Un uomo giusto, fedele
al messaggio evangelico più che alla Chiesa come istituzione. Anni
fa lavorammo con lui ad un progetto per dar voce ai detenuti del
carcere di Savona. Il risultato fu un piccolo giornale di cui uscì
qualche numero. Una avventura che ci permise di conoscerlo da vicino e
stimarlo. Lo ricordiamo con questo articolo di Famiglia cristiana e con l'editoriale che scrivemmo allora per
il primo numero del giornale.
Don
Gallo. Un prete giusto
Quando andavi a trovarlo
uscivi dal suo piccolo studiolo carico di idee e odore di pipa. Non
smetteva quasi mai di fumarla e di tenerla in mano. E intanto parlava
del passato e dell’oggi. Dei progetti in cantiere per il futuro.
Don Andrea Gallo, morto oggi all’età di 84 anni, era un fiume in
piena. Nella comunità di San Benedetto, da lui stesso fondata a
Genova, per essere vicino ai più deboli, erano passati tutti: ex
brigatisti ed emarginati, intellettuali e poveri, atei e credenti. Il
prete dalle mille battaglie, spesso critico nei confronti della
stessa Chiesa, ma con quella fede dura che spostava le montagne
riusciva a dialogare con tutti.
Nonostante la malattia
che lo consumava, scavandolo sempre più platealmente, era riuscito
quasi fino all’ultimo a stare al passo con i tempi e con i “suoi
ragazzi” giovani e adulti. Tentava tutte le strade per farsi
compagno di viaggio. Nel suo ultimo twitter, il 20 maggio, aveva
scritto “Sogno una Chiesa non separata dagli altri, che non sia
sempre pronta a condannare, ma sia solidale, compagna”. Ed è
proprio da lì che è arrivata anche la notizia della sua morte: “Ore
17.45 il cuore di Don Andrea Gallo ha cessato di battere, la comunità
S.Benedetto e idealmente voi tutti siamo stretti intorno a lui”.
Don Andrea Gallo era
entrato nel seminario dei salesiani nel 1948. Nel 1953 era
partito per le missioni in Brasile, ma era tornato in Italia durante
il periodo della dittatura. Ordinato presbitero il primo
luglio 1959 era stato inviato, un anno dopo, come cappellano
nella nave scuola della Garaventa, riformatorio per minori. Da quel
momento in poi la passione per l’educazione dei ragazzi non lo
avrebbe più abbandonato, così come l’attenzione per il carcere e
per i detenuti. Nel 1964 lascia i salesiani e si incardina come
sacerdote diocesano. Il cardinale Siri, che allora guidava Genova,
gli affida l’incarico di cappellano del carcere. Fra i due c’è
sempre stata una vivace polemica cui spesso hanno fatto seguito
trasferimenti di incarichi e parrocchie. Fino alla rinuncia di don
Gallo al trasferimento richiesto dal cardinale Siri nell’isola di
Capraia. Don Gallo viene quindi accolto dal parroco di San
Benedetto al Porto, don Federico Rebora, e insieme a un piccolo
gruppo dà vita alla Comunità di San Benedetto al Porto.
Impegnato per la pace e nel movimento No Dal Molin, contro la costruzione di una nuova base militare a Vicenza, don Gallo non ha mai smesso di battersi contro l'emarginazione dei gay e contro l'omofobia, a favore della cittadinanza agli immigrati, per costruire una società più solidale, giusta e accogliente.
Savona. Carcere di S. Agostino |
Giorgio Amico
Non luoghi
Carcere, manicomio,
ospizio: luoghi scomodi, non-luoghi, luoghi invisibili. Sant’Agostino
è uno di quei luoghi di cui preferiamo ignorare l’esistenza.
Eppure è nel cuore della città, accanto a noi, parte della nostra
vita quotidiana. Anche se preferiamo ignorarlo e continuare a far
finta di niente.
Poveri, carcerati,
disabili: persone scomode, non-persone, persone invisibili. Vivono
accanto a noi, ma è come se non ci fossero. Cancellati dal mondo,
estromessi dalla vita dei “normali”, riemergono alla nostra
consapevolezza solo in occasione di fatti di cronaca, per essere poi
subito rimossi e dimenticati.
Persone senza nome e
senza volto, protagonisti di piccole storie squallide. Storie di
ordinaria miseria, di follia, di emarginazione. Sant’Agostino ne
raccoglie tante e gelosamente le conserva, celandole alla nostra
vista di benpensanti. Impedendo che diventino visibili, che turbino
il nostro piccolo, ordinato tran-tran quotidiano.
Cosa c’entra la scuola
con tutto questo ? C’entra perché Sant’Agostino è anche in
piccolissima parte scuola, luogo dove si svolgono attività di studio
e di animazione culturale. “Scuola in carcere”, questa è la
definizione ufficiale, fredda, asettica e un po’ retorica che le
racchiude.
Ma si può fare scuola e
cultura dietro le sbarre, senza cadere in un paternalismo tanto più
orribile, quanto in buona fede ? Si può. Alla sola condizione di
intendere queste attività come un percorso di liberazione.
Sappiamo bene che la
cultura in se non rende liberi, come il lavoro non rendeva liberi i
prigionieri di Auschwitz. Sappiamo però altrettanto bene che la
cultura come valorizzazione della propria umanità, come urlo di chi
rivendica il proprio diritto ad esistere è, forse, motivo di
scandalo, ma, sicuramente, strumento di liberazione, percorso di
libertà.
Questo, e non altro, il
senso delle attività di animazione che insieme scuola e Circolo “Il
Brandale” abbiamo svolto a
Sant’Agostino nello scorso anno scolastico, iniziando un percorso
che speriamo contribuisca a demolire l’idea del carcere come un
non-luogo abitato da non-persone.