sabato 19 giugno 2010

Quando lo sguardo si sdoppia: "Coppia conforme" di Abbas Kiarostami




Dopo secoli di dibattiti filosofici sulla effettiva esistenza della realtà percepita le moderne neuroscienze hanno definitivamente chiarito come la percezione sia frutto di una complessa e articolata serie di operazioni cerebrali che scompongono e ricompongono quanto l'occhio vede. Più semplicemente si potrebbe dire che gli occhi vedono ciò che il cuore vuole credere.


Armida Lavagna

Quando lo sguardo si sdoppia: "Coppia conforme" di Abbas Kiarostami


Quando ci si occupa di arte, ci sentiamo dire all’inizio del film dal protagonista maschile, “non ci sono punti di riferimento fermi, verità cui appellarsi”. Un’anonima bottiglia di Coca-Cola, collocata in un contesto significativo, viene considerata opera d’arte. Lo diventa perché l’osservatore accetta che lo sia, che lo diventi. E’ lo sguardo, il punto di vista del fruitore dell’opera d’arte, a conferirle tale identità.
In conseguenza di questo assunto, cadono alcuni dei requisiti normalmente richiesti ad un’opera d’arte per essere tale. Non solo il concetto di “bello” si svuota di qualunque oggettività, ma anche il concetto di originalità. Il modello e la copia, l’originale e la riproduzione, non sono che specchi l’uno dell’altro. Tanto che si può arrivare a preferire una buona copia all’originale, nonostante sia quest’ultimo ad essere comunemente connotato in senso più positivo. Si può arrivare a non distinguere l’originale e la copia, a non saperli riconoscere, o a volerli confondere.
Perché ogni osservatore adotta un punto di vista, ha una percezione di ciò che vede che lo spinge a cogliere nell’oggetto tutti i dettagli che la rafforzano, rinunciando agli altri punti di vista possibili.
L’ambizione di Abbas Kiarostami sembra quella di realizzare un’opera d’arte particolare: un film che all’osservatore evidenzi contemporaneamente due punti di vista, da cui scaturiscono due diverse realtà, una storia che è unica eppure si sdoppia, ed entrambe sono credibili, coerenti, pur non potendo sovrapporsi. Una “storia doppia” dove in discussione non è più il concetto di arte ma l’idea della vita e dell’amore.



Le persone semplici non lo sono davvero, ma scelgono di esserlo. Scelgono un punto di vista e coerentemente lo realizzano, mantenendosi fedeli ad esso, mantenendo l’impegno preso. Altre, ad un certo punto, anziché guardare il mondo attraverso un binocolo usando entrambi gli occhi, provano a scomporre la visione, si pongono domande, si accorgono che guardare nel binocolo prima con un occhio e poi con un altro ci dà una diversa percezione della realtà, finché arrivano a non credere più a ciò che vedono, fino a perdere persino le illusioni.
Non c’è realtà attingibile, ma solo la percezione di un soggetto. Che può riuscire a convincersi che quella sia l’unica possibile, o almeno che la propria sia quella giusta, con due diverse possibili scelte: contrapporre la propria a quella dell’altro, polemicamente, istericamente, o rinunciare consapevolmente a convincere l’altro, come lasciandolo cullarsi in un piccolo inganno.
L’immagine che più restituisce questo inganno del cuore e degli occhi – nemmeno la vista garantisce obiettività, anche l’occhio obbedisce a un filtro che ci mostra solo ciò che vogliamo vedere – è quella della coppia di anziani che usciti dalla chiesa attraversano faticosamente, lentamente la piazza. Li vediamo venirci incontro, e lui ha un braccio affettuosamente appoggiato alla spalla di lei, come a proteggere la donna rimpicciolita che gli sta vicino; ma poi li vediamo proseguire, dandoci le spalle, e vediamo che il braccio è sulla spalla perché è la donna che sorregge il marito curvo nel suo incerto incedere. La magia che i due hanno realizzato, è di credere ciascuno dei due nella propria percezione della realtà, e di consentire all’altro di credere alla sua.
Sono l’unica vera coppia che incontrano i due protagonisti di questo viaggio simbolico e straniante nella campagna toscana, perché l’immagine che ci restituiscono è bifronte, completa dei due contrari. Le altre sono davanti a specchi, flash dei fotografi, sguardi degli invitati al loro matrimonio. Sono come bidimensionali, costruite, messe nella posa che ritengono di dovere assumere per recitare il più fedelmente possibile la propria parte.


Armida Lavagna, savonese, insegna Lettere in una Scuola Secondaria. Si occupa per Vento largo di letteratura e di cinema.