Simul
stabunt vel simul cadent.
La
sinistra italiana e Stalin
In
questo quaderno pubblichiamo, riprendendolo dagli atti parlamentari,
il resoconto delle sedute che il 6 marzo 1953 Senato e Camera dei
deputati della Repubblica dedicarono alla commemorazione di Stalin.
Una documentazione importante non solo per comprendere meglio il
clima di quel particolare momento della storia politica italiana, ma
anche per approfondire la conoscenza di alcuni degli esponenti
principali di una sinistra quasi interamente asservita allo
stalinismo e alla propaganda sovietica.
L'intervento
di Scoccimarro in rappresentanza del Partito comunista ne è forse
l'esempio più chiaro e, nella sua brutale ottusità ideologica,
segna una delle pagine più buie della storia del Senato. Il discorso
dell'esponente comunista, che riprende senza batter ciglio una ad una
le peggiori menzogne della propaganda staliniana, al punto di
esaltare come una conquista della civiltà quella collettivizzazione
forzata delle campagne costata la vista a milioni di piccoli
contadini, è paragonabile per il disprezzo della verità e
dell'autorità morale del Parlamento solo ai discorsi tenuti nella
stessa aula da Benito Mussolini negli anni infausti della dittatura.
E non cambia ovviamente nulla che l'esponente comunista fosse
fanaticamente convinto delle sue idee. Anche Mussolini era convinto
di ciò che sosteneva e di essere la guida di una rivoluzione di tipo
nuovo che avrebbe trasformato in meglio l'Italia. Insomma, anche se
espresse in buona fede, le menzogne restano comunque menzogne.
Che
dire poi della celebrazione apologetica di Pertini, che interviene
per il Partito socialista ? Frase dopo frase vediamo crollare il mito
costruito su di lui durante e dopo gli anni della Presidenza della
Repubblica, portando alla luce il cinismo di quello che fu in realtà
un politico mediocre, prima autonomista, poi stalinista, poi di nuovo
autonomista. A differenza di Nenni, personaggio altrettanto
contraddittorio ma che ragionava secondo una visione politica di
prospettiva, Pertini si dedicò soprattutto a difendere la rendita di
posizione derivante dal suo comunque importante passato
antifascista, appoggiando di volta di volta chi gli pareva potesse
garantirgli meglio gli spazi di potere, peraltro esigui, detenuti
all'interno del gruppo dirigente socialista. Un cinico, lo definirà
Panzieri e anche in questa occasione Pertini si mostrerà attento a
non eccedere nei toni, allineandosi allo stalinismo imperante nella
sinistra ma con moderazione. Limitandosi, insomma, a fare della mera
retorica da comizio.
Più
calibrato l'intervento di Togliatti alla Camera, ulteriore prova, se
ce ne fosse bisogno delle capacità dialettiche dell'uomo, ma anche
del suo insopportabile vezzo a posare da professorino. La sua
citazione manzoniana, che di fatto assimila Stalin a Napoleone, è un
pezzo da antologia.
Quanto
a Nenni, non può non colpire, nonostante dall'inizio degli anni
Trenta a decine si contassero le testimonianze sui metodi usati
nella gestione del potere dall'autocrate del Cremlino, la asserita,
ma chissà quanto sincera, convinzione che parlare per la Russia di
dittatura fosse una mera calunnia a fini propagandistici di un
Occidente guerrafondaio e bellicista che in Stalin combatteva
soprattutto l'eterno anelito dell'umanità alla pace.
La
storia, si sa, è impietosa e non fa sconti. Tre anni dopo, proprio
uno dei principali complici di Stalin, quel Chruščëv responsabile
dello sterminio per fame dei contadini ucraini insofferenti del
potere sovietico, rivelerà al mondo gli orrori della dittatura
staliniana. Era la conferma di ciò che Souvarine, Serge, Silone –
giusto per citare alcuni dei testimoni più noti di quegli orrori –
avevano coraggiosamente sostenuto già dalla fine degli anni Venti.
Ma non servirà a molto. La verità rende libero solo chi vuole
essere libero. Lo dimostrerà sempre in quel 1956 la difesa ostinata
dell'URSS in occasione della rivoluzione ungherese fatta da Togliatti
e da un Ingrao chissà perché ancora oggi da qualcuno visto come un
“eretico” del comunismo.
Abbiamo,
per completezza di documentazione, aggiunto poi in appendice
l'articolo che Enrico Berlinguer, allora segretario dei giovani
comunisti, scrisse in quei giorni sulla rivista “Pattuglia”.
Colpisce in quell'ossessivo invito all'impegno, ripetuto come una
formula religiosa o un giuramento solenne, già un accenno di quel
moralismo curiale, spacciato per etica, che caratterizzerà gli
interventi del futuro segretario comunista negli anni del compromesso
storico. A dimostrazione di una continuità di pensiero e di un
Partito incapace di affrontare realmente le contraddizioni della
propria storia e di fare una volta per tutte i conti con lo
stalinismo.
Sarà
solo nel dicembre 1981 che Berlinguer parlerà di “fine della
spinta propulsiva” del comunismo sovietico. Una affermazione a cui
non seguirà però alcuna riflessione autocritica né alcun atto
concreto. Una semplice presa d'atto da spendersi nel teatrino angusto
della politica italiana. Come se sessant'anni prima, nel marzo 1921,
non ci fosse stata la Comune di Kronstadt, e poi la
collettivizzazione forzata delle campagne, lo sterminio per fame dei
contadini ucraini, l'industrializzazione fondata sul lavoro schiavo
fornito dai Gulag, le grandi purghe di fine anni Trenta, il patto
Ribentropp-Molotov e l'alleanza di fatto con il nazismo che aprì le
porte alla guerra, il XX Congresso, l'asservimento dei popoli di
mezza Europa e la repressione sanguinosa della rivoluzione ungherese,
l'URSS era restata fino ad allora il faro del socialismo che segnava
con la sua luce la rotta dell'umanità verso un avvenire radioso di
civiltà e di pace. Solo nel 1981, lo ripetiamo, ci si accorgerà che
quel faro non faceva più luce. Una presa d'atto tardiva e neppure
condivisa da tutti, come dimostrerà l'opposizione prima della
componente cossuttiana e poi la storia fallimentare del Partito della
Rifondazione comunista.
Simul
stabunt vel simul cadent, verrebbe da dire. PCI e stalinismo erano
dal 1926 indissolubilmente legati. Lo dimostrerà nel 1991, a 38 anni
dalla morte di Stalin, il crollo parallelo dell'impero sovietico e
del Partito comunista italiano.
Giorgio
Amico
Il quaderno è liberamente scaricabile dal sito www.academia.edu