che le accuse siano confermate, il ruolo di facilitatore dell'iter burocratico e non certo del regista occulto.

Secondo gli atti processuali Teardo imponeva le sue scelte nel quadro di un progetto amministrativo e di potere ben preciso e la cosa aveva dunque una sua centralità politica anche se deviata, 

Qui, sempre secondo quanto fatto circolare dagli inquirenti, più che un sistema di potere e di governo locale, saremmo in presenza di un personaggio pubblico pronto a fornire i suoi servizi a chi lo sponsorizza e lo finanzia. 

Detto questo che, se vuoi, è colore, non credo si possa parlare di ritardi della politica,  ma di totale assenza della politica. Il fatto è che probabilmente non c'è regione in Italia dove ormai non prevalgano  logiche simili che sono prima di tutto il frutto della morte dei partiti come comunità di persone e luoghi di elaborazione collettiva di un progetto di società e di governo.

La frammentazione sociale, di cui la passività ormai quarantennale della classe operaia è la principale manifestazione, si rivela ogni giorno e in mille modi anche come frammentazione di una politica dove ai partiti si è costituito il personaggio salvifico, l'uomo solo al comando, lo showman che buca lo schermo, il boss padrone di pacchetti di voti dalla provenienza dubbia.

Teardo rappresentava, qualunque cosa si pensi in merito della sua vicenda, l'estrema degenerazione di una storia gloriosa .e quasi secolare, questi personaggi, solo la propria miseria individuale.



martedì 23 aprile 2024

Sulla tradizione

 


Sulla tradizione


"In questi ultimi tempi, la destra sta puntando su due suoi valori secondari: la repressione e la censura. E ci distrae dai veri pilastri del pensiero reazionario: il culto della morte, la difesa della terra, il mito del sangue e l’ossessione per l’origine. Ma soprattutto la fissa per le tradizioni. Le tradizioni, per la destra, sono nate nella notte dei tempi. Sono date agli uomini quasi per grazia divina. E si mantengono uguali nello spazio e nel tempo. Ma se presentano variazioni, occorre considerare migliore la versione più antica. Nulla di più falso".

Così scrive un carissimo amico (di cui non cito il nome perché si firma con uno pseudonimo) nell'incipit di un suo post molto intrigante sulla tradizione musicale irlandese. Riflessione interessante che mi porta a mettere giù un paio di considerazioni sul tema.

Il tema della tradizione è in effetti centrale nel pensiero di destra, tanto centrale da rappresentare il principale discrimine fra destra e sinistra.

Mi spiego meglio. Per chi voglia, come scrive Dante, vivere seguendo virtute e conoscenza, è fondamentale collocare il proprio agire materiale e intellettuale a partire da un punto di riferimento ideale. È proprio questo modello ideale che determina il carattere virtuoso e razionale del proprio agire nel mondo. Una sorta di Stella polare, insomma, che permetta nei momenti critici di fare il punto e tracciare con sicurezza la rotta.

E questo vale a maggior ragione per il pensiero politico, sia di destra che di sinistra.

Destra e sinistra da non confondersi con le evanescenti rappresentazioni attuali fondate su prospettive di cortissimo respiro calcolate in base alle proizioni statistiche, all'audit televisvivo o al numero di followers in rete.

Questo punto di riferimento, questa Stella polare, è identificato in una società ideale armonica che superi le contraddizioni dello stato di cose presente. Aspirazione profondamente umana, esistenziale prima che politica, ben esemplificata da Francesco Biamonti con il suo "è destino dell'uomo vivere un mondo ma sognarne un altro". Forma laica, comunque, di una visione religiosa della vita tipica del mondo premoderno. Visione che, a differenza della sua versione laica riusciva a fondere armonicamente passato e futuro. Ce lo insegna in modo magistrale Agostino quando riflette su come l'uomo viva nel presente con il ricordo del passato (l'annunciazione) e l'attesa del futuro (l'avvento).

I laici questa sintesi non l'hanno saputa fare e di conseguenza, tanto per metterla giù semplice, si sono divisi fra chi vive nel presente guardando al passato (la destra) e chi al futuro (la sinistra).

Proprio in questa radicale divergenza sta la differenza fra le due correnti di pensiero, o meglio tra i due modi di stare nel mondo. Uno stare nel mondo che, come dice Paolo, cercando così di mettersi al riparo dalle contraddizioni del tempo vissuto che sono comunque sempre anche contraddizioni dell'Io, che doveva però essere vissuto come un "non essere del mondo".

L'età dell'oro, il mondo dell'armonia, dove le infinite separazioni e contraddizioni che segnano il mondo reale siano finalmente superate, la destra la colloca nel passato come un qualcosa di perso, ma che può essere individualmente recuperato a partire da uno stile di vita coerente con questa visione. Non a caso Guénon e Evola parlano dell'epoca presente come età del ferro (Kali Yuga) segnata dalla materialità e dalla perdita di ogni valore ideale. La sinistra proietta invece questa età dell'oro nel futuro e dunque lo stare nel presente come costruttori di progresso. La storia vera dell'uomo, dice Marx, inizierà solo con il comunismo. Da qui il dibattito, oggi stantio ma in passato vivissimo, sul partito come prefigurazione nei rapporti fra i militanti della società che si vuole costruire.

Naturalmente questo duplice riferimento è sempre più radicale, tanto più estrema è la visione politica, fino a diventare totalizzante in realtà come, tanto per citare due esempi, Ordine Nuovo (quello rautiano ovviamente) da un lato e le chiesuole bordighiste dall'altro. E chiesuola non è termine messo lì a caso.

Detto tutto questo, è evidente come l'ottimismo (l'ottimismo della volontà di Gramsci) sia tipico della sinistra come consolazione dei mali di un presente fosco ma aperto a un futuro che si pensa radioso. Forma laica, qualcuno potrebbe non a torto dire, della tradizione messianica giudaico-cristiana. Anche in questo contesto, tuttavia, la deificazione della Tradizione fa capolino. Penso a Bordiga per il quale il marxismo nasce già integrale e "invariante" tanto che ogni sviluppo o mutamento anche di una minima parte significa tradirne l'essenza profonda.

Collocare l'età dell'oro in un passato lontanissimo significa invece non avere più alcuna illusione sulla possibile evoluzione in positivo del presente, e dunque, come scrive Evola, restare in piedi fra le rovine, coltivando il ricordo, perso dalle masse, di quel periodo aureo in cui gli uomini erano veramente uomini integrali. Da qui il vedersi come parte di una aristocrazia dello spirito (sempre per citare Evola) fondata sulla Tradizione, ma anche il culto della morte. La via del guerriero ,insomma, sia quella individuale del ronin (il samurai senza signore) o quella collettiva del templare (il membro di una comunità che prega e combatte). Da qui la "fedeltà" come valore assoluto fondante l''onore, l'identificazione con chi sta dalla parte perdente della storia (i sudisti, i repubblichini, i parà francesi) e pur sapendolo accetta il combattimento, "a cercare la bella morte" come forma estrema di coerenza.

E' evidente l'importanza in questa visione del rispetto integrale dei singoli elementi della Tradizione. E dunque – come per Bordiga sull'altro versante – innovare è sempre tradire. Mishima si uccise ritualmente per ricordarlo ad un Giappone che lo aveva dimenticato.

Altra cosa sarebbe poi ragionare su come si colloca in questo contesto la Massoneria che raccoglie e cerca di sintetizzare entrambi gli elementi, quello delle origini (la parola perduta) e quello del futuro (una società veramente umana fondata sul trinomio libertà-eguaglianza-fratellanza).Una ambiguità che ha fatto si che la Massoneria possa, a buon titolo, essere vista sia come fenomeno di destra che di sinistra.

In realtà si tratta di una ambiguità solo apparente, ma cercare di spiegare il perché porterebbe molto lontano e richiederebbe molto più spazio e quindi rimandiamo il discorso ad un'altra occasione.

Giorgio Amico

sabato 20 aprile 2024

Balma Boves, vecchie pietre calde d'amore


 
Balma Boves, vecchie pietre calde d'amore.


Balma Boves, un luogo magico se guardato con gli occhi del turista, ma anche testimonianza muta di una vita incomprensibile oggi, fatta di fatica e miseria, dove anche il poco era un piccolo segno di distinzione.

Ci si arriva con un sentiero prima largo, con mucche pigre che ci guardano passare con l'espressione di chi non si stupisce di nulla perché è in sintonia profonda con ciò che lo circonda: il pascolo, il cielo, la valle e i monti tutto intorno. 















Le mucche suscitano ogni volta in noi sensazioni strane, da quando, sempre in montagna, io e Vilma vedemmo caricare a forza un vitello su un furgone mentre altre mucche attorno muggivano disperate, circondavano quegli uomini, cercavano di spingerli via con il muso, consapevoli che quello sarebbe stato un viaggio senza ritorno. Restammo lì, muti e tristi, finché il furgone non fu partito con le mucche che continuavano a muggire. Un coro straziante, quasi umano o meglio totalmente umano. Da allora abbiamo guardato le mucche con occhi diversi, occhi di chi ha scoperto all'improvviso che la sofferenza è una condanna universale che non risparmia nessuno.

Il sentiero termina con una grande cascina, ora abbandonata, per trasformarsi in una stretta mulattiera fatta di pietre secolari che costeggia la roccia, passa sotto una cascata e sbocca in uno spiazzo in salita sotto un'enorme volta di pietra.












Balma Boves, tre case, una sorgente, una cantina, un forno. Case primordiali, fatte di pietra e fango, finestre senza vetri, piccolissime stanze con poca luce e pochi mobili e oggetti. Giusto il necessario per la sopravvivenza.

Non ci sono letti, si dormiva nella stalla scaldati dal fiato degli animali. E neanche tavoli. Gran parte dello spazio è dedicato agli animali o a far seccare le castagne, alimento fondamentale per quella gente.

Una vita durissima, impensabile oggi.

Eppure per secoli lì uomini e donne hanno vissuto, si sono amati, hanno fatto crescere figli. Un po' di quell'amore si coglie ancora, guardando la più grande di quelle case: due piani con un ballatoio che guarda la valle, bellissima e verde, che si apre sotto.

La guida ci racconta che quel secondo piano, fatto di due stanze più grandi e luminose, è stato costruito per ultimo in epoca abbastanza recente (la Balma è stata abitata fino agli inizi degli anni '70), da uno dei figli per viverci con la giovane sposa che aveva trovato in vallata.



Ora ospitano un piccolo museo della vita contadina che ha l'aria malinconica delle foglie appassite, ma mantiene ancora le vibrazioni forti dell'amore che aveva portato quella giovane donna, di cui non sappiamo nulla, ma che ci piace pensare bella e ridente, ad abbandonare la vita più facile dei paesi della valle per condividere con il suo compagno la durezza di un'esistenza fatta di fatica e sacrifici. Un po' di quell'amore è rimasto a scaldare le pareti, le uniche intonacate di tutto il piccolo villaggio, sufficiente a dare speranza a chi sa cogliere che anche in quel luogo, di una bellezza estrema ma terribile, c'è stata gioia e corpi intrecciati nell'atto d'amore e risate di bimbi.

Andare a Balma Boves è un ritorno alle origini, al senso autentico della vita, alla sua sacralità. Se ne ritorna un poco rigenerati nel mondo comodo ma avaro d'amore delle nostre città. Più fiduciosi nella forza misteriosa della vita che lega tutto ciò che esiste, dentro e fuori di noi.

Ancora una volta il cammino si è rivelato esperienza intima, prova iniziatica, viaggio alla ricerca di ciò che ci rende ciò che siamo.


venerdì 12 aprile 2024

Quando in Unione Sovietica scomparve lo Stato

 


Nel gennaio 1960 l'Unità con un articolo in prima pagina annunciava  con toni trionfalistici che in Unione Sovietica si era ormai giunti alla piena realizzazione del comunismo e all'estinzione dello Stato a partire proprio dal Ministero dell'Interno e dell'apparato repressivo. Per il PCI un'ulteriore conferma che l'URSS era il paese più libero e democratico del mondo.

Il Quaderno, che comprende, oltre a una nostra introduzione, la riproduzione della prima pagina de l'Unità del 14 gennaio 1960 e l'articolo integrale di Giuseppe Boffa, può essere scaricato dal sito www.academia.edu..

domenica 7 aprile 2024

ULRICH ELSENER alla Galleria Entr'acte

 


Sandro Ricaldone (curatore della mostra)
  

ULRICH ELSENER
einfarbig aber nicht eintöning
(monocromo, non monotono)
a cura di Sandro Ricaldone
Entr’acte
via sant’Agnese 19r – Genova
10 aprile – 3 maggio 2024
orario: mercoledì- venerdì 16-19
inaugurazione:
mercoledì 10 aprile, ore 17


Ulrich Elsener (Biel 1943) è conosciuto a Genova, dove vive e lavora da decenni, in alternanza con Zurigo, per le mostre tenute in gallerie (Studio Leonardi, Spazio Della Volta, Artré, Entr’acte) e in spazi pubblici (Galata Museo del Mare, Palazzo Ducale), imperniate su fasi diverse del suo percorso creativo: le “immagini d’ombra”, le “maschere”, i “volti-paesaggi”.

L'artista, tuttavia, ai suoi esordi, sul finire degli anni Sessanta e lungo il decennio successivo, si era brillantemente affermato coltivando i modi della pittura concreta, dominante in Svizzera nel secondo dopoguerra. A quel tempo si riporta appunto la mostra ora allestita da Entr’acte attraverso un “oggetto” (acrilico su pannello) e quattro serigrafie, oltre a una copiosa raccolta fotografica e documentale.
Si tratta di lavori che in occasione di una personale tenuta alla Galerie Impact nell’aprile 1972 venivano così appropriatamente descritti in un articolo (siglato J.D.R) comparso sulla Gazette de Lausanne:
“La gradazione dei toni nelle composizioni si basa su una curva logaritmica, che permette di calcolare le intensità dei colori. Gradazioni così sottili potrebbero essere ottenute con una stima ottica, ma Elsener preferisce una risoluzione matematica all'empirismo dell'occhio. L'originalità della ricerca di questo artista, fortemente influenzato dalla Minimal Art, risiede più nell'integrazione dell'oggetto nell'ambiente che nel fenomeno ottico derivante dalla successione di bande monocromatiche, vere e proprie gamme di grigi o di blu. L'oggetto conquista lo spazio e la gradazione serve a favorire l'esplosione o l'implosione visiva della proposta. Una ricerca di questo tipo, basata sul carattere poliforme e sulla variazione progressiva o decrescente del contrasto, sembra aprire nuove prospettive nell'integrazione dell'arte con l'architettura”. 

Antifascisti savonesi nella guerra di Spagna


 Scaricabile dal sito www.academia.edu

Malcom X, gli afroamericani e le lotte dei popoli di colore

 



Nel 2012 la Federazione del Partito della Rifondazione Comunista di Savona tenne una Scuola di politica sul tema dell'Africa. Il corso si tenne nella Sala conferenze del Comune di Savona,  la Sala Rossa, con una buona partecipazione di pubblico Fra i relatori spiccava il Professor Raffaele Salinari, medico, docente universitario e esperto, grazie ad una lunga esperienza di volontariato in Africa, di cooperazione internazionale. 

Il mio contributo fu una lezione incentrata sulla realtà della minoranza afro negli Stati Uniti e sulla figura di Malcom X, uno dei temi centrali della mia tesi di laurea discussa nell'ormai lontano 1975.

Ne derivò una dispensa che riprendeva sintetizzandolo il contenuto della relazione e che da oggi è disponibile sul sito www.academia.edu nella pagina che raccoglie i miei lavori. 

G.A.


mercoledì 3 aprile 2024

I trotskisti italiani e il Maggio francese

 



L'ondata di occupazioni che tra la fine del 1967 e la primavera del 1968 travolgono l'intero sistema universitario italiano sembrano offrire ai trotskisti, raccolti nei Gruppi comunisti Rivoluzionari (GCR) e ancora operanti in modo semiclandestino all'interno del PCI, nuove confortanti prospettive di sviluppo. I GCR tentarono di affrontare la nuova situazione in un convegno del marzo ’68, destinato a stabilire se la tattica "entrista", praticata fin dalla fondazione dell'organizzazione, avesse ancora senso. Insomma, per dirla gramscianamente, se dalla guerra di posizione si dovesse passare alla guerra di movimento.

La conferenza portò alla luce le profonde divergenze esistenti all'interno della sezione italiana della Quarta Internazionale e anche i contrasti, non solo politici ma anche personali, che laceravano il suo gruppo dirigente dove una generazione di giovani quadri sempre più insoddisfatti del tatticismo esasperato di Livio Maitan stava emergendo a Roma e Milano. Una insofferenza acuita due mesi più tardi dai fatti francesi.

Il Maggio, di cui i gruppi trotskisti erano stati la forza trainante, mostrava che la stagione dell'entrismo era finita e che la lotta aperta contro partiti comunisti ancora profondamente stalinisti pagava.

Livio Maitan, fondatore e leader storico dei GCR, ritenne che i fatti francesi potessero da soli risolvere la situazione. Le risorse finanziarie, sempre piuttosto scarse, dei GCR furono impegnate nel fornire una informazione di prima mano mettendo in risalto il ruolo importante svolto dai trotskisti e la necessità, contro ogni tentazione spontaneistica, di una organizzazione ancorata ai tradizionali principi leninisti. Da qui il numero speciale della rivista teorica "Quarta Internazionale", interamente dedicato al Maggio. Seguirono poi alcuni opuscoli pubblicati dalla nuova casa editrice Samonà e Savelli, di fatto un'emanazione dei GCR di cui i due editori erano militanti.

Iniziativa sicuramente meritevole che permise di far conoscere meglio ciò che stava accadendo in Francia a una generazione di giovani che stava passando da una fase puramente rivendicativa, quasi di sindacalismo studentesco, ad un più complessivo impegno politico fortemente declinato in chiave rivoluzionaria.

Del tutto insufficiente invece a far superare la crisi che travagliava l'organizzazione trotskista, tanto che immediatamente dopo l'estate i GCR implosero dando vita a una miriade di nuove organizzazioni, da Servire il Popolo a Avanguardia Operaia, caratterizzate da un passaggio repentino dal trotskismo al maoismo.

Dei vecchi GCR restarono attivi solo dei piccoli nuclei in una decina di città. La grande ondata di lotte operaie dell'anno successivo permetterà un rilancio dell'attività con risultati non disprezzabili soprattutto a Torino, ma insufficiente a far uscire l'organizzazione dalla condizione di marginalità in cui si la crisi del '68 l'aveva precipitata.

Altri erano ormai i punti di riferimento di un movimento che pareva inarrestabile. Il Movimento studentesco della Statale e i nuovi partitini - dal Manifesto, a Potere Operaio, da Lotta Continua ad Avanguardia Operaia fino all'ultrastalinista e caricaturale Servire il Popolo – avrebbero monopolizzato almeno fino alla metà degli anni Settanta l'ambito della sinistra rivoluzionaria.

A differenza dei loro compagni francesi, i trotskisti italiani avevano perso l'occasione per diventare una reale alternativa al Partito comunista. Un fallimento di cui Livio Maitan , dal 1949 leader incontrastato della sezione italiana della Quarta, portava non poche responsabilità. Ma questa, come si suol dire, è un'altra storia.



G.A.


il quaderno è liberamente scaricabile dal sito www.academia.edu

venerdì 29 marzo 2024

Avanguardia Operaia. Reprint del primo numero (Dicembre 1968)




Avanguardia Operaia, o meglio l'Organizzazione Comunista Avanguardia Operaia (sigla OCAO), nasce a Milano nel 1968 nel quadro della disintegrazione avvenuta in quell'anno dei Gruppi Comunisti Rivoluzionari (GCR), la sezione italiana della Quarta Internazionale.

Abbandonato il campo trotskista in favore di un maoismo moderato, ben lontano dalle pagliacciate dei gruppi m-l, come "Servire il Popolo" di Aldo Brandirali paradossalmente proveniente dallo stesso ambito trotskista milanese, AO prende presto carattere nazionale unificandosi via via con gruppi e collettivi di Torino, Venezia, Perugia, Roma, Napoli e aprendo sedi in città importanti come Genova.

Già dal dicembre 1968 editerà una rivista teorica dallo stesso nome, di cui in previsione di un quaderno interamente dedicato a ricostruire storia e posizioni dell'organizzazione, presentiamo in questo quaderno il primo numero.

Della rivista usciranno 27 numeri per essere poi sostituita nel febbraio-marzo 1973 da una nuova rivista: "Politica comunista". Nel frattempo, a partire dal 1971 al mensile si affiancherà un foglio di agitazione dal titolo simile, "Avanguardia Operaia, giornale di agitazione comunista", con cadenza prima quindicinale e poi settimanale, a sua volta sostituito a partire dal 1974 dal giornale "Quotidiano dei lavoratori" che cesserà le pubblicazioni nel 1979.

Quanto all'Organizzazione politica, dopo un lacerante e confuso dibattito interno, di cui il pamphlet polemico "I senza Mao" di Silverio Corvisieri resta efficace testimonianza, Avanguardia Operaia si scioglierà nel 1977 per confluire nel processo di formazione di Democrazia Proletaria.


Il quaderno è liberamente consultabile e scaricabile dal sito www.academia.edu


domenica 17 marzo 2024

La sinistra italiana e Stalin

 


Simul stabunt vel simul cadent.

La sinistra italiana e Stalin





In questo quaderno pubblichiamo, riprendendolo dagli atti parlamentari, il resoconto delle sedute che il 6 marzo 1953 Senato e Camera dei deputati della Repubblica dedicarono alla commemorazione di Stalin. Una documentazione importante non solo per comprendere meglio il clima di quel particolare momento della storia politica italiana, ma anche per approfondire la conoscenza di alcuni degli esponenti principali di una sinistra quasi interamente asservita allo stalinismo e alla propaganda sovietica.

L'intervento di Scoccimarro in rappresentanza del Partito comunista ne è forse l'esempio più chiaro e, nella sua brutale ottusità ideologica, segna una delle pagine più buie della storia del Senato. Il discorso dell'esponente comunista, che riprende senza batter ciglio una ad una le peggiori menzogne della propaganda staliniana, al punto di esaltare come una conquista della civiltà quella collettivizzazione forzata delle campagne costata la vista a milioni di piccoli contadini, è paragonabile per il disprezzo della verità e dell'autorità morale del Parlamento solo ai discorsi tenuti nella stessa aula da Benito Mussolini negli anni infausti della dittatura. E non cambia ovviamente nulla che l'esponente comunista fosse fanaticamente convinto delle sue idee. Anche Mussolini era convinto di ciò che sosteneva e di essere la guida di una rivoluzione di tipo nuovo che avrebbe trasformato in meglio l'Italia. Insomma, anche se espresse in buona fede, le menzogne restano comunque menzogne.

Che dire poi della celebrazione apologetica di Pertini, che interviene per il Partito socialista ? Frase dopo frase vediamo crollare il mito costruito su di lui durante e dopo gli anni della Presidenza della Repubblica, portando alla luce il cinismo di quello che fu in realtà un politico mediocre, prima autonomista, poi stalinista, poi di nuovo autonomista. A differenza di Nenni, personaggio altrettanto contraddittorio ma che ragionava secondo una visione politica di prospettiva, Pertini si dedicò soprattutto a difendere la rendita di posizione derivante dal suo comunque importante passato antifascista, appoggiando di volta di volta chi gli pareva potesse garantirgli meglio gli spazi di potere, peraltro esigui, detenuti all'interno del gruppo dirigente socialista. Un cinico, lo definirà Panzieri e anche in questa occasione Pertini si mostrerà attento a non eccedere nei toni, allineandosi allo stalinismo imperante nella sinistra ma con moderazione. Limitandosi, insomma, a fare della mera retorica da comizio.

Più calibrato l'intervento di Togliatti alla Camera, ulteriore prova, se ce ne fosse bisogno delle capacità dialettiche dell'uomo, ma anche del suo insopportabile vezzo a posare da professorino. La sua citazione manzoniana, che di fatto assimila Stalin a Napoleone, è un pezzo da antologia.

Quanto a Nenni, non può non colpire, nonostante dall'inizio degli anni Trenta a decine si contassero le testimonianze sui metodi usati nella gestione del potere dall'autocrate del Cremlino, la asserita, ma chissà quanto sincera, convinzione che parlare per la Russia di dittatura fosse una mera calunnia a fini propagandistici di un Occidente guerrafondaio e bellicista che in Stalin combatteva soprattutto l'eterno anelito dell'umanità alla pace.

La storia, si sa, è impietosa e non fa sconti. Tre anni dopo, proprio uno dei principali complici di Stalin, quel Chruščëv responsabile dello sterminio per fame dei contadini ucraini insofferenti del potere sovietico, rivelerà al mondo gli orrori della dittatura staliniana. Era la conferma di ciò che Souvarine, Serge, Silone – giusto per citare alcuni dei testimoni più noti di quegli orrori – avevano coraggiosamente sostenuto già dalla fine degli anni Venti. Ma non servirà a molto. La verità rende libero solo chi vuole essere libero. Lo dimostrerà sempre in quel 1956 la difesa ostinata dell'URSS in occasione della rivoluzione ungherese fatta da Togliatti e da un Ingrao chissà perché ancora oggi da qualcuno visto come un “eretico” del comunismo.

Abbiamo, per completezza di documentazione, aggiunto poi in appendice l'articolo che Enrico Berlinguer, allora segretario dei giovani comunisti, scrisse in quei giorni sulla rivista “Pattuglia”. Colpisce in quell'ossessivo invito all'impegno, ripetuto come una formula religiosa o un giuramento solenne, già un accenno di quel moralismo curiale, spacciato per etica, che caratterizzerà gli interventi del futuro segretario comunista negli anni del compromesso storico. A dimostrazione di una continuità di pensiero e di un Partito incapace di affrontare realmente le contraddizioni della propria storia e di fare una volta per tutte i conti con lo stalinismo.

Sarà solo nel dicembre 1981 che Berlinguer parlerà di “fine della spinta propulsiva” del comunismo sovietico. Una affermazione a cui non seguirà però alcuna riflessione autocritica né alcun atto concreto. Una semplice presa d'atto da spendersi nel teatrino angusto della politica italiana. Come se sessant'anni prima, nel marzo 1921, non ci fosse stata la Comune di Kronstadt, e poi la collettivizzazione forzata delle campagne, lo sterminio per fame dei contadini ucraini, l'industrializzazione fondata sul lavoro schiavo fornito dai Gulag, le grandi purghe di fine anni Trenta, il patto Ribentropp-Molotov e l'alleanza di fatto con il nazismo che aprì le porte alla guerra, il XX Congresso, l'asservimento dei popoli di mezza Europa e la repressione sanguinosa della rivoluzione ungherese, l'URSS era restata fino ad allora il faro del socialismo che segnava con la sua luce la rotta dell'umanità verso un avvenire radioso di civiltà e di pace. Solo nel 1981, lo ripetiamo, ci si accorgerà che quel faro non faceva più luce. Una presa d'atto tardiva e neppure condivisa da tutti, come dimostrerà l'opposizione prima della componente cossuttiana e poi la storia fallimentare del Partito della Rifondazione comunista.

Simul stabunt vel simul cadent, verrebbe da dire. PCI e stalinismo erano dal 1926 indissolubilmente legati. Lo dimostrerà nel 1991, a 38 anni dalla morte di Stalin, il crollo parallelo dell'impero sovietico e del Partito comunista italiano.


Giorgio Amico


Il quaderno è liberamente scaricabile dal sito www.academia.edu

giovedì 14 marzo 2024

Gramsci In America Latina



Come negli Stati Uniti così in America Latina assistiamo da anni ad un fiorire di studi sul pensiero di Gramsci che non ha eguali in Europa e ancora meno in Italia dove la ricerca si è sempre più ristretta all'ambito accademico senza agganci con la realtà politica, riducendosi spesso a rimasticature filologiche valide solo a far curriculo.

Una ricerca di cui cercheremo di dare conto in futuro. Per ora proponiamo questi due volumi, entrambi di grande interesse, reperibili sulla pagina web "Archivio obrero".





martedì 12 marzo 2024

Sull'odierno antisemitismo

 

L’articolo di Ginzburg sull’antisemitismo è interessante, ma ha un grosso difetto.

Il suo sbaglio, secondo me, consiste nel  trattare la questione senza mettere in primo piano un elemento fondamentale: la Shoah, lo sterminio degli Ebrei voluto e tentato, e in grande misura anche attuato, da Hitler e dal nazismo tedesco, è uno spartiacque decisivo nella storia dell’antisemitismo. 

Perché è così?

Non perché prima non ci siano stati massacri di villaggi e nuclei ebrei, dall’antica Giudea (coi Persiani e coi Romani), e poi via via in giro per il Medio Oriente e per l’Europa. Non perché non sia esistita prima una sistematica discriminazione e persecuzione degli Ebrei in varie forme.   

Ma perché l’opera dei boia nazisti ha mostrato al mondo intero in che modo l’odio per gli Ebrei e le sue manifestazioni più o meno banali e quasi “innocue” siano propedeutici e ausiliari rispetto a un disegno mostruoso che intende realizzare un genocidio totale impiegando le tecnologie più moderne disponibili.

Dopo la Shoah chiunque si dichiari esplicitamente antisemita si sta schierando con Hitler e coi suoi progetti osceni e demenziali. Ovviamente molti al giorno d’oggi si risentono se le loro posizioni vengono descritte usando questa terminologia.

Non è un caso se in Urss, fin dai tempi di Stalin nei primi anni '50, si è insistito sulla presunta distinzione tra “antisionismo” e antisemitismo.  

Il secondo è Hitler,mentre il primo sarebbe la “legittima opposizione ai progetti razzisti del sionismo”, e dunque il tentativo di delegittimare lo Stato di Israele e propugnarne, in modi più o meno espliciti e più o meno radicali, la scomparsa dalla faccia della Terra.

Ma “antisionismo” e antisemitismo sono soltanto due modi diversi di dire la stessa cosa, e sottendono una stessa nozione di fondo: “gli Ebrei non sono un popolo come tutti gli altri popoli”, “gli Ebrei non hanno diritto ad avere un proprio Stato (e tantomeno nelle loro terre ancestrali)”, “il mondo sarebbe migliore se gli Ebrei non esistessero”.   

Una distinzione logica molto valida e necessaria è quella fra il dire “Il Tale è un antisemita” e il dire “Il Tal'altro ha una posizione antisemita” ovvero “ha detto qualcosa che è antisemita”.

Criticare Israele non è di per sé una manifestazione di antisemitismo. Alcune “critiche” sono però espressioni di antisemitismo, ovvero esprimono in forma blanda una posizione che è in sé antisemita senza per questo invocare apertamente la distruzione dello Stato di Israele e lo sterminio degli Ebrei. 

Definire antisemite tali posizioni è possibile, anzi è necessario, proprio perché rientrano in quella “sottovalutazione dell’antisemitismo” operata da alcuni personaggi, come Marx e Kautsky, di cui parla proprio Ginzburg.

Ma fra loro (o anche Liebknechkt e Rosa Luxemburg sul processo Dreyfus) e gli odierni “sottovalutatori” dell’antisemitismo, se vogliamo chiamare così tutti coloro che Ginzburg cerca di difendere in qualche modo, c’è di mezzo la Shoah. E questo cambia tutto.

Nel 1848 o nel 1903 si poteva fare una distinzione, giusta e sensata, fra i pogromisti di Kišinev [1903, in Moldavia] o le Centurie nere in Russia, da una parte, e coloro che criticavano i sionisti e il Bund anche in termini molto duri, dall'altra.

Nel 2024, dopo i massacri, gli stupri e gli ostaggi del 7 ottobre 2023, chiunque gridi “Dal fiume al mare la Palestina sarà libera” può anche essere un ignorante che non conosce il nome del fiume e del mare di cui blatera, ma quella è una posizione antisemita. 

Ed essa si colloca su un continuum che inizia con gli idioti che negli stadi gridano “Ebrei” ai tifosi della squadra avversaria ma finisce con l’apologia della Shoah.

Oggi essere un “sottovalutatore” non è più una giustificazione valida per nessuno.

Perché vuol dire contribuire ad alimentare l’antisemitismo genocida, quali che siano le intenzioni più o meno “buone” o “ignoranti” di chi sottovaluta i pericoli dell’antisemitismo.

Luciano Dondero

Lettera inviata al Foglio


lunedì 11 marzo 2024

Genova nei ricordi di un giovane viaggiatore argentino (1843)

 



Italia, nelle tue città è la tua poesia, non nei tuoi poeti, tu non scrivi; fai poesia.

J.B Alberdi


Juan Bautista Alberdi (Tucumán, 1810-Parigi, 1884) nacque a Tucuman in Argentina. Era figlio di un mercante spagnolo e di una signora, della buona borghesia di Tucumán. Convinto democratico e sostenitore della rivoluzione repubblicana, ebbe una gioventù scapigliata. Abbandonò gli studi universitari nel 1824 per dedicarsi alla musica. Infine studiò legge e nel 1840 si laureò in giurisprudenza a Montevideo. Filosoficamente era autodidatta, ma aveva una buona conoscenza del pensiero liberale. In particolare fu influenzato dalle opere di Rousseau, Bacon, Buffon, Montesquieu, Kant, Adam Smith, Hamilton e Donoso Cortés.

Nel 1843 andò in Europa per conoscere da vicino gli usi e i costumi delle principali nazioni. Tornato in America si stabilì a Valparaíso (Cile) dove esercitò la professione forense. Massone, fu l'ispiratore della Costituzione argentina del 1853.

Entrato nel corpo diplomatico, dopo il 1859 compì alcuni viaggi in Europa per ottenere il riconoscimento della repubblica argentina da parte delle principali potenze europee. Nel corso di queste missioni incontrò l'imperatore Napoleone III, il papa Pio IX e la regina Vittoria di Inghilterra. Svolse attività diplomatica per quattordici anni e nel 1878 fu nominato deputato al Parlamento nazionale. Morì a Parigi nel 1884.

Autore molto prolifico di studi giuridici e di politica internazionale, scrisse anche note di viaggio dove minuziosamente annotò impressioni e ricordi. Un libro, pubblicato a Barcellona nel 2021, ne raccoglie alcune fra le più interessanti.

Un capitolo riguarda Genova dove soggiornò quasi un mese durante il suo primo viaggio in Europa. Un viaggio di formazione compiuto nel 1843 a poco più di trent'anni. Ne riprendiamo la parte più interessante, relativa al viaggio e alle impressioni che la città gli suscitò. Impressioni, come si vedrà, controverse. Lo colpì la maestosità delle vie principali, ma anche la dimensione ridotta dei vicoli. Gli piacquero i caffè che trovò eleganti e colti, vere e proprie sale di lettura. Molto meno lo colpirono le donne che trovò poco eleganti. Da buon americano, democratico e repubblicano, fu stupito dallo sfarzo dei nobili e dall'onnipresenza della Chiesa.


Giorgio Amico

giovedì 7 marzo 2024

Evola e Kerouac uniti nella lotta? La rivolta giovanile vista da destra


 

Liberamente scaricabile da www.academia.edu

domenica 18 febbraio 2024

Guido Seborga, Liguria

 











Guido Seborga

Liguria


Tu vai più lontano di me
Coi tuoi marittimi dei porti
Coi tuoi braccianti della costa
Sei disperata e felice
Antica come il maestrale
Liguria hai messo nel mio corpo
L'animo arso e secco del canto
Non avrei mai vissuto senza di te
Nella tempesta mi calmo
L'ansia s'allenta nella burrasca
Nella bonaccia mi scaravento
Salto come delfino che gioca
E in fondo in grazie a te
Sono felice d'essere nato
E so quanto tu sia viva


(da: Liguria - Se avessi una canzone, Dell'albero 1964)

giovedì 15 febbraio 2024

Perché non svanisca la memoria. Ricordo di Guido Seborga (seconda parte)

 


Guido Seborga (1909-1990), Vita di un ribelle


Guido Seborga, giornalista, letterato, poeta pittore, é nato a Torino nel 1909 da famiglia in cui lui amava individuare sangue ligure, egiziano, ebreo. Il suo vero cognome era Hess. la scelta dello pseudonimo Seborga, piccolo paese ligure dell'entroterra di ponente, è legata all'amore per il mare e a quella che considerava la sua vera città d'origine e non soltanto d'elezione, Bordighera, costante punto di riferimento nei suoi diversi vagabondaggi e viaggi all'estero. Bordighera e il suo entroterra sono lo sfondo dell'attività di letterato, il fascino della Valle delle Meraviglie e del mare del ponente ligure sono preciso riferimento al segno ideografico della sua pittura.

Studiò nella Torino antifascista di Augusto Monti (di cui era stato allievo) e Felice Casorati, di Gobetti e poi di Mila e di Bobbio, ma la sua insofferenza all'ordine lo spinse a nuovi ambienti, conoscenze ed esperienze a Berlino, poco prima dell'avvento del nazismo, poi a Parigi, luogo amatissimo in cui tornò con frequenza lungo tutta la sua vita.

A Torino conobbe e strinse amicizia con Umberto Mastroianni arrivato nel '28 da Roma, con Luigi Spazzapan, Mattia Moreno. Oscar Navarro, Raf Vallone, Vincenzo Ciaffi, Albino Galvano, Piero Bargis con cui si trovava a passeggiare per via Po, corso Vittorio e via Pietro Micca discutendo di tutto in totale libertà, protetti dall'oscuramento bellico.

La matrice antifascista torinese lo indusse all'azione, alla diserzione dalle guerre fasciste e alla partecipazione alla guerra partigiana, prima col Partito d'azione con Agosti, Galante Garrone, Ada Gobetti, Ciaffi, Navarro, Silvia Pons, Anna Salvatorelli, Raf Vallone, Giorgio Diena poi partigiano nelle brigate socialiste "Matteotti".

Dall'azione diretta passò nel primo dopoguerra all' attività politica nel Partito Socialista di cui aveva tentato la ricostruzione in Liguria ancora prima della guerra. A Roma con Basso diresse la rivista "Socialismo" ed entrò nelle vicende della direzione del partito occupandosi anche della propaganda del Fronte Popolare.

Già presente dagli anni '30 sui maggiori periodici culturali italiani (Circoli, Campo di Marte, Prospettive, Letteratura, Maestrale), nel dopoguerra contribuì alla riapertura della redazione torinese del " Sempre Avanti" poi ridiventato "Avanti", fu giornalista sui quotidiani e sulle riviste della sinistra italiana e internazionale occupandosi dei temi della cultura e dell'impegno, della critica d'arte e dell'attualità.

Partecipò con Ada Gobetti, Franco Antonicelli, Felice Casorati, Massimo Mila ed altri alla fondazione dell'Unione Culturale di Torino, fu tra gli organizzatori dell'allestimento del Woyzeck di Buchner rappresentato nel ' 46 al teatro Gobetti.

A Parigi, dove fu direttore di "Italia Libera" e collaborò a "Europe" e"Editions des Minuit" scrisse per i giornali italiani di quell'ambiente di intensa attività culturale e artistica dei surrealisti, del Cafè Flore, di Sartre, Vercors, Artaud, Eluard, Tzara, di Severini, Franchina e Magnelli che, lui ben conosceva dall'anteguerra, raccontando di teatro, cinema, musica, letteratura, pittura.

Nel 1948 Mondadori pubblicò nella Medusa degli italiani "L'uomo di Camporosso", nel 1949 "Il figlio di Caino" accolti dalla critica italiana e straniera con interesse e giudizio positivo. Letterato di forte intonazione realista Seborga racconta di un mondo di diseredati che combattono per la sopravvivenza, in una terra ligure aspra e dura, in cui lavoro è fatica e difendere le proprie convinzioni diventa pericoloso in un'epoca di regime.

Seguono altri quattro titoli tradotti in diverse lingue e un diario uscito nel '68.

I personaggi di Seborga fanno parte del dramma del vivere sia nel bene che nel male, per cui non sono possibili evasioni se non a rischio della mistificazione e pertanto della complicità con la società e con se stessi. Per Seborga il pericolo è l'automazione, cioè la violenza sull'uomo da parte dalla società tecnico-industriale a cui egli oppone il rigore di una moralità gobettiana che si richiama all'impegno civile .

Affiancò all'attività di scrittore quella di poeta, presente fin dagli anni giovanili e approdata nel 1965 alla prima di tre raccolte " Se avessi una canzone" in cui dominano il mare, il sole, il vento, le aspre valli di confine di una terra di ulivi e viti, selvaggia come i suoi abitanti. Partecipò all'esperienza politico-musicale del gruppo torinese del Cantacronache, nato per una proposta musicale alternativa alla canzonetta di consumo. E' lo stesso mondo presente nei racconti . Altre poesie furono musicate negli anni seguenti.

Il suo amore per la città di Bordighera si è manifestato negli anni anche con una concreta e attiva partecipazione alla vita culturale del ponente ligure. Seborga ha fatto parte dell'organizzazione e della giuria negli anni '50-'60 del premio di letteratura e pittura "Cinque Bettole" insieme a personaggi di rilievo quali Calvino, Vigorelli, Accrocca,Betocchi, Natta, Balbo. Negli anni '60 ha curato "Incontri con l' uomo" a Sanremo, ciclo di conferenze a cui ha partecipato tra gli altri Quasimodo. Ha anche contribuito negli anni '60 - 70 alla creazione e allo sviluppo dell'Unione Culturale Democratica di Bordighera nei cui locali con il suo contributo furono organizzate mostre, dibattiti, conferenze, opere teatrali.

Se i versi furono il leit-motiv che percorse tutto l'arco della sua vita, fin da bambino fu affascinato dalle incisioni rupestri della Valle delle Meraviglie, che costituiscono il legame ideale fra poesia e pittura: dagli anni '60 riprese a disegnare e dipingere creando nelle "ideografie" una forma di pittura originale che unisce il segno dinamico e le nere silouettes di figure arcaicizzanti alle contrastanti accensioni cromatiche degli sfondi in cui esse si profilano.

Come pittore visse un periodo di grande entusiasmo e di attività molto intensa nel quale restò vicino ai giovani con cui era sempre disposto a mettere in comune le sue numerose conoscenze e a collaborare alle loro iniziative culturali e artistiche.

In seguito si ammalò gravemente e morì nel 1990 dopo una vecchiaia che l'aveva duramente colpito, limitandogli in modo insopportabile quella libertà e quella autonomia alla quale aveva tenuto per tutta la vita


mercoledì 14 febbraio 2024

Perchè non svanisca la memoria. Ricordo di Guido Seborga (prima parte)

 


Ieri, anniversario della morte del padre, Laura Hess Seborga mi ha mandato una serie di materiali molto belli sulla figura e l'opera di Guido Seborga. Negli anni Laura mi ha accompagnato nella scoperta della grandezza dell' uomo e dell' intellettuale e mi ha permesso di conoscerne e apprezzarne la profondità dell'impegno civile e politico.

La lettera era privata, ma con il  permesso di Laura, inizio a riprendere e diffondere questi materiali, convinto che in momenti cupi come quelli che viviamo la riscoperta del lascito artistico e morale di una figura tanto significativa, possa essere di conforto e di stimolo a chi, nonostante tutto, non intende mollare.

G.A.


ll 13 febbraio 1990 moriva mio padre. Il ribelle, il giornalista, il letterato, il poeta, il pittore e lo voglio ricordare insieme a coloro che hanno conosciuto l'uomo e il suo messaggio di impegno e di libertà. 

Perché non svanisca la memoria.

Laura


Lascio una vita di libertà
La mia carne alle fiamme
Le ceneri al vento
Lascio il malessere e l'ansia
e la gioiosa avventura
dell'amore terrestre e cosmico
parola e quadro
reale-irreale
Ora so che non devo più ricordare...
Nel caldo della notte di luna
dormirò ancora nella caranca
e il sole nascerà sul mare
Mi piace morire all'aurora

Da: Guido Seborga, Ceneri al vento - Sangue e cerebrum, Sugarco 1980


…riposare in pace

Con me stesso e gli uomini
La pace che fu rotta nella nostra adolescenza
Ma il ricordo spezzato è ancora forte nell'animo
E rinasce come il senso violento della morte
Che l'uomo crudele ha inferto all'uomo povero
Ma ora parlo anche dell'altra morte
Ora parlo della nostra morte umana
Parlo amici dell'ultima estrema libertà
Quella che spero non tradirà mai
Quella che adoro nel mio silenzio
Quella che ammiro nell'ultima luce
Quella che indovino nell'ombra spessa
Quella amici che offre all'uomo verità
E finalmente riposare in pace
Trovato il senso della parola umana
Trovata l'estrema ultima libertà

Da: Guido Seborga, Uomo ferito -Se avessi una canzone, Dell'albero 1964

(Nella foto di copertina Guido Seborga con Laura bambina)

 


sabato 10 febbraio 2024

Valdo e i Valdesi tra storia e mito

 


INAUGURAZIONE MOSTRA:
"VALDO E I VALDESI TRA STORIA E MITO"
10 FEBBARIO ORE 16-CASA VALDESE VIA BECKWITH 2-TORRE PELLICE 
ALLESTIMENTO MUSEO VALDESE VIA BECKWITH 3-TORRE PELLICE 


A cura di Marco Fratini e Samuele Tourn Boncoeur


In occasione della ricorrenza degli 850 anni della conversione di Valdo di Lione e dell’origine dei valdesi, si è realizzata un’esposizione che illustra le tappe della costruzione della storia del movimento valdese nel corso di otto secoli, letta attraverso la figura del suo “fondatore”.
La mostra, strutturata in due sezioni, si pone, in quanto momento di rielaborazione critica, in continuità con il lavoro realizzato per il recente riallestimento del Museo valdese.
La prima sezione è organizzata come una narrazione attraverso le testimonianze che di Valdo di Lione diedero i contemporanei a partire dal 1174.

La seconda presenta le testimonianze di oltre duecento interpreti di tutte le lingue e nazioni, dal XIII al XX secolo, del dibattito sulle origini dei valdesi (accompagnate da una selezione di libri a stampa), per mostrare come solo in tempi molto recenti Valdo di Lione sia largamente accettato come fondatore del movimento valdese, mentre per molto tempo sono state accreditate le ipotesi di un’origine nei primi secoli del cristianesimo o di una discendenza dagli apostoli.
La Mostra sarà aperta al Museo valdese fino al 30 settembre 2024


Orari: giovedì- venerdì- sabato- domenica
dalle ore 15 alle ore 18,30


Info e prenotazioni: bookshop@fondazionevaldese.org

martedì 6 febbraio 2024

Giancarlo Consonni. Leggere come un modo di abitare, la lettura nella pittura

 


Giancarlo Consonni
Leggere come un modo di abitare
La lettura nella pittura
Biblioteca Universitaria di Genova
Via Balbi 40
giovedì 8 febbraio 2024, ore 17,00

Cosa passa nella testa e nell’animo di una lettrice o di un lettore? Oltre al corpo di chi legge, la pittura mette in scena anche pensieri, emozioni, sentimenti e molto altro ancora. Ritrarre o raffigurare una persona che legge pone esplicitamente una sfida: come rappresentare l’invisibile? (una sfida, a ben vedere, imprescindibile per una pittura degna di questo nome).

L’atto del leggere è un modo di abitare e di essere al mondo che implica la coniugazione di un qui e di un altrove (un qui concreto e un altrove immaginario).

Alla lettura di un libro corrisponde un desiderio di completamento: di conquista di ciò che manca. Un desiderio che, appagato seppur in parte e momentaneamente, dà all’abitare un senso profondo: quello di sentirsi, sia pure per poco, di casa nel mondo.


Quando vorresti che la fermata
non arrivasse mai
stai leggendo sul tram
e quella è la tua casa.
(G. Consonni, Filovia, Einaudi, Torino 2016)


Giancarlo Consonni (Merate, 1943) è un poeta, artista visivo, urbanista e storico dell'architettura. Professore emerito del Politecnico di Milano, è autore di saggi sull’architettura e di numerosi volumi di poesia (da Viridarium, Scheiwiller 1987, a Pinoli, Einaudi 2021), di cui hanno scritto – fra gli altri – Franco Loi, Cesare Viviani, Antonio Prete, Cesare Segre, Stefano Verdino. Sue opere visive sono state esposte alla Fondazione Corrente nel 2008, presentate da Antonello Negri, e presso la Galleria Consadori di Milano nel 2013.

lunedì 29 gennaio 2024

Fin dove arrivano i nostri ricordi

 


Fin dove arrivano i nostri ricordi?


Fin dove arrivano i nostri ricordi? Parlo ovviamente dei ricordi della gente comune e non di chi appartiene a famiglie che da generazioni si tramandano aziende, palazzi, patrimoni. I miei arrivano al giugno 1883, data annotata dietro questa foto di mio bisnonno Giorgio Carli, allora di 15 anni.

Aveva preso il nome del nonno. Suo padre di chiamava Giuseppe ed era censito al Comune di Piani come "proprietario" detto in termini non burocratici una persona in grado di far vivere la sua famiglia con qualche fascia coltivata a ulivi. Un passo appena sopra la povertà.

Diventato adulto, Giorgio Carli, sposatosi con Francesca (Cecchina) Corradi, sempre di Piani, avrà tre figli, due femmine e un maschio, nato nel 1891, a cui darà il nome di suo padre, Giuseppe, ma per tutti Pippo. In suo ricordo e per continuare una tradizione di famiglia, alla mia nascita nel 1949 mi fu dato il nome Giorgio.

Da giovane guardavo al futuro e di queste cose non mi curavo, Oggi da nonno, so con certezza che la nostra vita inizia molto prima della nascita biologica e continuerà dopo nei figli e nei nipoti che porteranno dentro qualcosa di noi, come io porto dentro qualcosa di Giuseppe, Giorgio, Pippo Carli.


Vento largo, 29 gennaio 2024

domenica 28 gennaio 2024

In ricordo di Bruno Segre, partigiano, pacifista, difensore della libertà, massone.

 









Questa mattina ho trovato nella posta una bella lettera di Roberto Massari sulla figura di Bruno Segre, che si chiudeva con l'invito di dedicargli un articolo su Vento largo. Lo faccio ben volentieri, usando le sue stesse parole. Io non saprei usarne di migliori e più adatte.

Caro Giorgio,

leggo sul Corriere di oggi che è morto Bruno Segre, alla bella età di 105 anni.

Ne avevo perso memoria, pur avendo mantenuto una corrispondenza con lui per alcuni anni e pur essendo stato lettore del suo Incontro finché il giornale è esistito. Non immagini quanti pezzi di articoli da conservare ho ritagliato da quel giornaletto vecchio stile, stampato come Bandiera rossa degli anni ’60.
Ricordo ancora che in ogni numero c’era la pubblicità ai francobolli Bolaffi, che era chiaramente un modo per finanziare il giornale da parte di qualcuno che gli voleva bene. Segre infatti era massone e fiero di esserlo. E sul giornale questo si vedeva a ogni numero.
Ebbene, nella colonna che oggi il Corriere gli ha dedicato non si accenna minimamente a questa sua militanza massonica che invece fu per lui molto importante. È una sciocca autocensura.
Il giornale era anticlericale in maniera nettissima, era in prima linea per i diritti civili (Segre era stato una punta della lotta per il divorzio), per la memoria dell’Olocausto (Segre era ebreo) e per le libertà democratiche (il comandante «Elio» era stato partigiano).
Insomma un ex partigiano ebreo, massone, anticlericale e veramente democratico che ci ha lasciato senza che la cultura italiana gli renda l’onore che si sarebbe meritato.
La buona notizia è che è campato 105 anni (come Levy-Strauss).
Fossi in te gli dedicherei un articolo in Vento Largo (e se vuoi puoi anche usare queste mi parole).

Cosa altro aggiungere? Noto solo che, come Il Corriere , anche altri giornali, vista la levatura culturale e morale del personaggio, hanno dedicato grande spazio alla notizia della morte di Segre. La Repubblica ne parla con un denso articolo nelle pagine della cultura, mettendone in luce le doti di rigoroso intellettuale, di esponente di punta delle grandi battaglie laiche come quella del divorzio. Ricordandone la militanza partigiana, lo definisce già nel titolo "Un simbolo dell'antifascismo"- Toni analoghi usa Il Manifesto che insiste particolarmente sul grande impegno pacifista di Segre.. Peccato che, oltre che concordi nell'elogio, le tre autorevoli testate siano egualmente concordi nel tacere che Bruno Segre oltre che partigiano, antifascista, difensore accanito delle libertà, fosse massone, membro autorevole del Grande Oriente d'Italia che lo commemora sulla sua pagina web ricordando come nel 2020 fosse stato insignito della massima onorificenza massonica proprio per il suo instancabile costante impegno in difesa della libertà e dei diritti dei cittadini.

Non è comunque una novità. Dei massoni sulla stampa italiana si parla solo se il nome dell'interessato è accompagnato da un avviso di garanzia. Allora quella appartenenza, anche se non c'entra nulla con gli eventuali addebiti, non solo non viene taciuta, ma enfatizzata, scritta a lettere cubitali nel titolo dell'articolo. Un segno di come profondo resti il pregiudizio antimassonico nel nostro paese. D'altronde perché stupirsi ? Fino agli anni Sessanta e al Concilio Vaticano Secondo nelle prediche domenicali e sulle pagine delle riviste cattoliche la Massoneria era definita "Sinagoga di Satana" a sottolineare il legame diretto con quei "perfidi giudei" il popolo deicida che non poteva essere perdonato. Bruno Segre, ebreo e massone, si è battuto per tutta la sua lunga vita contro questi pregiudizi, essendo stato in gioventù testimone diretto di quali orrori potesse provocare l'odio ideologico e il fanatismo.

Bruno Segre se ne è andato nella giornata dedicata alla Memoria. Lo salutiamo con affetto fraterno, ricordando come negli anni bui del terrore nazista in tutta Europa si svolse una feroce caccia ai massoni che a decine di migliaia, trentamila solo dalla Francia occupata, furono deportati e uccisi nei campi di sterminio.