XIII capitolo del
nostro “Il «rinnegato» Korsch. Storia di un'eresia comunista".
L'incontro con Paul Mattick e i comunisti dei consigli americani
permette a Korsch di affinare la sua analisi del modo di produzione
capitalistico e della condizione della classe operaia di una grande
metropoli imperialista.
Giorgio Amico
Verso la guerra
(1938-1945)
L’incontro con i
comunisti dei consigli americani
Nel 1935 mentre è ancora
in Europa Korsch prende contatto, tramite i comunisti consiliaristi
olandesi del Räte-Korrespondenz, 1 con il piccolo gruppo americano
dell’United Workers’ Party (UWP) e con la rivista International
Council Correspondence animata da Paul Mattick, un operaio tedesco
emigrato già dal 1926 negli Stati Uniti. 2 Cristiano Camporesi nel
suo lavoro sul marxismo americano, pur dedicandogli uno spazio
adeguato, sottolinea con eccessiva insistenza il carattere
ultraminoritario di questo filone. 3 In realtà, pur trattandosi di
realtà molto piccole, con un’influenza politica reale
limitatissima, esse tuttavia esprimono una lucida analisi della
realtà capitalistica e della situazione della classe operaia
americana. Nella sua introduzione al reprint della rivista dei
«gruppi di comunisti dei consigli» in America, New Essays, Paul
Mattick sintetizza efficacemente l’origine e la natura di questo
filone americano del comunismo di sinistra:
“Questa serie di
pubblicazioni, che apparve durante gli anni 1934-1943 sotto il titolo
di «International Council Correspondence», ribattezzata poi «Living
Marxism» ed infine «New Essays», esprimeva le linee politiche di
un gruppo di operai americani riguardo alla lotta di classe
proletaria, alle condizioni della depressione economica e alla guerra
mondiale. Denominandosi «Comunisti dei Consigli» il gruppo
intendeva prendere le distanze dal Partito socialista tradizionale,
dal nuovo Partito comunista e dai vari partiti di opposizione interna
a questi movimenti. Esso rigettava le ideologie e le concezioni
organizzative dei partiti della II e della III Internazionale, così
come quelle della neonata «IV Internazionale». Basandosi sulla
teoria marxista, il gruppo aderiva al principio
dell’autodeterminazione della classe operaia mediante la
costituzione dei consigli operai per la presa del potere politico e
la trasformazione del sistema capitalistico di produzione e di
distribuzione in senso socialista. Esso poteva però essere
considerato soltanto un’organizzazione di propaganda dell’autonomia
della classe operaia (…) I tedeschi del gruppo americano
provenivano dal movimento consiliare tedesco. Gli operai americani
con un retroterra politico provenivano o dagli Industrial Workers of
the World (IWW) 4 oppure dall’ala sinistra del Proletarian Party,
5 il più «americano» dei tre gruppi socialisti che avevano
rivendicato da Mosca il riconoscimento come Partito comunista
«ufficiale»”. 6
Testimoni della deriva
riformista del movimento operaio ufficiale e dell’impotenza dei
partitini “neobolscevichi” e dei gruppi rivoluzionari, i
comunisti dei consigli americani mantengono tuttavia una ferma
fiducia nelle potenzialità di lotta della classe operaia.
“(…) L’impotenza
dei piccoli gruppi leninisti esistenti – scrive nel 1939 Sam Moss –
indica ancora una volta l’obsolescenza dei piccoli gruppi
rivoluzionari riguardo ai reali bisogni proletari (…).La classe
operaia soltanto può promuovere la lotta rivoluzionaria, anche se
oggi si limita a promuovere la lotta di classe non rivoluzionaria, e
la ragione per cui i lavoratori ribelli dotati di coscienza di classe
si uniscono in gruppi al di fuori delle sfere della lotta di classe
reale è soltanto che non vi è ancora alcun movimento rivoluzionario
fra loro”. 7
Si tratta di un modo di
vedere le cose con cui Korsch si sente in totale sintonia come si
evince dall’articolo che con cui egli inizia la collaborazione con
Mattick e in cui ribadisce la sua ferma opposizione ad ogni pretesa
di egemonia sulle lotte operaie da parte di presunte avanguardie
politiche o sindacali:
“Una autentica
combinazione della lotta economica e di quella politica e di ogni
altra forma di attività della classe lavoratrice in un tutto unico
della lotta direttamente rivoluzionaria è l’obiettivo necessario
di ogni rivoluzionario proletario, sia che concepisca questa alleanza
alla maniera «comunista-leninista» - come unificazione di tutte le
forme isolate di lotta nella lotta politica rivoluzionaria – o alla
maniera «sindacalista» - come una estensione ed intensificazione
dell’azione direttamente economica nel tutto di una lotta
direttamente rivoluzionaria e sociale. Su queso punto non c’è
grande differenza tra le due tendenze che oggi sono in competizione e
conflitto fra loro. (…) La coincidenza delle due concezioni sul
rapporto della lotta economica con quella politica emerge tuttavia in
pratica solo nel momento o nel periodo in cui, nell’azione
rivoluzionaria diretta dei consigli operai, politica ed economia di
fatto si fondono. Fino a quel momento la pretesa all’egemonia
avanzata da entrambe le tendenze, da quella «politica» dei
marxisti-leninisti non meno che da quella «economica» dei
sindacalisti, contiene una unilateralità che restringe ed
indebolisce la lotta di classe pratica del proletariato. L’identità
che è presente all’inizio della lotta di classe politica ed
economica degli operai può essere completamente realizzata solo nel
pieno sviluppo della lotta direttamente rivoluzionaria. Non può
essere prodotta in anticipo mediante una «subordinazione» meramente
formale delle «organizzazioni di massa sindacali» al punto di vista
di un partito rivoluzionario come neppure mediante un rifiuto non
meno formale di tutta la «politica», nell’altro campo”, 8
Sottoponendo ad una
minuziosa critica le posizioni dell’American Workers Party, un’
organizzazione politica a sinistra del PCUSA che si proclama il
“partito” della classe operaia, 9 Korsch esprime tutto il suo
disincanto nei confronti di ogni tentativo autoproclamatorio che
sotto il massimalismo delle enunciazioni teoriche non può che
esprimere un orizzonte limitato e parziale:
“(…) Si rivela qui,
[nel] tirarsi indietro pratico dell’AWP di fronte alle enormi
difficoltà dei suoi compiti rivoluzionari proclamati teoricamente,
l’inevitabile tendenza di sviluppo di un partito politico che,
invece di inserirsi come parte precisa, con importanti compiti
parziali, nel movimento della classe operaia esistente, si fa avanti
con una pretesa «teorica» di totalità, nel nome di una teoria
«rivoluzionaria» che, nei rapporti dati, inevitabilmente si
trasforma in una glorificazione ideologica di una pratica molto più
limitata”. 10
Partito dal riformismo
fabiano, passato attraverso gli anni di piombo della militanza nel
partito comunista, bruciata l’esperienza del partitino
rivoluzionario, Korsch non crede più nel ruolo salvifico del
partito, di qualunque partito.Il che non significa un rifiuto tout
court dell’organizzazione politica: egli non diventerà mai,
nonostante le forti simpatie che nutre per i libertari spagnoli, un
anarchico. Piuttosto si traduce in una ferma consapevolezza che il
partito politico, ogni partito politico, non può che svolgere un
ruolo parziale e che solo la classe operaia nella sua concreta prassi
rivoluzionaria è in grado di esaurire quel bisogno di «totalità»
che i marxisti chiamano comunismo.
La collaborazione fra
Korsch e il gruppo dei comunisti consiliari americani, cementata
dalla profonda amicizia personale con Mattick, si traduce in una
lunga serie di articoli, saggi, interventi su temi di politica
internazionale (la Spagna, la guerra, la geopolitica), di politica
economica (la crisi) e di teoria (la crisi del marxismo). Presente
praticamente in ogni numero delle riviste che via via esprimono le
posizioni del gruppo (International Council Correspondence, Living
Marxism, New Essays), Korsch per numero e valore dei contributi
rappresenta dopo Mattick la voce più importante di questo filone
marxista che solo a partire dagli anni Settanta ha ottenuto un
adeguato riconoscimento dalla critica storica. Come nelle precedenti
esperienze politiche anche questa volta la sua partecipazione è
totale: egli non si limita a scrivere per la rivista del gruppo o a
dibattere con Mattick sui temi in discussione, ma si fa carico della
diffusione militante del giornale e della ricerca di nuovi abbonati.
È quanto emerge da una lettera inviata nel giugno 1938 a Mattick da
Seattle, dove in quel momento risiede:
“Caro Paul,
Scusami per il mio lungo
silenzio. Ho ricevuto 8 o 10 giorni fa il pacco con le copie del n.3
di L(iving) M(arxism). (…) È un peccato che abbia ricevuto il
pacco solo dopo la mia conferenza nel Forum della «Peoples Church»;
la sala era piena zeppa e l’impressione forte; avrei potuto
facilmente vendere diversi fascicoli e acquisire nuovi abbonati.
Adesso nella cerchia ristretta dei conoscenti è più difficile;
alcuni (in grado di pagare) hanno paura di incontrare difficoltà per
la tanto attesa naturalizzazione, altri (desiderosi di abbonarsi)
hanno poco denaro. Penso, tuttavia che alcuni si abboneranno,
soprattutto se avrò ancora occasione di parlare. Mandami in ogni
caso qualche scheda di abbonamento; le poche che avevo con me sono
già usate”. 11
Crisi, guerra,
rivoluzione
Già dalla lettera sopra
citata emergono le non facili condizioni in cui si colloca la vita di
Korsch negli Stati Uniti. Sempre più isolato, tagliato fuori dalla
grande politica, il suo unico rapporto con la realtà e le lotte
degli operai americani avviene ormai solamente tramite le riviste
edite da Paul Mattick. Anche nel privato le cose non vanno bene: egli
non riesce ad ottenere la cittadinanza americana, né ad inserirsi
pienamente nel mondo accademico. Con sempre maggiore frequenza nelle
sue lettere traspare un senso di fallimento, di inutilità, di
impotenza conseguenza anche delle sue precarie condizioni economiche
che lo distolgono da quel lavoro sistematico di ricerca e di studio
che egli ha sempre considerato l’asse portante del suo impegno
politico.
“Quanto a me – scrive
ad esempio in una lettera a Partos dell’estate del 1939 –
purtroppo neanche in questo paese sono riuscito ad approdare a
qualcosa. Questa volta ciò è da ascrivere, molto più del solito,
alle mie –a te ben note- «qualità» di inerzia e di inettitudine
al comportamento realistico. Certo potrei ancora trovare , nonostante
l’età, un job 12 accademico; i miei libri sul marxismo, la mia
fama tra gli emigrati tedeschi e last non least, la assai attiva
resistenza del C.P. 13 sono handicaps molto forti per tutto,
perfino per la collaborazione alle riviste, per la pubblicazione di
libri e per conferenze e corsi, gratuiti o meno. (…) La mia
impotenza mi fa star male, soprattutto per la perdita di ogni
effettiva possibilità di aiutare gli amici che essa comporta. (…)
Non ho ancora del tutto abbandonato il mio programma di lavorare su
rivoluzione e controrivoluzione (…). [Unica consolazione] qui il
paesaggio e il clima sono indescrivibilmente belli”. 14
Nonostante questi momenti
di depressione, anche negli Stati Uniti Korsch si dedica ad un
instancabile lavoro di ricerca e di studio da un lato sulla realtà
politica e sociale americana e mondiale, dall’altro sui fondamenti
stessi del marxismo che continua quanto già avviato negli anni
precedenti. Già nel 1935, un anno prima di stabilirsi
definitivamente negli USA, egli aveva inviato un lungo saggio a
Mattick in cui venivano delineati gli assi portanti di una più
complessiva analisi della fase economica e politica a partire dalla
grande crisi del 1929. Uno studio importante perché fornisce le
coordinate entro cui collocare le sue analisi successive sulla
mutazione della natura dello Stato e dello stesso sistema
capitalistico.
Per Korsch la crisi,
scoppiata nel 1929, non solo ancora perdura, ma si è addirittura
approfondita e inasprita determinando le condizioni per lo scoppio di
una nuova, devastante, guerra mondiale. Va pertanto decisamente
combattuta ogni ipocrita contrapposizione tra pace e guerra. Il nuovo
capitalismo monopolistico si presenta oltre che sotto la forma
dell’interventismo statale (fascismo, nazismo, stalinismo, new
deal), anche come una produzione di guerra. La guerra dunque come
tentativo di uscita dalla crisi, come stato permanente dell’economia
capitalistica anche nei periodi di “pace”. Un’analisi
lungimirante che precorre di molti anni le tesi dei teorici della
“permanent war economy” come Tony Cliff o per altri versi del
capitalismo monopolistico come Paul Sweezy. 15
Contro le tesi dei
pacifisti e dei “democratici” che vedono la guerra come una
alterazione del normale stato delle cose Korsch utilizza a fondo gli
strumenti analitici forniti da un marxismo depurato da ogni
incrostazione ideologica.:
“(…) lo specifico
modo di produzione della guerra moderna – un modo di produzione che
non produce prodotti e mezzi di produzione, bensì distruzione e
mezzi di distruzione – non rappresenta niente altro che una normale
manifestazione della produzione capitalistica. Il modo di produzione
capitalistico contiene in sé, da sempre, a tutti i suoi livelli di
sviluppo, entrambi i generi di produzione, quello della creazione e
quello della distruzione dei prodotti. Assieme essi costituiscono,
infatti, le due inseparabili componenti della produzione
capitalistica nella sua specifica forma sociale di «produzione di
merci», vale a dire produzione non semplicemente di prodotti, ma di
prodotti come merci sulla cui intima dialettica è basato questo modo
storico di produzione. La specificità della forma attuale di
capitalismo è costituita dal fatto che oggi tendono sempre più a
scomparire perfino certe residue distinzioni formali tra le due forme
fenomeniche di produzione capitalistica (la cosiddetta produzione
pacifica «normale» e l’altra – in realtà non meno normale –
per la guerra e di guerra), in un processo di reciproca assimilazione
che rende così manifesta l’intima identità di questi due,
egualmente legittimi, settori della produzione capitalistica. In
un’epoca in cui anche una parte della «normale» produzione
pacifica consiste nella distruzione di massa, cosciente e
programmata, di prodotti, di mezzi di produzione, di forze produttive
e di produttori, in cui perfino in tempo di pace il peso relativo
della cosiddetta «industria di guerra» supera di gran lunga e in
misura rapidamente crescente quello di ogni altro settore produttivo,
ed in cui ogni singolo settore di produzione viene considerato
perfino in pace - e all’approssimarsi della guerra, quindi, anche
praticamente gestito – come un mero dipartimento subalterno di
un’unica industria bllica unitaria: in tali condizioni, appare
perfettamente logico affermare che nemmeno nel pensiero va più
distinta dagli altri settori della produzione capitalistica di merci
una guerra divenuta ormai, nei fini e nel modo di esistenza,
indistinguibile dall’industria di guerra e di pace”. 16
Ne consegue
l’obsolescenza della vecchia distinzione tra economia e politica,
tra Capitale e Stato che tendono ormai a divenire un'unica cosa. Per
Korsch - ed è il senso che attribuisce al termine “totalitarismo”e
al contempo il filo sottile che lega fenomeni fra loro apparentemente
diversissimi come il fascismo, lo stalinismo e lo statalismo
rooseveltiano - lo Stato si è ormai trasformato
“da mero capitalista
‘ideale’ nell’attuale «Capitalista Complessivo» e la fusione
del cieco soggetto «Capitale» con lo «Stato» - mallevadore come
organo speciale in un «soggetto-complessivo Capitale unitario». La
lotta contro lo Stato capitalista è divenuta, in effetti, molto più
direttamente una componente della lotta di classe proletaria contro
il dominio capitalistico di quanto non lo fosse in passato, quando il
movimento operaio socialista, prigioniero della falsa alternativa tra
riforma sociale e rivoluzione (soltanto) politica, aveva
completamente perso di vista la concreta totalità della lotta
social-rivoluzionaria della classe operaia”. 17
Totalità che riappare
ora in tutta la sua esaltante concretezza nella Spagna
rivoluzionaria. Tra il 1938 e il 1939 fa uscire su «Living Marxism»
due lunghi articoli sulla rivoluzione spagnola in cui prende le
difese degli anarchici accusati di aver sottovalutato il problema
cruciale della presa del potere politico. Contro i critici prevenuti
che, in nome di una presunta purezza bolscevica, criticano i
tentativi di collettivizzazione messi in atto dagli anarchici
spagnoli e catalani, egli esalta la grandezza di questo movimento,
certo non privo di contraddizioni, ma che può a pieno titolo
collocarsi a fianco della Comune di Parigi, dell’occupazione delle
fabbriche nell’Italia del 1920, dalle lotte degli operai tedeschi e
ungheresi negli anni 1918-1923. Quanto all’esperienza russa,
presentata dai “leninisti” come quanto di più avanzato prodotto
dal proletariato, vero e proprio metro di paragone per le lotte
rivoluzionarie future, Korsch ha buon gioco nell’esaltarne la
portata grandiosa a ricordare come proprio i bolscevichi ne
divenissero già dai primi anni Venti gli affossatori:
“Analogamente i
risultati temporanei più vasti e certo molto più famosi ottenuti
dagli operai rivoluzionari russi nella fase di una reale
sperimentazione comunista nel 1918-1920 non ebbero alcuna importanza
pratica per il successivo sviluppo della cosiddetta «costruzione
socialista» nella Russia sovietica. Essi furono ben presto
denunciati dai bolscevichi stessi come una mera «forma negativa» di
comunismo, imposta ad una riluttante leadership bolscevica dalle
necessità della guerra e della guerra civile. Così il grande
esperimento storico del cosiddetto «comunismo di guerra», che di
fatto rappresentò un passo in avanti verso una società comunista
molto più positivo delle misure di qualsiasi NEP 18 o neo-NEP o
altre varianti delle politiche non più socialiste o proletarie, che
furono più tardi inaugurate dalle varie combinazioni della
burocrazia post-leninista e stalinista, divenne un episodio negletto
e dimenticato proprio in quel paese che anche oggi pretende di
marciare alla testa del proletariato internazional in virtù della
cosiddetta «costruzione del socialismo in un solo paese»”. 19
Per Korsch l’importanza
della rivoluzione spagnola al di là delle concrete possibilità di
vittoria – che al momento dell’uscita del secondo articolo sono
già evidenti i primi segni dell’imminente disfatta repubblicana –
consiste proprio nel carattere di lezione per il futuro. In un mondo
caratterizzato dal decadimento e la corruzione delle “vecchie”
organizzazioni operaie, socialiste e comuniste, politiche e
sindacali, la Spagna ha offerto un esempio vivo ed esaltante di un
nuovo tipo di organizzazione politico-sindacale delle lotte operaie
capace di superare le fratture del passato e far rivivere dal basso
quella visione della rivoluzione come totalità che sostanzia l’opera
del giovane Marx. In particolare l’esperienza delle
collettivizzazioni spagnole ha saputo offrire un modello di
ricomposizione di quella separazione fra politica ed economia che
tanto aveva pesato in negativo sulle esperienze rivoluzionarie del
proletariato europeo dopo il 1848, Russia compresa:
“(…) il nostro
interesse principale va al ruolo importante assunto dal tipo
particolare di sindacato, rappresentato nel modo più caratteristico
dai lavoratori della Catalogna e di Valencia, che fino all’epoca
presente era disprezzato e criticato dai ricchi sindacati inglesi e
dalle potenti organizzazioni marxiste dell’Europa centrale e
meridionale come una forma utopica destinata al fallimento in
qualsiasi situazione critica. Queste formazioni sindacaliste ,
anticentralistiche e antipartitiche erano interamente basate sulla
libera azione delle masse lavoratrici. Le loro attività di routine
come d’emergenza erano guidate sin dall’inizio non da una
burocrazia professionale ma dall’élite dei lavoratori nelle
rispettive industrie. Quella stessa élite cosciente rappresentata
dai comitati d’azione rivoluzionari creati dai lavoratori in lotta
all’interno e fuori dei sindacati per affrontare i vari problemi a
mano a mano che sorgevano, fornì l’iniziativa , la consistenza,
l’esempio e l’azione per le conquiste fondamentali del nuovo
periodo rivoluzionario. Questa lezione storica della
collettivizzazione è di importanza permanente per lo sviluppo
organizzativo e tattico del movimento rivoluzionario”. 20
Ma quello che in fondo
maggiormente colpisce Korsch è la carica rivoluzionaria
immediatamente antistatale del proletariato spagnolo. Per la prima
volta il proletariato non si ferma davanti al tabù rappresentato
dalla proprietà “pubblica”, non scambia nazionalizzazione per
socializzazione. Spontaneamente i proletari spagnoli e catalani
rispondono alla domanda su cosa sia la socializzazione che Korsch si
era posto venti anni prima assistendo agli incerti tentativi dei
consigli operai tedeschi. Ed egli ne resta affascinato:
“Il vigore
dell’atteggiamento anti-Stato del proletariato rivoluzionario
spagnolo, libero da impedimenti organizzativi o ideologici
autoimposti, spiega tutti i suoi sorprendenti successi di fronte a
difficoltà schiaccianti. Spiega il fatto senza precedenti
nell’esperienza europea che la collettivizzazione rivoluzionaria
fu estesa sin da principio e come cosa naturale allo Stato e alle
imprese municipali così come alle aziende capitalistiche”. 21
Guerra imperialistica
e classe operaia
Lo scoppio del secondo
conflitto mondiale e ancora di più l’entrata in guerra degli
Stati Uniti nel dicembre 1941 dopo l’attacco giapponese a Pearl
Harbor modificano radicalmente la situazione già di per sé critica
in cui Korsch vive. Gran parte dell’intellighentsia progressista
appoggia lo sforzo bellico americano considerato parte integrante
della lotta al fascismo e della difesa dell’Unione Sovietica.
Ancora più forte è la mobilitazione fra i tedeschi rifugiatisi
negli Stati Uniti dopo il 1933. Molti di essi sono di origine
ebraica, per cui la guerra antinazista acquista quasi i connotati di
una vera e propria guerra di liberazione. Cosi Alice Mayer,
segretaria di Horkheimer a New York descrive il clima esistente
all’interno dell’Istituto per le ricerche sociali:
“Eravamo tutti
posseduti, per così dire, dall’idea di dover battere Hitler e il
fascismo, e questo ci teneva uniti. Tutti noi, comprese le segretarie
e quelli che frequentavano l’Istituto o vi lavoravano, sentivamo di
avere una missione da compiere che ci dava una sensazione di
reciproca fedeltà e affinità”. 22
Già dai primi giorni di
guerra molti di questi intellettuali iniziano a collaborare con le
autorità governative e militari. I più promettenti vengono
reclutati dai servizi segreti come consulenti o analisti e in qualche
caso anche come agenti. È il caso ad esempio di Franz Neumann
rappresentante del Research and Analysis Branch dell’OSS, di Leo
Lowenthal capo di una sezione dell’Office of War Information (OWI),
di Paul Sweezy, agente dell’Office of Strategic Service in
Inghilterra, Francia e Germania, e ancora di Herbert Marcuse che,
vero caso limite, al termine della guerra non smobilita come gli
altri, ma decide di restare a lavorare nei Servizi, prima nell’OSS
e poi dal 1947 fino alla guerra di Corea nella neocostituita Central
of Intelligence Agency (CIA). 23
Korsch, Mattick e gli
altri componenti la piccola cerchia dei comunisti dei consigli
risentono fortemente di questa situazione di progressiva chiusura di
ogni spazio libero di dibattito o di dissenso. La preoccupazione di
Horkheimer che prima o poi la destra più radicale si sarebbe
scatenata contro «un gruppetto di intellettuali stranieri che
ficcano il loro naso nei fatti privati dei lavoratori americani» 24
vale a maggior ragione per chi come loro non solo non gode di alcuna
protezione, ma continua in qualche modo a collocarsi in un’ottica
di classe. La guerra segna dunque la fine di questa esperienza.
Living Marxism si trasforma nel più anonimo New Essays di cui
usciranno appena tre numeri tra l’autunno del 1942 e l’inverno
1943. Poi, più nulla. Con gli stalinisti scatenati contro chiunque
si opponga alla guerra, con l’intera dirigenza del trotskista SWP
processata e condannata per sabotaggio dello sforzo bellico,
l’estrema sinistra è condannata al silenzio.
Negli anni della guerra,
dunque, Korsch produce pochissimo. Non più giovanissimo e con
qualche problema di salute, anch’egli si deve in qualche modo
piegare alla nuova situazione e rassegnarsi a tenere alcune
conferenze in scuole militari sulla storia della Germania e la
politica tedesca. Riesce, tuttavia, prima che ogni spazio si chiuda,
a pubblicare alcuni articoli sul fascismo e la guerra di grande
spessore teorico in cui sviluppa la tesi, già avanzata negli anni
Trenta, del fascismo come faccia della modernità. Del totalitarismo,
insomma, come espressione diretta di un nuovo tipo di società
capitalistica radicalmente differente da quella studiata da Marx.
Sempre più gli appare evidente che contrariamente alla visione
catastrofista dei marxisti rivoluzionari di inizio secolo, Lenin
compreso, il capitalismo non ha ancora sviluppato a fondo le forze
produttive. Il fascismo, ma in altra forma anche lo stalinismo, si
presenta allora
“come una transizione
dalla forma privata ed anarchica di capitalismo ad un sistema
monopolistico o capitalistico di stato basato su di un capitalismo
pianificato ed organizzato”. 25
Questa considerazione lo
porta ad un certo fatalismo. Ripetutamente egli ribadisce che si
tratta di una tendenza inarrestabile e che sarebbe pertanto “pura
follia” pensare che la tendenza mondiale al capitalismo di stato
possa in qualche modo essere fermata. La corsa al fascismo,
identificato con l’economia organizzata dallo Stato, gli pare
inarrestabile anche negli Stati Uniti dove assume la forma di una
democrazia irregimentata. Non è più possibile tornare indietro. Le
vecchie forme dell’agire economico e politico in Occidente gli
appaiono appartenere ormai al passato. Anche in caso di vittoria
delle potenze Alleate
“né il libero scambio
(che dopo tutto non era poi per gli operai così libero) né gli
altri elementi della tradizionale democrazia borghese – libertà di
stampa, di parola, di comunicazione – potranno essere ripristinati;
né del resto, erano mai esistiti per la classe oppressa e
sfruttata”. 26
Sono tesi che in qualche
modo riecheggiano la teoria del «collettivismo burocratico». 27
Certamente Korsch non conosce l’opera di Bruno Rizzi, ma proprio in
quegli anni è apparsa in America La rivoluzione dei tecnici, il
discusso pamphlet dell’ex-trotskista James Burnham che all’italiano
molto deve sul piano delle idee. 28 Se a ciò aggiungiamo il fatto
che verso la fine della guerra Korsch partecipa alla nascita di
«Politics», rivista che si caratterizza fin dai suoi primi numeri
proprio per la difesa della tesi del collettivismo burocratico,
l’ipotesi di una qualche forma di contaminazione rizziana del
pensiero di Korsch non appare poi così peregrina. 29
In particolare Korsch si
dedica a studiare l’influenza sull’economia e sulla società
americana delle grandi Corporation, ricavandone la visione di una
società “ad una dimensione” rigidamente organizzata:
“L’economia americana
non trae più oggi gli impulsi decisivi dalla concorrenza delle
imprese individuali in un mercato incontrollato («libero»), ma è
diventata, nel suo complesso, un sistema manipolato. (…) La gran
massa dei «prezzi», compresi i salari non viene più stabilita nel
mercato libero, bensì manipolata mediante decisioni amministrative
che sono sì influenzate in varia misura, ma non più strettamente e
direttamente determinate – come in passato – dalle condizioni di
mercato. (…) Questi controlli possono emanare da uno o più centri
di potere; per quanto riguarda la politica del lavoro, ad esempio, le
fila vengono di regola tirate dalla corporazione e da un sindacato
che si dividono più o meno equamente i campi decisionali, mentre
alcuni aspetti dell’intero settore rimangono di competenza del
governo, come avviene nel caso dei minimi lavorativi o della
regolamentazione dei servizi pubblici (…). Non si può continuare a
considerare l’influenza esercitata sul mercato da alcuni potenti
gruppi di pressione come un intervento transitorio (…). La
costituzione della comunità corporata è diventata la vera
costituzione degli Stati Uniti”. 30
Si tratta, come si può
vedere, di riflessioni modernissime riprese e sviluppate a partire
dagli anni Sessanta dai movimenti della nuova sinistra che
riscopriranno e rivaluteranno l’opera di un Korsch, ormai quasi
dimenticato.
In una società
capitalistica totalitaria anche la guerra è ormai divenuta totale.
Korsch si rifà a Marx per il quale il mutameno delle forme di
produzione si esprime prima a livello bellico che non nella
produzione pacifica di merci.
“L’attuale guerra
anticipa quelle nuove forme economiche cui si giungerà poi,
attraverso la transizione di tutti i paesi capitalistici ad un modo
di produzione non più basato sul mercato e sulla concorrenza dei
privati produttori, bensì sulla pianificazione – statale o meno –
di tutte le attività economiche. Ed è principalmente per questo che
la guerra attuale, lungi dall’essere una «ripetizione» del
conflitto del 1914-18, se ne differenzia in maniera così profonda.
(…) Questa volta i principi dell’ «economia di guerra» erano
già in vigore nel tempo di pace precedente. L’intero sistema
industriale di nazioni come la Germania o la Russia è stato
metodicamente subordinato in anticipo alle esigenze di una guerra che
doveva cominciare solo molti anni dopo. Sotto tutti questi aspetti,
la «guerra totale» nazista differisce profondamente dalle forme
precedenti di strategia militare che costituivano un riflesso dello
spirito prevalentemente concorrenziale delle prime fasi del
capitalismo. La guerra odierna appare così come una forma di guerra
totale nuova: una guerra totale del capitalismo monopolistico e del
capitalismo di stato”. 31
Se l’analisi della fase
riprende e sviluppa in modo organico temi già toccati negli anni
precedenti, la vera novità di questi scritti consiste nel profondo
pessimismo che traspare da ogni riga. La passività della classe
operaia americana ed europea che accetta la guerra senza gli
entusiasmi patriottici del 1914, ma neppure senza la rivolta delle
trincee del 1917, lo tocca in profondità. Ancora due anni prima
Korsch si esaltava per il radicalismo spontaneo del proletariato
spagnolo e ciò lo portava a credere che la guerra avrebbe creato di
per se le condizioni di una situazione rivoluzionaria di portata
mondiale. In realtà ciò non si è verificato ed egli incomincia a
trarne le necessarie conclusioni:
“Il significato della
guerra per il futuro movimento rivoluzionario della classe operaia è
oggi estremamente oscuro ed incerto. Qualunque sia l’esito
dell’attuale guerra «totale», è chiaro che per gli operai questa
guerra «rivoluzionaria» non costituisce altro che un inasprimento
delle loro condizioni di sfruttamento e di oppressione. (…) La
guerra capitalistica ha esaurito tutte le sue potenzialità
rivoluzionarie”. 32
1 “Corrispondenza dei
Consigli”, organo di discussione internazionale (1934-1937) del GIC
(Gruppo Comunisti Internazionali) olandese. Cfr. P. BOURRINET, Alle
origini del comunismo dei consigli, Graphos, Genova 1995, p. 220 e
sgg.
2 Per una conoscenza
più approfondita di questo filone del marxismo americano cfr. B.
BONGIOVANNI, La tradizione rivoluzionaria americana e i comunisti dei
consigli europei, in Movimento Operaio e Socialista, XXIII, 4, Genova
1977; e C. CAMPORESI, Il marxismo teorico negli USA 1900-1945,
Feltrinelli, Milano 1973, che ne offre però una visione riduttiva,
viziata da una pregiudiziale ostilità. Di grande interesse sono le
raccolte di testi MATTICK-KORSCH-LANGERHANS, Capitalismo e fascismo
verso la guerra, La Nuova Italia, Firenze 1976; e (in francese)
KORSCH/MATTICK/PANNEKOEK/RÜHLE/WAGNER, La contre-révolution
bureaucratique, UGE, Paris 1973. Per conoscere Mattick cfr. C.
POZZOLI, Paul Mattick e il comunismo dei consigli, in P. MATTICK,
Ribelli e rinnegati, Musolini, Torino 1976. Un’utile Bibliografia
su Paul Mattick e il comunismo dei consigli si può trovare in
Marxiana 1, Bari 1976. Esiste infine una traduzione italiana di
quella che si può considerare la principale opera di Mattick. Cfr.
P. MATTICK, Marx e Keynes, De Donato, Bari 1972.
3 Per Camporesi la
pubblicazione di questa rivista “servì tutt’al più a educare i
suoi creatori e un certo numero di lettori e, nella peggiore delle
ipotesi, ad aumentare l’amarezza per le occasioni perdute”. (C.
CAMPORESI, cit., p. 142)
4 Sugli IWW cfr. P.
RENSHAW, Il sindacalismo rivoluzionario negli Stati Uniti, Laterza,
Bari 1970. Per una più approfondita conoscenza del movimento operaio
americano cfr. fra gli altri: L. ADAMIC, Dynamite, Libri Rossi,
Milano 1977; BOCK/CARPIGNANO/RAMIREZ, La formazione dell’operaio
massa negli USA 1898/1922, Feltrinelli, Milano 1976; R.O. BOYER-H.M.
MORAIS, Storia del movimento operaio negli Stati Uniti 1861-1955, De
Donato, Bari 1974; J. BRECHER, Sciopero!, La Salamandra, Milano 1976;
F. FOX PIVEN-R.A. CLOWARD, I movimenti dei poveri, Feltrinelli,
Milano 1980; M. GLABERMAN, Classe operaia imperialismo e rivoluzione
negli USA, Musolini, Torino 1976; D. GUERIN, Il movimento operaio
negli Stati Uniti, Editori Riuniti, Roma 1975. Per una conoscenza
“strutturale” della classe operaia americana nel secondo
dopoguerra resta fondamentale H. BRAVERMAN, Lavoro e capitale
monopolistico, Einaudi, Torino 1978.
5 Gruppo di esigue
dimensioni, il Proletarian Party of America abbandona presto ogni
suggestione bolscevica per un operaismo radicale fortemente segnato
dalla storia particolare delle lotte di classe in America. Negli anni
Trenta una parte del Partito si sposta sulle posizioni del comunismo
dei consigli europeo e assieme a ex-wobblies costituisce l’effimero
United Workers’ Party. Sulle origini e la storia del Partito
comunista americano cfr. J.P. CANNON, I primi 10 anni del Partito
comunista americano, Jaca Book, Milano 1977; A. DONNO, La «Questione
comunista» negli Stati Uniti, Milella, Lecce 1983; J. WEINSTON,
Storia della sinistra in America, il Mulino, Bologna 1978.
6 P.
MATTICK, Introduzione a New Essays, Greenwood Reprint Corporation,
Westport (Conn) 1970, p. I e VIII. Citato in G.M. BONACCHI,
Teoria marxista e crisi: i «comunisti dei consigli» tra New Deal e
fascismo, in MATTICK-KORSCH-LANGERHANS, cit., p. V.
7 S.
MOSS, On the Impotence of Revolutionary Groups, in «Living Marxism»,
IV, 7, 1939, p. 218.
8 K.
KORSCH, Sul nuovo programma dell’«American Workers Party», in
Scritti politici, 2, cit., pp. 403-404.
9
Nato nel 1933 dalla Conference for Progressive Labor Action (CPLA),
un movimento radicale interno alle organizzazioni sindacali e diretto
dall’ex pastore A.J. Muste, l’American Workers Party nel dicembre
1934 si fonde con la piccola organizzazione trotskista (Communist
League of America - CLA) di J.P. Cannon a formare il Workers Party of
United States (WPUS). Il nuovo partito si spaccherà presto
sull’ipotesi entrista, caldeggiata da Trotsky, nel Socialist Party.
10 K.
KORSCH, Sul nuovo programma…, cit., p. 405.
11 K.
KORSCH, Lettera a Mattick del 3.6.1938, in Marxiana 1, cit., pp.
159-160.
12
“Lavoro”, in inglese nel testo.
13
CP=Communist Party. Gli stalinisti americani si opposero in tutti i
modi all’inserimento di Korsch nel mondo accademico, denunciandolo
come un nemico dell’Unione Sovietica e quindi indirettamente come
un fiancheggiatore del fascismo. Una interessante ricostruzione
dell’ambiente intellettuale “radical” americano di quegli anni
dove forte permaneva l’influenza del PC e dell’URSS staliniana è
contenuta in A. DONNO, Dal New Deal alla Guerra Fredda. Aspetti del
radicalismo statunitense negli anni ’40, Sansoni, Firenze 1983.
14 K.
KORSCH, Lettera a Partos del 12.6.1939, in Marxiana 2, cit., p.
177-179.
15 Non
esiste uno studio italiano sulla vita e l’opera di Tony Cliff,
rimandiamo pertanto all’autobiografia apparsa nel 2000: T. CLIFF, A
world to win, Bookmarks, London 2000. Per la teoria della “permanent
war economy” cfr. T. CLIFF, Marxist Theory After Trotsky,
Bookmarks, London 2003. Per un’analisi interessante del pensiero di
Sweezy cfr. A.M. BERTANI, Keynes nel marxismo di P.M. Sweezy, CLUSF,
Firenze 1975.
16 K.
KORSCH, Osservazioni sulle Tesi concernenti la prossima crisi
mondiale, la seconda guerra mondiale e la rivoluzione mondiale, in
Capitalismo e fascismo verso la guerra, cit., pp. 46-47.
17
Ivi, pp. 48-49.
18
NEP=Nuova Politica Economica. Adottata da Lenin nel 1921in
sostituzione della politica del comunismo di guerra e caratterizzata
da una larga apertura ai contadini e al capitale straniero. Per un
approfondimento cfr. E.H. CARR, La rivoluzione bolscevica 1917-1923,
Einaudi, Torino 1964. Per una trattazione dei risvolti sociali della
NEP cfr. R. LINHART, Lenin i contadini e Taylor, Coines, Roma 1977.
19 K.
KORSCH, Economia e politica nella Spagna rivoluzionaria, in Scritti
politici, 2, cit., p. 291.
20 K.
KORSCH, Collettivizzazione in Spagna, in Scritti politici, 2, cit.,
pp. 299-300. Sui tentativi di collettivizzazione presenti nella
rivoluzione spagnola cfr. F. GARCÍA, Collettività contadine e
operaie durante la rivoluzione spagnola, Jaca Book, Milano 1980; C.
MAROTTA, La breve estate dell’autogestione, in Volontà, XL, n.4,
ottobre-dicembre 1986. Di particolare interesse (e impatto emotivo) è
anche la bella antologia Chi c’era racconta. La Rivoluzione
Libertaria nella Spagna del 1936, Editrice Zero in Condotta, Milano
1996.
21
Ivi.
22 M.
JAY, cit., p.224.
23
Ivi, pp. 259 e sgg.
24
Ivi, p. 318
25 K.
KORSCH, La controrivoluzione fascista, in Capitalismo e fascismo
verso la guerra, cit., p. 164.
26
Ivi, p. 165.
27
Cfr. B. RIZZI, La burocratizzazione del mondo, Edizioni Colibrì,
Paderno Dugnano (MI) 2000. Per una discussione delle tesi di Rizzi
cfr. R. TACCHINARDI-A. PEREGALLI, L’URSS e i teorici del
capitalismo di stato, Lacaita, Manduria-Bari-Roma 1990.
28
Per una trattazione esaustiva della figura e dell’opera di Burnham
cfr. G. BORGOGNONE, James Burnham, Stylos, Aosta 2000.
29
“Verso la fine della guerra, un gruppo composito di ex-trotzkisti
americani fondò la rivista «Politics», - alla cui redazione
parteciparono vecchi rivoluzionari europei come Karl Korsch e Ruth
Fischer – il cui principale teorico era Dwight Macdonald, che
riprese la tesi del collettivismo burocratico.” (P. SENSINI, Saggio
introduttivo a RIZZI, la burocratizzazione del mondo, cit., p.
LXXXII.
30 K.
KORSCH, La lotta operaia contro il fascismo, in Capitalismo e
fascismo verso la guerra, cit., pp. 216-219.
31 K.
KORSCH, Guerra e rivoluzione, in Capitalismo e fascismo…, cit., pp.
245-247.
32
Ivi, p. 249.