Giorgio Amico
Alle origini del socialismo italiano
2.
Andrea Costa e il Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna
Andrea
Costa e la lettera “Ai miei amici di Romagna”
Non è
un caso che i primi tentativi di uscire dal vicolo cieco in cui il
movimento rivoluzionario era venuto a trovarsi ad un decennio
dall’unificazione si manifestino proprio a Milano, cuore di
quell’area padana in cui un proletariato moderno era in più
avanzata fase di formazione. Nel capoluogo lombardo, alla fine del
1876, il gruppo di intellettuali radicali che aveva dato vita al
giornale La Plebe si costituisce in Federazione dell’Alta
Italia dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori,
rompendo di fatto con l’anarchismo classico e la sua teorizzazione
del’azione diretta e avvicinandosi in modo significativo al
marxismo. L’anno successivo, nel corso del II Congresso della
Federazione, ormai rappresentativa di numerosi circoli operai in
Lombardia, Piemonte e Veneto, Osvaldo Gnocchi Viani per la prima
volta ipotizza la possibilità che il socialismo possa essere
perseguito “con tutti i mezzi” a partire da quelli politici,
mentre Enrico Bignami dà pubblica lettura di una lettera ricevuta da
Engels sulle recenti elezioni tedesche. Parallelamente va
approfondendosi la crisi dell’anarchismo, largamento screditato dai
ripetuti insuccessi dei tentativi insurrezionali lanciati senza
alcuna preparazione e senza altra prospettiva che la devozione alla
causa di pochi coraggiosi.
Ad
aprile del 1878 si tiene clandestinamente a Pisa il quarto congresso
della Federazione italiana dell’Internazionale al quale
prendono parte tredici internazionalisti che, ribadita la fede nel
“non lontano” giorno della rivoluzione, polemizzano aspramente
col socialismo “legale, autoritario, pacifico” de La Plebe.
Nonostante la virulenza dei toni, si tratta delle ultime
manifestazioni di un movimento ormai in declino. La strada del
mutamento era aperta e le novità non si sarebbero fatte attendere
all’interno dello stesso campo anarchico. Nell’agosto del 1879
proprio su La Plebe Andrea Costa, il più promettente e
conosciuto dei giovani esponenti libertari, invita tramite una
lettera aperta gli internazionalisti, come si definivano allora gli
aderenti italiani all’AIL, ad operare un profondo rinnovamento
tattico, rompendo con la pratica fino ad allora seguita della
“propaganda per mezzo dei fatti”, cioè di un insurrezionalismo
rivelatosi del tutto incapace di offrire uno sbocco concreto alla
aspirazione rivoluzionaria al cambiamento propria di un proletariato
sempre più combattivo.
Nella
sua lettera Costa riconosce la legittimità di tale linea che
affondava le proprie radici direttamente nel patrimonio
rivoluzionario risorgimentale, ma sottolinea con forza che tale forma
d’azione si era rivelata sterile, incapace di radicare stabilmente
i rivoluzionari all’interno del proletariato. Senza rinnegare le
esperienze precedenti, occorre dunque ripensare radicalmente le
modalità stesse dell’azione politica rivoluzionaria, dando
adeguato spazio a quel capillare e organizzato lavoro di propaganda,
da tutti ritenuto necessario, ma almeno fino a quel momento
totalmente trascurato sul piano pratico. Più di tutto bisogna in
ogni modo evitare il rischio crescente dell’isolamento settario,
affrontando in modo spregiudicato il problema di come porsi in
relazione dialettica con gli strati profondi del proletariato e di
come più efficacemente coglierne le aspirazioni per tradurle in un
progetto politico coerente e chiaro.
Per
Costa è giunto ormai il momento di abbandonare la tradizionale
concezione della rivoluzione come colpo di mano risolutore ad opera
di una minoranza illuminata e di passare dall’azione cospirativa ad
un lavoro politico aperto e di lungo periodo della classe operaia.
Coerentemente con questa nuova prospettiva i rivoluzionari debbono
porsi il problema della costruzione di un nuovo strumento d’azione.
Quello che occorre è un Partito socialista rivoluzionario che sappia
nelle mutate condizioni politiche e sociali continuare l’opera
iniziata nel decennio precedente dai piccoli nuclei semisegreti
dell’Alleanza Internazionale dei Lavoratori, ormai incapaci di un
qualunque sviluppo.
La
nascita del Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna
Coerentemente con le tesi esposte nella lettera di Andrea Costa nell’aprile del 1880 si tiene a Bologna un congresso dei socialisti romagnoli che, dopo aver auspicato la formazione di un partito socialista operante a livello nazionale e ribadita la scelta rivoluzionaria, dichiara la necessità per gli internazionalisti di partecipare sistematicamente alle agitazioni operaie. Si tratta della pratica applicazione delle idee costiane alla nuova situazione che si era andata creando in Romagna e che si caratterizza per un’impetuosa ascesa delle lotte rivendicative. In quegli anni, infatti, grazie soprattutto all’intervento diretto dello Stato si era formato nella regione un consistente proletariato impegnato nelle grandiose opere di bonifica delle paludi che aveva via via assorbito artigiani rovinati, ex-mezzadri espulsi dai fondi e piccoli proprietari che avevano perso la terra a causa della persistente crisi che travagliava l’agricoltura italiana come conseguenza diretta dell’apertura al mercato. Una massa di proletari, sottoposti a condizioni di vita e di lavoro durissime, educati all’azione collettiva dallo stesso lavoro in squadra svolto nei cantieri di bonifica, estremamente disponibili ad una lotta diretta contro lo Stato che si presenta loro nella duplice veste del padrone dispotico e del gendarme.
Il mese
successivo esce a Milano il primo numero della Rivista
Internazionale del Socialismo, a cura del gruppo de La Plebe
e di quello costiano, allo scopo di dare dignità scientifica al
progetto politico dei socialisti. Nella rivista Costa riprende in
modo articolato la tesi già avanzata nella lettera dell’anno
precedente abbozzando le linee portanti di programma minimo del
partito da costruire. Per la prima volta alle tradizionali richieste
democratiche della sinistra radicale come quella del suffragio
universale o dell’abolizione della tassazione indiretta si
affiancano specifiche rivendicazioni operaie.
Per
Costa il futuro Congresso dei Socialisti Italiani deve
battersi per il diritto di coalizione e di sciopero, per la
limitazione della giornata lavorativa, per la regolamentazione del
lavoro delle donne e dei fanciulli, per il miglioramento del regime
di fabbrica, per lo sfruttamento collettivo da parte dei contadini
delle terre incolte. Finalmente, nel luglio 1881, dopo una lunga e
capillare preparazione e nonostante la repressione poliziesca che
colpisce lo stesso Costa, si tiene a Rimini in forma clandestina il
congresso costitutivo del Partito Socialista Rivoluzionario che si da
come primi obiettivi la costruzione di salde forme di collegamento
fra le molte associazioni di classe ormai operanti in Romagna e in
prospettiva sull'intero territorio nazionale e la definizione di un
programma politico chiaro e accettabile dalle diverse componenti del
movimento rivoluzionario. Riprendendo la classica formulazione del
Parti Ouvrier francese, Costa afferma che se la rivoluzione ha
bisogno di un partito, l’edificazione del socialismo non può non
fondarsi sulla dittatura popolare, cioè sulla “accumulazione
di tutte le forze sociali nelle mani delle classi lavoratrici
insorte, all’oggetto di trionfare della resistenza dei nemici e
d’instaurare il nuovo ordine sociale” . Anche se Andrea Costa
è ancora lontano dalla scientifica chiarezza delle tesi marxiste
sullo Stato e la dittatura proletaria, la rottura con le posizioni
classiche dell’anarchismo è ormai totale e irreversibile.
Il
programma del Partito Socialista Rivoluzionario
In
ottemperenza a quanto stabilito dal congresso di Rimini, nel
settembre appare in un supplemento de l’Avanti!, il nuovo
organo settimanale del partito, il programma del PSR. Il testo,
unanimemente considerato dalla critica storica come il miglior
programma rivoluzionario apparso in Italia fino a quel momento,
colpisce per l’organicità e la chiarezza di contenuti. Nonostante
la redazione sia opera di una commissione la mano di Costa si fa
sentire nei passaggi più importanti e nel tono complessivo del
documento che espone rivestendoli ancora del linguaggio emotivo
proprio dell’anarchismo temi fondamentali del marxismo. Nonostante
il programma non approfondisca l’analisi del modo di produzione
capitalistico e dedichi largo spazio ai caratteri etici del
socialismo, è comunque chiaramente avvertibile nel testo l’influenza
dei socialdemocratici tedeschi e dei socialisti francesi che
rappresentano a quel momento le esperienze politicamente più
avanzate del movimento operaio a livello continentale e a cui Costa e
il gruppo de La Plebe fanno sempre più riferimento.
Colpisce
in particolare la riproposizione, crediamo in assoluto per la prima
volta nel movimento operaio italiano, della fondamentale tesi
marxista della distinzione fra una fase iniziale del socialismo ed
una definitiva e più compiuta fase comunista in cui a ciascuno sarà
dato secondo le sue necessità indipendentemente dalla quantità di
lavoro prodotta. Ma come affrontare la questione sociale senza cadere
in uno sterile verbalismo o in un “evoluzionismo”, oggi
diremmo “riformismo”, senza prospettive? La risposta è netta e
non lascia margini di ambiguità.
Per
Costa e i suoi compagni l’unica soluzione alle contraddizioni della
società capitalistica risiede nella rivoluzione, “fatalità
storica inevitabile” in quanto quotidianamente alimentata
dall’evolversi della società stessa. Una rivoluzione opera diretta
delle masse proletarie , principali artefici della propria
liberazione, che tuttavia per affermarsi richiede l’azione
instancabile del partito che deve “rendere cosciente” agli
sfruttati i processi in atto, chiarirne le contraddizioni, spiegarne
la direzione, additarne gli esiti. Un partito, quindi, che non si
sostituisce alle masse come la setta rivoluzionaria nella vecchia
teoria bakuninista, ma che svolge con tenacia una quotidiana,
faticosa, indispensabile opera di stimolo e di guida del
proletariato. Coerentemente con questa visione della natura e della
funzione del partito operaio il programma esprime un giudizio ormai
totalmente critico sulla “propaganda dei fatti” ad opera di
piccoli gruppi o di individui isolati. La rivoluzione è un fatto di
massa, per questo compito prioritario del partito è raggruppare
attorno a se la “parte più intelligente ed energica del
proletariato”. Fondamentale diventa allora la costruzione di
circoli operai e di leghe di resistenza. Le lotte rivendicative, così
come le riforme, non hanno valore in se, ma nella misura in cui
agevolano la presa di coscienza delle più vaste masse proletarie e
l’organizzazione attorno al partito di un saldo nucleo
d’avanguardia. In quest’ottica si può ammettere anche la
partecipazione alle elezioni, politiche ed amministrative, argomento
fino ad allora tabù per i rivoluzionari. Su questo punto il
programma è estramemente chiaro. Le elezioni sono una preziosa
occasione di propaganda che deve assolutamente essere colta.
L’obiettivo è di “porre al Parlamento candidature di
protesta, non perché i nostri vadano colà a sommergersi , ma per
dare loro occasione di svolgere il nostro Programma nei Comizi
elettorali e per porgere, in forma viva, la questione sociale”.
Il
programma del PSR riscosse un notevole successo, costringendo i vari
gruppi che facevano riferimento al socialismo a pronunciarsi in
merito ai temi sviluppati nel documento. I giudizi furono
complessivamente favorevoli, anche se non mancarono prese di
distanza. Così La Plebe, che pure da sempre intratteneva
stretti e cordiali rapporti con i romagnoli, criticò duramente il
concetto di “dittatura delle classi lavoratrici”, considerandolo
troppo autoritario. Costa rispose precisando che il termine di
dittatura altro non voleva significare che l’inevitabile e naturale
uso della forza da parte del proletariato in tempo di rivoluzione.
Fondamentale era per i socialisti di Romagna differenziarsi
nettamente dai moderati, chiarendo che l’accettazione della lotta
politica e del terreno elettorale non significava in alcun modo
condividere le posizioni degli “evoluzionisti”. In modo fermo
Costa rifiutava la definizione di “legalitario” che alcuni
ambienti socialisti intendevano affibbiare al suo partito, ribadendo
il concetto che “non si può essere socialista senza essere
rivoluzionario” e che proprio da tale affermazione programmatica il
PSR derivava il suo nome.
Intanto
anche per merito di questa discussione in molte località, anche al
di fuori della Romagna, nascevano sezioni del partito, mentre l’
Avanti! diveniva l’organo socialista più diffuso
raggiungendo le 7000 copie di tiratura. Da molte località, tra cui
Milano, Pavia, Firenze, Siena, Livorno, Pistoia, Roma, Napoli e
persino da un gruppo di lavoratori immigrati nella lontanissima
Alessandria d’Egitto, continuavano a giungere adesioni di gruppi
interi e di singoli militanti tanto da illudere il pure prudente
Costa che i tempi fossero ormai maturi per la costruzione del partito
su scala nazionale secondo un progetto che prevedeva la formazione
dapprima di forti partiti regionali e la loro successiva federazione
in un unico grande partito socialista rivoluzionario italiano.
continua