martedì 5 agosto 2014

Le altre Gladio. La lotta segreta anticomunista in Italia



Completiamo la pubblicazione de “La guerra non era finita”. Il dopoguerra e il movimento partigiano.


Giorgio Amico

Le altre Gladio. La lotta segreta anticomunista in Italia

Ma davvero i partigiani erano divenuti il “nuovo nemico” solo alla fine degli anni Quaranta? Un libro di Giacomo Pacini, ricercatore presso l'ISGREC (Istituto Storico Grossetano della Resistenza e dell'Età contemporanea), sull'analisi di una enorme mole di documenti finora riservati retrodata al 1945 la costituzione con il sostegno delle autorità angloamericane di strutture segrete paramilitari in funzione anticomunista. (Giacomo Pacini, Le altre Gladio, Einaudi 2014, 31 euro).

In particolare Pacini analizza la costituzione di “Un ufficio per la Venezia Giulia” destinato a costituire e gestire con il supporto dell'Esercito e dell'Arma dei Carabinieri, squadre armate e strutture paramilitari segrete in funzione anti-jugoslava. Un'operazione che si protrae fino al 1956, quando nasce ad opera del SIFAR diretto dal generale De Lorenzo la struttura segreta anticomunista poi conosciuta come Gladio.

Un'operazione segretissima, accuratamente celata ai rappresentanti della sinistra non solo in Parlamento, ma anche nei governi di unità nazionale antifascista in carica fino alla rottura del 1947. Una struttura inizialmente costituita da partigiani “bianchi” della brigata “Osoppo” di ispirazione cattolica e liberale, ma che ben presto vede l'inserimento (anche a livello di comando) di elementi monarchici e neofascisti. Questi ultimi in larga parte ex-repubblichini facenti capo ad una associazione triestina, il Circolo Cavana, che Pacini definisce “una vera e propria organizzazione estremista finanziata dalla Presidenza del Consiglio con fondi riservati, gran parte dei quali stanziati su decisione dell'allora sottosegretario Giulio Andreotti”.

Un'analisi, quella di Pacini, di grande interesse soprattutto per gli squarci di luce che getta su una strategia politico-militare eversiva e destabilizzante gestita dai servizi segreti sotto l'egida della CIA fin dal 1945 e proseguita poi ( nei momenti in cui più forte era la crescita del movimento democratico e popolare) negli anni Sessanta (il Piano Solo e il tentativo di golpe di De Lorenzo) e per tutti gli anni Settanta con il terrore stragista e golpista (Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Rosa dei venti, Golpe Borghese, ecc) di cui anche le bombe savonesi del 1974-75 sono un tassello.

“Se il Friuli Venezia Giulia – scrive Pacini – fu il principale laboratorio nel quale vennero sperimentate e portate a compimento le più importanti entità prodromiche a Gladio, nel corso degli anni Quaranta anche in altre zone dell'Italia settentrionale numerosi partigiani cattolici e liberali, una volta conclusasi la lotta contro il nazifascismo, rimasero in armi ed entrarono a far parte di strutture segrete create in funzione anti-comunista.”

Di assoluto rilievo soprattutto in Lombardia (ma con addentellati anche in Piemonte e Liguria) fu il ruolo giocato da un'organizzazione denominata Movimento Avanguardista Cattolico Italiano (MACI), originariamente creato nel 1919, poi scioltosi in epoca fascista, e ricostituito nel novembre del 1945 per iniziativa del cardinale Schuster.

Ufficialmente si trattava di un'organizzazione ecclesiale impegnata nella difesa dei valori cristiani, attività che in realtà copriva una articolata azione sotterranea tramite una struttura militare e depositi d'armi. Insomma, conclude Pacini, “un organismo segreto direttamente riconducibile alla Democrazia Cristiana e alle massime gerarchie ecclesiastiche”.



La guerra non era finita. I partigiani della Volante Rossa

Inutile dire che il 25 aprile anche a sinistra furono in pochi a consegnare le armi, almeno quelle più moderne ed efficienti. Troppo fresco era il ricordo della guerra. Soprattutto pesava l'esperienza greca dove con l'avallo inglese una destra reazionaria e autoritaria aveva smantellato le conquiste della Resistenza scatenando una guerra civile destinata a durare fino agli inizi degli anni Cinquanta.

Nelle città dove la guerriglia era stata più feroce e più pesante il tributo di sangue la fine delle ostilità non fa cessare le violenze. Regolamenti di conti, vendette, liquidazione di spie o di ex-repubblichini distintisi per brutalità e ferocia durano a lungo. E il caso della “pistola silenziosa” a Savona o della ben più conosciuta Volante Rossa di Milano. Episodi, come scrive Lowe, dovuti ad azioni individuali o di piccoli gruppi, ma non per questo impolitici. Una ricerca, da pochi mesi approdata nelle librerie (Francesco Trento, La guerra non era finita, Laterza 2014, 18 euro) ne ricostruisce in modo storicamente accurato le vicende al di là delle visioni sostanzialmente coincidenti di una destra che usa questi episodi come prova dell'azione rivoluzionaria (e criminale) del PCI e di una ultrasinistra che soprattutto negli anni '70 li ha invece esaltati acriticamente come prototipo (e modello) delle Brigate Rosse.

Con grande cura l'autore ricostruisce nei primi capitoli in quello che definisce “dopoguerra armato” il formarsi in pochi mesi di decine di formazioni armate neofasciste, gli attentati alle sedi dei partiti di sinistra e dei sindacati, gli assalti alle manifestazioni operaie, gli assassini di militanti comunisti e di ex partigiani. Una realtà assolutamente trascurata fino ad oggi dalla storiografia, come poco studiato è stato il deteriorarsi delle condizioni di vita delle masse, l'ondata di licenziamenti, la riaffermazione brutale del potere padronale con l'espulsione sistematica dalle fabbriche degli operai più combattivi, in larga parte giovani (spesso giovanissimi) ex partigiani.

E in questo clima, segnato dal sostanziale fallimento dell'epurazione e dal ritorno arrogante e aggressivo degli ex repubblichini che spesso si vantano pubblicamente dei delitti commessi, che si colloca la parabola della Volante Rossa, un gruppo di giovani partigiani dell'hinterland milanese per i quali l'intensificarsi del terrorismo e della propaganda neofascista dimostra che la guerra non è finita, che occorre mantenere la più ferma vigilanza provvedendo con tutti i mezzi necessari alla difesa di esponenti, sedi e spazi politici del movimento operaio.

Un'azione prevalentemente difensiva, mirata a individuare e liquidare gli elementi più duri del fascismo clandestino che diventa, come inevitabile, guerra per bande con tutto ciò che questo comporta di violenza gratuita, azioni impolitiche ed errori plateali.

L'attentato a Togliatti e l'insurrezione spontanea che ne consegue, immediatamente fermata dagli stessi dirigenti del PCI che ne valutano la mancanza di prospettive e i possibili sbocchi reazionari, segnano la fine di questo ribellismo endemico e l'emarginazione di chi non intende rinunciare al sogno di una spallata definitiva al sistema.

Nel 1948 in piena guerra fredda, con l'Europa divisa rigidamente in due blocchi, il PCI prende definitivamente atto dell'immutabilità degli assetti di Yalta e si attrezza per una marcia attraverso le istituzioni necessariamente di lungo periodo. I depositi d'armi rimasti vengono in larga parte smantellati, i militanti più compromessi (come i giovani della Volante Rossa) vengono fatti espatriare. Praga ospiterà fino agli anni Ottanta una nutrita colonia di rifugiati condannati in Italia per episodi del dopoguerra ma anche della guerra partigiana.

La repressione sarà comunque durissima, ma il Partito comunista riuscirà a limitare i danni e soprattutto a evitare che la situazione italiana degeneri secondo il modello greco e i progetti antidemocratici e autoritari degli ambienti economici e politici più legati all'onnipresente alleato americano: Confindustria, gerarchie militari, Vaticano , destra DC.

Come scrive Francesco Trento nelle ultime pagine del suo bel libro, finiva così l'epoca delle illusioni, iniziava una lunga e difficile traversata del deserto che sarebbe durata fino al luglio '60 e al ritorno impetuoso delle masse giovanili ed operaie sulla scena politica nazionale.