venerdì 12 marzo 2010

Guido Seborga e il cinema


L'edizione 2010 del Piemonte Movie, appena conclusasi, ha avuto al suo centro un omaggio a Guido Seborga. Atto doveroso, perchè lo scrittore fu anche critico cinematografico impegnato e acuto, capace di grandi intuizioni.

Claudio Panella

Seborga e il cinema


Guido Hess Seborga (Torino 1909 – 1990) era figlio dell’ingegnere e alpinista Adolfo e discendente del comunista e protosionista Moses, che ispirò sia Marx sia Engels. Cresciuto nella Torino di Augusto Monti (di cui fu allievo con i coetanei Galante Garrone, Bobbio, Leone Ginzburg, Massimo Mila, Giulio Einaudi, Pavese…), non sopportò a lungo l’Italia fascista, e appena compiuti i 18 anni si mise in viaggio per la Svezia, dove lavorò in una fabbrica di legname. Da qui, si spostò a Berlino, in tempo per assistere all’ascesa di Hitler al potere, e infine a Parigi, a metà degli anni ’30: nella città di Artaud, Cocteau, Eluard, Gréco, Picasso, Gris, Severini, Camus, Sartre… Rientrato in Italia, partecipò alla Resistenza nel ponente ligure e nelle Valli di Lanzo, nelle brigate socialiste “Matteotti”, riunendosi infine a Torino con vecchi e nuovi compagni di orientamento comunista o del nascente Partito d’Azione, per organizzare il C.L.N. prima, e l’Unione Culturale poi. Come ha ricordato Raf Vallone (in un’intervista di Giorgio Calcagno uscita su “La Stampa” del 25 aprile 1995), negli anni dell’occupazione tedesca le riunioni “si tenevano a casa di Carlo Mussa Ivaldi. Andavamo tutti lì a cospirare. C’erano Giorgio Diena, Guido Seborga, Oscar Navarro, Giorgio Segre, Silvia Pons, che fu poi uccisa dalle SS, e altri”. Il gruppo, capitanato dal latinista Vincenzo Ciaffi, continuò a lavorare assieme nel dopoguerra, come quando nel 1946 Guido collaborò alla messa in scena di uno storico Woyzeck, interpretato da Vallone, che re-inaugurò il teatro Gobetti. Nel suo diario, Occhio folle, occhio lucido (Ceschina 1968) Guido ha ricordato con tenerezza quell’avventura:
Subito dopo la guerra a Torino nel teatrino Gobetti non ancora riscaldato e freddissimo Raf Vallone provava per ore, vicino a lui una bellissima ragazza fuggita di casa per recitare. Era un inverno gelido e si provava in cappotto e non riuscivamo a scaldare i nostri corpi ancora denutriti dagli anni di guerra; c’erano Ciaffi e Menzio animatori, quel piccolo teatro che diede come primo testo il Woyzek di Büchner, fu una manifestazione di ripresa di vita dopo anni di silenzio.
La prima vocazione di Guido era stata quella del poeta, avvallata anche dall’autorità di Ezra Pound. Con L’uomo di Camporosso (1948) e Il figlio di Caino (1949), usciti per Mondadori, diventerà scrittore col nome di Seborga. Ma nel biennio precedente Guido fu soprattutto giornalista e critico cinematografico per l’edizione torinese dell’“Avanti!”, che dal 1° ottobre 1945 si chiamò “Sempre Avanti!”, come recensore delle uscite cittadine e come inviato da Parigi.
Vallone ricorda nella sua autobiografia (Alfabeto della memoria, Gremese, Roma 2001) di aver iniziato a scrivere di teatro per l’edizione torinese de “l’Unità”, nel 1945, perché disoccupato e perché vi conosceva il capo-redattore Davide Lajolo. Per Guido, amico di Piero Bargis e Navarro, dev’essere andata pressappoco così. D’altronde la redazione dell’“Avanti!”, diretto da Giuseppe Romita, si trovava in quello stesso corso Valdocco 2 dove si stampavano anche la “Gazzetta del Popolo”, “Il Popolo nuovo” e appunto “l’Unità”, diretta in quegli anni da Amedeo Ugolini e firmata da Ludovico Geymonat, Paolo Spriano, Cesare Pavese… Dal 1946 al 1948, quando dopo il successo di Riso amaro decise di dedicarsi con più continuità alla recitazione e fu sostituito da Italo Calvino, a Vallone era affidata la terza pagina. Data la contiguità delle redazioni, l’attore ha ricordato nel volume succitato di aver fatto più volte la corte alla segretaria del direttore della Gazzetta per poter ‘rubare’ nell’archivio fotografico di quel giornale. Inoltre, accadeva sovente ai vari gruppi che lavoravano nell’edificio di ritrovarsi al ristorante, molto spesso da Simone alla Trattoria del popolo di via degli Stampatori 13, frequentata dai principali antifascisti torinesi, o alle “Tre Galline”.
La città e i suoi giornali seppero infatti rinascere in fretta dopo il 25 aprile. Sull’“Avanti!” del 3 maggio (p. 2) si annunciavano per il giorno dopo la riapertura degli uffici della comunità israelitica in San Salvario e quella del Carignano con uno spettacolo dedicato alle famiglie dei caduti. Il 10 maggio (p. 2) riappariva il programma dei teatri torinesi, dei pochi di nuovo in funzione. Il 22 (p. 2) compariva per la prima volta la rubrica Prime Cinematografiche, anonima, ma con molte assonanze con le successive poi firmate da Guido: l’attenzione al realismo, che dalla letteratura americana stava rivoluzionando il cinema, e il rifiuto del doppiaggio…


1947 - Oscar Navarro e Guido Seborga

Benché Guido avesse allora quasi quarant’anni, il dopoguerra fu un periodo di tale rinascita, anche del cinema, che lo possiamo definire un ‘giovane critico’ protagonista di un rinnovamento e di un’apertura culturale fino ad allora inediti, e in seguito deterioratisi al rango di scambi commerciali. Come inviato parigino, amico di quei Cocteau, Malraux, Vercors che iniziavano a collaborare con il cinema, la sua esperienza fu letteralmente irripetibile. E lo stesso può dirsi di quella torinese, iniziata a pochi giorni dalla fine della guerra, in coincidenza con la riapertura dei cinema che recuperavano un gran numero di pellicole prodotte in tutto il mondo negli anni in cui il regime ne aveva bloccato l’ingresso in Italia.
Come si può vedere scorrendo i primi titoli che riportiamo nella bibliografia, è segnalato in grande evidenza “il primo film sovietico proiettato a Torino”, Arcobaleno di Mark Donskoj, ma c’è poi moltissimo cinema americano, di generi diversi: dalle pellicole di Chaplin, al ritorno di Gary Cooper, ai film disneyani. Guido non fu certo un critico ingenuo verso i prodotti roosveltiani o gli artifici hollywoodiani. Il suo interesse primario era il realismo, e seppe raccontare questi titoli d’oltreoceano alla maniera appassionata in cui Pavese ne analizzava i romanzi, con particolare attenzione a quelli ispirati dagli scrittori di quegli anni e ai documentari. Mese dopo mese i film di guerra sono rimpiazzati dalle “commediole” quasi mai gradite da Guido, il cui gusto era tutto dalla parte delle riproposizioni di Jean Vigo, di Charles Laughton, dell’ultimo René Clair. Anche il cinema italiano proponeva sempre più film leggeri, e la penna di Guido si accendeva solo coi capolavori del Neorealismo, come nella sua recensione di Roma città aperta: “Questo film non lo potemmo vedere come qualcosa al di fuori della nostra vita…” (22 novembre 1945). Bisogna ricordare che in quegli anni neppure Rossellini godeva di buona stampa. Ma Guido aveva viaggiato e continuava a passare lunghi periodi a Parigi, dove vedeva il successo con cui quei film venivano accolti, e da dove mandava le sue cronache lasciando in molti casi scrivere sull’“Avanti!” il suo vice: tra il 1946 e il 1947 questi non era altri che Alba Galleano, moglie e madre dei suoi figli, che talvolta si firmava “a. g.”. È documentato almeno un episodio significativo di questa ‘collaborazione’. Per il giornale di mercoledì 11 dicembre 1946, Alba deve recensire Paisà e lo fa con entusiasmo e commozione. Lo stesso giorno scrive a Guido una lettera in cui difende il suo giudizio positivo e commenta le critiche dei “soliti critici provinciali” di casa nostra. In effetti Mario Gromo, mai tenero con Rossellini, aveva criticato su “La Nuova Stampa” di quello stesso 11 dicembre i difetti di un film frammentario, in cui “nessuno dei sei episodi giunge a una sua convincente evidenza”. E anche il “Corriere della sera” del 14, tramite Arturo Lanocita, poco indulgente col neorealismo, definiva il film “riuscito solo in parte”.
Questo genere di critica, misurata e “benpensante”, non fu mai nelle corde di Guido. Nel suo diario affermò di aver capito nel dopoguerra di essere solo “uno scrittore che amava conoscere”; e non un giornalista, poiché accettare un lavoro da inviato a Parigi, con un orario da ufficio, gli era sembrato “assurdo”, né un politico militante, come pure Nenni e il partito Socialista gli avevano chiesto di diventare, a Roma. Fu così che la collaborazione con l’“Avanti!” mutò presto di segno, e continuò con interventi di carattere politico e culturale, sempre più spesso firmati Seborga, come i sette capitoli dell’inchiesta Ho vissuto con i pezzenti, nel marzo 1947. La staffetta di critico cinematografico passò per un certo periodo a un altro scrittore e amico di Guido, Oscar Navarro…



I successivi rapporti di Guido col cinema furono episodici Un altro amico di una vita, torinese, parigino e romano, fu per Guido l’artista Umberto Mastroianni, zio di Marcello. Sempre dal diario:
Ricordo Marcello Mastroianni ragazzo quando passava ore di fronte allo specchio dell’alloggio paterno a recitare. Ero con suo zio, l’amico Umberto Mastroianni, e il giovanissimo Marcello non dava pace a nessuno pur di recitare, sentiva in sé un destino infrenabile e si sacrificava per imparare, era vivo e modesto, familiari e vicini forse non ne potevano più di udire la sua voce e Umberto se la rideva e recitava con molto talento anche lui.
L’immagine di Mastroianni che prova davanti allo specchio richiama le foto di Arturo Zavattini in mostra al Museo del Cinema in queste settimane, dove l’attore fa lo stesso sul set de La Dolce Vita. Nell’archivio di Seborga sono conservati alcuni biglietti dell’attore, come le lettere di Gassman (edite in Guido Seborga - Scritti, Immagini, Lettere, a cura di Massimo Novelli e Laura Hess, Spoon River, Torino 2009) che elogia il suo dramma Spartaco, messo in scena nel 1951 al CUT (Centro Universitario Teatrale) di Torino. Sono diversi i ‘misteri’ ancora da risolvere su questi anni: perché nel suo archivio è conservato, fitto di note, il copione dattiloscritto de Il Ferroviere di Germi? Furono mai realizzati i documentari di Vladi Orengo sul premio “5 Bettole” e sul contrabbando nel ponente ligure di cui restano varie tracce (e un articolo del figlio Nico sul “Nuovo Spettatore” del giugno 2002)? E cosa ne fu del progetto di film che lo impegnò con Jim Gaspardo Moro?
Fatto sta che Guido smaltì entro i primi anni ’50 la sua più intensa attività mondana e pubblicistica. Lasciata Roma, trascurò anche Torino per rifugiarsi sempre più spesso nel ponente ligure che lo aveva ribattezzato. Fu senz’altro per lasciare i salotti e “tornare al popolo”, ma non solo. Bordighera era all’epoca dal punto di vista culturale piuttosto vivace. E Guido ci mise del suo, per tutto il resto della sua vita. Tra gli eventi più noti, dal 1952 al 1957, vi erano le mostre dei pittori americani organizzate da Giuseppe Balbo, con il concorso di Peggy Guggenheim e la ricorrente presenza di Jean Cocteau (con cui Guido aveva stretto amicizia a Parigi), e poi il Salone internazionale dell’Umorismo, con la sua sezione cinematografica, e i premi delle “5 Bettole”, di pittura, scrittura, giornalismo, cui Seborga partecipò a più riprese in qualità di organizzatore e giurato. Tra le tante iniziative condotte da Guido, ricordiamo qui solo le serie di conferenze sanremesi intitolate “Incontri con l’uomo”, dove nel 1960 presentò i libri e le trasposizioni in film di Lolita, de Il Gattopardo e il film-scandalo La dolce vita. Poi, recuperando tutta la sua esperienza in una dimensione locale di cui ben coglieva il senso prezioso, Guido suggerì il nome della nascente Unione Culturale, poi detta Unione Culturale Democratica, che si stabilì a Bordighera … ma questa è un’altra storia…



( Da: Mondo Niovo ( 10-24 n.5), Torino, Notiziario dell' Associazione Museo Nazionale del Cinema, in occasione del Piemonte Movie 2010, 4-10 Marzo 2010, con un omaggio a Guido Seborga )