Giorgio Amico
Il Medioevo: un mondo a
colori
La Nature est un temple
où de vivants piliers
Laissent parfois sortir de confuses
paroles;
L’homme y passe à travers des forêts de symboles
Qui
l’observent avec des regards familiars.
Comme de long échos qui
de loin se confondent
Dans une ténébreuse et profonde
unité,
Vaste comme la nuit et comme la clarté,
Les parfums,
les couleurs et les sons se répondent.
(La Natura è un tempio
dove incerte parole/mormorano pilastri che sono vivi,/una foresta di
simboli che l’uomo/attraversa nei raggi dei loro sguardi
familiari./Come echi che a lungo e da lontano/tendono a un’unità
profonda e buia/grande come le tenebre o la luce/i suoni rispondono
ai colori, i colori ai profumi.)
Cantava così Baudelaire,
cogliendo il senso profondo e autentico di ciò che noi moderni
chiamiamo natura e collochiamo al di fuori di noi, ma che per gli
antichi era "Kosmos", cioè l'ordine armonico di tutto ciò
che esiste a partire dai quattro elementi fondamentali: l'acqua, la
terra, il fuoco, l'aria. Un ordine circolare, dove inizio e fine si
sovrappongono in un eterno fluire e il tempo storico perde di
significato. Un universo in cui innumerevoli fili collegano tutti le
manifestazioni dell'esistere in un ordine perfetto e regolare, in cui
tutto si lega e ogni cosa rimanda ad un'altra, come nella Tavola
smeraldina di Ermete Trismegisto:
“Verum sine
mendacio, certum et verissimum. Quod est inferius est sicut quod est
superius, et quod est superius est sicut quod est inferius ad
perpetranda miracola Rei Unius. Et sicut omnes res fuerunt Uno,
meditatione Unius: sic omnes res natae fuerunt ab hac Una re
adaptatione. Pater eius est Sol, mater eius Luna. Portavit illud
ventus in ventre suo. Nutrix eius terra est. Pater omnis telesmi
totius mundi est hic. Vis eius integra est, si versa fuerit in
terram. Separabis terram ab igne, subtile a spisso, suaviter cum
magno ingenio. Ascendit a terra in coelum, iterumque descendit in
terram, et recipit vim superiorum et inferiorum. Sic habes gloriam
totius mundi. Ideo fugiet a te omnis obscuritas. Hic est totius
fortitudinis fortitudo fortis, quia vincet omnem rem subtilem;
omnemque solidam penetrabit: SIC MUNDUS CREATUS EST. Hinc erunt
adaptationes mirabiles, quarum modus hic est. Itaque vocatus sum
Hermes Trismegistus, habens tres partes philosophiae totius mundi.
Completum est quod dixi de operatione solis”.
(È vero senza errore e
menzogna, è certo e verissimo. Ciò che è in basso è come ciò che
è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per
compiere i miracoli della Cosa-Una (di una cosa sola). Come tutte le
cose sono sempre state e venute dall'Uno, per mediazione dell’Uno,
così tutte le cose nacquero da questa Cosa Unica per adattamento. Il
Sole ne è il padre, la Luna ne è la madre, il Vento l’ha portata
nel suo ventre, la Terra è la sua nutrice. Il padre di tutto, il
Telesma di tutto il mondo è qui. La sua potenza è illimitata se
viene convertita in terra. Separerai la Terra dal Fuoco, il Sottile
dal Denso, delicatamente, con grande cura. Ascende dalla terra al
cielo e ridiscende in terra raccogliendo le forze delle cose
superiori ed inferiori. Tu avrai così la gloria di tutto il mondo e
fuggirà da te ogni oscurità. Qui consiste la Forza forte di ogni
Forza, perché vincerà tutto quel che è sottile e penetrerà tutto
quello che è solido. Così fu creato il mondo. Da ciò deriveranno
innumerevoli adattamenti mirabili il cui segreto sta tutto qui.
Pertanto io fui chiamato Ermete Trismegisto, possessore delle tre
parti della Filosofia di tutto il mondo. Ciò che dissi sull’opera
del Sole è perfetto e completo).
Se si volesse dare una
definizione di cosa sia stato veramente il Medioevo, la risposta più
calzante sarebbe allora che il Medioevo è stato il trionfo del
simbolico. Il simbolo è onnipresente. Ogni cosa, ogni aspetto della
vita, ogni manifestazione del cosmo può essere rappresentata in
forma simbolica. E gli uomini del Medioevo lo fanno nelle decorazioni
delle chiese, nei portali e nelle vetrate, nelle statue che ornano
gli edifici sacri, nei mosaici e negli affreschi, nell'abbigliamento,
oltre che ovviamente nella poesia. Un simbolismo di cui oggi in larga
parte ci sfugge il significato, tanto che ancora si discute del
simbolismo di Dante con interpretazioni diversissime fra di loro.
Volendosi addentrare nel
simbolismo medievale, due concetti vanno sempre tenuti presenti. Per
l'uomo medievale esiste una corrispondenza stretta tra nome e cosa.
Insomma vale il detto latino « Nomen Omen». Per cui il noce e il
melo sono alberi potenzialmente malefici perché il nome del primo,
«Nux» rimanda al verbo «Nucere» (nuocere) e il secondo rimanda a
«Malus». Di conseguenza uno diventa l'albero attorno al quale si
radunano le streghe e il secondo diventa l'albero
del frutto proibito.
Il pensiero medievale è
un pensiero analogico: ogni cosa presente rimanda ad un'altra celata.
Dunque Giuda Iscariota (in aramaico l'uomo di Chariot) diventa in
Germania «ist gar rot» (colui che è rosso). Giuda diventa l'uomo
rosso, simile al demonio e dunque un simbolo dell'inferno.
L'idea tradizionale è
che il Medioevo sia un mondo in bianco e nero, idea in gran parte
dovuta alle pareti spoglie delle chiese romaniche. In realtà era un
mondo coloratissimo, dove esisteva un vero e proprio horror vacui. In
quelle chiese che oggi ci appaiono nude non c'era metro che non fosse
ricoperto di affreschi dai colori vivacissimi che il tempo e
soprattutto l'uomo ha cancellato.
Ne sa qualcosa il nostro
ponente savonese dove nel 1585-1586 Niccolò Mascardi Visitatore
apostolico per conto del Pontefice fa ricoprire di calce gli
affreschi delle chiese dell'Albenganese. Affreschi bellissimi, come
quelli di Guido da Ranzo, ma ritenuti osceni per le nudità esibite
soprattutto nelle rappresentazioni delle pene dell'inferno.
Negli affreschi il rosso
è colore dei demoni, delle fiamme dell'inferno, della volpe (animale
ingannatore), dell'ipocrisia, della menzogna, del tradimento. È il
colore di Giuda, ma anche di Gano di Magonza il cui tradimento causa
la disfatta di Roncisvalle e la morte di Orlando.
Il cattivo è sempre il
diverso. L'handicappato, il deforme, l'appestato, l'ebreo, il
musulmano, il mendicante. I cattivi sono caratterizzati da deformità,
da volti con nasi adunchi o fuori misura, menti sporgenti, dentatura
irregolare, pelle scura. Spesso sono mancini. Nelle rappresentazioni
dell'inferno appaiono gli attrezzi di tre mestieri considerati
pericolosi: i fabbri, che trasformando la materia con il fuoco sono
assimilati a stregoni; i mugnai ladri perché derubano sul peso i
contadini che portano il grano a macinare; i macellai crudeli perché uccidono animali innocenti.
E comunque la chiesa,
anche la più umile cappella di campagna, era una struttura
policroma. Le pareti, anche se non affrescate, erano interamente
colorate. Così le colonne, i capitelli, le statue, gli arredi.
L'idea di un Medioevo in
bianco e nero si deve a molti fattori. Incide la visione tradizionale
del Medioevo come un periodo buio e già la definizione di "medio" indica un periodo di trapasso tra la grande epoca classica e la
altrettanto grande modernità. Il Medioevo dunque, proprio in quanto
epoca di trapasso, è in sé poco significativo.
C'è poi la Controriforma e
il trionfo dell'arte barocca che trasforma radicalmente la concezione
architettonica dei luoghi sacri. Gli interni delle chiese si
trasformano, stucchi e ori prendono il posto degli antichi affreschi
ora considerati barbarici. Tutto si incentra sull'altare considerato
in luogo di una rappresentazione, concepita addirittura in modo
teatrale con tanto di quinte mobili, da cui i fedeli, ridotti al
ruolo di spettatori passivi, devono solo assistere. Ne abbiamo un
esempio bellissimo nella chiesa, da poco restaurata, dei Gesuiti a
Mondovì Piazza.
Ma prima di parlare di
un medioevo a colori, occorre chiarire che, come sostiene Michel
Pastoreau, il massimo studioso della simbologia medievale del colore,
il colore è una“costruzione culturale complessa” e non un
semplice dato esterno che lo sguardo rispecchia senza mediazioni.
La conseguenza è
immediata: se il colore è un dato culturale, allora il significato
del colore nell'immaginario collettivo cambia con i tempi e le
culture. Così il blu scuro, un colore freddo per noi, tanto da
essere usato negli abiti da cerimonia dove è richiesta la massima
serietà e compostezza, era invece considerato caldissimo dagli
uomini medievali.
Altrettanto vale per il
contrasto fra i colori. Accostare il rosso e il verde in un abito è
per noi un vero e proprio pugno negli occhi. Pensiamo a una giacca a
righe rosse e verdi. Eppure rappresenta uno degli accostamenti più
diffusi negli abiti medievali. Il giallo e verde, per noi un
contrasto poco marcato, è invece quasi inaccettabile nel Medioevo al
punto che diventano i colori degli abiti dei folli a segnarne
l'alterità.
Dal XII secolo il giallo
diventa il colore della menzogna e del tradimento. Giallo è l'abito
di Giuda., ma anche il colore degli ebrei, gialle sono le stelle di
David o gli altri simboli ebraici cuciti sul vestito perché l'ebreo
sia immediatamente riconoscibile. Il Medioevo ha poi orrore del
chiazzato. Gli animali chiazzati, sia veri come il leopardo o
immaginari come il drago, diventano simboli del peccato e del
diabolico, contrapposti al leone simbolo di regalità e di purezza.
“E' la società a fare
il colore, a dare i significati” commenta Pastoreau.
Il grande dibattito
medievale è se il colore sia luce o materia. Nel primo caso la
valenza è positiva perché rimanda allo spirito, nel secondo
negativa perché richiama il peccato che della materialità è
conseguenza. Ne deriva che l'uso del
colore in una chiesa può dipendere anche, se non addirittura
soprattutto, dal punto di vista sul colore del fondatore dell'Ordine
o del santo a cui l'edificio viene dedicato. Ne è un esempio l'
Ordine cistercense che edifica chiese bellissime, ma prive di
colori. San Bernardo vedeva il colore come materia e dunque come un
elemento disprezzabile. Il colore distrae i monaci e i fedeli. È un
ostacolo alla meditazione, oltre che un cedimento ai lussi mondani
che sono pura apparenza.
Nel mondo medievale il
colore gioca un ruolo fondamentale anche nella vita quotidiana. Gli abiti
sono coloratissimi, così le case sia negli interni che negli
esterni. Sono considerati colori veri solo quelli brillanti. Il
colore evidenzia anche le differenze sociali. Le differenza fra il
popolo comune e la minoranza agiata sta certo nella qualità delle
stoffe usate per confezionare gli abiti, ma soprattutto nei colori:
per i ricchi vivacissimi, per i poveri stinti. Conseguenza diretta
della diversa qualità dei materiali, delle tinture e delle tecniche
usate, ma soprattutto del fatto che i poveri hanno un corredo
ridottissimo e usano gli abiti fino a consumarli, mentre i ricchi
possono rinnovare il loro guardaroba garantendo così la vivezza dei
colori.
Ritornando agli edifici
religiosi, il problema del colore è più complesso di quanto a prima
vista si immagini. Quando sono restaurati i colori delle chiese
medievali sono uguali alla loro condizione originaria? La risposta è
negativa . Va considerato il problema della luce, tanto che oggi
particolare cura è posta proprio nell'illuminazione più idonea a
rendere al meglio ogni particolare di una parete affrescata. Ma
quando quegli affreschi furono dipinti, furono pensati per essere
visti in ambienti scuri, illuminati dalle candele, cioè da luci
fioche e in continuo movimento. Cambiamenti di luce che creavano
l'impressione del movimento delle figure e il cambiamento
dell'espressione dei volti. Erano, come le pitture nelle caverne del
paleolitico, pensati per dare l'idea della vita e del movimento. Alla
luce delle torce i tori di Lascaux sembravano balzare fuori dalle pareti della caverna, così i diavoli delle chiese medievali. Lo sottolinea
Pastoreau: “I colori nella chiesa vivono e si animano secondo il
corso del sole, secondo la stagione e l'ora del giorno, secondo le
condizioni metereologiche”.
Anche il colore delle
statue muta con i tempi. Le statue vengono ridipinte secondo le mode:
abbiamo Madonne prima nere (intorno al Mille) poi vestite di rosso
(XII secolo), di azzurro (XIII-XIV sec.), dorate in epoca barocca, e
infine bianche nel XIX secolo con il dogma dell'Immacolata
concezione.
Le statue erano tutte
dipinte, non solo quelle lignee o di terracotta, ma anche quelle
fabbricate in pietra. La qualità della pittura di una statua stava
nella considerazione popolare alla pari con la qualità della
fattura, tanto che nei laboratori medievali i pittori delle statue
venivano pagati quanto gli scultori. Il colore, come si è visto, non
era un semplice ornamento, ma doveva dare il senso autentico
dell'opera. Come nel mondo romano il color oro, spesso mediante l'uso
di oro purissimo, viene usato per simboleggiare il potere già a
partire dal IX secolo e dunque le aureole di Cristo e dei principali
santi sono di un oro rilucente.
Il grande cambiamento
inizia nel XV secolo. La Corte di Spagna adotta abiti scuri,
tendenti al nero, come simbolo di austerità. Una tendenza ripresa e
rafforzata dalla riforma protestante soprattutto nelle espressioni
più puritane. La controriforma riprende questo aspetto. I preti e
religiosi sono vestiti di nero. L'abito scuro diventa simbolo di
distinzione e serietà. Uso che è rimasto fino ai nostri giorni per
le cerimonie di una certa importanza.
Insomma, volendo tirare
una conclusione, la modernità segna il trionfo dei toni scuri e ci
vorranno gli anni Sessanta del secolo scorso e la grande rivoluzione
dei costumi del '68 per riportare i colori in primo piano e far
tornare il mondo colorato.
(Testo di una lezione tenuta a Spotorno
il 19 gennaio 2016)