martedì 24 dicembre 2013

Tra amici (Le illusioni d'Itaca, 3)



Non si può cancellare il passato. Terzo capitolo de Le illusioni d'Itaca.

3. Tra amici

Li sentì arrivare mentre, seduto al tavolo della cucina, stava sfogliando un suo vecchio libro di scuola, trovato di sopra in quella che una volta era stata la sua camera. Li aveva preannunciati l’abbaiare roco dei cani dai cortili delle case giù in basso.

Si alzò, accese la luce fuori, poi aprì la porta a scrutare nella notte, chiedendosi chi potesse a quell’ora venire su per il sentiero. Due uomini camminavano rapidi sul vialetto ghiaioso che dal cancello portava alla casa. Lo videro e si fermarono. Avvolti com’erano dal buio della notte, non li riconobbe subito.
  • Chi non muore si rivede - disse il più anziano dei due.
Poi, gli si avvicinò e lo abbracciò. Un abbraccio lungo, fraterno. Guancia contro guancia, petto contro petto. L'altro, un passo indietro, li guardava mentre un sorriso gli si disegnava lentamente sul viso.
  • Ciau, frae - disse a sua volta con la parlata strascicata di quelle parti - pensavamo tutti che fossi ancora all'estero. Quando Tugnin ha detto di averti visto in paese, non ci volevamo credere. Abbiamo pensato, e qualcuno glielo ha anche detto, che avesse bevuto un bicchiere di troppo. Stasera al caffè non si parlava d'altro. Ti saranno fischiate le orecchie.
Erano stati molto amici una volta e anche adesso, lo sentì subito, nonostante il tempo passato qualcosa di indefinibile li univa, li teneva legati. Forse il ricordo delle cose fatte insieme, la forza dei desideri di un tempo, dei sogni comuni di gioventù.
  • Non potevamo aspettare domani. - riprese il primo – No, non sarebbe stato bello. Volevamo vedere se davvero eri tornato. E poi, non eravamo sicuri che fossi proprio tu.
  • Ti fermerai un po’ questa volta, spero – disse l’altro.
  • No, non sono tornato per fermarmi. Starò qui il minimo indispensabile. Il tempo necessario a sbrigare alcune faccende.
  • Ma allora, perché tornare in paese? - e nella sua voce c’era un tono di delusione.
  • In effetti, avrei anche potuto fermarmi in città, in un albergo. Adesso ce ne sono di belli sulla costa. Ma prima volevo vedere che cosa ne era rimasto della casa. È da tanto tempo che ne manco.
  • Ma cosa dici, ma dove vuoi andare, dove corri? – riprese il primo - Non hai, .. non abbiamo, più vent'anni. Diglielo anche tu, Marcello, che è ormai arrivato il momento di fermarsi.
  • Paolo ha ragione, - disse l'altro - dovresti fermarti per un po'. Lo vedi: la casa è in ordine. Non ci staresti poi tanto male. E’ un posto tranquillo, lontano dalla confusione, dal rumore. Nessuno ti disturberebbe. Cosa puoi trovare di meglio per scrivere i tuoi libri?
  • Tra poco riaprirà la caccia. – riprese quello che si chiamava Paolo - Potremmo andarci insieme. Ti divertiresti. Come ai vecchi tempi.
  • Proprio come ai vecchi tempi - intervenne l’altro - Una bella battuta ai cinghiali. Ecco quello che ti ci vuole per rimetterti in sesto. Vedrai, ti piacerà. Dopo, non vorrai più ripartire.
  • Mi spiace, ma da tanto tempo non vado più a caccia. – la sua voce si era come intristita - E poi, come ho detto, sono di passaggio. Non posso proprio fermarmi. Anche se lo volessi. La mia vita è ormai altrove.
  • Allora una cena. Almeno questo. Ti andrebbe una cena? Una rimpatriata con i vecchi compagni di una volta. Sarebbero felici di rivederti. Ricordi quella volta che…
Quella cordialità lo soffocava, quasi lo infastidiva. Si sentiva come preso alla gola. Non voleva farsi coinvolgere nel gioco sottile dei sentimenti. Cercò di cambiare discorso.
  • E a voi come va?
  • Come vuoi che vada…
Davanti a una bottiglia di rossese parlarono un po' di tutto: dei tempi andati e del presente. Del paese che cambiava, del lavoro che non andava troppo bene, delle cose di tutti i giorni, degli affari di casa, delle mogli e dei figli. Lui, fissando pensieroso il bicchiere, li ascoltava. Poi quello che tutti e tre temevano, che avevano in ogni modo tentato fin dall'inizio di evitare, accadde e forse era inevitabile che andasse a finire così.
  • Pensa che l'altro giorno giù in città ho visto Giulia…
Un'espressione imbarazzata sul viso, Paolo si interruppe bruscamente, mentre dall'altra parte del tavolo Marcello fissava ostentatamente il soffitto. Fu lui a rompere il silenzio greve che si era creato nella cucina fumosa.
  • Non ti preoccupare, non c'è problema: sono cose vecchie. Lei come sta?
  • Adesso bene, ma agli inizi non è stato facile.
  • Non è mai facile, per nessuno.
  • Anche tu però. - intervenne Marcello - Andartene così all'improvviso e in quel modo. Dopo quello che c'era stato fra di voi. Dopo che lei aveva lasciato tutto per mettersi con te
  • Lascia perdere, sarebbe un discorso troppo lungo. E poi, a che servirebbe. Quello che è stato è stato. Non si può certo tornare indietro
Aveva sempre avuto difficoltà a parlare ad altri della sua vita. Una sorta di pudore, quasi di vergogna lo aveva sempre trattenuto. Il silenzio stagnava. Insopportabile. Fu di nuovo lui a riprendere il filo interrotto della conversazione.
  • Adesso cosa fa, lavora, si è sposata, ha figli?
Non sapeva neppure lui perché avesse fatto quelle domande. In fondo non gliene importava più molto. O almeno, così pensava. Ma attendeva quel si (che tardava ad arrivare) come una liberazione, come una assoluzione.
  • No, non ha figli e non è neppure sposata. Non so che vita faccia. Lo sai: a Giulia è sempre piaciuto fare la misteriosa. So solo che lavora in un bar giù in città vicino al porto e che ogni tanto la si vede in giro. Se vuoi, posso darti l'indirizzo del locale dove lavora.
  • No, non credo sia una buona idea.
  • No, forse hai ragione tu. Dopo tanto tempo è meglio lasciare le cose come stanno.
Si fece di nuovo silenzio. Poi la conversazione riprese sul terreno meno accidentato delle cose di ogni giorno. Erano tornati quelli di prima: tre vecchi compagni che si ritrovavano dopo un lungo distacco. Li guardava e li trovava invecchiati, così come loro (lo sapeva bene) stavano trovando invecchiato lui. Un cameratismo triste emanava dai loro discorsi, una malinconia sottile come il fumo azzurrino delle loro sigarette.
  • Ne apriamo un’altra? – domandò, indicando la bottiglia ormai vuota.
Prima di andare via, al momento dei saluti, insistettero di nuovo perché ci ripensasse, perché si fermasse ancora.
  • Siamo, amici, no?
  • Si, siamo amici - pensò.

(continua)