Giorgio Amico
16. La caduta del fascismo e il superimperialismo americano
Ancora a fine aprile
1943, a pochi mesi dalla caduta del Duce e del fascismo, Bordiga
espone all'amico Alliotta le sue convinzioni profonde sull'andamento
della guerra. È
un momento particolare, a causa della guerra le sue attività
professionali, fino a quel momento abbastanza fiorenti, sino
fortemente ridotte. Egli e la sua famiglia vivono, come la maggior
parte degli italiani, in grandi ristrettezze economiche. All'incubo di
bombardamenti, si unisce la difficoltà di trovare generi alimentari
al di fuori di quel minimo che il tesseramento permette di
acquistare:
“Non può permettersi
il lusso – riferisce l'Alliotta ai suoi superiori – di rifornirsi
alla borsa nera: ma anche quando i mezzi abbastanza modesti, di cui
dispone, glielo permettessero, si rifiuterebbe di farlo, non per
paura delle sanzioni sancite dalle leggi annonarie, ma perché
convinto che, facendolo, ruberebbe il pane alla povera gente, a
quella cioè che in questo momento soffre di più, perché della
guerra sopporta tutti gli oneri senza ricavarne alcun beneficio”.
[1]
Un'immagine umana che ci
riconcilia con l'uomo Bordiga che, di fronte alle sofferenze imposte
al popolo italiano dalla guerra, pare aver abbandonato
quell'atteggiamento di ironico distacco, se non addirittura di
disprezzo verso la massa che emerge dalle conversazioni degli anni
Trenta. Lo stesso non si può dire delle sue convinzioni politiche,
della sua ostinata convinzione che da un punto di vista proletario
sia auspicabile la vittoria dell'Asse. Rispetto alle dichiarazioni
del 1940 la grande novità è il ruolo che nei suoi ragionamenti ha
preso posto l'imperialismo americano, soppiantando quello inglese.
Gli Stati Uniti e non più l'Inghilterra sono ora il bastione più
saldo del capitalismo e la loro vittoria sulla Germania
significherebbe la fine dell'Europa come realtà autonoma e un
pesante servaggio per il proletariato:
“Io posso dire –
afferma Bordiga – di essere in questo d'accordo col Duce, quando
Egli afferma che, se un uomo c'è che ha voluto diabolicamente la
guerra, che l'ha prima preparata e poi suscitata, questo è il
Presidente americano. Dal mio punto di vista chiarisco però che
Roosevelt non è altro se non l'esponente del supercapitalismo che
mira alla conquista di un imperialismo totalitario. […] Gli
americani, senza spreco di uomini propri, ma con l'impiego dei mezzi
colossali di cui dispongono, contano sull'esercito sovietico per
vincere la guerra. Se la vinceranno, sarà instaurato sul mondo il
più duro e più triste servaggio che abbia sinora registrato la
storia”. [2]
Parlando con Alliotta
Bordiga si rivela ben informato sulla situazione italiana, sui
segnali già avvertibili della crisi che porterà il 25 luglio alla
defenestrazione di Mussolini. Ma anziché gioirne, egli rivela un
odio feroce verso le opposizioni che si stanno riorganizzando nel
Paese “col favore del Vaticano e con quello della massoneria”,
non privo, ed è la prima e probabilmente l'unica volta che accade, di accenti apertamente
antisemiti. Così parlando dei tentativi di riorganizzazione del
Partito socialista, giudicati peraltro ridicoli, egli se la prende
col vecchio compagno di confino Romita, con cui pure a Ponza aveva
fraternamente condiviso vitto e alloggio, definendolo “il prototipo
del piccolo borghese che aspira al dominio politico solo per potersi
arricchire con mentalità prettamente ebrea”. [3] Insomma,
nonostante la sua affermazione, ripetuta anche in questa occasione,
di essere solo “un osservatore e uno studioso”, Bordiga rivela in
questo lungo colloquio quanto egli abbia negli anni assorbito la
propaganda del regime, tanto da mostrare una fiducia totale nei
proclami di Hitler e Mussolini sulle terribili “armi segrete” in
loro possesso, destinate a invertire il corso della guerra e a
decretare il trionfo dell'Asse:
“L'illusione
maggiore però è quella di coloro che ritengono che i regimi
totalitari siano ormai rassegnati a sparire dalla scena del mondo
senza tentare, nel campo delle operazioni belliche, qualcosa di
nuovo, di straordinario quale nessuno finora prevede. È un errore
madornale quello di pensare che il conflitto si approssimi al suo
epilogo. Io penso che Mussolini e Hitler [...]stiano appunto
esaminando le misure da prendere in questo senso e sono sicuro che la
guerra avrà nuovi imponenti sviluppi, e che l'Asse, ben lungi dal
posare le armi, darà ancora molto filo da torcere alle democrazie.
Non mi sorprenderei affatto se l'odierna situazione militare dovesse
rovesciarsi anche nel Mediterraneo. Mi pare di averne quasi la
certezza”. [4]
Non stupisce che nessuno,
con l'eccezione di Roberto Gremmo, autore di un libro discutibile per molti
aspetti, ma sicuramente coraggioso, abbia fatto cenno a questa
conversazione che rivela, al di là di ogni ragionevole dubbio,
l'immagine di un uomo che in odio alla democrazia, espressione del
complotto pluto-massonico di dominio del mondo, solidarizza
pienamente con il nazifascismo punta di lancia nella “lotta che i
popoli poveri hanno impegnato contro il supercapitalismo” [5]. Fino
al punto di augurarsi che Mussolini al più presto faccia “piazza
pulita di tutti questi dilettanti che giocano alla rivoluzione” a
partire da un “movimento secessionista che si sarebbe manifestato,
e che si andrebbe sempre più allargando, nel seno dello stesso
Partito Fascista, e che farebbe capo a Grandi ed a qualche altro dei
suoi maggiori esponenti”. [6] E da concludere il suo ragionamento
dichiarando orgogliosamente – beninteso in nome dei principi
comunisti e marxisti che pensa di incarnare – che “il giorno in
cui saranno sconfitte le democrazie anglo-americane suonerò anch'io
la campana a festa”. [7].
Per fortuna del mondo, ma anche del proletariato, le cose andarono in altra maniera e, contrariamente
alle sue aspettative, Bordiga assistette al crollo del fascismo e
all'arrivo degli Alleati a Napoli dopo l'insurrezione spontanea del
proletariato partenopeo che in quattro giornate di scontri feroci
quasi a mani nude aveva costretto i tedeschi ad abbandonare la città.
Episodio di cui egli , che in quel periodo viveva nella sua villetta di Formia, non ci risulta abbia mai parlato nei suoi
scritti. Come si legge in quaderno degli internazionalisti di
Battaglia comunista:
“Con
l'avanzare dei “liberatori” anglo-americani, dopo il loro sbarco
in Sicilia e poi nella penisola, e di fronte ad un certo fermento di
contestazione delle posizioni e delle parole d'ordine portate avanti
da Togliatti e dai suoi accoliti (dopo lo sbarco del Migliore a
Salerno), Bordiga persisterà nel suo personale isolamento. A chi,
nei primi mesi del 1944, tentava di convincerlo ad assumere la
direzione della dissidenza di sinistra, Bordiga rispondeva di
pazientare, rimanendo se possibile ancora all'interno del partito di
Togliatti.[…] Bordiga si limitava a brevi scambi di idee con
qualche vecchio amico e compagno, tenendosi alla larga da ogni
contatto - anche se richiesto - coi primi gruppi di operai e
intellettuali che si andavano qua e là formando in una confusa
opposizione al nuovo PCI e a seguito di qualche locale scissione su
posizioni di richiamo a tradizioni anarchiche, social-massimaliste o
addirittura e vagamente bordighiane”. [8]
Sarà
il caso della Frazione di Sinistra dei comunisti e socialisti
italiani, costituitasi agli inizi del 1944 a Napoli e in Campania
il cui unico contributo di Bordiga fu una mezza paginetta
dell'opuscolo Per la costituzione del vero Partito Comunista, redatto
da Matteo Renato Pistone e da Libero Villone. Nonostante ciò resisteva il
mito del Bordiga rivoluzionario, capo nel 1921 del Partito comunista.
In una corrispondenza telefonica da Napoli del 14 giugno 1944, la
Gazette de Lausanne, presentava Bordiga non solo come il più strenuo
avversario della svolta di Salerno del PCI, ma anche come direttore
del giornale Bandiera Rossa, organo dell'omonimo movimento molto
attivo nella Resistenza romana ma con cui Bordiga non aveva mai avuto
alcun contatto. Secondo il giornale auspicava l'arrivo in Italia
dell'Armata Rossa sovietica e la liquidazione fisica degli ex
fascisti. “Quando l'ora suonerà – avrebbe detto Bordiga – noi
diremo la nostra a colpi di bombe. Non avremo né paura né pietà”.
Una dichiarazione inventata di sana pianta, ripresa anche dalla Radio francese, che preoccupa quello
che resta della Frazione bordighista in Francia che nel numero 7 del
Bollettino di discussione che fa uscire e a Marsiglia,
pubblica, tanto per mettere le mani
avanti, una prudente precisazione:
“ Non
riteniamo affatto – si legge nel comunicato – che un compagno
della capacità ideologica di Bordiga possa esprimere tali posizioni
che, al di là della fraseologia apparentemente radicale, non esprime
che la posizione del capitalismo internazionale e del suo alleato:
‘il socialismo in un paese solo', che ha permesso di gettare il
proletariato nella guerra imperialista. Le condizioni attuali non ci
permettono di verificare con rapidità e precisione la veridicità
dei fatti”. [9]
Timori
nutriti anche dal PCI e tanto, se lo stesso giorno in cui mise piedi a Napoli,
proveniente dall'Unione Sovietica, il 27 marzo 1944, la prima
domanda che Togliatti rivolse ai dirigenti locali del partito fu “E
Bordiga, che cosa fa Bordiga?”. Tranchant la risposta di Maurizio Valenzi: “Niente”.
Al che Togliatti, incredulo, ribattè: “Non è possibile, cercate
di capire”. [10] Toccò a Salvatore Cacciapuoti ribadire che,
almeno fino ad allora, Bordiga non aveva manifestato in alcun modo il
suo pensiero “né con la penna né con la parola”. [11] Nonostante questo, Togliatti, racconta un suo stretto collaboratore di allora, pareva addirittura
“ossessionato dalla preoccupazione di Bordiga a Napoli” [12], ma di fronte alla realtà dei fatti dovette presto cambiare idea, tanto da raccontare anni dopo che,
nonostante le voci che correvano, “da quella parte, però, non si
mosse foglia”. [13]
Anche
gli Alleati e in particolare gli Americani cercarono di capirne di più
e soprattutto di verificare se in qualche modo il vecchio comunista
napoletano poteva essere utilizzato contro il Partito comunista di
Togliatti nell'ottica di quella che poi diventerà la guerra fredda.
L'office of Strategic Services (OSS), l'antenato
dell'attuale CIA, svolse un'indagine riservata su Bordiga i cui
risultati furono poi inviati, il 19 ottobre 1944, a
Washington:
“ Amadeo
Bordiga, illustre pensatore marxista italiano uscito dalla vita
pubblica dal 1926, vive attualmente a Roma. E' tuttora una dinamo
umana e un gigante intellettuale. Incontra leaders politici di tutti
i partiti in colloqui informali, ma smentisce ogni intenzione
immediata di azione politica contro i comunisti con cui ruppe sulla
scelta tra rivoluzione mondiale immediata o temporeggiamento.. Dal
settembre 1943 ha vissuto in stato di estrema ristrettezza a Formia,
a sud di Roma, a poca distanza dal fronte, con sua moglie e sua
figlia medico. Intende tornare alla sua professione di ingegnere
industriale. Non ha un soldo e rifiuta ogni genere di aiuto. Sua
moglie vive nel terrore che anche lui, come Trotsky, possa essere
assassinato qualora decida di rispondere agli appelli di migliaia di
suoi fanatici seguaci e diventi così il capo di un partito comunista
indipendente che può portare alla rovina l'attuale partito comunista
ufficiale. Togliatti troverebbe in Bordiga un potente concorrente.
[…] Secondo Bordiga, Togliatti e il suo partito non sono comunisti.
Sono solo uno strumento dello Stato russo. Bordiga disprezza Nenni,
ma ha più rispetto per un socialista riformista come Modigliani
[...] Il fascismo è la forma politica ed economica più moderna del
capitalismo. Dopo la guerra il fascismo si spargerà in molti paesi
capitalisti sotto diversi nomi.[...] La democrazia è una bugia, in
nessun posto la gente vive democraticamente. Sono tutti guidati da
piccoli gruppi. Quel che esiste è una dittatura della borghesia
sotto nomi diversi”. [14]
Ma
non fu il solo tentativo. Nell'estate del 1944 un altro agente
dell'OSS, l'italo-americano Vanni B. Montana [15] cerca di prendere
contatto con Bordiga, che allora viveva a Roma a casa di una cognata. L'agente parla di una iniziativa personale, dovuta a semplice curiosità, ma, considerato il ruolo che Montana avrà nelle vicende italiane di quegli anni, ci permettiamo di dubitarne:
“Nell'agosto
del 1944, trovandomi a Roma con Antonini poco dopo l'ingresso degli
americani - la città era al buio, affamata - una curiosità
suscitata dai ricordi giovanili mi fece cercare Amadeo Bordiga. Un
giovane socialista di gran nome, mi disse: «Vuoi vederlo? Te lo
faccio vedere». E così lo incontrai. Era rimasto lo stesso del
1921, però con l'aspetto fisico molto meno teso di allora. Non volle
nessun aiuto, neanche un caffè. Si ricordava di me, di un articolo
che verso il 1921 avevo scritto sull'occupazione, da me capeggiata,
del feudo Zafferana nelle vicinanze di Mazara del Vallo in Sicilia.
La moglie, Ortensia, della famiglia di Corso Bovio, era sofferente;
me lo disse una sua sorella ed a questa, sperando che raggiungesse
Ortensia, diedi un po' di quel che Sheba Strunsky, dell'International
Rescue Committee, mi aveva consegnato per aiutare qualche bisognoso”.
[16]
In
realtà nonostante questi tentativi, Bordiga si manterrà una
posizione defilata. Solo dalla metà del 1945 inizierà a
collaborare , ma restandone al di fuori, con il Partito Comunista
Internazionalista che Onorato Damen e Bruno Maffi hanno fondato a
Milano:
“Una
vita politica più attiva da parte di Bordiga, ma sempre entro i
limiti di un parziale impegno e senza alcuna diretta responsabilità,
si comincerà a manifestare solo quando il Partito Comunista
Internazionalista, presente al Nord d'Italia dove si era formato nel
1943, riuscì ad allacciare con lui i primi contatti [...] Bordiga,
dalla seconda metà del 1945 in poi, non va comunque oltre una
partecipazione e una collaborazione quasi anonima all'attività del
partito, limitandosi cioè a un ruolo di consigliere politico, di
collaboratore alla stampa, e a un primo riordino teorico delle
fondamentali posizioni marxiste. […] Va ricordato ancora che
Bordiga non era neppure iscritto al partito: non partecipò mai
direttamente all'organizzazione e alle attività del partito; fu
volutamente assente al Convegno di Torino (1945) e al Primo Congresso
di Firenze (1948), nonostante le fraterne sollecitazioni e i
telegrammi inviatigli dai compagni. In alcune lettere ne criticò
anzi sia l'iniziativa che le modalità e i risultati. Quel medesimo
atteggiamento di rifiuto e di condanna di ogni attività, allora
clandestina, che aveva caratterizzato tutto il periodo del suo ritiro
privato, riaffiorerà per buona parte in Bordiga dopo la caduta del
fascismo” [17]
Due
sono le convinzioni profonde nutrite da Bordiga alla fine della
guerra, la prima riguardante l'antifascismo, considerato “il più
disgraziato e pernicioso prodotto del fascismo”,[18]
la seconda sulla assoluta impossibilità di una autonoma ripresa dell'azione di classe. Come sempre Bordiga ragiona per schemi: non essendo tempo di rivoluzione, non è tempo neppure di mettere in piedi partiti rivoluzionari. Nel
dopoguerra dunque non poteva esserci posto per una
forza rivoluzionaria a sinistra del PCI. L'unica cosa possibile era
un'attività di studio e di riflessione critica da svolgere secondo
linee rigorosamente scientifiche nel più rigoroso anonimato. Da qui l'atteggiamento
contraddittorio di partecipazione/non partecipazione tenuto fino al 1952, quando costruirà un suo
partitino personale, nei confronti del Partito Comunista
Internazionale. Ma questa è un'altra storia che esula completamento
dai limiti del presente studio.
Note
1. ACS-PP-B/1. Appunto anonimo, ma
siglato col numero 591 (Angelo Alliotta), del 30 aprile 1943. Ripreso
in R. Gremmo, Gli anni amari di Bordiga, cit., p. 127.
2. Ivi, p. 128.
3. Ivi, p. 130.
4. Ivi, p. 131.
5. Ivi, p. 129.
6. Ivi, p. 131.
7. Ivi, p. 132.
8. Il PC Internazionalista e il
«bordighismo» del secondo
dopoguerra, cit., p. 10.
9. Philippe Bourrinet, Un siècle de
Gauche Communiste «Italienne» (1915-2015), cit., pp. 30-31.
10. Maurizio Valenzi, C'è Togliatti,
Sellerio, Palermo, 1995, p. 19.
11. Salvatore Cacciapuoti, Storia di un
operaio napoletano, Editori Riuniti, Roma, 1972, p.130.
12. Italo De Feo, Tre anni con
Togliatti, Mursia, Milano, 1971, p. 111.
13.
Marcella e Maurizio Ferrara, Conversando con Togliatti,
Edizioni di cultura sociale, Roma, 1953, p. 321.
14.
Bordiga, il nemico del PCI. Ritratto CIA di un comunista contro,
L'Espresso, n. 1, 5 gennaio 1995.
15.
Giovanni Buscemi “Montana” ,
miltante siciliano del PSI e poi del PCd'I, arrestato nel 1923 e
diventato un confidente dell'OVRA. Alla fine degli anni Venti emigra
negli Stati Uniti dove assume il nome di Montana. Diventato un importante
dirigente sindacale, per conto dell'OSS è in Italia
nel 1944-45. Nel dopoguerra per conto della CIA sarà uno dei
principali artefici della scissione del PSI e poi della CGIL e della
nascita della UIL.
16.
Vanni B. Montana, Ricordo di Amadeo Bordiga, Critica
Sociale n. 16-17, 5 settembre 1970. Quanto al “giovane socialista
di gran nome” si tratta di Matteo Matteotti.
17.
Il P.C. Internazionalista e il bordighismo del secondo dopoguerra, cit., p. 11.
18.
Alfa (Amadeo Bordiga), La classe dominante italiana ed il suo Stato
nazionale, Prometeo n° 2, agosto 1946.
16.
Continua