Pubblichiamo in
versione «ampliata» lo scritto di Massari che fa da prefazione al
libro fotografico - curato da Sandro Lusini e Cesare Moroni - Ernesto
Che Guevara: la Ruta del Che - Argentina e Bolivia.
Roberto Massari
On the road/En la ruta
En la ruta… On the
road… En route… Auf den Weg… Sulla strada…
L’espressione è antica, è comune a molte lingue e continua ad
evocare sensazioni che nell’epoca di Facebook in Rete o di Fast
and Furious (8!) al cinema riescono a sopravvivere solo come
creazioni mentali (perifrasi storico-concettuali), desideri
immaginifici, impulsi emotivi alla rottura della routine quotidiana.
Immortalata da libri come il classico di Kerouac (1957), assunta come
motto dallo scoutismo degli adulti in auge nell’Italia degli anni
‘60, sussurrata dagli impavidi autostoppisti che affollavano gli
Auberges de la jeunesse di mezza Europa, quell’espressione ha
nondimeno caratterizzato un’epoca, che si può identificare con
discreta approssimazione negli anni ‘50 e ‘60, fino
all’esplosione semiplanetaria del Sessantotto.
Nel ‘68 Guevara era già
morto, da pochi mesi: lui che di quel grande moto giovanile aveva
anticipato quasi ogni ambizione utopica, ogni movente
iperattivistico, ogni urlo di sfida perentoria e radicale contro il
sistema. E aveva anticipato tutto ciò… mettendosi in cammino: in
cammino lungo i sentieri tortuosi, selvatici o falsamente civilizzati
della sua Grande America, la Pacha Mama violentata degli antichi
popoli nativi, meticcia nella sofferenza di nuove immigrazioni e
tradizioni imbastardite.
Ma non si pensi che per
il giovane Ernesto la formula del viaggio vada intesa in senso
allegorico. No: prima imbarcato su navi di lungo corso come
apprendista infermiere; poi i quasi 5.000 km andini in bicicletta; a
seguire, il periplo con Granado compiuto in moto, camion, zattera, a
piedi e in un aereo per il trasporto cavalli; infine il terzo viaggio
cominciato in treno alla stazione di Belgrano (1953) e terminato nel
groviglio di mangrovie de Las Coloradas (1956), in mezzo alla prima
di una lunga serie di stragi dei compagni di lotta.
La trasformazione
rivoluzionaria di Ernesto nel Che era stata preparata
dall’epopea giovanile del viaggio. Ora questa è storia arcinota,
grazie ai libri e al cinema. Quando, però, queste informazioni me le
dava Hilda Gadea (la peruviana sua prima moglie e madre di Hildita),
nei mesi in cui visse con me a Roma (1969 e 1970), nessun altro al
mondo ancora le aveva scritte, teorizzate e forse neanche pensate
(con l’esclusione della madre Celia, il fratello Roberto che me ne
parlò quando fui suo ospite a Buenos Aires, l’amica Tita Infante e
pochi altri suoi intimi). Ma Hilda era la testimone più attendibile,
perché da lei Ernesto aveva ricevuto la prima formazione politica
(sartriana e marxista) che doveva spingerlo a diventare un autentico
ribelle nella mente oltre che nel cuore.
Se i viaggi che ho citato
possono considerarsi l’anabasi di Ernesto dall’Argentina a
Cuba (attraverso Bolivia, Perù, Guatemala e Messico), i luoghi della
guerriglia boliviana costituiscono certamente la catabasi (da
Cuba a La Higuera, passando per Congo, Tanzania, Praga). È
tantissimo da raffigurare per immagini fisse e quindi ben venga
questa sintesi editoriale che ci offre anabasi e catabasi guevariane
con l’immediatezza del mezzo fotografico: un bel mezzo… vista la
qualità cromatica di preziose inquadrature.
Vorrei aggiungere molto, ma lo spazio è poco. Sarebbe giusto però,
per informazione del lettore, che mi dilungassi a descrivere i
progetti di viaggi «Sulle orme del Che» dei quali sono stato il
primo ideatore in assoluto. Non che mancassero fin dai primi anni ‘70
«pellegrini» del guevarismo che andavano a ripercorrere le
varie rutas del Che (io fui tra questi già a Cuba nei sei
mesi che vi trascorsi nel 1968). Ma non erano viaggi organizzati, di
gruppo e dotati di una specifica meta ideale.
Il primo l’organizzai
io a Cuba, e fu certo il primo, visto che nemmeno l’autista, cubano
e membro della Seguridad, riusciva a trovare la strada per
Alegría de Pío dove invece mi ero recato in precedenza. E uno
abbastanza avventuroso l’organizzai in Perù/Bolivia (passando per
Machu Picchu e lago Titicaca). Ma poi dovetti desistere di fronte
all’esplosione turistica e allo sfruttamento commerciale di quelle
idee. Sicché i miei personali viaggi «sulle orme del Che» ho
ripreso a farli con la mente e col cuore, ma seguendo ben altri
itinerari. Si provi per es. a riflettere sul fatto che anche
Caravaggio e Chopin (mese più mese meno) sono morti a 39 anni come
Guevara…
Roberto Massari è
fondatore e presidente (dal 1998) della Fondazione Ernesto Che
Guevara internazionale, principale editore e traduttore
delle Opere del Che in Italia, direttore dei Quaderni
della Fondazione Ernesto Che Guevara.