Ultimo capitolo del nostro “Il
«rinnegato» Korsch. Storia di un'eresia comunista". Le dieci
tesi sul marxismo oggi e il lascito teorico di Karl Korsch.
Giorgio Amico
Gli ultimi anni
(1946-1961)
Fin dagli anni giovanili
Korsch si era identificato nella classe operaia, ma gli ideali
giovanili non passano mai indenni la verifica della realtà. In
quattro occasioni la sua vita si incrocia con grandiosi movimenti di
massa che paiono porre all’ordine del giorno la possibilità
concreta di costruire un ordine sociale superiore: le lotte di classe
in Germania negli anni compresi fra il 1918 e il 1923, la rivoluzione
russa e la costruzione dello Stato sovietico, la rivoluzione
spagnola, la grande stagione di lotte operaie nell’America del New
Deal.
Con l’eccezione della
Spagna dove comunque l’insorgenza proletaria viene sanguinosamente
schiacciata dalla controrivoluzione franchista e stalinista, 1
Korsch si confronta ogni volta con una realtà che non corrisponde
alla teoria. Ogni volta il solco fra prassi concreta e teoria appare
profondo. La teoria stessa via via perde i suoi connotati scientifici
per trasformarsi in ideologia o sfumare nel mito. L’esperienza
tedesca gli aveva offerto l’immagine di un proletariato esitante,
incerto, incapace di svolgere il suo ruolo storico di affossatore
della borghesia. La particolare storia del movimento operaio tedesco,
il peso del revisionismo bersteiniano e dell’ortodossia kautskiana
sembravano fornire una valida spiegazione dell’accaduto.
A Oriente, nella Russia
arretrata e dispotica un proletariato ancora bambino, non corrotto
dalle lusinghe del capitale, pareva essersi alzato in piedi e
assumere statura di gigante. Anche questa illusione doveva
dissolversi rapidamente: la Russia bolscevica simbolo di liberazione
cambiava natura, si trasformava nel regno di un nuovo dispotismo,
forma asiatica di una rinnovata fase di accumulazione del capitale.
Anche qui la critica dell’ortodossia leninista pareva bastare.
Nell’America del New
Deal, infine, le stesse lotte operaie e la crescita impetuosa del
movimento sindacale diventavano veicolo della ripresa del capitale da
una crisi devastante: il riformismo operaio funzionava da strumento
di sostegno della domanda in un momento di forte stagnazione degli
investimenti. Restava però la speranza che la guerra avrebbe fatto
pulizia e generato una “rivoluzione proletaria mondiale” come
risultato dialettico dell’inasprimento della contraddizione fra
forze produttive e rapporti di produzione. Ma quando la guerra
arriva, la situazione nei principali paesi imperialisti si
caratterizza per la totale assenza di un’azione autonoma degli
operai anche a livelli embrionali. Mandata al macello, la classe
operaia resta passiva.
Posto di fronte a tutto
questo, Korsch è portato a rimettere in discussione non più le
varie interpretazioni del marxismo - il revisionismo di Bernstein,
l’ortodossia di Kautsky, il bolscevismo di Lenin, la nuova
ortodossia staliniana - ma lo stesso valore rivoluzionario del
marxismo come scienza di classe. Altri in quegli anni si erano posti
lo stesso problema. Trotsky ad esempio in un uno dei suoi ultimi
scritti si interroga sulla natura del regime sovietico e ipotizza con
grande lucidità e coraggio intellettuale tutte le possibili
conseguenze che ne possono derivare a livello teorico:
“Portata sino in fondo,
l’alternativa storica è la seguente: il regime staliniano
costituisce una pausa ripugnante nel processo di trasformazione della
società borghese in società socialista, oppure è la prima fase di
una nuova società sfruttatrice. Se la seconda ipotesi dimostrerà di
essere la più giusta, allora naturalmente la burocrazia diventerà
una nuova classe sfruttatrice. Dovremo quindi riconoscere a
malincuore che, se il proletariato mondiale dovesse realmente
dimostrarsi incapace di compiere la missione che gli è stata
affidata dal corso degli eventi, non rimarrebbe altro che riconoscere
che il programma socialista basato sulle contraddizioni interne della
società capitalista si sarà risolto in un’utopia. È chiaro che
richiederebbe un nuovo programma minimo, per la difesa degli
interessi degli schiavi della società burocratica”. 2
Per Trotsky la guerra
rappresenta la cartina al tornasole della questione: egli è
fermamente convinto che la guerra determinerà la rivoluzione e il
crollo della corrotta ed inefficiente dittatura staliniana. Come
tutti sanno, le cose presero un altro corso. Trotsky, assassinato nel
1940 da un sicario staliniano, non potè vedere come la guerra
generasse un capitalismo trionfante destinato ad una trentennale
espansione da un lato e rafforzasse il giogo staliniano sul
proletariato dall’altro. I suoi seguaci rifiutarono di vederlo e si
arrampicarono sugli specchi per far quadrare i conti, inventandosi
teorie sempre più astruse su Stati operai deformati e/o degenerati
da un lato e sulla crisi irreversibile del capitalismo dall’altro.
3 Cose non dissimili possono dirsi dei bordighisti. Certamente più
lucidi nell’analisi del presente, ma egualmente sicuri del
prossimo, inevitabile risollevarsi della rivoluzione proletaria. 4
Nel 1972 Jacques Camatte,
in piena rottura con il marxismo terzinternazionalista, centra il
problema, mettendo senza esitazione il dito nella piaga:
“I vari gruppuscoli che
hanno fatto la loro comparsa a partire dal 1945, si sono sempre
rifiutati di riconoscere la morte del vecchio movimento operaio.
Avrebbero dovuto proclamare la loro stessa autonegazione. Ciò
tuttavia non ha impedito loro di evocarla, interpretarla, teorizzarla
nella solita rubrica: crisi del movimento operaio, concepita per lo
più come una crisi di direzione rivoluzionaria. Molto raramente ciò
ha comportato una ricerca delle cause di questa morte in seno alla
classe stessa”. 5
Korsch, che ha ormai da
anni definitivamente rotto con la logica paralizzante del “partito”,
non indietreggia di fronte al compito ingrato di fare i conti con una
realtà operaia che non segue i contorni del sogno rivoluzionario.
Egli inizia a smontare il mito dall’interno. Dopo esserlo stato per
gli stalinisti, egli torna ad essere il “rinnegato Korsch”, ma
questa volta per i “marxisti rivoluzionari” che si sentono
insidiati nelle loro certezze dalla sua lucida critica marxista del
marxismo. Gabriella Bonnacchi nella sua corposa introduzione
all’edizione italiana dei “New Essays” commenta così questo
snodo cruciale della ricerca politica ed umana di un Korsch sempre
più problematico:
“Il mancato
ribaltamento rivoluzionario della crisi economica ( e,
successivamente, della guerra) e il superamento ad opera del
soggetto-stato (fascista e monopolistico) della vecchia separazione
scolastico-marxista tra economia e politica gli apparve, di
conseguenza, la dimostrazione della contradditorieà di una dottrina
che, come quella marxista, aveva a suo soggetto proprio la classe
operaia”. 6
Per un marxismo non
dogmatico
Già nel 1935 in un breve
articolo intitolato Perché sono marxista, Korsch aveva riformulato
in quattro punti quelli che a suo parere erano le caratteristiche
essenziali del marxismo:
“1. Tutte le
affermazioni di principio del marxismo, anche quelle apparentement
generali, sono specifiche.
2. Il marxismo non è
positivo ma critico.
3. Il suo oggetto non è
la società capitalistica esistente nel suo stato affermativo, ma la
società capitalista in declino, come si rivela nelle tendenze al
crollo e alla rovina in modo dimostrabile.
4. Il suo fine principale
non è il piacere contemplativo del mondo esistente, ma la sua attiva
trasformazione”. 7
Cosa fare, allora, se il
capitale divenuto totale esercita un dominio così reale sulla
società da riducrre il proletariato a spettatore passivo di
conflitti interamente giocati all’interno del capitale stesso? In
che modo pensare il superamento dell’esistente se la contraddizione
capitale-lavoro diviene fittizia al punto che le lotte operaie
ridanno vita al ciclo stesso dell’accumulazione? Prassi e teoria
sono destinati a restare eternamente scissi o si può dialetticamente
ricomporre la totalità che negli anni ’70 Jacques Camatte
chiamerà, rifacendosi a un Marx in gran parte sconosciuto ai
marxisti, Gemeinwesen? 8 Questi in sostanza gli interrogativi che
Korsch si pone quando nella primavera del 1946 scrive un breve saggio
per «Politics», intitolato significativamente Approccio non
dogmatico al marxismo.
“A diverse persone –
inizia Korsch – è stato chiesto tavolta perché sono o non sono
marxiste, proprio come si sarebbe potuto chiedere loroperchè credono
o non credono in Dio, nella scienza, nella morale, nella dottrina
razzista, nella guerra, nella pace o nella minaccia di distruzione
della civiltà con la bomba atomica. (…) Troppo spazio ha preso
infine la questione - la più insensata di tutte – di cercare di
chiarire quale particolare variante delle teorie di Marx, Engels o
delle generazioni successive fino a Lenin, Stalin o Leontiev sia la
versione più ortodossa della dottrina di Marx; oppure – ad un
livello più alto – quale dei vari metodi applicati in tempi
diversi da Hegel, Marx e dai marxisti sia veramente da considerarsi
come il corretto metodo «dialettico».
Di contro a questa
concezione assolutamente dogmatica, che ha reso sterile la teoria
marxista rivoluzionaria in quasi tutte le fasi del suo sviluppo
centenario in Europa e ha frustrato sin dall’inizio l tentativo di
diffondere il marxismo negli Stati Uniti, proponiamo qui la
rivalutazione dell’elemento critico, pragmatico e attivistico che
nonostante tutto non è mai stato completamente assente nella teoria
sociale di Marx e ha reso, nei brevi periodi del suo predominio,
questa teoria l’arma più efficace nella lotta di classe
proletaria”. 9
Elemento centrale di
questa riproposizione di un marxismo critico, spogliato da ogni
paludamento scientista, è ancora una volta la dialettica. Ma una
dialettica di tipo nuovo. Non una specie di “superlogica”, per
usare l’efficace espressione korschiana, bensì una pragmatica
della conoscenza umana. Scrive Korsch:
“Il primo risultato non
dogmatico di questo modo di considerare la dialettica è che non si
diventa rivoluzionari con lo studio della dialettica, ma al contrario
è la trasformazione rivoluzionaria della società ad agire tra
l’altro anche sul modo in cui gli uomini di un determinato periodo
tendono a produrre e a scambiarsi i loro pensieri. La dialettica
materialista è quindi il modo in cui in un determinato periodo
rivoluzionario e durante le varie fasi di questo periodo particolari
classi sociali, gruppi, individui creano e assumono nuove parole e
idee. È la ricerca delle forme, spesso inconsuete e sorprendenti,
nelle quali essi collegano i propri pensieri e quelli di altri,
collaborano nella dissoluzione di sistemi esistenti chiusi e li
sostituiscono con altri sistemi più flessibili, anzi, nel migliore
dei casi, con nessun altro sistema, ma con un nuovo movimento del
libero pensiero senza impedimenti che percorre rapidamente le mutanti
fasi di uno sviluppo più o meno continuo o discontinuo”. 10
Ancora una volta emerge
l’anima libertaria di Korsch che non ha alcun timore a sviluppare
un concetto di dialettica come libera espressione del pensiero.
Korsch recupera qui e utilizza pienamente una serie di strumenti
concettuali che si è andato via via costruendo nel lavoro di
ricerca, iniziato già negli anni Trenta, assieme a Kurt Lewin sui
costrutti matematici in psicologia e sociologia. Una ricerca che
sfocia nello sviluppo da parte di Lewin della “teoria del campo”,
frutto ultimo, genuinamente rivoluzionario, a livello della
psicologia sociale della vecchia dialettica marxiana 11 e che
condiziona fortemente l’angolazione metodologica da cui Korsch
parte nella sua rivisitazione critica del marxismo.
In una relazione tenuta
nel settembre del 1939 al Congresso per l’unità della scienza a
Cambridge (Mass.), Korsch e Lewin avevano chiarito il legame profondo
che la teoria del campo creava tra la psicologia e le scienze
sociali:
“Uno dei prerequisiti
più importanti di questo nuovo tipo di formalizzazione era una
ricostruzione abbastanza radicale dell’idea generale di causa nei
processi psicologici e sociali. Invece di riferirsi ad astratte
relazioni tra classi di fenomeni, l’evento individuale fu
considerato nella sua posizione particolare ad un dato momento. Ogni
mutamento fu concepito come dovuto alle interrelazioni di tali fatti
coesistenti. Questo approccio è generalmente chiamato «teoria del
campo». (…) La sua introduzione in psicologia è all’origine di
un cambiamento non poco rivoluzionario. (…) Una rivoluzione
simile, anche se sotto nome diverso, è adombrata nello sviluppo
delle scienze sociali. Mentre le tesi specifiche della cosiddetta
concezione materialistica della storia, che insiste sull’importanza
basilare dei rapporti economici per ogni comportamento e sviluppo
sociale, ha trovato solo un esiguo numero di sostenitori, non c’è
praticamente opposizione al principio generale che sottosta a quel
teorema specifico. Questo principio corrisponde strettamente
all’approccio della teoria del campo in psicologia. Come i teorici
del campo considerano ogni evento psicologico nella sua collocazione
particolare ad un dato momento, la sociologia materialistica
considera ogni attività sociale, istituzione, processo come un
risultato del campo sociale totale esistente in una determinata
epoca. Da questo punto di vista, risulta un’integrazione dinamica
in un tutto interconnesso di comportamento sociale e sviluppo, di
campi apparentemente così separati quali la produzione materiale o
economia, da un lato, e la politica, il diritto e tutte le cosiddette
branche superiori del processo mentale e vitale dell’umanità,
dall’altro”. 12
Come si vede l’assonanza
tra questa presentazione della teoria del campo e la nuova
formulazione korskiana della dialettica materialistica appare
pressochè totale. Per Korsch chi si affanna a cercare di separare
con pignoleria cause ed effetti dei fenomeni sociali, è condannato a
non cogliere mai la dinamica profonda dei processi in atto. La
società borghese va intesa come un organismo vivente, frutto
dell’integrazione dinamica e complessa di una molteplicità di
fattori. Il marxismo è teoria rivoluzionaria proprio per la sua
capacità radicale di rappresentare questa complessità, cogliendo i
nessi fra i singoli fattori non staticamente, ma nel loro movimento.
Chi in nome di un
marxismo “scienza esatta” usa la teoria per fotografare la realtà
non può che banalizzarla, appiattirla in una inquadratura
unidimensionale, in una parola falsarla. Ciò che conta è cogliere
il ritmo dei processi sociali, il loro reciproco e sempre cangiante
interconnettersi. E più importante ancora, come ciò si rappresenta
nella coscienza e nell’ operare di uomini e donne colti nella loro
concreta quotidianetà.. Korsch, che ha fatto l’esperienza dei
grandi partiti e dei piccoli gruppi, sa bene di cosa parla. Una
rappresentazione statica del mondo, frutto di una visione
determinista e scientista della realtà, rimanda alla teologia, non
certo alla dialettica. In questa dimensione groppuscolare le idee di
Marx perdono di significato, si trasformano in formule astratte. Il
marxismo si tramuta in ideologia, visione ossificata del mondo. La
teoria critica diventa fabbrica di miti. La pratica politica diviene
rito. L’organizzazione assume le caratteristiche della setta. Il
militante si ritrova trasformato in credente. Il marxismo diventa
“coscienza repressiva”.
A mò di conclusione:
abbandonare il marxismo per tornare a Marx
Dopo la guerra Korsch è
solo. La sua produzione si dirada sempre di più col peggiorare delle
sue condizioni di salute. Nei primi anni Cinquanta riesce ancora a
compiere una serie di conferenze in Europa e a stendere il progetto
di un Libro delle abolizioni, tentativo di costruire una teoria
marxista dello sviluppo storico come tendenza all’abolizione di
ogni separatezza, ricostituzione della totalità originaria. 13
Poche decine di pagine di appunti per il lavoro futuro di
sistemazione teorica di una mole immensa di materiali, frutto di una
vita intera dedicata alla militanza e allo studio. Un progetto che
non vedrà mai la luce. Nel 1957 Korsch si ammala gravemente, da
allora fino alla sua morte, sopravvenuta nel 1961, il suo sarà un
lento, doloroso, progressivo spegnersi a livello fisico e
intellettuale.
Considerato lo stato
frammentario ed embrionale, poco più di una trentina di pagine,
delle Abolizioni, la vera opera conclusiva di Korsch sono le 10 tesi
sul marxismo oggi, che rappresentano un vero e proprio testamento
politico. Stese nel 1950 come schema di una conferenza a Zurigo e non
destinate alla pubblicazione, le tesi compendiano l’intero processo
critico ed autocritico del marxismo di Korsch che è stato scritto
resta, nonostante tutto e non senza contraddizioni e paradossi
“fedele e fermo alle idee di Marx, se necessario contro lo stesso
Marx”. 14
Per Korsch non ha più
senso alcuno porsi la domanda in che misura sia ancora valida e
praticamente applicabile la teoria di Marx (Tesi 1). La realtà
stessa del capitalismo è profondamente cambiata. Il dominio del
capitale sulla vita degli uomini è diventato totale. Ne consegue che
ogni tentativo di restaurare come un tutto la dottrina marxista non
rappresenta altro che una “utopia reazionaria” (Tesi 2). Un
ritorno all’indietro che non può sortire effetti positivi. Ciò
non toglie che importanti elementi della teoria marxista mantengano
la loro validità (Tesi 3). Va chiarito dunque che
“Il primo passo per la
ricostituzione di una teoria e prassi rivoluzionaria consiste nel
rompere con la pretesa del marxismo di monopolizzare l’iniziativa
rivoluzionaria e la sua direzione teorica e pratica” (Tesi 4) 15
In questo senso Marx è
da considerarsi solo uno dei molti precursori e fondatori del
movimento socialista. Altrettanto importanti sono uomini come
Proudhon o Bakunin (Tesi 5). La frattura fra comunismo “scientifico”
e comunismo “libertario” può essere finalmente colmata.
Preliminare è, tuttavia, il riconoscimento che il marxismo presenta
numerosi punti critici, quali la sopravvalutazione del ruolo dello
Stato o l’identificazione dello sviluppo dell’economia
capitalistica con la rivoluzione socialista (Tesi 6 e 7). Proprio su
questi basi si è costruita la grande illusione per alcuni, la cinica
menzogna per altri della natura socialista dell’Unione Sovietica.
Con il leninismo il
marxismo si è trasformato definitivamente in ideologia, utilizzabile
nei più diversi contesti e per i più vari obiettivi (Tesi 8 e 9).
Il proletariato è stato così definitivamente spossessato della sua
teoria. Ma la storia non finisce con il crollo delle speranze
nell’URSS socialista e nel ruolo salvifico dell’Ottobre. Il
socialismo resta una possibilità. Ma questa possibilità di
costruire una società diversa può solo nascere dalla gestione
pianificata dell’economia da parte degli esclusi di oggi (Tesi 10).
In quali forme e con quali rappresentazioni teoriche sarà la storia
a dirlo.
C’è chi ha visto nelle
Tesi la manifestazione dell’abbandono definitivo del marxismo da
parte di Korsch. In realtà, nonostante la radicalità della sua
critica, egli continua a considerare Marx un punto di riferimento
fondamentale. In una lettera a Partos, pur densissima di critiche a
Marx e al marxismo, egli afferma che se
“l’attuale e futuro
capitalismo rimane ancora, per profonde che siano le trasformazioni
subite, il «capitalismo», sarà possibile anche in futuro chiamare
ancora socialismo-comunismo-marxismo, la teoria e la prassi
dell’unico movimento veramente anticapitalistico, per mutate che
siano le forme sotto cui esso si presenterà”. 16
Molto tempo dopo, alla
metà degli anni Cinquanta, in una lettera inviata a vecchi compagni
degli anni dalla KPD egli chiarisce con grande chiarezza di che
natura sia il suo rapporto con Marx:
“sono sempre preso dal
mio sogno: restaurare teoricamente le ‘idee di Marx’
apparentemente distrutte dopo la conclusione dell’episodio
Marx-Lenin-Stalin”. 17
Un’affermazione che
pare in piena contraddizione con quanto sostenuto con la tesi 2, ma
non è così. Si noti bene, Korsch parla di “idee di Marx” e non
di marxismo. Una parola che volendo significare troppe cose, ha
finito col tempo per non significare più nulla tanto da apparire
oggi una specie di caos di ideologie contrapposte ciascuna delle
quali pretende di essere il «vero marxismo». 18 Cosa accomuna
Bernstein e Fidel Castro, Labriola e Mao tse Tung, Hilferding e Che
Guevara, Rosa Luxemburg e Pol Pot ? In questo senso la storia della
seconda metà del Novecento ha dato ampiamente ragione a Korsch.
Più che l’affermazione
su scala planetaria delle idee di Marx, il XX secolo ha visto il
trionfo del giacobinismo con la sua fede nello Stato rivoluzionario e
nella dittatura del partito. Il prezzo pagato per questo trionfo è
stato l’annientamento della classe operaia come autonomo soggetto
sociale, protagonista della propria emancipazione. Nella sua polemica
di inizio secolo con Lenin (e Plechanov) il giovane Trotsky lo aveva
in qualche modo intuito.
Ancora una volta
l’interpretazione autentica del reale pensiero di Korsch ci è
offerta dai ricordi di Hedda, sua compagna di vita e di militanza,
che riportiamo qui di seguito a conclusione di questo lavoro:
“ La sua conferenza del
1950, intitolata Dieci tesi sul marxismo, si presta facilmente a
malintesi ma non costituiva un ripudio del marxismo. Quelle tesi non
erano destinate alla pubblicazione, anche se in seguito io permisi
che venissero date alle stampe. Fino alla fine, il perno centrale del
suo interesse fu il marxismo. Ma egli cercò di adattare il marxismo,
così come lo intendeva, ai nuovi sviluppi (…). L’altra sua
preoccupazione principale a quell’epoca era l’ampliamento del
marxismo per far fronte all’avanzare delle altre scienze. Pensava
che, nella misura in cui la società capitalista si era sviluppata
dai tempi di Marx, anche il marxismo dovesse essere sviluppato per
capirla. Il suo testo incompiuto, il Manoscritto delle abolizioni,
costituisce un tentativo di sviluppare una teoria marxista dello
sviluppo storico in termini di futura abolizione delle divisioni che
costituiscono la nostra società – come quelle tra le diverse
classi, tra città e campagna, tra lavoro intellettuale e lavoro
manuale”. 19
Leggendo queste parole ci
è venuto di pensare che a Korsch sarebbe piaciuto il ’68. Vi
avrebbe trovato il segno di quella tendenza alla «abolizione delle
divisioni» che aveva visto all’opera in Spagna e in cui non aveva
mai realmente smesso di credere. Proprio per questo ai giovani del
’68 è piaciuto Korsch. Non poteva essere diversamente per una
generazione di giovani rivoluzionari che coglievano la “separazione”
come caratteristica fondamentale del dominio ormai totale del
capitale sulla specie umana. 20
Qualcuno ha definito il
maggio-giugno 1968 come il momento del «disvelamento». Un momento
di rottura fondamentale: «l’emergere della rivoluzione, ma non la
rivoluzione stessa». 21 Un momento di generale rimessa in
discussione dell’esistente che trovava nell’estrema radicalità
del pensiero korschiano, così come nelle opere di Marcuse, alimento
e stimolo per andare oltre ad una semplice denuncia dell’integrazione
delle organizzazioni operaie nell’ambito della società industriale
avanzata che in realtà non spiega nulla.
Da qui la fortuna che gli
scritti di Korsch hanno avuto in quel periodo, come testimonia anche
la sua fugace riscoperta in Italia. Il recupero del “maggio” da
parte del capitale mediante un’ulteriore accelerazione della
spettacolarizzazione della società da un lato e la degenerazione
groppuscolare del movimento con il ritorno immaginario ad un
marxismo-leninismo “restaurato” dall’altro, avrebbero
determinato il rapido richiudersi già dai primi anni Settanta di
questi spazi di ricomposizione e con essi la pressochè totale
perdita di visibilità delle idee di Korsch. Eppure in un momento di
grande disincanto come l’attuale il pensiero di Korsch, così
radicale nella sua critica di ogni visione consolatoria del reale,
così estremo nel suo rifiuto di ogni schema preconfezionato, ma
anche così carico di speranza può ancora dirci qualcosa. Il suo
coraggioso abbandono del marxismo in favore di un recupero radicale
delle idee di Marx può ancora una volta parlare alla mente (e al
cuore) di una nuova generazione di giovani.
1 Considerato l’ambito
di questo lavoro riteniamo di maggior interesse sottolineare rispetto
alla reazione fascista, il ruolo controrivoluzionario giocato in
Spagna dallo stalinismo. Rimandiamo pertanto il lettore curioso ai
seguenti testi: P. BROUÉ-E. TÉMIME, La rivoluzione e la guerra di
Spagna, Mondadori, Milano 1980; F. MORROW, L’opposizione di
sinistra nella guerra civile spagnola, Samonà e Savelli, Roma 1970;
G. ORWELL, Omaggio alla Catalogna, Mondadori, Milano 1982; C. SEMPRUN
MAURA, Rivoluzione e controrivoluzione in Catalogna, Edizioni
Antistato, Milano 1976.
2 L. TROTSKY, In difesa
del marxismo, Samonà e Savelli, Roma 1969, p. 48.
3 Fedeli alla lettera
dei testi di Lenin e Trotsky dei primi anni Venti, i trotskisti di
tutte le tendenze per l’intera durata dello straordinario boom
economico del dopoguerra hanno continuato in ogni occasione a
ripetere che le forze produttive avevano ormai da decenni “cessato
di crescere”.
4 Con l’eccezione di
alcune parti dell’enorme lavoro teorico svolto nel dopoguerra da
Amadeo Bordiga e dai contributi di bordighisti dissidenti come
Jacques Camatte.
5 J. CAMATTE, Il
capitale totale, Dedalo, Bari 1976, p. 429.
6 G.M. BONACCHI, Teoria
marxista e crisi: i «comunisti dei consigli» tra New Deal e
fascismo, in Capitalismo e fascismo, cit., p.LIV.
7 K. KORSCH, Perché
sono marxista, in Dialettica e scienza nl marxismo, cit., pp.
172-173.
8 Gemainwesen=comunità
materiale.
9 K. KORSCH, Approccio
non dogmatico al marxismo, in Dialettica…, cit., p. 190.
10 Ivi, pp. 193-194.
11 Sulle teorie di Lewin
cfr. A. PALMONARI, Teoria di campo e psicologia sociale, in K. LEWIN,
Teoria e sperimentazione in psicologia sociale, il Mulino, Bologna
1990.
12 K. KORSCH, Costrutti
matematici in psicologia e sociologia, in Dialettica e scienza nel
marxismo, cit., pp. 100-101.
13 Sul Libro delle
abolizioni cfr. R. DUTSCHKE, Lenin rimesso in piedi, La Nuova Italia,
Firenze 1979, pp. 304-305.
14 G.E. RUSCONI,
Autonomia operaia e controrivoluzione, cit., p. XLIV.
15 K. KORSCH, 10 tesi
sul marxismo oggi, in Scritti politici, 2, cit., p. 429.
16 K. KORSCH, Lettera a
Partos del 25.11.1935, in Marxiana 2, cit., pp.160-161.
17 Citato in G.E.
RUSCONI, Autonomia operaia…, cit., p. XLI.
18 P. SOUYRI, Il
marxismo dopo Marx, Mursia, Milano 1973, pp. 98-99.
19 H. KORSCH, cit., p.
15
20 “Con la separazione
generalizzata tra il lavoratore e il suo prodotto, si perde ogni
punto di vista unitario sull’attività compiuta, ogni comunicazione
personale diretta tra i produttori. Con il progredire
dell’accumulazione dei prodotti separati, e della concentrazione
del processo produttivo, l’unità e la comunicazione diventano
l’attributo esclusivo della direzione del sistema. La vittoria del
sistema economico della separazione è la proletarizzazione del
mondo”. G. DEBORD, La società dello spettacolo.
21 J. CAMATTE, Il
disvelamento, La Pietra, Milano 1978, pp. 31 e sgg.