Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo contributo di Franco Astengo sulla strage della Stazione di Bologna del 2 agosto 1980
Franco Astengo
2 agosto 1980, Bologna: un mozzicone di sigaretta e la memoria di una strage
“Si è trattato di un mozzicone di
sigaretta, la bomba non è mai stata trovata”: si è pronunciato in
questo modo, qualche giorno fa, l’eterno Licio Gelli, il Maestro
Venerabile della Loggia P2, ricordando l’immane strage compiuta
alla stazione di Bologna il 2 giugno 1980 per opera, intendo
ribadirlo anche in questa sede, dei fascisti e dei servizi segreti,
più o meno deviati.
La frase di Gelli è rimasta senza
repliche perché in questo momento l’intero circo mediatico –
politico è impegnato sulle piste della trattativa “Stato –
Mafia” del 1992 e a commentare, al proposito, con la consueta
puntuale piaggeria l’enorme “arroganza del potere” che ancora
una volta si è espressa in tutta la sua volontà di prevaricazione.
Un silenzio che ha tralasciato, così,
un punto fondamentale d’analisi che pure poteva essere colto:
quello della continuità non solo tra la strage di Bologna e la
trattativa “Stato –Mafia” intesa quale continuità nella storia
del “doppio Stato” o della “tela di ragno” (come la definì
Flamigni, a proposito del delitto Moro), ma come snodo importante
dell’intera storia del nostro Paese.
Uno snodo che, in quel 1980 nel corso
del quale come ha ricordato Diego Novelli in un suo libro fu messa
alla prova la democrazia e che si concluse con i 35 giorni alla Fiat
e la marcia dei cosiddetti “quarantamila”, mise in evidenza,
almeno agli occhi degli osservatori più attenti, non tanto il
“ritorno” al terrorismo fascista (che pure si era verificato) ma
l’esigenza di una “teoria politica del terrorismo” che, almeno
da Piazza della Fontana in avanti, aveva rappresentato uno degli
elementi costitutivi della gestione del potere nel nostro Paese.
Furono svolti alcuni tentativi di
analisi in questa direzione, di collegamento tra il terrorismo
stragista di evidente matrice “nera”, i servizi segreti, la
massoneria occulta della quale la Loggia P2 appariva come
l’espressione più evidente (il 1980 fu anche l’anno in cui
Gherardo Colombo scoprì gli elenchi di Castiglion Fibiocchi che
comprendevano anche le prove del collegamento tra P2 e Mafia,
attraverso logge coperte siciliane provviste anche di diramazioni nel
Ponente Ligure: tanto per ricordare che, quanto alla mafia al nord,
nessuno ha scoperto nulla di nuovo…).
Altri denunciarono il fatto che, in
quella direzione, non si fosse mai svolta una valutazione di fondo:
il Centro di Riforma dello Stato, diretto da Pietro Ingrao, convocò
un convegno su questo tema, proprio ad Arezzo; alcuni coraggiosi
tentarono analisi anche in sede locale.
Intanto che le indagini sulla strage
marcavano il passo qualcuno, che magari oggi si batte per la
“coesione nazionale”, rispose che sarebbe stata sufficiente la
riforma dei servizi segreti e che una collocazione diversa della
sinistra nel quadro politico (c’erano già stati il “governo
delle astensioni” e la “solidarietà nazionale”) avrebbe
rappresentato un’ulteriore garanzia per il successo dell’operazione
di riforma che tendeva a cambiare il modo di agire d’interi pezzi
dello stato e che, comunque, il terrorismo nero, cui si era
accompagnato quel tipo di attività dei servizi di sicurezza fosse
ormai in declino, se non addirittura in via di estinzione.
Di fronte a questa sconcertante analisi
che pure, a sinistra, ebbe piena cittadinanza si replicò – pur nel
rischio di rimanere profeti inascoltati – al riguardo della
necessità di vedere lo stragismo attraverso una nuova lente, da
parte di una sinistra istituzionalmente matura e capace di vedere lo
spessore del meccanismo statuale, che riproduceva abilmente se stesso
attraverso l’espansione dei corpi separati, aggiungendo come,
almeno da Piazza della Fontana in avanti, analizzando i passaggi
procedurali si poteva ben vedere come vi fosse stata una gestione
politica dei procedimenti.
La sinistra, all’epoca, sulla base di
queste analisi avrebbe dovuto elaborare un’idea di riforma dello
Stato non attraverso una serie di “elemosine riformistiche”, ma
realizzando, non tanto e non solo una magari ottima serie di proposte
di legge, ma lavorando a realizzare una trasformazione radicale del
quadro politico.
Al centro, insomma, doveva ritornare,
secondo questa ipotesi, il tema della “volontà politica”. Ciò non avvenne, per molteplici
ragioni che non ho qui lo spazio per analizzare e che comunque
riguardano l’intero corso della storia d’Italia, e abbiamo così
assistito – da quel fatidico 2 agosto 1980 – al realizzarsi
progressivo di quel meccanismo di autoritarismo, negazione della
democrazia, affermazione di poteri occulti contenuti proprio nel
documento sulla “Rinascita Nazionale” elaborato nel 1975, proprio
dalla Loggia P2 di Licio Gelli, che oggi torna a sostenere che la
strage non c’è mai stata.
Vale la pena, invece, come fa
puntualmente una compagna recarsi, ogni volta che si scende alla
stazione di Bologna, a leggere i nomi scolpiti nella lapide che
ricorda quel tragico giorno: un utile esercizio della memoria di un
momento fondamentale nella storia d’Italia, non soltanto di
tragedia per le famiglie delle vittime ma di dramma per la qualità
della nostra democrazia.
Sono debitore, infine, delle analisi
relative alla mancata risposta della sinistra in quel momento e nella
prospettiva storica più ampia, a un testo, redatto nel Settembre
1980 (pochi giorni dopo la strage) introdotto da Aldo Garzia, con
interventi di Stefano Rodotà (all’epoca deputato della Sinistra
Indipendente) e di Massimo Cacciari (all’epoca deputato del PCI) e
apparso sulle colonne del mensile “Pace e Guerra”, l’organo del
“Centro per l’Unità della Sinistra” promosso da esponenti del
PdUP, della Sinistra Indipendente e del PCI (Il “Centro
Magri-Napoleoni” tanto per intenderci).
Non ho timore di essere tacciato di
passatismo: però altra capacità d’analisi e altra volontà di
iniziativa politica.