Giorgio Amico
Lelio Basso massone?
Cronaca di un processo politico staliniano
Lelio Basso. rappresenta
una delle figure più luminose, per coerenza umana e politica, del
socialismo italiano. Una figura ancora viva come dimostra l'interesse
nei suoi confronti da parte della ricerca storica. Citiamo per tutti
“Lelio Basso. La ragione militante: vita e opere di un socialismo
eretico”, agile ma approfondita ricerca di Sergio Dalmasso, autore
tra l'altro di una recentissima bella biografia politica di Lucio
Libertini su cui intendiamo ritornare presto.
Una vita movimentata e
complessa quella di Basso, già giovanissimo cospiratore antifascista
ai tempi dell'Università, su cui, come si è detto, si è scritto
moltissimo e in modo largamente esaustivo. Un solo episodio resta
ancora da chiarire: la sua repentina esclusione dal gruppo dirigente
del PSI nel 1951. Una “brutta storia”, secondo Elio Giovannini.
La pagina peggiore del periodo ultrastalinista del PSI, durato dal
1948 al 1954, e in gran parte dovuto alla gestione organizzativa di
Rodolfo Morandi. Un periodo caratterizzato da un allineamento totale
al Pci, dall'esaltazione grottesca dell'URSS e di Stalin, ma anche da
espulsioni di dissidenti, sbrigativamente definiti “agenti della
borghesia e provocatori infiltrati”, e da veri e propri processi
politici con il contorno abituale di insulti e insinuazioni anche
sulla vita privata dei malcapitati finiti nel mirino dell'apparato.
Tutto questo toccò a Lelio Basso, fatto oggetto di una campagna di
calunnie e insinuazioni e poi processato a porte chiuse e di fatto
espulso dagli organismi dirigenti del partito. “Una mediocre
rappresentazione – è stato notato - , talvolta miserabile,
comunque dolorosa” della tragedia feroce che si consumava in quegli
stessi anni in Unione Sovietica e nelle cosiddette Repubbliche
Popolari nel silenzio complice della sinistra italiana e dei tanti
intellettuali, pure ipercritici di ogni aspetto della società
occidentale, che la fiancheggiavano.
Dal congresso di Firenze
del maggio 1949 era uscita anche se di misura una nuova direzione,
frutto della vittoria delle due mozioni di sinistra, quella di
Nenni-Morandi e quella di Basso che aveva raccolto attorno alla sua
rivista “Quarto Stato” una serie di giovani e promettenti quadri
fra cui Gianni Bosio, Luigi Anderlini e Francesco De Martino. Insieme
i due gruppi si erano imposti al congresso contro la vecchia
maggioranza centrista uscita dal congresso di Genova del 1948, ma fin
da subito iniziarono a manifestarsi fra Basso e Morandi
incomprensioni e contrasti sia politici che personali. Una
situazione ancora oggi di difficile definizione, “una frattura –
ricorderà trent'anni dopo De Martino – i cui termini sono poco
comprensibili sul piano politico”. Affermazione sibillina che
sottintende come, soprattutto da parte di Morandi, giocassero molto
fattori personali ed emotivi. Insomma, a Morandi, allora interamente
teso ad assumere il pieno controllo del partito, Basso faceva ombra e
andava in qualche modo liquidato, mentre con Nenni, che
impersonava fisicamente il Psi e la sua storia e dunque era
intoccabile, ci si poteva limitare a una forma blanda di messa sotto
tutela. Cosa di cui il vecchio leader socialista era pienamente
consapevole, tanto da tenere in quel drammatico frangente una
posizione di basso profilo e dopo un diretto, e brutale, confronto
con Morandi e i suoi principali sostenitori, tirarsi indietro e
abbandonare Basso al suo destino.
Una situazione “difficile
e tormentata” come racconta lo stesso Basso nel 1979 in un
dibattito su Psi e stalinismo pubblicato sulla rivista teorica del
partito Mondo operaio. È Basso stesso a ricostruire i fatti in un
articolo apparso nel 1963 su problemi del Socialismo e
significativamente titolato “Vent'anni perduti?”:
“In quegli anni
l’incompatibilità fra le sue [di Morandi, NdA] e le
mie posizioni era evidente e nella misura in cui dalle sempre
più scarse tribune che mi erano consentite cercavo di difendere la
mia posizione, mi ponevo in urto con la politica ufficiale del
partito.
In particolare ricordo
due articoli di quel periodo che fecero addirittura scandalo in seno
alla Direzione del Psi e furono praticamente
all’origine delle mie dimissioni. Uno apparso in Quarto
Stato nel maggio 1950 conteneva affermazioni, che oggi sembrano
banali ma che allora suonavano eretiche, circa la diversità delle
vie al socialismo, circa la carica dinamica dell’imperialismo e la
sua capacità di sfuggire all’attesa “crisi finale”, ma
soprattutto circa la non inevitabilità della guerra. “Rappresenta
questa terza guerra mondiale lo sbocco necessario della
complessa situazione attuale? Evidentemente no. Se è
vero che l’imperialismo è spinto alla guerra dalla logica stessa
delle sue contraddizioni, dai profondi squilibri che crea la sua
azione nel mondo, dalla sua incapacità a risolvere la crisi
ormai permanente e generale del sistema, dalla folle corsa agli
armamenti che è diventata un elemento indispensabile della sua
vita economica e una condizione per l’accumularsi di maggiori
profitti, è altresì vero che nulla vi è di fatale nella storia,
e che l’azione cosciente degli uomini è in definitiva una
creatrice di storia infinitamente più ricca di possibilità. E
fra queste possibilità vi è quella d’impedire
all’imperialismo di scatenare la sua terza guerra”. Ma più
grave ancora apparve un articolo da me pubblicato in
Francia in cui difendevo la mia concezione dell’unità d’azione
e criticavo quei compagni “che confondono l’unità d’azione con
l’assoluta identità fra i partiti” ignorando le
differenze storicamente consolidate fra i due
partiti, differenze, dicevo, “destinate a sparire, ma
destinate a sparire non per volontà di alcuni dirigenti, non
per accordi ai vertici, ma in base all’esperienza stessa
unitaria delle masse”. E concludevo: “Come Lenin
ha insegnato con particolare insistenza, l’esperienza delle
masse costituisce la via insostituibile attraverso cui la classe
operaia consegue dei risultati duraturi. Anche in questo caso
perciò il marxista-leninista sa di dover modificare la
realtà, ma sa di poterla modificare in quanto l’assuma come
punto di partenza per la sua azione, e non in quanto la ignori;
sostituire alla realtà una formula che corrisponde soltanto ai
propri desideri, sostituire al processo il miracolo, significa
essere chiusi alla vera mentalità dialettica, che è il
fondamento del marxismo”. Queste prese di posizione significarono
la rottura definitiva”.
Uno scandalo per i
fautori della linea morandiana. Ricordiamo che Morandi nell'aprile 1950 al convegno giovanile di Modena sosterrà come un dogma la tesi che la politica unitaria doveva essere fondata sulle
identità e non sulle differenze fra Psi e Pci.
Nel 1950 dunque lo
scontro , finora latente, matura ed esplode pubblicamente. Basso
viene investito da una campagna progressivamente crescente di accuse
di deviazionismo e di frazionismo non prive di insinuazioni sulla sua
vita privata. Basso è accusato di essere trotskista, nemico
dell'Unione Sovietica e dell'unità organica con i comunisti, in
“combutta” con agenti dell'imperialismo americano come Tito e
l'ex ministro degli esteri ungherese László Rajk processato
per titoismo e sbrigativamente impiccato il 15 ottobre 1949.
Agli attacchi seguono i
fatti: Basso è costretto a cessare la pubblicazione della sua
rivista Quarto Stato, le sue attività di dirigente dell'Ufficio
ideologico-culturale del partito boicottate, i suoi viaggi e i suoi
incontri con compagni spiati. In una parola, si cerca con ogni mezzo
di fargli il vuoto attorno. I suoi principali sostenitori,
soprattutto fra i giovani, come Elio Giovannini responsabile degli
studenti socialisti, sollevati dai loro incarichi.
“Così venne
sviluppandosi via via una tensione, che si accentuò col passare del
tempo”, sono parole di De Martino che ne spiega anche le cause: “La
nostra critica riguardava principalmente la scarsa democrazia interna
e i metodi che si stavano instaurando nel partito”, insomma la
svolta ultrastalinista di Morandi.
Basso se ne lamentò
direttamente con Nenni con una lunga lettera del 13 settembre 1950,
la risposta fu raggelante:
“La posizione da te
assunta verso i nostri uffici e i loro dirigenti è stata ingiusta
nelle sue motivazioni e poteva riuscire ed in parte è riuscita
deleteria nelle conseguenze. È nata da questa tua critica , portata
fuori dalla sua sede naturale, l'accusa di cui ti duoli di lavoro di
frazione o comunque personalistico. Ora tale accusa è venuta da
troppe parti contemporaneamente perché la possa ritenere puramente e
semplicemente arbitraria. […] una situazione che non è sorta oggi,
ma dura da anni, dura dal Congresso dell'Astoria, da dove ha inizio
il tuo tentativo di dividere la sinistra”.
A questo punto Basso ha
chiaro che la battaglia dentro l'apparato del Psi è definitivamente
persa.
Il 28 settembre si tiene a Roma una
riunione dell'esecutivo socialista in cui Basso viene esplicitamente accusato di
frazionismo. Eloquente il resoconto che ne fa De Martino:
“In tale riunione,
mentre Nenni taceva, vi fu una sorta di processo, nel corso del quale
l'accusa rivolta a Basso era di frazionismo e di attività nociva
dell'unità del partito. Ad uno ad uno i membri dell'esecutivo
formularono la loro critica. […] Basso non si difese né fece
valere le nostre ragioni. Egli appariva rassegnato ad un evento che
giudicava inevitabile. Solo chi scrive, nuovo dei rituali in uso in
quel tempo nei pariti operai, tentò una difesa di Basso, suscitando
la reazione di impazienza e di fastidio di Morandi”.
In realtà De Martino
fece di più. Nei giorni successivi avvicinò Amendola e Pajetta
affinché il Pci intervenisse a favore di Basso, e i due esponenti
comunisti lo fecero ricevendone in risposta l'invito a non ingerirsi
negli affari interni del Psi, ma evitando tuttavia (è Basso stesso a
raccontarlo su Mondo Operaio nel 1979) con il loro intervento che egli fosse addirittura
espulso dal partito per i suoi presunti contatti con l'ungherese Rajk.
Alla riunione
dell'Esecutivo fece seguito un colloquio privato con Morandi, i cui
termini furono mantenuti rigorosamente celati anche ai collaboratori
più stretti come De Martino. Basso ne uscì completamente
annichilito e non tentò più nessuna resistenza. Fu il segnale della
liquidazione definitiva della sua corrente. Al Congresso di Bologna
del gennaio 1951, il “congresso della vergogna”, come lo
definisce Giovannini, Basso e i bassiani furono estromessi dalla
Direzione e poi nel successivo congresso, quello di Milano del 1953,
anche dal Comitato centrale.
Da allora fino al 1954
fra Basso e Morandi non ci fu più alcun tipo di rapporto, né
politico né personale.
L'atteggiamento
rassegnato di Basso stupì tutti, soprattutto i suoi compagni più
stretti, uno dei quali gli chiese direttamente ragione con una
lettera del 10 ottobre 1950 del “tuo inspiegabile comportamento
passivo. Il giornale della Nuova Stampa parla di una questione morale
che avrebbe, a quanto si capisce, dato la possibilità ai morandiani
di farti un ricatto”
Ma allora cosa era
accaduto nel colloquio a due di tanto grave da convincere un uomo
combattivo e deciso come Basso a desistere dalla lotta e a lasciarsi
cacciare senza reagire? Di che questione morale si trattava? Non è
allo stato attuale dato saperlo, ma forse la risposta si trova in un
piccolo, ma molto interessante, libro uscito su tutt'altro argomento
nel 2005.
Nel 2005, dicevamo,
Massimo della Campa, prestigioso avvocato, antifascista e presidente
della Società Umanitaria fiore all'occhiello del socialismo
riformista milanese, ma soprattutto Gran Maestro onorario del Grande
Oriente d'Italia e dunque persona assai informata in materia di cose
massoniche, pubblica un libro dal titolo significativo: “Luce sul
Grande Oriente. Due secoli di massoneria in Italia”, in cui
racconta con abbondanza di dettagli episodi noti e meno noti della
storia del GOI. Parlando della Massoneria milanese della fine anni
'40 inizio anni '50, Della Campa scrive:
“In verità quell'epoca
era dominata da passioni accese e molto violente derivate dalla
spaccatura in due della vita internazionale e di quella politica.
Basti solo ricordare i socialisti, divisi allora fra pro-sovietici e
pro-occidentali. Quelli più anziani ricordano le liti furibonde non
solo fuori loggia, fra sostenitori del Patto atlantico ed avversari
(a Milano, Lelio Basso quasi venne alle mani con un fratello
antagonista)”.
In colloqui avuti con
Aldo Chiarle, conosciutissimo socialista savonese, ma soprattutto
massone dal 1945, già segretario della Massoneria Unificata d'Italia
e poi Gran Maestro onorario del GOI e 33° grado del Rito Scozzese
Antico e Accettato, gli abbiamo posto più volte la questione.
Chiarle sempre ci rispose che la cosa gli risultava vera, ma che non
aveva riscontri ufficiali. L'ultima volta che ne parlammo, mi promise
di visionare gli archivi centrali del GOI e di darmi una risposta
certa. Ma non ci fu più occasione di rivederci. Morì prima di
poterlo fare, a 87 anni, nel luglio del 2013.
Sulla base di queste
fonti ci pare non improbabile che l'argomento usato da Morandi per
piegare definitivamente la resistenza di Basso sia stato proprio la
sua appartenenza alla Massoneria che, se rivelata pubblicamente, ne
avrebbe immediatamente causato l'espulsione da un partito allora
profondamente stalinista. I tempi erano quelli, bastava poco per
essere espulsi con motivazioni infamanti. Esemplare a questo
proposito il caso di Giuseppa Pera, dirigente della Federazione
socialista di Lucca, poi prestigioso docente di Diritto del lavoro,
espulso nel 1952 per “tradimento” per aver coltivato “legami
con movimenti nemici del partito e della classe lavoratrice” [Il
movimento dei comunisti dissidenti di Cucchi e Magnani, NdA].
Basso conosceva
perfettamente queste dinamiche e, anche se con una profonda
sofferenza interiore testimoniata dalle sue lettere,
fu costretto a prenderne atto se voleva comunque continuare, anche come semplice iscritto di base, la sua militanza nel partito alla cui costruzione aveva dedicato gran parte della sua giovinezza.
Per saperne di più:
Lelio Basso, Vent'anni
perduti?, Problemi del Socialismo,nn.11-12, 1963.
Lelio Basso (et Alii), Il
PSI negli anni dello stalinismo, Mondo Operaio, n.2, 1979.
Sergio Dalmasso, Lelio
Basso. La ragione militante: vita e opere di un socialista eretico,
Red Star, Roma 2018.
Francesco De Martino,
Storia di Lelio Basso reprobo, Belfagor, vol. 35, No. 4 (3 luglio
1980).
Massimo della Campa, Luce
sul Grande Oriente.Due secoli di massoneria in Italia, Sperling &
Kupfer Editori, Milano 2005.
Elio Giovannini, Una
brutta storia socialista dei tempi di Nenni: la “liquidazione” di
Lelio Basso, in: Giancarlo Monina (a cura di), Il Movimento di Unità
Proletaria (1943-19459, Carocci, Roma 2005.
Luciano Paolicchi (a cura
di), Lelio Basso Pietro Nenni Carteggio, Editori Riuniti University
Press, Roma 2011.
Savona, luglio 2020