domenica 29 settembre 2013

Guido Seborga, Occhio lucido, Occhio folle - conferenza spettacolo di Stefano Giaccone


Guido Seborga
Occhio lucido, Occhio Folle

conferenza/spettacolo
di e con Stefano Giaccone

29 settembre 2013
ore 20.30
Teatro Astra
Torino


Carlos Carlè, Albisola 5-27 ottobre 2013



...Con diversi impasti di terra, grès, refrattario, ossidi e smalti, Carlè riesce a plasmare attraverso uno spontaneo ed evocativo lavoro di strappi, rilievi, buchi, incisioni, una equivalenza intrigante tra superficie e profondità in modo da ottenere una pulsazione che va oltre il piano di una opera e la percezione oculare. Le sue sculture, dalle piccole alle monumentali, sono superfici sensibili, sovente modulari, rivelatrici di eventi nascenti, di affioramenti e sprofondamenti, di avvicinamenti e allontanamenti in cui si mescola corporeo ed incorporeo, organico e inorganico. Portato a riflettere sulla contrapposizione tra materia e spirito, istinto e ragione, speranza e angoscia, Carlé interviene con segni inequivocabili sulla superficie della ceramica, materia prediletta, ricavandone un risultato visivo e tattile che evidenzia la sua volontà di liberarsi da un oggetto reale per creare un nuovo alfabeto espressivo...

Riccardo Zelatore

Orari inaugurazioni

sabato 5 ottobre 2013
16,00 Pozzo Garitta - 16.30 Galleria Il Bostrico - 17.00 Giardino di Casa "Il Geco"

Orari visite

Sede del Circolo degli Artsiti
Pozzo Garitta, 32
dalle 16.00 alle 19.00

Galleria "Il Bostrico"
Via Stefano Grosso, 39
dalle 9 alle 12,30 e dalle 15,30 alle 19,30
in Albissola Marina,


Giardino di Casa "Il Geco "
via Torre del Capo 6-8
Albisola CapoTorre
su prenotazione dal 5 al 27 ottobre 2013  



sabato 28 settembre 2013

Novità in libreria di Massari editore.



Segnaliamo alcune interessanti novità editoriali del nostro amico (e editore) Roberto Massari. Ricordiamo che l'informazione libera e indipendente è il presupposto della democrazia e come tale va difesa e sostenuta (soprattutto in tempi calamitosi come questi).


venerdì 27 settembre 2013

Les Mystères d'Italie. “Saturno” di Serge Quadruppani



Giorgio Amico


Les Mystères d'Italie. “Saturno” di Serge Quadruppani


«Era estate. Sotto un cielo di tenere nebulosità, Domenico, Rita, Silvia e Riccardo partiti dal loro quartiere romano di Prati, Giovanna e Maria da quello di Testaccio, Frédérique e Roberto dall'aeroporto Leonardo da Vinci cosí come Cédric Rottheimer, e Jean Kopa da Ferrara percorrevano la campagna toscana. Tutti guidavano verso Saturnia, e tutti avevano imparato, alla nascita o dopo, una lingua in cui per dire di una cosa che è sicura, davvero sicura, si aggiunge: "Come la morte"».  

E non è solo un modo di dire, ma di un vero e proprio appuntamento con la morte. Poco dopo alle terme di Saturnia, luogo di relax per l'alta società romana (quella per intenderci de La grande bellezza di Paolo Sorrentino), un uomo uccide a sangue freddo tre donne, apparentemente scelte a caso, e svanisce nel nulla. Una strage, senza motivo, proprio alla vigilia del G8 dell'Aquila. Le indagini puntano subito sulla pista del terrorismo internazionale, su un'azione dimostrativa di al-Qaida.

Ma qualcosa non torna e il commissario Simona Tavianello, la protagonista di “La rivoluzione delle api” (un noir ecologico già presentato su Vento largo), inizia un percorso accidentato e pericoloso (fra funzionari dello Stato troppo vicini a famiglie mafiose, alta finanza internazionale, servizi segreti italiani e francesi, killer professionisti) che la porterà a avvicinarsi a una verità scomoda per il potere e dunque irraggiungibile.  

Una storia sporca, senza lieto fine, scritta da un maestro del noir, già meritorio per l'impegno messo a tradurre e fare conoscere in Francia autori italiani come Camilleri (che, detto per inciso, fa una fugace apparizione nel romanzo).

Una storia realistica. Quadruppani (che da sempre lavora e vive a cavallo fra Italia e Francia) conosce bene le contraddizioni di un paese che, a partire dalla fine degli anni Sessanta, “con la strategia della tensione ha inventato una specie di nuovo alfabeto, un modo di scrivere messaggi con il sangue. Messaggi che hanno diversi livelli di significato, e diversi destinatari.”

Elemento costante dell'opera di Quadruppani, l'analisi minuziosa dei meccanismi occulti del potere e della dis/informazione pubblica diventa in questo noir di grande impatto critica radicale della società, denuncia della distruzione sistematica della libertà e dei diritti che in essa si attua in nome del mercato e del profitto.





Serge Quadruppani è una delle voci piú autorevoli del nuovo poliziesco francese. Tra i suoi romanzi tradotti in italiano, Y, Rue de la Cloche, In fondo agli occhi del gatto, La rivoluzione delle api. Dirige, per le edizioni parigine Métailié, la collana Bibliothèque Italienne, che pubblica alcuni dei piú importanti autori italiani contemporanei, di cui Quadruppani ha curato personalmente la traduzione.

Serge Quadruppani
Saturno
Einaudi, 2013
17 euro



giovedì 26 settembre 2013

Erri De Luca: Sabotaggio quando la memoria aiuta



E' notizia di oggi l'apertura di indagini riguardo alle dichiarazioni del filosofo Gianni Vattimo e dello scrittore Erri De Luca sui fatti della Val Susa e il sabotaggio. Soffia di nuovo una brutta aria che ci ricorda gli anni '70 e la repressione militar/giudiziaria del dissenso. Ancora una volta occorre decidere da che parte stare. E il nostro modo di farlo è cercare di fare chiarezza. Cosa vuol dire “Sabotaggio” e cosa c'entra con la lotta per il lavoro e la democrazia? E' davvero assimilabile al terrorismo? A queste domande rispondiamo riproponendo l'intervento di Erri De Luca che ha scatenato la polemica e una nostra piccola nota storica.

Erri De Luca

Sabotaggio, quando la memoria aiuta

Uno storico ufficiale, stipendiato per trasmettere storia, che trascura i fatti a beneficio di una sua tesi, commette omissione in atti di suo ufficio. Stabilito questo, non sono uno storico ma ho il vantaggio di avere buona memoria. Negli anni '70 ho fatto parte di una organizzazione rivoluzionaria di nome Lotta Continua che interveniva attivamente nelle lotte di fabbrica, sotto la guida di intellettuali e di operai. Nacque e si ramificò negli impianti industriali del nord. Un paio di strofe di canzoni politiche di allora: «Sabotar la produzione, non c'è altra soluzione» (Canzoniere del Potere Operaio di Pisa). «Pensa un po', pensa un po': avvitare due bulloni e il terzo no».

Nelle officine di quegli anni si cominciarono a praticare forme di sabotaggio della produzione che rafforzarono enormemente il potere contrattuale degli operai: il salto della scocca, gli scioperi a gatto selvaggio. Il salto della scocca era un'operazione di montaggio non effettuata del singolo pezzo in transito sulla postazione di lavoro. Faceva impazzire i reparti di lavorazione a valle. Sciopero a gatto selvaggio: senza preavviso interrompeva brevemente e a casaccio le lavorazioni di piccole unità, imballando tutta la linea di produzione a monte e a valle. Erano forme di lotta che costavano poco agli operai e molto al padronato.

Sono stato operaio in quei capannoni, ho visto, ho praticato. Da quelle interruzioni partivano i cortei interni dentro la fabbrica che andavano a bloccare anche i reparti che continuavano a lavorare. Il chiasso delle officine veniva sovrastato dal frastuono di un corteo di operai che s'ingrossava a torrente finendo in un'assemblea spontanea. Gli operai prendevano così la parola e non la restituivano. I grandi impianti a catena di montaggio erano efficienti ma fragili di fronte a queste nuove forme di lotta. Questa pratica diffusa era un dichiarato sabotaggio della produzione e procurò la grande ondata di lotte operaie degli anni '70 , vincenti e di massa. Successe così in Italia il più forte decennio di riscatto della manodopera industriale di tutto l'occidente.

Quelle lotte massicce per quantità e compattezza produssero contratti di lavoro favorevoli, imponendo aumenti in paga base uguali per tutti, bonifiche di ambienti lavorativi malsani come i reparti di verniciatura. Di recente scioperi a gatto selvaggio sono stati indetti e praticati dai sindacati metalmeccanici degli stabilimenti Indesit di Melano e Albacina. Basta un po' di memoria di testimone per mettere la parola sabotaggio dentro la più certa tradizione di lotta operaia. Uno storico che si permette di ignorarla è un rinnegato della sua professione.

Il manifesto 15 settembre 2013



Giorgio Amico

Lotta operaia e sabotaggio. I Molly Maguires

Verso la metà dell'Ottocento una grande ondata migratoria partì dall'Irlanda diretta verso gli Stati Uniti. Questi uomini fuggivano la fame e l'oppressione coloniale inglese. Cercavano lavoro e libertà, finirono nel West a costruire ferrovie o nelle miniere di antracite della Pennsylvania.

Scoprirono presto che l'America sognata poteva essere tanto oppressiva quanto l'Irlanda da cui erano fuggiti. Discriminati perchè cattolici, ridicolizzati come ubriaconi e attaccabrighe, gli unici lavori che trovarono furono i meno pagati e i più pericolosi, quelli che nessuno voleva fare.

Molti si arruolarono nell'esercito e finirono a combattere i nativi nel West; i film di John Ford li resero immortali, ma erano oppressi che combattevano altri oppressi. I più si trovarono a scavare carbone in miniere prive di ogni misura di sicurezza, senza diritti.

The Molly Maguires (1970)



















Poichè la legge vietava ogni tipo di associazione operaia, i più coraggiosi e decisi fra loro costruirono un'organizzazione segreta, L'antico Ordine degli Iberni. Il loro modello erano i Molly Maguires, leggendari combattenti per la libertà nelle campagne irlandesi contro le angherie dei proprietari terrieri inglesi. La forma di lotta fu il sabotaggio degli impianti, la dinamite la loro arma.

Scioperare non aveva senso. I padroni delle miniere sostituivano i minatori in sciopero con crumiri, altri immigrati appena sbarcati in America, uomini disperati, pronti a lavorare a qualunque condizione. Come costringere i signori del carbone a trattare? Come fermare la produzione? La soluzione fu il sabotaggio. Nei monti Appalachi apparvero i Molly Maguires e iniziarono a far saltare i pozzi. Contro questa forma di lotta il crumiraggio era impotente e così i fucili delle milizie padronali.






















Nel 1875 un grande sciopero bloccò le miniere. I pozzi saltavano e la mobilitazione cresceva. L'America inorridì. I giornali descrissero i Molly Maguires come pazzi sanguinari. I padroni si rivolsero ai Pinkertons, un'agenzia investigativa privata specializzata nella repressione delle lotte operaie.

James McParlan, un irlandese agente della Pinkerton, fu infiltrato fra i minatori in sciopero. Reclutato nell'Antico Ordine degli Iberni, McParlan denunciò i suoi compagni. 60 minatori furono arrestati, 20 condannati a morte e impiccati come Molly Maguires.

Il 21 giugno 1877 i loro corpi pendevano dalle forche. Giustizia era fatta e i benpensanti tirarono un respiro di sollievo. La democrazia americana era salva.

Ma i Molly Maguires non furono dimenticati. Troppo forte era stata la paura che avevano messo ai signori del carbone. Quasi mezzo secolo dopo ancora se ne scriveva. In “La Valle della paura” (1915) Sherlock Holmes indaga sugli ultimi seguaci della setta (dipinta come spietata e criminale) che vogliono vendicare i loro martiri.

Il movimento degli anni '60 li fece suoi. Nel 1970 Martin Ritt raccontò la loro storia in uno splendido film (The Molly Maguires diventato “I cospiratori” nella versione italiana) proprio mentre nei Monti Appalachi, i minatori di Harlan County portavano avanti una grande lotta contro la mancanza di sicurezza nelle miniere. Ancora una volta contro l'intransigenza padronale il sabotaggio degli impianti diventò forma di lotta, espressione della volontà operaia di non cedere alla repressione.

Di nuovo si sentiva nel vento la canzone dei Molly Maguires:

Make way for the Molly Maguires.
They're drinkers, they're liars, but they're men.

Make way for the Molly Maguires.
You'll never see likes of the again.

Fate largo ai Molly Maguires.
Erano bevitori e bugiardi, ma erano uomini.
Fate largo ai Molly Maguires.
Non si vedranno mai più uomini come loro.





venerdì 20 settembre 2013

Savona: No al partito del cemento e alla speculazione edilizia! Fermiamo il Crescent 2.



Al nostro sindaco consigliamo la visione del film savonese L'età del ferro e del capolavoro di Rosi Le mani sulla città. Sicuramente, da uomo di buona cultura qual'è, ne ricaverà utili indicazioni per pronunciarsi in merito a quanto richiesto nella petizione di Italia Nostra, Lega Ambiente, WWF. A tutti i savonesi, invece, chiediamo di sostenere questa campagna contro l'ulteriore cementificazione della nostra città.

Le associazioni firmatarie chiedono all’amministrazione di Savona di NON apportare alcuna variante di destinazione d’uso al Crescent 2, tutelando quindi nel modo opportuno gli interessi della collettività.


Al Sindaco di Savona

Oggetto: variante al Crescent

Il Comune ha convocato la Conferenza dei Servizi per esaminare la variante richiesta per il Crescent 2 per il cambio di destinazione da Residenza Turistico Alberghiera a residenziale, con conseguente diminuzione dei volumi e oneri di urbanizzazione. Chiediamo che, per meglio valutarla, la proposta sia esaminata tenendo conto del lungo iter di progetti, valutazioni e realizzazioni che l’hanno preceduta.

Ricordiamo, infatti, che il lungo processo di approvazione del Progetto Bofill si concluse quando le resistenze di Sovrintendenza, Regione e di associazioni e comitati di cittadini che si opponevano furono superate inserendo nel progetto da 137.000 m3, alcuni aspetti considerati positivi per la città (la quale, con il progetto, perdeva gli spazi destinati ad attività produttive, preziosi in quanto a filo di banchina):

· Un aspetto finale (rendering) bello e ricco di trasparenze con alberi immensi;
· Ricchi oneri di urbanizzazione, comunicati, nel 2001, in 30 miliardi di lire (15 Milioni di euro);
· Un edificio destinato a sede dell’Azienda Provinciale del turismo (il secondo cubo);
· Uno spazio artigianale all’interno del Crescent per favorire posti di lavoro;
· Una residenza turistico alberghiera nel Crescent 2 per favorire posti di lavoro.

Con il tempo, fetta dopo fetta, è avvenuta la sparizione di tutti gli aspetti positivi citati dianzi:

· Nel 2001 la percentuale di volume dell’autosilo concesso per la costruzione del nuovo passa dal 50% al 70% con un incremento di circa 4.000 m2;
· Nel 2006 il progetto di spazio artigianale sparisce e vengono invece costruiti 1.017 m2 di appartamenti e negozi, cui sono aggiunti 488 box; per felice “combinazione” l’altezza dello spazio artigianale era esattamente il doppio delle altezze necessarie per la trasformazione in appartamenti; non ci fu un incremento degli oneri di urbanizzazione (anche se Lei, Signor Sindaco, fece un tentativo, rigettato, per ottenere qualcosa);
· Nel 2011 sparisce il cubo per la promozione turistica, sostituito da un giardinetto;
· Il Crescent viene realizzato in stile cementizio sovietico, totalmente infedele rispetto all’aspetto promesso (come da foto seguente);
· Degli ingenti oneri di urbanizzazione l’unica realizzazione nota sono le fogne al servizio del complesso della Torre Orsero.



Oggi il percorso verrebbe completato con l’ultima variante, relativa alla cancellazione della residenza alberghiera. E’ evidente che ciò che ci viene presentato come un’opportuna variante non è che un ulteriore arricchimento per gli imprenditori, l’ennesimo anello di una catena che si è sviluppata con precisione e continuità, fino a cancellare tutti gli elementi che all’inizio costituivano il vantaggio per la comunità.

Se la Residenza Turistico Alberghiera non potesse più essere realizzata per motivi di mercato, non resta che rinunciare alla costruzione e l’imprenditore dovrà indennizzare la collettività per i mancati posti di lavoro promessi.

Ricordiamo che il cambio di destinazione d’uso non è una riduzione di volumi di costruito (come presentato dal Comune) ma bensì è un ulteriore incremento di cemento residenziale in una città che vede già un eccesso di volumi abitativi esistenti, i quali peraltro subiranno di conseguenza una diminuzione del loro valore patrimoniale dovuta proprio alla costruzione di tante nuove strutture abitative eccedenti il fabbisogno, oltre che a una politica fiscale che ostacola le ristrutturazioni.

Riteniamo che vi debba essere una diversa visione di sviluppo della città, più sostenibile e compatibile con la tutela del patrimonio storico e ambientale e le esigenze produttive e abitative della cittadinanza.

Chiediamo quindi alla Sua amministrazione di NON apportare alcuna variante di destinazione d’uso, tutelando quindi nel modo opportuno gli interessi della collettività savonese e non quelli di un singolo imprenditore.


Associazioni proponenti il documento:

Italia Nostra
Legambiente
WWF

giovedì 19 settembre 2013

Elogio del ditale



Giorgio Amico

Elogio del ditale



Come i nostri due o tre lettori avranno notato Vento largo da un po' non è aggiornato. Il fatto è che, come le grandi navi anche i piccoli blog possono andare in secca. Il vento all'improvviso cala e ci si trova a galleggiare su un mare piatto chiedendosi se abbia senso navigare ancora. E questo ci ha tolto la voglia di scrivere. Il fatto è che, come Jep Gambardella /Toni Servillo di La grande bellezza, pensiamo che ad una certa età non si possa più perdere tempo a fare cose solo per abitudine. Poi, per chissà quale strana associazione, ci è venuto di pensare alla semplicità e alla bellezza di un ditale, vero oggetto archetipico, da millenni sempre eguale a se stesso, eternamente nuovo nella sua primordiale utilità. Un simbolo di fedeltà e di fiducia. Fedeltà a ciò che si è stati, fiducia in ciò che si può ancora essere. E così ci siamo infilati il ditale e abbiamo ripreso il blog.


domenica 1 settembre 2013

Sui monti di Vendone dove sventolano ancora le bandiere della “Cascione”



Giorgio Amico

Sui monti di Vendone dove sventolano ancora le bandiere della “Cascione”

Con Andrea, Giuliano, Donatella e Vilma siamo saliti ieri a Curenna di Vendone, al Casone dei Crovi, sotto le pendici meridionali del Castellermo, montagna sacra degli antichi liguri, millenario luogo di raccolta delle mandrie nella stagione della transumanza, ancora oggi frequentato come alpeggio.



Qui, in un luogo impervio e di una selvaggia bellezza, trova riparo dopo l'8 settembre “a banda du Megu”, il primo gruppo partigiano dell'Imperiese comandato da Felice Cascione.



In questo cascinale, circondato da castagni secolari, nel dicembre 1943, pochi giorni prima di Natale, nasce “Fischia il vento”, il più bello dei canti partigiani.



Una storia, quella della Brigata Cascione, preservata, gelosamente e con pudore, come si fa con le cose care, dagli abitanti della montagna e che noi racconteremo riprendendo le pagine ingiallite di un piccolo libro dimenticato, uscito clandestinamente nel gennaio 1945, nel fuoco di quegli avvenimenti tragici e gloriosi.




Dal Roia al Pennavaire dal Tanaro all'Impero dietro le bandiere della “Cascione”

(Di guerriglia per la pace siamo fieri partigian)

Fummo dappertutto. Sulle coste dirute ad attendere il passaggio del nemico, sui passi obbligati delle strade dell'interno, nei paesi piccoli e grandi della nostra terra avara e aspra.

La nostra occupazione raggiunse in giugno ed in settembre i limiti più vasti. Solo una breve striscia costiera verso la quale si spingevano le nostre forze d'assalto non fu nelle nostre mani. Solo le città sulla riva del mare, non proibite al nostro coraggio, rimasero al nemico.

Le vicende della battaglia che dura ormai da sedici mesi, ci hanno portato in tutti i luoghi, ci hanno insegnato tutte le vie.

Ora l'inverno, il secondo nemico, ci sta di fronte.

Ma ne l'inverno, ne il rastrellamento che infuria più feroce che mai potrà distruggerci. Non potrà vincerci l'infinito protrarsi della nostra tragedia.

Perchè dal Roia al Pennavaire, dal Tanaro all'Impero dietro le Bandiere della “Cascione” marcia insieme ad una falange di prodi la schiera luminosa dei nostri caduti.

Dietro le Bandiere della “Cascione” verso la gloria e verso la vittoria.



FELICE CASCIONE

(era bello come un eroe antico)

In un cimitero di montagna, nascosto tra i castagni e le rocce, c'è una tomba senza nome. Rozze pietre disposte a segnare il luogo dove giace un eroe, e proteggere una bara ignota. Lassù da un anno è spenta la meravigliosa giovinezza di Felice Cascione.

Aveva affrontato col coraggio che aveva fatto di lui il suscitatore della guerriglia imperiese, i tedeschi attaccanti, e primo, del pugno di uomini che gli era rimasto fedele anche dopo l'infuriare del freddo e dei primi rastrellamenti, era passato all'attacco.

Acceso dal sacro furore che anima gli eletti aveva scagliato contro i nazi con la sua maledizione il fuoco dell'arma.

Ed era caduto sul prato che aveva visto il suo primo assalto, con una gamba spezzata, rimasto ad attendere la morte perchè sottrarsi non era più possibile.

Così era finito uno di quegli uomini superiori che nei momenti più grandi della vita di un popolo alzano la bandiera della Patria, e dietro ad essa trascinano la schiera dei figli migliori.

Ma la fiamma della ribellione arse più viva, e percorse luminosa tutte le valli, discese terribile sino al mare a colpire sempre più duramente il tedesco.

E innanzi a quel pugno sparuto divenuto un esercito, vigile, animatrice fu la sua splendida e leggendaria figura.

Chi non lo aveva conosciuto in città o in montagna apprese di lui dalla voce dei Commissari, e dalla voce del popolo che pietoso raccoglie le memorie dei suoi eroi.

Dalla voce del popolo che aveva visto l'atleta dagli occhi dolcissimi e dalla barba fluente discendere come un missionario a curare i malati, a comporre i dissidi, e pronunciare sempre una parola buona e animatrice.

Perchè un po' dappertutto quando si ricorda “u megu” una lacrima brilla negli occhi di una madre, un sospiro ed un proposito di lotta agita il petto di un giovane.


Perchè un po' dappertutto dietro le bandiere della Cascione è alitato il suo spirito ed affermata la sua eredità di battaglia.

(continua)