Roberto Massari
Ucraina. Il genocidio
dimenticato
Mi è stato chiesto da
più parti, in Italia e all’estero, perché tardassi a intervenire
sui tragici fatti in corso in Ucraina - a titolo personale,
ovviamente, non avendo Utopia rossa, per definizione e per scelta
fondativa, una linea politica comune. (Senza dimenticare però che il
secondo dei suoi Princìpi di adesione ideale recita: «Sostegno
alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro
autodeterminazione indipendentemente dalle loro direzioni
politiche».)
Ho evitato di intervenire
finora per le seguenti ragioni:
1. Speravo di ricevere
dei materiali daI compagni di Utopia rossa in Ucraina (Kiev e
Odessa), ma non riesco più a entrare in contatto con loro e ne
ignoro la ragione.
2. Mi sembrava inutile e
superfluo entrare nella sconclusionata discussione scatenatasi in
Rete sulla necessità o no di impedire il massacro del popolo
ucraino, di sostenere o no la sua resistenza all’invasione russa.
Ma per uno con la mia storia personale - che l’unica lotta per
l’autodeterminazione che non ha potuto sostenere (quella ungherese
del 1956) è stato solo perché avevo dieci anni - e che per l’intera
sua vita si è schierato attivamente sempre a favore della vittoria
dei popoli in lotta per la loro indipendenza, che altro potevo dire o
aggiungere per la lotta del popolo ucraino?
Schieratissimo per gli
algerini contro la Francia, per i congolesi contro il Belgio, per i
tibetani contro la Cina, per i vietnamiti contro gli Usa, per i
palestinesi contro Israele, per i cecoslovacchi contro l'Urss, per
gli angolani contro il Sudafrica, per gli eritrei contro l’Etiopia,
per gli abitanti di Timor Est contro l’Indonesia, per gli abitanti
di Grenada contro gli Usa, per gli irlandesi del Nord contro la Gran
Bretagna, per i baschi contro lo Stato spagnolo, per i ceceni contro
l’Urss, per i kosovari contro la Serbia, per gli afghani contro
l’Urss e poi contro gli Usa, per gli iracheni contro gli Usa, per i
curdi contro la Turchia… e sicuramente nella foga sto dimenticando
qualche altra lotta importante per l’autodeterminazione, nel qual
caso mi scuso presso i diretti interessati.
Date queste premesse di
un’intera vita, che altro dovrei o potrei aggiungere per la lotta
degli ucraini, senza cadere in vuoti slogan o considerazioni banali
nella loro ovvietà?
3. Va anche detto che, a
differenza della maggior parte delle lotte sopra elencate, questa
volta gran parte dell’umanità è schierata dalla parte dei più
deboli, cioè dalla parte degli ucraini contro gli invasori. Nel
passato le cose non furono sempre così chiare, anche perché
esisteva la penosa illusione che l’Urss e la Cina fossero paesi
socialisti e per molti ciò rappresentava un freno ad esprimere
solidarietà ai popoli da loro aggrediti, secondo la famigerata e
orrenda teoria del «fine che giustifica i mezzi». E come all’epoca
del Vietnam, oltre alla resistenza del popolo aggredito, vi sono
anche movimenti di protesta in seno al paese aggressore. Mentre
scrivo sono già 14.000 i russi imprigionati per aver protestato
contro la guerra. Sarà infatti compito dello stesso popolo russo
(come già per gli Usa del Vietnam) - e senza interventi esterni -
contribuire alla fine della guerra, anche se non sarà possibile
nell’immediato una vittoria degli ucraini. Ma col tempo verrà
anche questa, come già per i vietnamiti, gli afghani o i
cecoslovacchi.
4. Una ragione in più
per tacere o mantenere un profilo defilato è il frastuono
orchestrato in Rete da centinaia di siti che nella più totale
ignoranza della storia mondiale del Novecento e in preda a deliri di
protagonismo narcisistico, dicono le cose più disparate sul
conflitto in corso, quasi tutti indaffarati a trovare delle
giustificazioni all’intervento russo se non addirittura ad
applaudirlo. Nel gergo di Internet sono i cosiddetti «putiniani»
(schiera che includerebbe anche personaggi tra i più impensabili
come Trump, Berlusconi fino all'altroieri, l’attuale metropolita
ortodosso di Mosca).
A loro vanno affiancati
quelli del «né coi russi né con la Nato», che è come dire: «noi
viviamo sulla luna e quello che voi, governo russo, state facendo al
popolo ucraino non ci riguarda perché noi siamo degli
antimperialisti puri, quindi siamo anche contro la Nato e perciò non
muoveremo un dito per impedirvi di proseguire il massacro: continuate
pure, ma ricordatevi della nostra posizione politica equidistante e
soprattutto così ben formulata…». Si ricordi comunque che questa
posizione è difesa da quella stessa Rifondazione comunista che nel
2006 votò a favore della missione italiana in Afghanistan e a favore
di tutte le altre missioni militari, fossero o non fossero sotto il
cappello della Nato.
A questo mondo
profondamente malato non vale la pena di rispondere e comunque
sarebbe impossibile perché non ci si trova davanti a correnti di
pensiero caratterizzate e unificate come nel passato (belle o brutte
che fossero), ma davanti a una miriade sparsa di individui
gesticolanti: ognuno si è fatto il proprio sito, ognuno sta pensando
fondamentalmente al proprio ego, ognuno sta mettendo in pratica la
propria autoglorificazione sulla scia del «io non me la bevo», già
emersa tristemente con il mondo dei no-vax (che spesso e volentieri
coincidono con i «putiniani»).
Questa del «io non me la
bevo» è diventata ormai una delle leve principali per
l’autocelebrazione del proprio io e assisteremo nel futuro a una
crescita esponenziale di questo espediente «privato», al quale si
può dare una netta definizione psicopatologica solo in termini
di disturbi della personalità.
Del resto, come potremmo
chiamare diversamente lo stato mentale di una persona che non sente
sulla propria pelle le ferite non metaforiche che vengono impresse al
corpo sociale di una nazione? non riesce a vedere il fratello uomo o
la sorella donna nelle persone che vengono uccise in queste ore
insieme ai loro figli e figlie? che razza di essere umano è un
simile individuo incapace di commuoversi, incapace di solidarietà
umana, incapace in fondo di essere egli stesso umano?
Può la politica
assolvere tutto ciò, vale a dire questa disumanizzazione
«programmatica»?
Se sì, al diavolo allora
l’analisi politica se essa deve diventare un pretesto per affermare
la propria bestialità verso altri esseri umani. Che dico,
«bestialità»: gli animali mi perdonino, perché sappiamo che essi
uccidono solo per difendersi o per nutrirsi. Mentre qui ci si trova
davanti a individui mascherati da blog che glorificano i massacri in
corso, addirittura inneggiano a un folle capo di Stato che ha
minacciato di scatenare la guerra atomica se qualcuno gli ostacola
l’aggressione. Il quale Putin è probabile che faccia la stessa
fine di Berija, liquidato da una congiura dei «boiardi», cioè gli
oligarchi ai quali questo ex poliziotto, staliniano e megalomane, sta
facendo più danni che tutta la Comunità europea messa insieme.
E riguardo alla minaccia
nucleare lanciata da Putin, con che faccia si presenteranno i suoi
improvvidi sostenitori nelle prossime mobilitazioni per il Pianeta,
per il cambio climatico e tutto il resto, dopo aver trovato normale
che un folle dottor Stranamore minacci nuovamente la sterminio
atomico, a 60 anni di distanza dalla paura che già si prese la mia
generazione.
A questo mondo
profondamente malato è comunque impossibile rispondere perché,
trattandosi di una miriade di individui, occorrerebbe formulare una
miriade di risposte diverse, laddove invece sarebbero molto più
appropriati degli interventi terapeutici individualizzati di altra
natura.
Non ha senso quindi
cercare di far sentire la propria voce in questo frastuono. Ho quindi
pensato di rendermi utile in una forma più modesta (del resto che
altro potrei fare per aiutare il popolo ucraino nella sua lotta?),
rivolgendomi ai giovani che, a differenza dei «da soli ideologici»,
hanno tutto il diritto di ignorare le vicende del passato che hanno
portato alle tragedie del presente. Per loro quindi cercherò di far
comparire su questo blog dei materiali formativi, sperando che
circolino e passino di mano in mano… pardon, di video in video.
Tali materiali, nella loro brevità, dovranno avere soprattutto
l’effetto di stimolare la ricerca da proseguire su altri libri o
saggi. Parleremo quindi del holodomor, della concezione leniniana
dell’autodeterminazione dei popoli (l’unica cosa valida del
patrimonio teorico di Lenin e che egli non ha mai cambiato, a
differenza di tutte le altre), di Chernobyl, di piazza Maidan e,
speriamo, anche della fine del conflitto.
Oggi cominciamo quindi
dal genocidio dei contadini ucraini nel 1931-33: un crimine contro
l’umanità non lo si dimentichi, e che tale è stato definito da
alcune istituzioni internazionali. Dò quindi la parola a uno storico
tra i più onesti, accurato nella sua metodologia di ricerca: il
lucano Ettore Cinnella.
UCRAINA
IL GENOCIDIO DIMENTICATO
di Ettore Cinnella
[…] Ancor prima che la
loro terra conquistasse l’indipendenza [nel 1991], gli ucraini
all’estero equipararono a un vero e proprio genocidio nazionale
quello che oggi chiamiamo holodomor [la morte per inedia
imposta da Stalin agli agricoltori ucraini togliendo loro il ricavato
dei raccolti e anche le semenze da piantare (n.d.r.)]. Dopo il 1991,
poi, gli storici e l’opinione pubblica del nuovo Stato indipendente
hanno accolto senza tentennamenti questa tesi, chiamando talvolta il
martirio subìto dal loro popolo all’inizio degli anni Trenta
l’«olocausto ucraino». Quest’ultimo termine a me sembra
improprio e andrebbe riservato solo allo sterminio degli ebrei per
mano dei carnefici nazisti. È invece lecito, e perfino
doveroso, definire genocidio sociale la carestia
terroristica che, nel 1932-1933, rubò la vita ad alcuni milioni - da
tre a quattro - di agricoltori ucraini. Del resto, sono molti gli
storici, anche russi, che concordano nel considerare un genocidio
sociale la decimazione della popolazione contadina, anche ucraina,
decisa da Stalin per collettivizzare le campagne. Quel che essi
negano risolutamente è che il caso ucraino sia stato diverso da
tutti gli altri, che cioè gli agricoltori di quella terra siano
stati crudelmente puniti non solo perché contadini, ma anche perché
appartenenti ad una determinata comunità nazionale.[…]
Sull’Ucraina la
vendetta dell’onnipotente del Cremlino si abbatté qualche
settimana più tardi che altrove, ma fu ancor più funesta, non
foss’altro che per l’elevatissimo numero di agricoltori caduti
nei mesi della grande carestia, in modo simile al resto del
paese: uccisi lentamente dall’inedia, falciati dalle tante
epidemie, spentisi in séguito alle malattie contratte mangiando
tossici surrogati di cibo o carne di carogne e di cadaveri. Sorge
spontaneo, a questo punto, il quesito se possa definirsi genocidio,
e di che tipo, il lento sterminio per fame di tre o quattro milioni
di ucraini. […]
Gli abitanti delle
campagne ucraine furono decimati in quanto contadini o subirono quel
tremendo castigo anche per altre ragioni?
Rispondere alla prima
domanda in modo affermativo, come si può e si deve, non chiude la
questione e non appaga chi vuole indagare su quell’orribile
misfatto storico. Anzitutto, assieme alla guerra senza quartiere
contro i contadini, in quegli stessi anni Stalin sferrò un furibondo
attacco all’intellighenzia ucraina, cioè ai custodi della memoria
storica della nazione, e represse finanche il locale Partito
comunista, reo di non obbedire compattamente agli ordini di Mosca.
Come interpretare tutto
ciò se non come segni della volontà di annullare gli spazi di
autonomia di cui l’Ucraina ancora godeva? D’altronde, proprio
negli anni della collettivizzazione la coscienza patriottica dei
contadini ucraini, qualunque essa fosse stata prima, fece passi da
gigante individuando nel giogo sovietico e moscovita la vera causa
dei mali della loro terra. […]
La coscienza nazionale
dell’Ucraina contemporanea aveva preso corpo per la prima volta
dopo la Rivoluzione bolscevica, quando il paese conobbe per pochi
anni [1917-1922 (n.d.r.)] l’esperienza dell’indipendenza. La
difficile via dell’autonomia nell’ambito dell’Urss fu percorsa
negli anni ’20, ma si interruppe bruscamente in séguito alla
svolta politica centralizzatrice decisa da Stalin. Il calvario
del holodomor creò tra Ucraina e Russia un baratro, che
non si è più colmato. Malgrado le ingenuità e le intemperanze
dell’odierno nazionalismo ucraino, non si può dar torto a quanti
pensano e dicono che, se non avesse fatto parte dell’Urss,
l’Ucraina non avrebbe conosciuto un’esperienza annichilente come
lo sterminio per fame di milioni di pacifici e laboriosi agricoltori.
La tragedia
del holodomor non è soltanto una fosca pagina di storia,
appartenente al passato e ormai archiviata. Essendo assurta a
doloroso simbolo del riscatto nazionale dell’Ucraina, essa
dev’essere conosciuta anche da chi vuol capire qualcosa dei
sentimenti più profondi di quel popolo.
Anziché chiedere perdono
e lenire così le antiche ferite, la Russia contribuisce a riaprirle,
facendole sanguinare ancora una volta.
(tratto da: Ettore
Cinnella, Ucraina. il Genocidio dimenticato, Della Porta Editori,
Pisa 2015.)
www.utopiarossa.blogspot.com