domenica 28 settembre 2014

A proposito del Non-convegno situazionista di Sesta Godano



A proposito del Non-convegno situazionista di Sesta Godano

Punto della situazione n. 1



In occasione dei 20 anni dalla morte di Guy Debord, venerdì 19 settembre si è svolto presso la Sala Consiliare del Comune di Sesta Godano (SP) un incontro situazionista.

Con la presidenza di Roberta Biasotti e la presenza dell’Assessore alla cultura Davide Calabria, sono intervenuti studiosi e attivisti delle avanguardie di varia provenienza che hanno discusso sulle teorie e pratiche situazioniste: Giorgio Amico, Pino Bertelli, Roberto Massari, Sandro Ricaldone, Antonio Saccoccio, Alessandro Scuro. All’ultimo momento non sono potuti intervenire Michele Nobile (che ha inviato un testo che in parte è stato letto) e Donatella Alfonso.

L’incontro, lungi dall’essere un’erudita dissertazione, si è presto trasformato in un vivace dibattito sull’attualità delle teorie debordiane. Bertelli, Saccoccio e Massari, in particolare, hanno sottolineato la necessità di continuare a sviluppare alcune intuizioni di Debord e di altri situazionisti. La spettacolarizzazione del reale e lo «slittamento generalizzato dell’avere nell’apparire» (Tesi 17 de La società dello spettacolo) sono oggi dati di fatto.

Massari, confermando alcune ipotesi di Nobile, ha svolto il proprio intervento su un terreno socio-politico (merce, alienazione, capitale, lavoro). Saccoccio ha insistito sul superamento dell’arte, segnalando che retrocedere su questo punto significherebbe tradire tutta la teoria situazionista. Bertelli ha proiettato il film di Debord La société du spectacle, analizzando le tecniche di détournement impiegate.

Amico ha messo in evidenza l’importanza cruciale della figura di Asger Jorn. Ricaldone ha mostrato come la genesi di alcune teorie situazioniste sia da rintracciarsi nei movimenti d’avanguardia precedenti, soprattutto nel Lettrismo. Ed è proprio sulle figure di Isou e Pomerand che si è soffermato Scuro, avviando così la presentazione del suo libro – Il lettrismo - pubblicato dalle edizioni Massari, poi proseguita con una lettura interpretata in sala.

Alcune Tesi de La società dello spettacolo sono state riproposte per la loro attualità: «Tutta la vita delle società in cui regnano le moderne condizioni di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli…» (Tesi 1); «Lo spettacolo in generale, come inversione concreta della vita, è il movimento autonomo del non-vivente» (T. 2); «Lo spettacolo è il cattivo sogno della so- cietà moderna incatenata, che non esprime in definitiva se non il suo desiderio di dormire» (T. 21).

Saccoccio e Bertelli hanno affermato che forse oggi può servire più la visione di Raoul Vaneigem e del suo Trattato di saper vivere ad uso delle nuove generazioni che quella di Debord. Tra gli intervenuti del non-pubblico presente in sala, va segnalato Stefano Balice che ha sottolineato l’importanza delle teorie e pratiche elaborate da Pinot-Gallizio.

Dibattito acceso, come prevedibile, sulla diffusione delle tecnologie digitali e della rete globale, tra posizioni critiche/negative (Massari e altri) e positive/possibiliste (Bertelli, Balice, Saccoccio). L’argomento non è affatto secondario per lo sviluppo di una critica radicale contemporanea e sarà certamente ripreso nei prossimi incontri.

Menzione speciale va fatta per il tour ciclo-situazionistico di Antonio Marchi che, partito da Trento in bici, ha fatto le seguenti tappe «storiche»: Alba, Cosio, Albisola, Sesta e ritorno a Trento.

Prima di passare a una simpatica cena sociale, Massari ha abbozzato delle «conclusioni» del convegno (in realtà un non-convegno – come preannunciato e in accordo allo spirito situazionista), frutto di due giorni di continue discussioni e inaspettate derive sul territorio spezzino dell’alta Val di Vara. È stato dato appuntamento per il prossimo incontro che, d’accordo con Roberto Peccolo – gallerista-editore di Livorno che ha contribuito, con mostre e convegni, a documentare le vicende del Lettrismo e dell'Internazionale situazionista - si svolgerà a maggio prossimo nella sua galleria. 

Il nuovo evento verrà costituito come Punto della Situazione n. 2. [Si può considerare «Punto della Situazione n. 0» la commemorazione del 50° della fondazione dell’Internazionale situazionista, svoltosi a Cosio d’Arroscia il 14/7/07, su iniziativa del Comune di Cosio e alla presenza, tra gli altri, di Simondo, Amico, Massari, Ricaldone.] 

Il Non-convegno è stato organizzato dal Movimento guevarista por la revolución, Massari Editore, Tracce, Utopia Rossa, Vento Largo, con il patrocinio del Comune di Sesta Godano.   (a.s.)

www.utopiarossa.blogspot.com



venerdì 26 settembre 2014

Dal piombo allo stagno. A proposito dell'ultimo libro di Roberto Massari



In un film che amiamo Yves Montand, vecchio e disincantato militante comunista, ricorda a dei giovani travestiti da guardie rosse (siamo nel 1966), che la pazienza e l'ironia sono le armi del rivoluzionario. E' il senso profondo dell'ultimo libro di Roberto Massari.

Giorgio Amico

Dal piombo allo stagno. A proposito dell'ultimo libro di Roberto Massari

E' da poco in libreria “Dal piombo allo stagno” di Roberto Massari, ultimo di cinque volumi che documentano quello che l'autore definisce una lunga traversata fra resistenza etica e impegno culturale e politico.*

Una testimonianza di primo mano su cinquant'anni di riflessione critica e intervento militante di una delle poche figure cardine del 1968 (Massari fu centrale nell'esperienza romana tanto da dover forzatamente espatriare e vivere sei mesi a Cuba come ospite di quel governo allora rivoluzionario) non rifluita nel privato o peggio ancora “accomodatasi” all'interno del sistema. Quei “Forchettoncini rossi”, come li chiama lui, che della militanza giovanile hanno fatto fonte di guadagno e di carriera all'interno delle istituzioni e della società.

Il libro, che tratta di un trentennio (1980-2011) di eventi italiani e internazionali, documentando puntigliosamente attraverso articoli, interventi, saggi una lunga e coerente battaglia politica, però va oltre il mero dato personale e generazionale, per diventare un'indispensabile guida alla comprensione di un presente che altrimenti rischia di apparire solo come una gigantesca massa di rovine. A partire dalla crisi profonda della sinistra rivoluzionaria (praticamente scomparsa dalla scena politica) e dal fallimento dei movimenti che per un certo periodo hanno preteso di sostituirla (pensiamo alla mobilitazione anti G8 del 2001 e alla teorizzazione bertinottiana del “movimento dei movimenti”) nella sua funzione antisistema.

Un libro che aiuta a orientarsi in una realtà divenuta “liquida”, tanto per usare un termine oggi di moda, e che vuole essere prima di tutto stimolo ad una rilettura critica di un intero periodo storico, rifiutando ( e qui Massari è profondamente debitore all'esperienza di Guy Debord e dell'Internazionale Situazionista) ogni forma di nostalgia per ciò che è stato, o peggio ancora di rimpianto per ciò che avrebbe potuto essere.

Niente reducismo, dunque, né contributo alla costruzione (in positivo o in negativo poco importa) del mito di un periodo, quello della radicalizzazione degli anni Sessanta, in cui tutto sarebbe stato possibile e a portata di mano. Ma una lucida e coerente riflessione che proprio dalla decostruzione del mito di un'epoca insurrezionale in realtà mai esistita parte per puntare “alla ripresa di speranza in un progetto collettivo, per una ricerca di valori comuni, alternativi alle logiche mercantili e spettacolari del sistema”.

Perché, come scrisse Teocrito, in un'epoca di grandi mutamenti e dunque di profondo sconcerto, “i vivi hanno speranza, senza speranza sono i morti”.

E qui si aprirebbe un lungo discorso sulla lezione di Ernst Bloch, che del principio speranza fece il centro del suo pensiero, ma di questo parleremo semmai in altra occasione.



Roberto Massari
Dal piombo allo stagno
Massari editore, 2014
20 euro

* Il libro può anche essere richiesto direttamente all'editore. Per informazioni: erre.emme@enjoy.it



giovedì 25 settembre 2014

Vino e Farinata. Chiude via Pia



Le locandine del Secolo di oggi sono un colpo al cuore. Rischia di sparire un altro pezzo della nostra Savona. In quelle stanze siamo diventati grandi, abbiamo cantato, bevuto vino, discusso di politica e dei nostri sogni. Era l'unico ristorante che potevamo offrirci. Ci andavamo con gli amici e poi ci portavamo le ragazze. Tavoloni di legno e fogli di carta oleata per tovaglia. Il colore dolce della nostalgia.

Giuseppe Cava (Bepin da Cà)

A Törta de seixao

Törta de seixao – morbida e bonn-a,
boccon gustoso – da mae Savonn-a,
da-o fêugo vivo – chêutta, indorâ
e con bon êuïo – condizionâ,
canto a têu lode, – a têu bontae
ch'a reiso celebri – tanti tortae:
cantala vêuggio – con a parlata
da brava gente – dove t'ë nata
perchè ö profûmmo – che ven da tî,
se mescce a-o sêunno – do nostro «scî».

Rigordo a Monica, – a Pasqualinn-a,
Manin a Dûxe, – a Pellegrinn-a,
penso a-i Pastellica, – penso a-i Lazzae
a-e törte cade – che g'ho mangiae
e st'arregordo – me tia sciû ö chêu,
m'addescia a gôa – comme a ûn figgiêu.
Veddo a fascinn-a – che zà s'aççende,
a pasta liquida – ch'a se destende
drento dö tésto – con êuïo fin,
de s-ccetta oïva, – veo verzellin.



A sciamma bella – ne-o forno a gïa
a pasta a bôgge – a ven röstïa,
ö giano seixao – in öu se cangia,
manda ûn odöeto – ch'o dixe: mangia!
Sento in te oëge – i cörpi spessi
dö faero adatto – a fäla in pessi,
me pâ ûnn-a mxica, – ûnn-a canson
ch'a predisponn-e – a-o bon boccon.


Laesti ûn spelinsego – sörva de peive,
ghe azzunze gûsto, – t'invita a beive
quello vin gianco – de nostre vixe
che con a törta – tanto se dixe,
ansi, sostegno – che son creae
pe fonde in ûnn-a – trè gran bontae:
quella do seixao, – de l'êuïo fin
con ö pessigo – dö nostralin.


1934-2014. 80 anni dalla rivolta dei minatori asturiani


1934: la repressione violentissima della rivolta dei minatori asturiani segnò l'inizio della fine per la repubblica spagnola. Poi sarebbe arrivato il golpe militare e il franchismo.


mercoledì 24 settembre 2014

martedì 23 settembre 2014

sabato 20 settembre 2014

La Scozia ha scosso il Regno Unito



Pubblichiamo una presa di pozione del Partito della Nazione Occitana sull'esito del recente referendum sull'indipendenza della Scozia.

La Scozia ha scosso il Regno Unito

Il 18 settembre 2014, il popolo scozzese ha scelto di restare per il momento nel Regno Unito. Malgrado la maggioranza per il no all'indipendenza, una parte significativa del popolo scozzese ha rimesso in causa l'atto di unione del 1707.

La sconfitta del campo indipendentista dovrebbe comunque servire:

- Alle istituzioni autonome scozzesi già esistenti i cui poteri saranno un po' più estesi di quelli attuali (se si crede alla promesse dei partiti politici britannici, conservatore, liberal democratico e laburista, tutti partigiani del mantenimento del Regno Unito).

- Alle istituzioni autonome gallesi il cui statuto di devoluzione, molto meno ampio di quello della Scozia, dovrebbe aumentare.

Il Partito della Nazione Occitana (P.N.O) saluta la formidabile mobilitazione di tutte le forze indipendentiste scozzesi che hanno fortemente scosso il regno Unito e rivelato la sua fragilità

Questa mobilitazione è un incoraggiamento per tutte le nazioni senza Stato inserite all'interno degli Stati dell'Unione Europea:

- Per i Catalani che in novembre probabilmente voteranno sull'indipendenza in rapporto allo Stato spagnolo.
- Per i Fiamminghi del Belgio.
- Per i Paesi Baschi.

Il Partito della Nazione Occitana ritiene che presto o tardi, come previsto dal suo fondatore François Fontan, le nazione senza Stato d'Europa e del mondo diverranno indipendenti con il loro proprio Stato. Così per l'Occitania anche se oggi questa prospettiva sembra ancora lontana.


Gianluca Paciucci, Destre estreme di lotta e al governo (In ricordo di Walter Peruzzi)



Un contributo di Gian Luca Paciucci su un tema assolutamente centrale che è al contempo un ricordo di Walter Peruzzi a quattro mesi dalla scomparsa.

Gianluca Paciucci

Destre estreme di lotta e al governo


Walter Peruzzi* purtroppo non è riuscito a leggere il dispositivo della sentenza di non luogo a procedere nel processo intentato nei suoi confronti e in quelli dello scrivente, autori di Svastica verde, il lato oscuro del va’ pensiero leghista (Roma, Editori Riuniti, 2011), durante il quale ha assunto un ruolo rilevante/militante il nostro collegio di difesa, con Stefania Lopez e Marco Arcangeli. Non è riuscito a farlo perché è morto il 25 maggio, lasciandoci senza voce.

La sentenza, emessa dal giudice A.L. Lanna (Tribunale di Cassino) e datata 2 maggio, ci è pervenuta il 9 giugno. Ed è estremamente positiva. Vista la condanna nei confronti dell’on. Borghezio stabilita dal pretore di Torino il 22 giugno 1993 per un fatto accaduto nel capoluogo piemontese il 28 novembre di due anni prima (“…[l’on. Borghezio] con la violenza consistente nell’afferrare il minore H. N. per un braccio, lo costringeva a stare presso di sé (…) impedendogli di muoversi come avrebbe voluto…”), il giudice Lanna scrive che “quale che fosse la ragione sottesa a tale (sconsiderato) gesto, si verificò comunque una esplicazione di energia fisica; vi fu una materiale costrizione, finalizzata ad imporre ad altri (ad un soggetto peraltro particolarmente debole e indifeso) di fare qualcosa, ovvero di tollerare un’azione non voluta…”.

Inequivocabile. Su cosa si era basata l’accusa? Sul fatto che nella nostra ricostruzione dell’episodio in Svastica verde abbiamo usato il verbo “picchiare” in luogo di “afferrare o trascinare”: ma questa, secondo il giudice Lanna, è “una mera inesattezza semantica” in quanto “l’avvenimento soggettivamente riconducibile al Borghezio (…) rimane infatti pur sempre quello: fu adoperata una forma di coercizione fisica, ossia una esplicazione di violenza, nei confronti di un bambino marocchino…”. Anche qui, niente di più chiaro.

Svastica verde, ricordiamolo, raccoglie e commenta le malefatte e le maleparole di esponenti di primo e secondo piano della Lega Nord, dalle origini al dicembre 2010. Un lavoro meticoloso, basato su fonti d’archivio giornalistiche, come Walter da tempo aveva cominciato a fare, e arricchito dall’immenso materiale che la rete mette a disposizione di chiunque abbia forza e voglia di rovistarvi.



Le ricerche di Walter, cui ho dato il mio appoggio concreto a partire dal 2008, partivano da diversi assunti: innanzitutto dalla constatazione della pericolosità del fenomeno leghista che invece molti tendevano a sottovalutare o, peggio, a corteggiare ritenendolo destinato a scomparire in breve tempo con la conseguente libera uscita di voti da incamerare.

La tesi di una Lega “costola della sinistra” o movimento di popolo (la pseudoproletaria “canotta” di Bossi) è stata sistematicamente smontata dal lavoro di Walter, prima, e poi dal nostro Svastica verde, oltre che da molti altri volumi e interventi: per noi la Lega era, ed è, un movimento di destra estrema –questo vuole esplicitamente dire il titolo del nostro libro- con forti venature razziste, di un razzismo addirittura biologico, come Annamaria Rivera suggerisce nell’importante postfazione al volume. Un movimento, perciò, non “popolare” ma “populista” e cioè contro il popolo, oggetto di un quotidiano avvelenamento attraverso parole d’ordine elementari, ripetutamente/repentinamente cambiate e, sul breve periodo, efficaci.

Questo avvelenamento è stato incoraggiato e reso duraturo dalle mancanze e poi dalla mancanza di una sinistra di “classe”, a partire dagli anni Novanta, che hanno condannato alla perdita di una prospettiva ideale/reale di emancipazione. Essere contro il popolo, vuol dire anche appartenere a quella classe politica corrotta e ladrona (le accuse dei leghisti andavano e vanno per le spicce, quando non si tratti di propri esponenti…) di cui si denunciavano, imitandoli, i peggiori vizi: i casi del tesoriere Belsito e di Renzo Bossi –il figlio preferito del capo-, e infiniti episodi meno conosciuti, sono stati solo la punta di un sistema di potere assai ramificato attorno alla famiglia del grande leader, al “cerchio magico”, etc..

Corruzione che non è solo mazzette e spese pazze, ma anche devastazione del territorio (agricoltura avvelenata e rifiuti tossici, sbancamenti, disboscamenti, asfaltizzazione e edilizia forsennate) su cui qualche procura dovrà prima o poi cominciare a indagare. A questa corruzione diffusa si sono sempre uniti linguaggio e comportamenti sul terreno che hanno senza sosta ribadito l’appartenenza della Lega Nord all’area della destra estrema.

Antimeridionalismo, esibito machismo e omofobia, antiziganismo, islamofobia, antisemitismo poi diventato paradossale filosemitismo (è stato Ivan Segrè a coniare il termine di “reazione filosemita”, quando vecchi nemici degli ebrei e di Israele si convertirono ad appoggiare lo Stato detto ebraico in funzione anti-islamica), sono atteggiamenti e programmi del partito indipendentista da sempre vicini alle parole d’ordine della destra europea, e francese in particolare, con Borghezio a tessere legami tra Nizza, Strasburgo, la fantomatica Padania e movimenti come Casapound.



La svolta a destra della segreteria di Matteo Salvini (le alleanze con il Fronte Nazionale e altre destre estreme nel Parlamento europeo, i legami in nome dell’identità cristiana con la Russia di Putin, etc.) è perciò, più che un cambiamento, un esercizio di continuità e un disvelamento delle radici del partito. Ma queste radici nazional-popolari su base “padana”, in apparenza di “destra sociale”, in realtà si sono sposate disinvoltamente con la destra liberista berlusconiana: ricordiamo il grande amore Bossi – Berlusconi e, ora, le proposte di Salvini per una ricomposizione della destra, in seguito ai risultati delle europee del 25 maggio, segnate da una certa crescita della Lega dopo i rovesci elettorali causati dal rigetto nei confronti della dirigenza bossiana.

Queste proposte potrebbero essere vincenti sotto forma di riunificazione di una destra esplosa per scissioni, processi e corruzione, con la Lega che si candida a cardine di un eventuale nuovo schieramento; e/o sotto forma di idee che andranno in ogni caso a permeare le parole e i programmi di altri, capaci di raccoglierle e di utilizzarle al meglio.

Le recenti esternazioni di Alfano, ministro dell’Interno del governo del “comunista” Renzi, a proposito degli immigrati sono significative. Commentando la gambizzazione di due nigeriani il 12 luglio scorso a Pescopagano e i successivi incidenti, lungi dal deplorare il fatto e provare ad affrontare una realtà fatta di sfruttamento nelle campagne e di potere mafioso, egli ha sottolineato che “quando c’è uno sbilanciamento tra persone straniere e cittadini italiani si creano momenti di tensione”; e al successivo incontro del Comitato Nazionale per l’ordine pubblico e la sicurezza, tenutosi a Caserta il 1° agosto, parlando dei problemi occupazionali Alfano ha usato l’espressione “prima gli italiani e poi i migranti”, servendosi di uno slogan storico del Front National di Jean-Marie Le Pen. Altro che moderati!

In soccorso di Alfano si è subito schierata la sua collega di partito, Nunzia Di Girolamo: “italiani prima di tutto”, perché è questo che “la stragrande maggioranza degli italiani vuole”. Queste elevate riflessioni estive vanno però lette in altro modo: la precedenza / preferenza e il lavoro non verranno dati né agli italiani né agli stranieri, visto lo smantellamento sistematico del tessuto produttivo italiano e del welfare attuato dai governi appoggiati dal NCD, negli ultimi anni, e dai governi precedenti, tutti radicalmente antipopolari.

Qui interessa, però, l’utilizzazione di termini che, una volta a esclusivo uso delle destre estreme, ora vengono a strutturare il discorso di molti esponenti di centro e di non pochi a sinistra, non certo per sottrarre forza agli “estremisti” giocando sul loro campo, ma nella prospettiva di una nuova e programmatica alleanza. Con questi “compagni” del NCD il “comunista” Renzi già governa in modo non provvisorio, ma con una forte unità di intenti e di cultura condivisa.

Per tornare alla Lega Nord e al relativo linguaggio/modo di pensare, il cardine del suo programma è nello slogan bossiano “föra di ball” (fuori dalle palle) di cui Andrea Rognoni provò una strabiliante esegesi tra rivendicazione di un’anima popolare che “non sopporta il peso della retorica e dei giri di parole” e virilità latina da proteggere: “…La scelta poi dell’apparato riproduttivo come cuore della personalità la dice lunga sulla necessità di difendersi da chi invadendo la sfera privata finisce col sostituirsi alla nostra virilità, minacciando implicitamente di procreare una marea di figli in futuro al posto nostro…”.

Come questo slogan venne subito attuato, lo ricorda una prima pagina del Manifesto dal titolo “Effetti collaterali”: “Più di 300 migranti dispersi nel Canale di Sicilia tra Lampedusa e Malta”, e un disegno di Vauro, con persone affogate nel Mediterraneo e la scritta Föra di ball. Come a dire, con grande efficacia, operazione criminale compiuta, allora come ora in questo mare di morti che è il nostro “mare di guerra”, così definito da Annamaria Rivera, da una Libia all’altra (l’attuale caos), e poi Siria, Gaza, e il Corno d’Africa, con i migranti che provano a trovare “esodo” attraverso il deserto e le acque. Appena ieri come oggi.



Su La Padania, negli ultimi mesi, si leggono ossessivamente titoli come questi: “Basta clandestini! È ora di difendere le nostre frontiere”, “allarme immigrazione”, “allarme proselitismo”, “Mare nostrum operazione del Vaticano” (titolo di un’intervista a Luttwak), fino a una memorabile prima pagina del 13-14 luglio, “Resort mare nostrum”. Il giorno prima Matteo Salvini aveva visitato il centro d’accoglienza di Mineo e visto quello che voleva: “Aria condizionata, tv satellitare, palme in giardino (…) E ancora: giardini, sigarette di contrabbando. Il tutto a disposizione dei clandestini sbarcati sulle coste italiane.”

Un’immensa tragedia planetaria ridotta a frasette da pessima osteria (le prigioni e i CIE italiani come hotel di lusso) pronunciate dal leader di un partito nazionale, e nemmeno una parola di dolore o di comprensione umana: danno fastidio vite che cominciano a ricostruirsi, con fatica, che quindi vanno costantemente inferiorizzate nel linguaggio (non si tratta di “persone” ma di clandestini / extracomunitari) e ridotte a merce di scambio sulla scena politica italiana ed europea. Il programma del partito è il sempre valido föra di ball: la “nuova” Lega è vecchissima e decrepita, e non vuole uscire dalle proprie furie, che garantiscono un magazzino elettorale e visibilità nei media.

Abbiamo già dimenticato le trite e tristi parole di Calderoli –ora “grande statista” nel pasticcio delle controriforme renziane, insieme alla senatrice Finocchiaro- e di altri leghisti contro Cécile Kyenge? Eccole riemergere durante i recenti campionati mondiali di calcio, dopo le affermazioni di Balotelli causate dall’eliminazione della nazionale italiana: “Gli africani non scaricherebbero mai un loro ‘fratello’. Mai. In questo noi negri, come ci chiamate voi, siamo anni luce avanti”. Queste parole dette da un viziatissimo calciatore –in un sistema viziato e corrotto quale è il calcio professionistico in Italia- scatenano la reazione leghista, con la penna di Paola Pellai che parla di “razzismo al contrario” e che non perde l’occasione di occuparsi dell’ex ministra Kyenge, intervenuta a favore di Balotelli, scrivendo che “madame Kyenge era scivolata sull’ennesima buccia di banana…”. Proprio così, perché non sanno tirarsi fuori dai peggiori stereotipi, dalle proprie trivialità.



Queste banane vengono usate in un discorso razzista primario, ma che può far scuola, tra lettori e lettrici de La Padania, nelle loro sagre, ma anche fuori, nel mondo giovanile e ancora nello sport: pensiamo al caso del candidato alla presidenza della Federazione Italiana Gioco Calcio –poi eletto-, Tavecchio e alla sua battuta su “giocatori extracomunitari e banane”, il silenzio di Balotelli e compagni, stavolta dalla parte giusta, e soprattutto carriere di potere sportivo basate su giochi di palazzo in perfetta continuità con la cosiddetta Prima Repubblica.

Non c’è “potere liquido” (alla Bauman) che tenga: nella FIGC, come in tanta politica nazionale e locale, ci sono solidi legami, promesse di voti e lavoro, partecipazione a sagre e a cene, contatti personalissimi, uso del denaro pubblico per fini privati, trattative segrete e veri e propri abusi sistematici praticati da teppistelli in giacca, o felpa e cravatta, contro cui sembra non esserci possibilità di azione per chi coltiva l’illusione democratica. Così come non c’è potere liquido nella Lega Nord, ma pesantezza di rapporti intrecciati con furbizia e scambio di favori, ripetendo gli slogan di sempre (e sempre cangianti) in un’ossessività che è, per ora, pagante. Le ricadute interne della rinnovata “guerra al terrorismo” praticato dagli islamisti in Iraq e Siria, e paradossalmente combattuto da chi questo terrorismo ha alimentato e usato, forniscono un enorme bacino di idee e di pratiche politiche al fondamentalismo occidentale di cui la Lega Nord, in Italia, è uno dei maggiori interpreti.

Walter Peruzzi è morto lo stesso giorno delle elezioni per il parlamento europeo, che ha visto un forte spostamento a destra in molti Paesi e un quadro favorevole a creare un continente chiuso al discorso dei corridoi umanitari ma come sempre aperto alla rapina delle risorse nei confronti di altri continenti, con corollario di guerre e bombe. Le sue intuizioni sulla Lega Nord vanno coltivate e protette, senza cedere né alla demonizzazione né all’indifferenza, forme entrambe di un mediocre approccio all’esistente. La via di Walter era, e sarà per noi, quella del paziente lavoro quotidiano di scavo nelle quotidiane violenze agite da un potere sempre più sfacciato e senza misura. Svelare le parole e gli inganni dei presunti “amici del popolo”, in camicia verde o in qualsiasi altra veste si presentino (anche in quella pentastellata, renziana/alfaniana o parafascista), è uno dei compiti affidati da Walter a tutte e tutti noi.





*Walter Peruzzi (1937 – 2014), insegnante e giornalista, militante politico. È stato direttore di diverse riviste come “Laboratorio politico” e “Marx centouno”. In particolare ha diretto, dal 1991 al 2014, Guerre&Pace, periodico di informazione internazionale alternativa. Ha scritto numerosi libri, tra cui “Cattolicesimo reale” e “Oca pro nobis”, entrambi per la casa editrice Odradek di Roma.



venerdì 19 settembre 2014

Frida Kahlo e Diego Rivera



Dopo Roma anche Genova ospita la mostra dedicata a Frida Kahlo, arricchita per l'occasione da una sezione dedicata a Diego Rivera, suo compagno di vita e d'arte. A noi piace ricordare come Frida e Diego accolsero Trotsky esule in Messico e l'esperienza (oggi quasi dimenticata) della FIARI, la Federazione Internazionale degli Artisti Rivoluzionari (lanciata da Trotsky e Breton) che negli anni Trenta tentò di coniugare arte e rivoluzione nella lotta contro il fascismo e lo stalinismo. Le foto e il testo sono riprese dalla pagina facebook di Ale Hozro ricchissima come sempre di notizie sulle avanguardie artistiche.

FRIDA KAHLO E DIEGO RIVERA
a cura di Helga Prignitz-Poda, Christina Kahlo, Juan Coronel Rivera
Palazzo Ducale
piazza Matteotti - Genova
dal 19/9/2014 all'8/2/2015

Frida Kahlo e Diego Rivera si videro per la prima volta nel 1922 sotto i ponteggi della Scuola nazionale preparatoria. Lui era il pittore più famoso del Messico rivoluzionario, chiamato a dipingere un murale nell'anfiteatro dell'istituto, lei una ragazzina irriverente. Sette anni dopo, Frida Kahlo e Diego Rivera erano moglie e marito. Fu l'inizio di un amore lungo e tormentato, costellato di tradimenti e colpi di scena (anche di pistola), destinato ad entrare nella leggenda.

La mostra di Palazzo Ducale, organizzata da Genova Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, MondoMostre e Skira, racconta il legame arte-vita di questa coppia messicana yin e yang: l'opera di Frida Kahlo, da sola, sembra essere incompleta senza la spalla che Diego Rivera offre alla sua fragilità. Dopo la mostra presso le Scuderie del Quirinale di Roma, che metterà l'opera di Frida Kahlo nel contesto delle avanguardie internazionali del suo tempo, la mostra di Palazzo Ducale, curata dall'autrice del catalogo ragionato, Helga Prignitz-Poda, con la collaborazione di Christina Kahlo (pronipote di Frida) e Juan Coronel Rivera (nipote di Diego) cercherà di raccontare i legami segreti che unirono due artisti così profondamente differenti e quanto diversamente sia stata valutata la loro espressione artistica nel tempo. La realizzazione dell'esposizione è stata possibile grazie al contributo di Enel in qualità di sponsor.



Quella che veniva definita "l'unione di un elefante con una colomba", superò le consuetudini di un legame sentimentale: Frida e Diego portarono nel loro rapporto e nella loro espressione dell'arte le personalissime esperienze di vita. La mostra indagherà questi temi presentando 120 opere di Frida Kahlo e Diego Rivera. Di Frida verranno esposti dipinti (ed in particolare i suoi autoritratti) su olio, su masonite, su alluminio come Diego in my mind, Self-portrait wearing a Velvet Dress, o Diego and I, o ancora il Self Portrait in a sun flower che dipinge pochi giorni prima di morire ma anche disegni ed il corsetto di gesso sul quale Frida dipinge la falce e il martello comunista sopra il feto del proprio doloroso aborto.

Di Diego saranno presentati in larga parte dipinti a olio (in particolare i grandi ritratti nei quali eccelleva come Portrait Dama Oaxaqueña, Portrait of Natasha Gelman, Calla lilly vendors) ma anche il taccuino del viaggio in Italia, mai esposto prima, il ritratto di Frida nuda e verrà ricostruito uno dei grandi murales.

Diego dipingeva le grandi emozioni storiche interpretando la rivoluzione nelle arti visive e mostrando l'uomo al potere, sempre circondato da un pubblico. Nei dipinti di Rivera, l'uomo ha la capacità di dare una forma positiva alla sua vita, per il bene dell'umanità, optando per la via dell'edonismo egoistico. Quando cominciò a dipingere, Frida, lo fece per rifugiarsi in un mondo di fantasia, trasportando problemi e sentimenti in quadri di piccole dimensioni. La sua continua lotta con il dolore e con la solitudine trova espressione adeguata in una sorta di "realismo magico", sviluppando un linguaggio artistico personale rispetto a quello degli artisti che ebbe modo di conoscere nei viaggi negli Stati Uniti e in Europa. La sua rivoluzione è interna.

Rivera nasce nel 1886 a Guanajuato, in un momento in cui la cultura messicana si basava ancora profondamente sui modelli europei. Era un "bambino prodigio" che eccelleva nel disegno, andò in Europa con una borsa di studio nel 1907, dove studiò le opere della scuola spagnola (Velazquez, El greco, Goya). Più tardi, a Parigi, si concentrò sulla pittura francese (Cezanne, Signac e Seurat, il puntinismo).

Frida e Diego

























Tra il 1913 e il 1914, si focalizzò sul cubismo. Durante questi anni, artisti come Modigliani, Picasso, Braque e Gris esercitarono su di lui una forte influenza. Era come una spugna in grado di assorbire tutto e di dipingere magistralmente alla maniera cubista. Tornato in Messico, Rivera iniziò a progettare la sua opera presso la Scuola Nazionale Preparatoria, in cui Frida Kahlo fu allieva. Il murale di Rivera La Creazione è ritenuto il preludio al Rinascimento della pittura murale messicana dove è evidente come il suo viaggio in Italia avesse dato i suoi frutti: le grandi figure eseguite in pose classiche furono realizzate secondo i principi di un classicismo figurativo, al quale Rivera aveva cercato di aggiungere elementi nazionalistici. Il taccuino del Viaggio in Italia di Rivera sarà una parte importante della mostra, non essendo oltretutto mai stato esposto prima.

Il destino di Frida Kahlo prese un corso molto diverso. Magdalena Carmen Frida Kahlo Calderón nasce nel 1907 presso la Casa Azul de Coyoacán, un sobborgo di città del Messico. Nel 1925, all'età di 19 anni, è vittima di un incidente stradale terribile, risultato di una collisione tra un autobus e un tram, in cui un corrimano in ferro penetra nel suo fianco e la costringe a una lunga degenza e grandi sofferenze. Costretta a rinunciare al suo piano originario di diventare medico e ad abbandonare gli studi si dedica alla pittura. Mostrò i suo dipinti a Diego, una mattina del 1927 mentre era impegnato a dipingere gli affreschi sulle pareti del Ministero dell'Educazione.

Diego Rivera ritrasse Frida per la prima volta in uno dei suoi grandi murali al Ministero dell'Educazione, affianco a Tina Modotti (la fotografa italiana amica comune), mentre distribuiva armi. Quando nel 1929 si sposarono, Frida aveva 22 anni, e non aveva ancora terminato gli studi, Diego aveva 43 anni ed era già un artista ampiamente riconosciuto e famoso, con tre matrimoni alle spalle e tre figli. Sei mesi dopo Diego aveva una relazione con la sorella di Frida e Frida per vendetta con Leon Trotskyi, scappato dall'URSS, che lei ospitava nella Casa Azul. Per tutta la vita ebbero entrambi decine di amanti, anche in comune (come ad esempio Tina Modotti), ma non furono mai capaci di lasciarsi.

Frida e Diego con Trotskty

























Nel 1930, Diego Rivera arrivò a San Francisco per la prima volta con la sua giovane sposa. Dipinse al San Francisco Stock Exchange e cominciò poi a dipingere un altro murale al Detroit Institute of Arts. Verso la fine del 1931 il MoMA di New York gli dedica una grande mostra personale. Le opere di Frida diventarono così incredibilmente indipendenti, così enigmaticamente belle che i visitatori, che andavano a trovare Diego Rivera, rimanevano ancor più affascinati dalle opere di Frida. André Breton, il primo ad organizzare una mostra delle sue opere a Parigi, descrisse la sorpresa nel trovare, a casa di Diego, questi dipinti della moglie, e pieno di ammirazione dichiarò: L'arte di Frida Kahlo è un nastro attorno a una bomba.

Diego riuscì a dare voce ai problemi e ai bisogni contemporanei rimanendo nella memoria collettiva del paese. Finché i fatti che egli rappresentava erano in linea con i compiti della società, rimase il più importante dei due. Attraverso le sue visioni provenienti dal mito, Frida parla, invece, ai sentimenti universali dell'uomo: la compassione, l'empatia, il desiderio di amore. Nella sua solitudine, lei è più vicina all'uomo moderno di quanto lo sia Diego. Il risultato è che Frida Kahlo rimane icona oggi come allora, non solo in Messico, ma in tutto il mondo.



giovedì 18 settembre 2014

Ceva (CN) Teatro Marenco . Thanks for Vasellina



Riceviamo e diffondiamo molto volentieri la locandina dello spettacolo di apertura della stagione del Teatro Marenco di Ceva, un piccolo-grande teatro dalla storia secolare, vero e proprio presidio culturale.




Cari amici a breve ricomincia la stagione del Teatro Marenco di Ceva e speriamo di vedervi numerosi alle attività e agli spettacoli.

Intanto vi segnialiamo un piccolo anticipo della stagione.

VENERDI' 26 SETTEMBRE ORE 21.00 presso Teatro Marenco di Ceva

THANKS FOR VASELLINA

spettacolo grottesco e ironico, irriverente e moderno realizzato da una giovane compagnia italiana "Carrozzeria Orfeo" che ha già ottenuto importanti riconoscimenti a livello nazionale per la nuova drammaturgia e il teatro contemporaneo.


Un gruppo di giovani scalcinati senza prospettive future, un cinico disilluso, un ambientalista convinto, una trentenne obesa che ha fallito il corso di autostima e una mamma frustrata tentano l'avventura della vita: commerciare Marijuana con il Messico. Ma tutto si complica quando entra in casa un nuovo personaggio.


ACCORRETE NUMEROSI!!!


IL MULINO AMLETO
via del carmine 24, 10122 Torino
www.ilmulinodiamleto.com

Ceva. Teatro Marenco



Morte di un partigiano. Matteo Lino Repetto da Boves a Clavesana




27 settembre 2014 dalle ore 16.30 - Clavesana (CN) giornata in ricordo del 70° anniversario della morte in combattimento del partigiano albissolese Matteo Lino Repetto


mercoledì 17 settembre 2014

Libri per Vado - Vado per libri



In occasione delle

GIORNATE EUROPEE DEL PATRIMONIO

Venerdì 19 settembre

Libri per Vado - Vado per libri

dalle ore 10,00 alle 18,00

Postazioni di Cambiolibro per le strade della città:  via XXV aprile, via Cadorna, piazza Cavour, via Gramsci, piazza San Giovanni Battista, Porto Vado, Molo 844, Valle di Vado, Segno, Sant’Ermete

Dei gazebo segnaleranno la presenza di libri messi gratuitamente in circolazione dalla biblioteca.


Sarà possibile tenerli per il tempo che si desidera e riportarli in biblioteca o presso i cambiolibro presenti sul territorio, passarli ad un amico...

La società dello spettacolo, i Situazionisti tornano a casa



Sabato 19 settembre a Sesta Godano (SP) un non-convegno in omaggio a Guy Debord e all'Internazionale Situazionista (che nel 1957 nacque proprio in Liguria)

Donatella Alfonso

La società dello spettacolo, i Situazionisti tornano a casa



Un po’ per gioco e un po’ per non morire, come si soleva dire, si può ricreare quasi cinquant’anni dopo, e dall’altro lato dell’arco ligure, quella situazione che diede vita al Situazionismo. In breve, quel movimento estetico, culturale e politico con intenzioni rivoluzionarie  tra anarchia e marxismo, declinato in tutte le varianti  nato da un convegno a Cosio d’Arroscia (ultimi propaggini del Savonese sconfinanti nel Cuneese, su per l’Appennino) nel 1957, capace di percorrere l’Italia e la Francia per tutti gli anni Sessanta con apici nel Sessantotto e dintorni.

E che oggi, benché ufficialmente non se ne parli che quando si cita il suo fondatore e icona, Guy Debord, geniale precursore dell’oggi con il suo “La società dello spettacolo”, ricorda  per carità, in maniera situazionista, quindi con un nonconvegno  proprio Debord, scomparso vent’anni fa,  venerdì 19 a Sesta Godano, nello spezzino.

Per chiarire, avanti tutto, che in maniera carsica i Situazionisti continuano a vivere, ad esistere. A Debord fanno riferimento in molti, se si occupano di comunicazione e soprattutto televisione (Carlo Freccero e Antonio Ricci, tra i primi). E in Liguria quel movimento così caleidoscopico e puntuto è ancora qualcosa di reale: come dimostra la grande mostra dedicata al ceramista danese Asger Jorn, uno dei ragazzi terribili del raduno di Cosio dì Arroscia,  che ha animato l’estate di Albissola Marina.

E se è rimasta l’arte più che la rivoluzione, il mondo in cui viiviamo è quello dell’apparire più che dell’essere, e allora dagli torto, ai Sitauzionisti.   "Perché lo spettacolo è la merce che condiziona tutte le altre merci" chiarisce Roberto Massari, che al Situazionismo, dopo una lunga attività politica e culturale, ha dedicato libri e un movimentismo incessante, e che ha promosso il convegno. Cioè, il nonconvegno, dove non ci sarà ordine negli interventi, ci potranno essere esposizioni di teorie come la presentazione di un libro sul lettrismo, altra corrente confluita nel Situazionismo e da lì uscita.

Ma perché a Sesta Godano, Massari? "Perché lì ho trovato un luogo fertile e interessato, e sono in contatto con il movimento guevarista che vi opera" risponde lui, che abita a Bolsena, nel Lazio e si definisce “presidente della Fondazione Guevara”. Anche qui: la posizione castrista o l’anarchia a cui si sente più vicino il fotografo e artista Pino Bertelli, altro protagonista dell’incontro di venerdì? Nel Situazionismo, di fatto, ci può essere molto.

Utile anche oggi o solo rievocatorio? "E’ sicuramente un movimento che appartiene al ‘900, ma il suo atteggiamento dissacratorio può significare un tentativo di non farsi assorbire" chiarisce Massari. Già. Proveranno a non discuterne , oltre a Massari e Bertelli, Giorgio Amico, Roberta Biasotti, Sandro Ricaldone, Alessandro Scuro, Alessandro Saccoccio, Michele Nobile. farà tappa a Sesta Godano (appuntamento nella sala del Comune dalle 15 alle 20) il tour ciclosituazionistico di Antonio Marchi, che pedala tra i luoghi storici del movimento. Il Comune di Sesta Godano ci ha creduto e ha dato una mano a organizzare.  


La Repubblica – 16 settembre 2014


martedì 16 settembre 2014

lunedì 15 settembre 2014

Situazionismo, un non-convegno a Sesta Godano



Donatella Alfonso

Situazionismo, un non-convegno a Sesta Godano



In occasione dei 20 della scomparsa del filosofo Guy Debord, fondatore del Situazionismo, venerdì 19 settembre dalle ore 15 si terrà presso la sala consiliare del comune di Sesta Godano un convegno sul Movimento Situazionista. L'evento è organizzato dal movimento Guevarista por la Revolucìon, Tracce, Massari Editore, Vento Largo, Utopia Rossa, con il patrocinio del Comune di Sesta Godano. 

Il situazionismo è un movimento politico e culturale d'ispirazione anarchica, di aperta critica verso le ideologie nate nel quadro del moderno sistema industriale, secondo cui scopo della politica è creare situazioni di vita collettiva che favoriscano la comunicazione e il dialogo tra liberi soggetti. Le radici ideologiche del movimento vanno ricercate nel marxismo e nelle avanguardie del primo 900'. Il movimento viene fondato ufficialmente il 28 luglio del 1957 con la prima internazionale situazionista, organizzata a Cosio d'Arroscia (IM) da alcuni membri dell'internazionale Lettrista, del movimento internazionale per una Bauhaus immaginista, del CO.BR.A e del Comitato Psicogeografico di Londra.

Il situazionismo è fin dal suo nascere territorialmente "legato" alla Liguria e alla realtà culturale francese. Con la "Società dello Spettacolo" Debord - sociologo, filosofo, regista - sembra porre le basi culturali per il Maggio Francese (la presa della Sorbona "per mettere fine a sette secoli di sciocchezze" - Debord) e i movimenti del 68. Le tematiche affrontate ne "la Società dello Spettacolo" sembrano essere più che mai attuali ad oggi, momento storico nel quale l'immagine e lo spettacolo sembrano prevalere sull'essenza, determinando alienazione e mercificazione dell'esistenza umana.

I temi trattati da Debord sembravano forse preannunciare il decadimento della società industriale, riconoscibile nelle forme di una crisi globale che ha visto anche cambiare il tessuto urbano degli stessi centri industriali, in funzione di una maggiore spettacolarità,apparenza, che di per sé celebra soltanto gli antichi fasti di un glorioso e prospero passato produttivo. Il movimento viene sciolto nel '72;  le motivazioni vengono illustrate da Debord ne La veritable scissione nell'Internazionale.

Grazie alla collaborazione con la Massari Editore è stato creato un evento con un vero e proprio parterre de roi di relatori di rilievo nazionale. Interverranno all'evento: Giorgio Amico, Donatella Alfonso, Roberto Massari, Michele Nobile, Sandro Ricaldone, Antonio Saccoccio, Alessandro Scuro. Durante l'incontro sarà presentato il libro sul Lettrismo di A. Scuro.

In associazione con il "Non-convegno Situazionista" Antonio Marchi metterà in atto un "CICLOgiroSITUAZIONISTA", ovvero un tour ciclistico che toccherà le principali "tappe storiche" della parabola Situazionista, per terminare a Sesta Godano. Le tappe individuate saranno Alba – dove il gruppo dei fondatori ebbe modo di riunirsi una prima volta – Cosio D'Arroscia – paese "natale" dell'Internazionale Situazionista -, Albisola – dove visse per molti anni il noto pittore cubano Wilfredo Lam.

Fonte: La Gazzetta della Spezia


www.utopiarossa.blogspot.com 

mercoledì 3 settembre 2014