Giorgio
Amico
L'immagine
dell'Africa nei fumetti e nei libri per l'infanzia
L'immagine
dell'Africa spiega il filosofo ed epistemologo Valentin-Yves Mudimbe
nel suo L’invenzione dell’Africa, del 1988 ma tradotto in
italiano solo nel 2007 si è andata costruendo a partire dal
Cinquecento in modo sempre più articolato a mano e mano che la
colonizzazione del continente andava progredendo.
L’avventura
coloniale è giustificata con la superiorità dell’Occidente, prima
in nome della religione, poi dall'Ottocento in nome della scienza che
sancisce l’“inferiorità” delle popolazioni – o delle
“razze”, come si diceva allora – al di fuori del continente
europeo, rimaste ad uno stadio arretrato della scala evolutiva.La
colonizzazione viene dunque giustificata con una presunta “missione
civilizzatrice” verso i popoli africani.
Esploratori,
missionari, archeologi, antropologi, viaggiatori testimoniano di
immensi territori selvaggi, abitati da persone “primitive”e
spesso feroci. il tutto a formare un immaginario collettivo che
giustifica la colonizzazione come atto di civilizzazione.
Nel
1899 in una poesia, Il fardello dell'uomo bianco, Rudyard
Kipling presenta l'espansionismo coloniale come un dovere
dell'Occidente e in particolare dell'Inghilterra vittoriana e nello
stesso tempo fissa lo stereotipo dell'africano:
Raccogli
il fardello dell’Uomo Bianco–
Disperdi il fiore della tua
progenie–
Obbliga i tuoi figli all’esilio
Per assolvere le
necessità dei tuoi prigionieri;
Per vegliare pesantemente
bardati
Su gente inquieta e selvaggia
Popoli da poco
sottomessi, riottosi,
Metà demoni e metà bambini.
Metà
demoni e metà bambini: questa fino agli anni '60 del Novecento
l'immagine che l'europeo ha dell'africano.
Rudyard Kipling
In
Italia in epoca coloniale ci fu una vasta produzione di letteratura
per l’infanzia, di fumetti, di figurine finalizzate alla
costruzione di una identità bianca definibile proprio in opposizione
all’alterità dei popoli colonizzati. Da notare che il paese si era
da poco unificato e , come scrisse il D'Azeglio, occorreva "fare
gli Italiani", ossia costruire le basi di un'identita comune e
condivisa. l'immagine stereotipata e negativa dell'africano come "altro" fu un momento fondamentale di questo processo,
secondo una schema bipolare elementare:
Africano-Italiano
incivile-civile
inferiore-superiore
ignorante-
istruito
stupido-intelligente
passivo-attivo
superstizioso-razionale
L'Italia
post-risorgimentale è un paese (e un popolo) in costruzione.
L'immagine stereotipata e negativa dell'altro contribuisce alla
formazione di un'immagine positiva di sé, fatta di umanità, civiltà e
potenza. Vengono mitizzate figure di esploratori o
missionari. A tutto questo si unisce una particolare visione del
colonialismo: crudele e legato a motivazioni economiche quello
inglese o francese; umano e civilizzatore quello nostrano. Insomma fin
dagli inizi il colonialismo italiano si regge sul mito degli
"italiani brava gente".
Emilio Salgari nel 1895
scrive alcuni raccontini per un periodico L’Innocenza. giornale
illustrato per bambini, pubblicato a Torino dagli editori
cattolici Speirani. Vediamone due estratti:
Il
primo estratto ha per titolo “Nel centro dell’Africa” :
Quantunque
siate piccini, avrete udito più volte parlare dell’Africa, di quel
grande continente che è abitato dai negri, dai leoni, dai
coccodrilli e dai grandi elefanti ; anzi sono certo che avrete veduto
più volte quegli uomini color cioccolatta [sic], coi capelli lanosi,
gli occhi grandi e le labbra grosse e rosse come ciliegie. Di quei
negri, molti ve ne sono di buoni, ma tanti sono assai cattivi e non
possono vedere gli uomini bianchi, sicché, se uno di noi si reca nei
loro paesi, viene ucciso o fatto prigioniero.
Il
secondo estratto ha per titolo “I Bambarras” :
Chi
saranno mai questi tipi fuliginosi [sic] e così stravaganti con
quelle capigliature foggiate a corna ? Quale parte del mondo
abiteranno ? […]Volete sapere chi sono ? Negri Bambarras. […]
Appartengono alla razza dei Negri, ma sono ancor più brutti di
quelli che si vedono talvolta anche da noi ; hanno le labbra più
grosse più sporgenti, il naso nero schiacciato, ma più largo, gli
occhi più grandi ; sono però in generale meno cattivi. (1)
Nei
libri di testo – a partire dall’esordio coloniale negli anni
Ottanta dell’Ottocento – le imprese coloniali vengono presentate
alla luce della presunta civiltà inferiore degli africani.
Onnipresente il tema dell'esistenza di razze diverse poste a diversi
livelli sulla scala dell'evoluzione. Una costante dei libri di
geografia fino almeno alla fine degli anni '60.
Il
fascismo esaspera questi concetti ponendoli alla base della
formazione delle nuove generazioni. Nel "Secondo libro del
fascista" destinato all'indottrinamento razziale degli
scolari si possono leggere frasi su “L’evidente inferiorità di
alcune razze, e specialmente di quella che si è convenuto di
chiamare negroide...”; e affermazioni perentorie sulla missione
civilizzatrice della "razza ariana": “La razza ariana ha
la missione di civilizzare il mondo, e di farne incessantemente
progredire la civiltà”.
Insomma,
la versione riveduta e corretta del fardello dell'uomo bianco del
vecchio Kipling.
Fin
dagli inizi del secolo il fumetto (appena importato dagli stati
uniti) si rivela il mezzo fondamentale per l'estrema facilità di
lettura e al contempo la grande varietà di piani interpretativi che
presenta. Strumento apparentemente semplice, può diventare (grazie
alla forza delle immagini) un sofisticato mezzo di comunicazione di
massa.
Altro
mezzo importante è costruzione delle sale coloniali dei musei e
delle mostre missionarie che venivano visitate in massa dalle scuole,
soprattutto quelle elementari: tutte le esposizioni erano disposte
per far risaltare il primato italiano e la supremazia razziale
bianca. Su imitazione degli "zoo umani" francesi di inizio
secolo la grande esposizione che si tiene a Torino nel 1911 presenta
ai visitatori una immagine dell'Africa selvaggia e primitiva proprio
allo scopo di far risaltare per contrasto la civiltà e lo sviluppo
di un'Italia in realtà arretratissima, dove, ad esempio,
l'analfabetismo, soprattutto nelle campagne del Sud, era ancora un
fenomeno di massa.
Nascono
i fumetti con Bilbolbul
La
celebre la frase di Hearst rivolta agli autori di fumetti: E’ il
padre che compra il giornale. I bambini non vedranno mai i vostri
disegni se i disegni non richiameranno prima la sua vista” viene
ripresa in pieno da i “Corriere dei Piccoli” nato nel 1908 come
supplemento per i bambini abbinato alla “Domenica del Corriere”,
l’edizione domenicale del “Corriere della Sera” che introduce
i fumetti americani, ma adattandoli alla realtà italiana e
fornendoli di nomi nostrani (come poi avverrà con i fumetti Disney.
Felix The Cat diventa Mio Mao, Jiggs and Maggie Arcibaldo e
Petronilla. Soprattutto, vengono eliminati dai fumetti i “fumetti”,
le nuvolette (balloons) con le parole che i personaggi dicono o
pensano, che vengono sostituite da filastrocche collocate sotto ogni
immagine. Il successo di pubblico del “Corrierino” è enorme
raggiungendo in breve le 800.000 mila copie vendute.
Sul
"Corrierino" appare la prima rappresentazione
dell'africano, naturalmente rivolgendosi ad un pubblico di bambini, è
un bambino. E’ una rappresentazione caricaturale, derisoria. Nasce
così, nel dicembre del 1908, il negretto Bilbolbul, protagonista di
avventure ridicole destinate inevitabilmente a finir male ambientate
in un Africa assolutamente stereotipata:, fatta di capanne, palme e
leoni.
Quattro
anni più tardi, all'epoca dell'impresa di Libia, il “Corriere dei
Piccoli” diventa il canale di una prima mobilitazione dell’infanzia
in chiave nazional-patriottica, quando sulle sue pagine compaiono le
avventure di un baldo bersagliere, Gian Saetta, alle prese con arabi
che hanno le stesse caratteristiche dell'africano: feroci, ma
infantili e dunque facilmente catturabili.
Negli
anni venti il fumetto spopola e il regime se ne appropria,
intuendone, come per il cinema, lo straordinario potenziale di
propaganda. Nel febbraio del 1923 esce in edicola “Il Balilla”,
giornalino a fumetti che si pone in concorrenza con “Il Corriere
dei Piccoli” al quale si ispira nella grafica. Anche il mondo
cattolico partecipa a questa gara alla conquista dell'infanzia: negli
stessi anni esce “Il Giornalino” di ispirazione cattolica.
Il
primo settimanale italiano a fumetti è “Jumbo“, che dal dicembre
1932 pubblica storie a puntate. Il 31 dicembre dello stesso anno,
Nerbini pubblica il primo numero di “Topolino“. Lo stesso Nerbini
lancia nel 1934 il settimanale di grande successo “L’Avventuroso“,
che per primo elimina le didascalie a favore delle nuvolette
(balloons), e ospita nei suoi fumetti quasi esclusivamente eroi
americani subito popolarissimi: Flash Gordon, Mandrake, l’Uomo
mascherato. Un mese dopo esce “L’Audace“, anch’esso di
provenienza americana. Escono poi “Il Monello” (dal 1933),
“L’Intrepido“ (dal 1935),e e “Il Vittorioso”, settimanale
di orientamento cattolico pubblicato ininterrottamente dal 1937 al
1966, venduto nelle parrocchie e promosso dall’Azione Cattolica.
Una diffusione di massa, tanto che nel 1939 i giornali a fumetti
arrivano a vendere fino a 1.900.000 copie
Pochi
giorni dopo avere emanato le leggi razziali antisemite del
17.11.1938), il 26.11.1938 il regime fascista, con una Ordinanza del
MinCulPop, proibisce la pubblicazione dei fumetti americani, “eccetto
Topolino”: eccezione, sembra, dettata personalmente da Mussolini.
I
fumetti americani rafforzano lo stereotipo del nero incapace di azione
autonoma, al massimo fedele collaboratore dell'eroe bianco a cui
fornisce la forza delle sue braccia.
E'
il caso di Lothar il servo negro di Mandrake. O dei pigmei della
giungla che hanno come capo l'uomo mascherato che essi credono
immortale.
Il
belga Tin Tin non è da meno. Tin Tin in Congo è una vera e propria
antologia di luoghi comuni a sfondo razzista.
Ma
il più razzista di tutti è Walt Disney che raccoglie e amplifica
tutti gli stereotipi razziali in voga negli USA. Esemplare è il caso
dei corvi nel film Dumbo (1937) presentati come sfaccendati
negri e il cui capo si chiama Jim
Crow, l'epitteto ingiurioso con cui veniva definito il
regime di segregazione razziale in vigore negli Stati del Sud fino
alle leggi antisegregazione degli anni '60 del Novecento. E anche
l'integerrimo Topolino non è da meno.
Da
non dimenticare, infine, come il mondo cattolico con Il Vittorioso e
varie pubblicazioni missionarie si adegui in pieno alle direttive del
regime soprattutto sul tema dell'opera civilizzatrice svolta in
Africa.
Conquista
dell'Etiopia e leggi razziali
La
guerra di Etiopia presentata come guerra civilizzatrice contro un
regime feudale è un popolo ancora semibarbaro dà ulteriore impulso
alla diffusione di questi stereotipi e prepara le leggi razziali e la
campagna antiebraica dl 1938 assuefacendo la popolazione a partire
dai più piccoli all'idea che esistano razze inferiori dai
comportamenti pericolosi e che dunque occorre tenere sotto controllo.
Il
“Libro della Quinta Classe”, il cosiddetto sussidiario per
la scuola elementare unico per tutte le scuole d’Italia nell'
edizione del 1940 accomuna africani ed ebrei nel concetto di razza
inferiore. Il passaggio è dato come automatico:
"Ma
fra i nuovi conquistatori si era mescolata la razza giudaica,
disseminata lungo le rive del Golfo Persico e sulle coste dell’Arabia,
dispersa poi lontano dalla Patria d’origine, quasi per maledizione
di Dio, e astutamente infiltratasi nelle patrie degli Ariani. Essa
aveva inoculato nei popoli nordici uno spirito nuovo fatto di
mercantilismo e di sete di guadagno, uno spirito che mirava
unicamente ad accaparrarsi le maggiori ricchezze della terra.
L’Italia di Mussolini, erede della gloriosa civiltà romana, non
poteva rimanere inerte di fronte a questa associazione di interessi
affaristici, seminatrice di discordie, nemica di ogni idealità. Roma
reagì con prontezza e provvide a preservare la nobile stirpe
italiana da ogni pericolo di contaminazione ebraica e di altre razze
inferiori.
Dopo
la conquista dell’Impero venne bandita, ad esempio, una severa
crociata contro il pericolo della mescolanza fra la nostra razza e
quella africana (meticciato).
I
popoli superiori non devono avere vincoli di sangue con i popoli
assoggettati, per non venir meno ad un’alta missione di civiltà,
per non subire menomazioni di prestigio e per non porre in pericolo
la purezza della propria razza".
Sui
manuali scolastici e sui fumetti viene esaltato l'eroismo del sodato
italiano e la viltà degli etiopi presentati come infidi e traditori.
Significative sono le cartoline per i soldati che apertamente
rivendicano le atrocità che si stanno commettendo dall'uso dei gas
agli stupri di massa.
La
letteratura per l'infanzia. due casi emblematici
Anche
l'editoria per l'infanzia riprende e diffonde questa immagine
dell'Africa che alterna secondo i casi lo stereotipo. esemplare è la
storia di Pik Badaluk, edizione nel 1944 di un libro per
l'infanzia uscito in Germania nel 1921 e ispirato al modello del
Little Black Sambo americano. Il libro uscito a Trieste presenta un
bambino decisamente stupido, destinato, come il vecchio Bilbolbul di
inizio secolo, a scatenare l'ilarità del lettore più piccolo. Il
disegno è elementare, i personaggi sono tutti con grandi occhi a
palla e grosse bocche sempre spalancate, a sottolineare la mancanza
di intelletto e dunque di individualità dell'africano.
Il
libro ha numerosissime ristampe, fino all'edizione rilegata dal 2014
(che festeggia i 70 anni), anche se nelle ultime edizioni l'editore
si è premurato di porre una premessa (fatto unico nei libri per
l'infanzia) in cui si difende da ogni possibile accusa di razzismo.
La fortuna italiana di Pik Badaluk è emblematica di come con
l'avvento dell'Italia repubblicana, democratica ed antifascista,
l'atteggiamento verso l'Africa e l'africano non cambi, ma continui a
ripetere sostanzialmente gli stessi stereotipi razzisti. Come
dimostra La storia del negretto della Disney del 1949 che
riprende parzialmente l'edizione americana interamente tesa a
rivalutare nostalgicamente l'epoca delle piantagioni, quando i negri
sapevano stare al loro posto.
L'Africa
nei fumetti del dopoguerra
Nel
dopoguerra riprende la pubblicazione dei fumetti americani a partire
da Topolino che rimane profondamente imbevuto di una visione
razzista del confronto con l'africano. Un esempio è Paperino
e i ribelli del Rif del 1954 in cui l'assimilazione
dell' arabo con ilk "negro" è presentata senza vergogna.
Nel
dopoguerra riprendono anche le celebrazioni, in chiave retorica e
patriottica, delle imprese degli esploratori, e dei missionari,
italiani da parte soprattutto riviste di ambiente cattolico come il
Giornalino, il Vittorioso, Il Piccolo Missionario, che non disdegnano
storie più laiche ma sempre connotate dallo stereotipo dell'africano
selvaggio e crudele.
Queste
storie testimoniano della mancanza di una riflessione critica sulla
storia coloniale italiana che viene ripresa in piena continuità con
il taglio che aveva avuto in epoca fascista. Così alla metà degli
anni cinquanta appare nelle edicole l’albo
L’eroe del Giuba
“storia di ardente patriottismo e di sublime sacrificio”
destinata
ad esaltare l'opera dell'esploratore Bottego, vittima della barbarie
primordiale degli africani. Celebrazione ripresa ancora nel 1960
da Il Giornalino, settimanale della Pia Società San Paolo, con una
storia a puntate intitolata Il
Frengi Capitano
e, sempre nello stesso anno, da il settimanale Lo
Scolaro, con una biografia a fumetti intitolata Vittorio Bottego,
ristampata addirittura ancora nel 1969.
Dunque
per il fumetto e l'editoria italiana sembra che con la fine della
guerra e la caduta del regime non sia cambiato nulla per quanto
riguarda l'Africa e gli africani e questo nonostante ci si stia
avvicinando al 1960 anno in cui ben 17 paesi africani raggiunsero
l'indipendenza. Gli africani continuano ad essere presentati come
selvaggi e primitivi.Solo Il pioniere, giornalino dell'associazione
para-scoutistica del PCI, cerca di dare una lettura diversa della
questione africana a partire dalla tratta e dall'oppressione
coloniale, ma sempre parlando di francesi e inglesi e mai di italiani
che anche a sinistra rimangono "brava gente".
Anche
il cinema contribuisce a consolidare lo stereotipo dell'africano
primitivo con l'anello al naso come dimostra Totò
truffa del 1962 e la
televisione con la trasmissione di grande successo (in onda dal 1957
ai primi anni '60) L'amico
degli animali dove
il protagonista Angelo Lombardi in tenuta da cacciatore bianco,
accompagnato dalla scimmia Cita, è coadiuvato da un fedele servo
indigeno, Andalu (un ex ascaro somalo) che non pronuncia mai una sola
parola e si limita con la sua presenza a mettere in risalto la
centralità della figura dell'uomo bianco presentato come portatore
di cultura..
Le
raccolte di figurine
Negli
anni '50 ampia fortuna hanno le raccolte di figurine di argomento
storico e geografico, spesso legate alla vendita dei giornalini a
fumetti. Anche in questo caso non ci si discosta dagli stereotipi
correnti. Così nell' album Enciclopedia tascabile Torelli del
1951 leggiamo che l'africano vive
"Ancora
in uno stato primitivo, non solo ci sono tribù dell'interno che non
sono mai venute in contatto con l'uomo bianco, ma che vivono ancora
una vita simile a quella dei nostri più antichi antenati" e in
Razze umane del
1956, traduzione di una collezione spagnola apparsa l'anno
precedente. raccolta di 288 figurine a colori delle "razze"
e dei popoli del mondo gli africani sono definiti di costumi
"barbari", "infantili" e dotati di "scarsa
immaginazione":
"I
negri sino poco civilizzati e generalmente vivono in uno stato
primitivo... la loro indolenza e superstizione sono dovuti al loro
arretrato stato di civilizzazione, come è chiaramente dimostrato
dalle loro capanne, dalla loro frequente mancanza di abiti"
Ancora
nel 1968 la raccolta Naturama ampiamente usa il termine razze e gli
stereotipi sugli africani primitivi e perfino cannibali.
Nostalgie
coloniali
Forte
ancora nell'Italia degli anni Cinquanta è il rimpianto per la
perdita delle colonie. Ancora una volta si distingue il «Corriere
dei piccoli» che, su ispirazione del suo direttore Giovanni Mosca,
pubblicò una serie di servizi dedicati alla Somalia. Il 15 febbraio
1953, in una pagina intitolata Il
tricolore in Somalia, si può leggere un'accorata
esaltazione del ruolo civilizzatore del colonialismo italiano:
«Vicino
alle caserme è stato costruito un campo, dove abitano le famiglie di
questi soldati, le loro mogli e i loro bambini, ai quali il papà
torna dopo la lezione o dopo aver terminato il servizio. Così i
figli dei cammellieri e dei pastori, da noi civilizzati e resi
coscienti dei veri principi umani, resteranno padroni della loro
terra e la difenderanno da ogni nemico interno ed esterno. Ma non
potranno certamente dimenticare i bianchi che furono loro compagni e
fratelli e forse nelle notti di luna, mentre nelle foreste si
sentiranno gli urli delle belve, questi soldati, quando saranno
vecchi, racconteranno ai loro nipoti gli atti di bontà e di eroismo
di molti uomini bianchi, che erano venuti lì, a portare civiltà e
benessere. E li rimpiangeranno».
Esaltazione,
patriottica e fascistoide, ripresa nel 1958 con Il
tamburino dell’Amba Alagi, lunga storia apparsa per
quasi un anno sempre sul "Corrierino".
I
libri di testo
Fino
a tutti gli anni '60 anche i manuali di storia e di geografia
continuano nella sostanza a dare l'immagine positiva e benefica del
colonialismo italiano che era già stata della scuola fascista. "Il
mancato dibattito sulla decolonizzazione, avviata invece in altri
paesi, porta gli autori dei manuali nostrani a scivolare verso una
dimensione meno eroica, per un verso mantenendo vivo il mito degli
italiani brava gente, alacri lavoratori e vittime casomai di
decisioni altrui, specie sotto Mussolini; per un altro tacendone i
misfatti."(2)
"L’Italia
non fu assente dall’opera di colonizzazione europea nel mondo,
opera benefica perché metteva barbare popolazioni in contatto con
norme di vita progredite", così in un testo di storia per i
licei ancora nel 1953 veniva presentato il colonialismo italiano.
Lo
stesso accade nella scuola elementare dove addirittura si continua a
parlare di "razze". Nel Sussidiario Italia, classe V,
L'Italia editrice, Roma, 1948. nel paragrafo: Le
razze umane e la loro civiltà, con il sottotitolo prudente Vari tipi
della stessa umanità compaiono le foto del viso e del busto
di cinque rappresentanti delle “razze”: il rappresentante di
quella bianca è al primo posto sorridente, ripreso di tre quarti con
giacca e cravatta mentre il rappresentante della “razza negra” è
ripreso seminudo e di profilo nella tipica posa spersonalizzante
dell'antropologia fisica o della fotografia criminale. Nelle brevi
didascalie si legge:
“1°
Razza bianca o caucasica, che è la più civile e la più sparsa nel
mondo”.
E
più oltre
“Le
popolazioni indigene […] appartengono alla razza negra, che è la
più arretrata in fatto di civiltà. Tra esse ve ne sono addirittura
alcune, come i Boscimani e i Niam Niam, ancora selvaggi che sono
piccoli e brutti e scarsamente intelligenti”.
Nello
stesso sussidiario, nell'edizione per la classe terza, si legge:
“in
regioni coperte da grandi foreste abitano i popoli di 'razza negra',
ancora in gran parte incivili, che vanno quasi nudi e dimorano in
povere capanne dette 'tucul' o in ricoveri fatti di frascame, situati
fra i rami degli alberi, per sfuggire al morso di giganteschi
serpenti e alla ferocia delle belve”.
Basterebbero
queste citazioni per capire il senso profondo della Scuola di
Barbiana prima e delle lotte studentesche del 68 degli anni
successivi per una scuola diversa, veramente democratica e formativa,
capace di confrontarsi criticamente con il presente e la storia.
Lotte che investono la società e la parte più avanzata del corpo
insegnante. Ne è testimonianza la grande campagna degli anni '70 per
l'abolizione dei libri di testo. Nel 1972 nell'ambito di questa
campagna contro l'obbligatorietà dei libri di testo, Umberto Eco
pubblica un pamphlet I pampini bugiardi che inizia così:
Alle
soglie della loro vita culturale, iniziando l'esperienza difficile ed
esaltante della lettura, i nostri figli si trovano a dover affrontare
i libri di testo delle scuole elementari. (...) Fare un processo al
libro di lettura implica uno sforzo di straniamento: richiede che si
legga e rilegga una pagina in cui si diffondono idee che siamo
abituati a considerare « normali » e « buone » e che ci
chiediamo: ma è proprio così? condizionati come siamo dai nostri
antichi libri di lettura, leggere i nuovi significa aver la capacità
e il coraggio di dire: « il re è nudo ». Un atto di chiarezza che,
diversamente che nella fiaba di Andersen, il bambino non può fare.
(...)
I
libri di lettura parlano dei poveri, del lavoro, degli eroi e della
Patria, della importanza e serietà della scuola, della varietà di
razze e popoli che abitano la terra, della famiglia, della religione,
della vita civica, della storia umana, della lingua italiana, della
scienza (...)
Questa
antologia tende invece a mostrare, con la pura evidenza della
citazione commentata al minimo che questi problemi sono
presentati in modo falso, risibile, grottesco... Che attraverso di
essi il ragazzo viene educato a una realtà inesistente... (...)
I
libri di testo dicono insomma delle bugie, educano il ragazzo a una
falsa realtà, gli riempiono la testa di luoghi comuni (...)
Questa
antologia tende invece a mostrare, con la pura evidenza della
citazione commentata al minimo che questi problemi sono presentati in
modo falso, risibile, grottesco... Che attraverso di essi il ragazzo
viene educato a una realtà inesistente... Che quando i problemi, e
la risposta che ne viene fornita, concernono la vita reale, essi sono
posti e risolti in modo da educare un piccolo schiavo, preparato ad
accettare il sopruso, la sofferenza, l’ingiustizia, e a
dichiararsene soddisfatto". (3)
A
metà degli anni Settanta pareva una battaglia vinta e che sulla
storia reale della presenza italiana in Africa fosse ormai, grazie
anche a opere come quelle di Del Boca. stata fatta piena chiarezza. I
cori razzisti negli stadi, i deliri degli odiatori da tastiera uniti
alla propaganda interessata e violenta di alcune forze politiche
contro "l'invasione" africana e una presunta strategia di
"sostituzione etnica, dimostrano invece il persistere nel
profondo dell'inconscio collettivo di larga parte della popolazione
italiana dei peggiori stereotipi sull'africano, vissuto non come uomo
concreto in carne e ossa, ma simbolica minaccia in grado di
concretizzare paure e frustrazioni che una società in crisi come la
nostra non cessa di produrre.
1.
Paola Irene Galli Mastrodonato, « Da Rider Haggard a Salgari :
riscrivere l’Africa nell’era dei colonialismi. », Belphégor [En
ligne], 16-1 | 2018
2.
Giuliano Leoni e Andrea Tappi, Pagine perse, Zapruder, n, 23,
settembre-dicembre 2010.
3.
Marisa Bonazzi-Umberto Eco, I pampini bugiardi, Guaraldi,
Rimini-Firenze 1972, pp.7-8.
Novembre
2019