Un
contributo di Gian Luca Paciucci su un tema assolutamente centrale
che è al contempo un ricordo di Walter Peruzzi a quattro mesi dalla scomparsa.
Gianluca Paciucci
Destre estreme di
lotta e al governo
Walter Peruzzi* purtroppo
non è riuscito a leggere il dispositivo della sentenza di non luogo
a procedere nel processo intentato nei suoi confronti e in quelli
dello scrivente, autori di Svastica verde, il lato oscuro del va’
pensiero leghista (Roma, Editori Riuniti, 2011), durante il quale ha
assunto un ruolo rilevante/militante il nostro collegio di difesa,
con Stefania Lopez e Marco Arcangeli. Non è riuscito a farlo perché
è morto il 25 maggio, lasciandoci senza voce.
La sentenza, emessa dal
giudice A.L. Lanna (Tribunale di Cassino) e datata 2 maggio, ci è
pervenuta il 9 giugno. Ed è estremamente positiva. Vista la condanna
nei confronti dell’on. Borghezio stabilita dal pretore di Torino il
22 giugno 1993 per un fatto accaduto nel capoluogo piemontese il 28
novembre di due anni prima (“…[l’on. Borghezio] con la violenza
consistente nell’afferrare il minore H. N. per un braccio, lo
costringeva a stare presso di sé (…) impedendogli di muoversi come
avrebbe voluto…”), il giudice Lanna scrive che “quale che fosse
la ragione sottesa a tale (sconsiderato) gesto, si verificò comunque
una esplicazione di energia fisica; vi fu una materiale costrizione,
finalizzata ad imporre ad altri (ad un soggetto peraltro
particolarmente debole e indifeso) di fare qualcosa, ovvero di
tollerare un’azione non voluta…”.
Inequivocabile. Su cosa
si era basata l’accusa? Sul fatto che nella nostra ricostruzione
dell’episodio in Svastica verde abbiamo usato il verbo “picchiare”
in luogo di “afferrare o trascinare”: ma questa, secondo il
giudice Lanna, è “una mera inesattezza semantica” in quanto
“l’avvenimento soggettivamente riconducibile al Borghezio (…)
rimane infatti pur sempre quello: fu adoperata una forma di
coercizione fisica, ossia una esplicazione di violenza, nei confronti
di un bambino marocchino…”. Anche qui, niente di più chiaro.
Svastica verde,
ricordiamolo, raccoglie e commenta le malefatte e le maleparole di
esponenti di primo e secondo piano della Lega Nord, dalle origini al
dicembre 2010. Un lavoro meticoloso, basato su fonti d’archivio
giornalistiche, come Walter da tempo aveva cominciato a fare, e
arricchito dall’immenso materiale che la rete mette a disposizione
di chiunque abbia forza e voglia di rovistarvi.
Le ricerche di Walter,
cui ho dato il mio appoggio concreto a partire dal 2008, partivano da
diversi assunti: innanzitutto dalla constatazione della pericolosità
del fenomeno leghista che invece molti tendevano a sottovalutare o,
peggio, a corteggiare ritenendolo destinato a scomparire in breve
tempo con la conseguente libera uscita di voti da incamerare.
La tesi di una Lega
“costola della sinistra” o movimento di popolo (la
pseudoproletaria “canotta” di Bossi) è stata sistematicamente
smontata dal lavoro di Walter, prima, e poi dal nostro Svastica
verde, oltre che da molti altri volumi e interventi: per noi la Lega
era, ed è, un movimento di destra estrema –questo vuole
esplicitamente dire il titolo del nostro libro- con forti venature
razziste, di un razzismo addirittura biologico, come Annamaria Rivera
suggerisce nell’importante postfazione al volume. Un movimento,
perciò, non “popolare” ma “populista” e cioè contro il
popolo, oggetto di un quotidiano avvelenamento attraverso parole
d’ordine elementari, ripetutamente/repentinamente cambiate e, sul
breve periodo, efficaci.
Questo avvelenamento è
stato incoraggiato e reso duraturo dalle mancanze e poi dalla
mancanza di una sinistra di “classe”, a partire dagli anni
Novanta, che hanno condannato alla perdita di una prospettiva
ideale/reale di emancipazione. Essere contro il popolo, vuol dire
anche appartenere a quella classe politica corrotta e ladrona (le
accuse dei leghisti andavano e vanno per le spicce, quando non si
tratti di propri esponenti…) di cui si denunciavano, imitandoli, i
peggiori vizi: i casi del tesoriere Belsito e di Renzo Bossi –il
figlio preferito del capo-, e infiniti episodi meno conosciuti, sono
stati solo la punta di un sistema di potere assai ramificato attorno
alla famiglia del grande leader, al “cerchio magico”, etc..
Corruzione che non è
solo mazzette e spese pazze, ma anche devastazione del territorio
(agricoltura avvelenata e rifiuti tossici, sbancamenti,
disboscamenti, asfaltizzazione e edilizia forsennate) su cui qualche
procura dovrà prima o poi cominciare a indagare. A questa corruzione
diffusa si sono sempre uniti linguaggio e comportamenti sul terreno
che hanno senza sosta ribadito l’appartenenza della Lega Nord
all’area della destra estrema.
Antimeridionalismo,
esibito machismo e omofobia, antiziganismo, islamofobia,
antisemitismo poi diventato paradossale filosemitismo (è stato Ivan
Segrè a coniare il termine di “reazione filosemita”, quando
vecchi nemici degli ebrei e di Israele si convertirono ad appoggiare
lo Stato detto ebraico in funzione anti-islamica), sono atteggiamenti
e programmi del partito indipendentista da sempre vicini alle parole
d’ordine della destra europea, e francese in particolare, con
Borghezio a tessere legami tra Nizza, Strasburgo, la fantomatica
Padania e movimenti come Casapound.
La svolta a destra della
segreteria di Matteo Salvini (le alleanze con il Fronte Nazionale e
altre destre estreme nel Parlamento europeo, i legami in nome
dell’identità cristiana con la Russia di Putin, etc.) è perciò,
più che un cambiamento, un esercizio di continuità e un
disvelamento delle radici del partito. Ma queste radici
nazional-popolari su base “padana”, in apparenza di “destra
sociale”, in realtà si sono sposate disinvoltamente con la destra
liberista berlusconiana: ricordiamo il grande amore Bossi –
Berlusconi e, ora, le proposte di Salvini per una ricomposizione
della destra, in seguito ai risultati delle europee del 25 maggio,
segnate da una certa crescita della Lega dopo i rovesci elettorali
causati dal rigetto nei confronti della dirigenza bossiana.
Queste proposte
potrebbero essere vincenti sotto forma di riunificazione di una
destra esplosa per scissioni, processi e corruzione, con la Lega che
si candida a cardine di un eventuale nuovo schieramento; e/o sotto
forma di idee che andranno in ogni caso a permeare le parole e i
programmi di altri, capaci di raccoglierle e di utilizzarle al
meglio.
Le recenti esternazioni
di Alfano, ministro dell’Interno del governo del “comunista”
Renzi, a proposito degli immigrati sono significative. Commentando la
gambizzazione di due nigeriani il 12 luglio scorso a Pescopagano e i
successivi incidenti, lungi dal deplorare il fatto e provare ad
affrontare una realtà fatta di sfruttamento nelle campagne e di
potere mafioso, egli ha sottolineato che “quando c’è uno
sbilanciamento tra persone straniere e cittadini italiani si creano
momenti di tensione”; e al successivo incontro del Comitato
Nazionale per l’ordine pubblico e la sicurezza, tenutosi a Caserta
il 1° agosto, parlando dei problemi occupazionali Alfano ha usato
l’espressione “prima gli italiani e poi i migranti”, servendosi
di uno slogan storico del Front National di Jean-Marie Le Pen. Altro
che moderati!
In soccorso di Alfano si
è subito schierata la sua collega di partito, Nunzia Di Girolamo:
“italiani prima di tutto”, perché è questo che “la stragrande
maggioranza degli italiani vuole”. Queste elevate riflessioni
estive vanno però lette in altro modo: la precedenza / preferenza e
il lavoro non verranno dati né agli italiani né agli stranieri,
visto lo smantellamento sistematico del tessuto produttivo italiano e
del welfare attuato dai governi appoggiati dal NCD, negli ultimi
anni, e dai governi precedenti, tutti radicalmente antipopolari.
Qui interessa, però,
l’utilizzazione di termini che, una volta a esclusivo uso delle
destre estreme, ora vengono a strutturare il discorso di molti
esponenti di centro e di non pochi a sinistra, non certo per
sottrarre forza agli “estremisti” giocando sul loro campo, ma
nella prospettiva di una nuova e programmatica alleanza. Con questi
“compagni” del NCD il “comunista” Renzi già governa in modo
non provvisorio, ma con una forte unità di intenti e di cultura
condivisa.
Per tornare alla Lega
Nord e al relativo linguaggio/modo di pensare, il cardine del suo
programma è nello slogan bossiano “föra di ball” (fuori dalle
palle) di cui Andrea Rognoni provò una strabiliante esegesi tra
rivendicazione di un’anima popolare che “non sopporta il peso
della retorica e dei giri di parole” e virilità latina da
proteggere: “…La scelta poi dell’apparato riproduttivo come
cuore della personalità la dice lunga sulla necessità di difendersi
da chi invadendo la sfera privata finisce col sostituirsi alla nostra
virilità, minacciando implicitamente di procreare una marea di figli
in futuro al posto nostro…”.
Come questo slogan venne
subito attuato, lo ricorda una prima pagina del Manifesto dal titolo
“Effetti collaterali”: “Più di 300 migranti dispersi nel
Canale di Sicilia tra Lampedusa e Malta”, e un disegno di Vauro,
con persone affogate nel Mediterraneo e la scritta Föra di ball.
Come a dire, con grande efficacia, operazione criminale compiuta,
allora come ora in questo mare di morti che è il nostro “mare di
guerra”, così definito da Annamaria Rivera, da una Libia all’altra
(l’attuale caos), e poi Siria, Gaza, e il Corno d’Africa, con i
migranti che provano a trovare “esodo” attraverso il deserto e le
acque. Appena ieri come oggi.
Su La Padania, negli
ultimi mesi, si leggono ossessivamente titoli come questi: “Basta
clandestini! È ora di difendere le nostre frontiere”, “allarme
immigrazione”, “allarme proselitismo”, “Mare nostrum
operazione del Vaticano” (titolo di un’intervista a Luttwak),
fino a una memorabile prima pagina del 13-14 luglio, “Resort mare
nostrum”. Il giorno prima Matteo Salvini aveva visitato il centro
d’accoglienza di Mineo e visto quello che voleva: “Aria
condizionata, tv satellitare, palme in giardino (…) E ancora:
giardini, sigarette di contrabbando. Il tutto a disposizione dei
clandestini sbarcati sulle coste italiane.”
Un’immensa tragedia
planetaria ridotta a frasette da pessima osteria (le prigioni e i CIE
italiani come hotel di lusso) pronunciate dal leader di un partito
nazionale, e nemmeno una parola di dolore o di comprensione umana:
danno fastidio vite che cominciano a ricostruirsi, con fatica, che
quindi vanno costantemente inferiorizzate nel linguaggio (non si
tratta di “persone” ma di clandestini / extracomunitari) e
ridotte a merce di scambio sulla scena politica italiana ed europea.
Il programma del partito è il sempre valido föra di ball: la
“nuova” Lega è vecchissima e decrepita, e non vuole uscire dalle
proprie furie, che garantiscono un magazzino elettorale e visibilità
nei media.
Abbiamo già dimenticato
le trite e tristi parole di Calderoli –ora “grande statista”
nel pasticcio delle controriforme renziane, insieme alla senatrice
Finocchiaro- e di altri leghisti contro Cécile Kyenge? Eccole
riemergere durante i recenti campionati mondiali di calcio, dopo le
affermazioni di Balotelli causate dall’eliminazione della nazionale
italiana: “Gli africani non scaricherebbero mai un loro ‘fratello’.
Mai. In questo noi negri, come ci chiamate voi, siamo anni luce
avanti”. Queste parole dette da un viziatissimo calciatore –in un
sistema viziato e corrotto quale è il calcio professionistico in
Italia- scatenano la reazione leghista, con la penna di Paola Pellai
che parla di “razzismo al contrario” e che non perde l’occasione
di occuparsi dell’ex ministra Kyenge, intervenuta a favore di
Balotelli, scrivendo che “madame Kyenge era scivolata sull’ennesima
buccia di banana…”. Proprio così, perché non sanno tirarsi
fuori dai peggiori stereotipi, dalle proprie trivialità.
Queste banane vengono
usate in un discorso razzista primario, ma che può far scuola, tra
lettori e lettrici de La Padania, nelle loro sagre, ma anche fuori,
nel mondo giovanile e ancora nello sport: pensiamo al caso del
candidato alla presidenza della Federazione Italiana Gioco Calcio
–poi eletto-, Tavecchio e alla sua battuta su “giocatori
extracomunitari e banane”, il silenzio di Balotelli e compagni,
stavolta dalla parte giusta, e soprattutto carriere di potere
sportivo basate su giochi di palazzo in perfetta continuità con la
cosiddetta Prima Repubblica.
Non c’è “potere
liquido” (alla Bauman) che tenga: nella FIGC, come in tanta
politica nazionale e locale, ci sono solidi legami, promesse di voti
e lavoro, partecipazione a sagre e a cene, contatti personalissimi,
uso del denaro pubblico per fini privati, trattative segrete e veri e
propri abusi sistematici praticati da teppistelli in giacca, o felpa
e cravatta, contro cui sembra non esserci possibilità di azione per
chi coltiva l’illusione democratica. Così come non c’è potere
liquido nella Lega Nord, ma pesantezza di rapporti intrecciati con
furbizia e scambio di favori, ripetendo gli slogan di sempre (e
sempre cangianti) in un’ossessività che è, per ora, pagante. Le
ricadute interne della rinnovata “guerra al terrorismo” praticato
dagli islamisti in Iraq e Siria, e paradossalmente combattuto da chi
questo terrorismo ha alimentato e usato, forniscono un enorme bacino
di idee e di pratiche politiche al fondamentalismo occidentale di cui
la Lega Nord, in Italia, è uno dei maggiori interpreti.
Walter Peruzzi è morto
lo stesso giorno delle elezioni per il parlamento europeo, che ha
visto un forte spostamento a destra in molti Paesi e un quadro
favorevole a creare un continente chiuso al discorso dei corridoi
umanitari ma come sempre aperto alla rapina delle risorse nei
confronti di altri continenti, con corollario di guerre e bombe. Le
sue intuizioni sulla Lega Nord vanno coltivate e protette, senza
cedere né alla demonizzazione né all’indifferenza, forme entrambe
di un mediocre approccio all’esistente. La via di Walter era, e
sarà per noi, quella del paziente lavoro quotidiano di scavo nelle
quotidiane violenze agite da un potere sempre più sfacciato e senza
misura. Svelare le parole e gli inganni dei presunti “amici del
popolo”, in camicia verde o in qualsiasi altra veste si presentino
(anche in quella pentastellata, renziana/alfaniana o parafascista), è
uno dei compiti affidati da Walter a tutte e tutti noi.
*Walter Peruzzi (1937 –
2014), insegnante e giornalista, militante politico. È stato
direttore di diverse riviste come “Laboratorio politico” e “Marx
centouno”. In particolare ha diretto, dal 1991 al 2014,
Guerre&Pace, periodico di informazione internazionale
alternativa. Ha scritto numerosi libri, tra cui “Cattolicesimo
reale” e “Oca pro nobis”, entrambi per la casa editrice Odradek
di Roma.