Riceviamo dai compagni de L'Internazionale e con piacere riprendiamo un intervento sul Covid19 che rappresenta un punto di vista marxista rivoluzionario sulla pandemia.
Lo Stato non siamo “noi”
Nelle grandi catastrofi una determinata forma di organizzazione sociale mostra i suoi punti deboli. La pandemia del Covid-19 è, sotto molti punti di vista, una catastrofe “naturale”.
Ma ogni passo della storia di questa pandemia ci mostra quanto sia diventata nocivo per la specie umana l’ordinamento capitalistico. Ogni attività umana organizzata è ormai sottoposta direttamente o indirettamente alla legge del profitto. Questo fatto fondamentale nelle relazioni sociali caratterizza il capitalismo in tutte le sue forme.
Un articolo di Richard Horton, direttore della prestigiosa rivista medica inglese “The Lancet”, invita a considerare quella del Covid-19 una “sindemia”. In altre parole, secondo questo scienziato, una quantità di condizioni ambientali e di patologie non virali che caratterizzano la vita dei ceti sociali più poveri e fragili, fa sì che questi siano anche le vittime maggiori delle epidemie. Non siamo dunque solamente di fronte a un problema da affrontare con i tentativi di interrompere la catena della trasmissione virale e con i vaccini, ma anche e maggiormente a una questione sociale. In questo interessante articolo si sostiene tra l’altro che “se i programmi per contrastare il coronavirus non terranno conto di fenomeni come la crescita dell’inquinamento, la crescita della povertà, e dei loro effetti sulla salute sulla salute psico-fisica e della mancanza di investimenti in salute pubblica, quei programmi saranno fallimentari perché non garantiranno mai la salute pubblica”.
Il morbo più pericoloso è costituito dalle crescenti diseguaglianze sociali, dal taglio delle spese sociali di ogni tipo, dal crescente aumento della povertà. In una parola, dal capitalismo.
Ma anche la lotta contro la circolazione del virus riflette il tipo di organizzazione sociale e le sue priorità. In questa seconda ondata della pandemia, ad esempio, l’attività industriale è stata completamente esclusa da ogni discussione. Non se n’è parlato nemmeno nelle polemiche sulla definizione delle zone rosse, arancioni o gialle. Evidentemente è stato considerato che le attività legate alla ristorazione, al turismo e all’intrattenimento, nelle quali il contatto tra individui è sotto gli occhi di tutti, potessero essere momentaneamente “sacrificabili”. Ma le pressioni degli industriali sono state tanto forti da imporre al governo e ai partiti, così come ai mezzi di informazione, la “scomparsa” delle aziende manifatturiere, di quelle di trasporto, di quelle che movimentano le merci nei porti e negli interporti. I luoghi dove più direttamente si succhia il profitto dal lavoro umano, virus o non virus, non potevano essere bloccati.
Occasionalmente, gli operai beneficiano degli onori della cronaca. Come i bengalesi che lavorano a quattro euro l’ora nei cantieri spezzini, sottomessi alla violenza e ai taglieggiamenti dei “caporali”. Le indagini della Guardia di Finanza hanno svelato un’organizzazione ben avviata, che usufruiva dell’appoggio di professionisti e consulenti del lavoro, in modo da fare apparire tutto legale, tutto regolare. Marco Revelli ha commentato sulla Stampa dell’11 novembre: “La ricchezza assoluta del consumatore di lusso si sposa alla miseria assoluta del produttore ridotto a «vita di scarto»”.
Ma il governo, per bocca di Giuseppe Conte, ci ripete che “ne usciremo tutti insieme” e che “lo Stato siamo noi”. Invece “lo Stato sono loro”. Lo ha messo ancora più in evidenza la pandemia. per “uscirne tutti insieme” bisognerebbe conoscere l’entità delle risorse disponibili. Bisognerebbe cioè sapere, in soldoni, quanto ha in conti correnti, titoli e proprietà ogni rappresentante delle classi più ricche. E bisognerebbe saperlo in termini reali di disponibilità. Ma la borghesia nasconde i suoi redditi e i suoi patrimoni con ogni sorta di trucco legale e illegale e lo Stato si erge a gendarme della proprietà privata e del segreto bancario, “noi” non possiamo, di conseguenza, indirizzare le risorse disponibili verso un piano di ricostruzione del sistema sanitario, “noi” non possiamo moltiplicare, come sarebbe necessario, i laboratori farmaceutici che dovrebbero produrre i vaccini in quantità sufficienti e in poco tempo, nemmeno possiamo sottrarre ai profitti e alle rendite quello che serve per costruire scuole decenti e alloggi popolari decorosi. Anche la tutela dei lavoratori, sia nel senso della loro salute e della loro incolumità, sia nel senso di salari migliori e di liberazione dall’incubo della disoccupazione, non possiamo farla “noi”.
Lo Stato che rappresenta “noi” lavoratori, che è l’espressione dei nostri interessi e, in fin dei conti, di quelli della grande maggioranza della popolazione, dobbiamo ancora conquistarlo. Il fatto che sia un traguardo ancora lontano non significa che dobbiamo abboccare all’amo degli inganni e delle ipocrisie con i quali il grande capitale nasconde il suo dominio sostanziale sull’economia e sulla società.
13 novembre 2020