Qualche anno fa, uscì
per la la Colibrì di Milano, Il "rinnegato" Korsch. Storia
di un'eresia comunista, prima (e ci risulta ancora unica) biografia
italiana del filosofo e esponente del comunismo dei consigli tedesco.
Il libro andò subito esaurito e non è stato più ristampato. In
attesa di una possibile riedizione aggiornata del libro, ne
riproponiamo il contenuto. Oggi presentiamo il quarto capitolo relativo
al temporaneo allineamento di Korsch alle posizioni del Pc russo.
Giorgio Amico
Il periodo
dell'ortodossia (1924-1925)
Con il 1923 anche la vita
privata di Korsch muta. In conseguenza dei fatti dell’Ottobre egli
viene sospeso dall’insegnamento all’università di Jena. Si
dedica dunque a tempo pieno all’attività di partito in qualità di
deputato comunista al Reichstag di Berlino, città nella quale si è
trasferito con Hedda nella primavera del 1924 e dove ha anche assunto
la carica di redattore capo della rivista teorica del partito Die
Internationale. È nell’ambito di questa sua nuova attività che
egli riflette sull’esperienza della sconfitta, ricercandone le
cause non solo all’esterno del partito, ma anche nella politica
svolta da questo. Questa sua ricerca si incrocia con l’esplodere
in Unione Sovietica del primo grande scontro per la successione a
Lenin che vede contrapporsi da un lato i «vecchi bolscevichi»
Stalin, Zinov’ev, Kamenev e dall’altra il parvenu Trotsky.
Secondo la testimonianza
di Margarete Buber Neumann, allora intima amica di Korsch, già dal
1922 questi sarebbe stato un acceso sostenitore di Trotsky e un
critico severo di Lenin:
“Ci trattenemmo –
scrive la Neumann - ancora a lungo in un caffè. (…) Korsch, il
prototipo dell’intellettuale di sinistra, sostenne quasi da solo
tutta la conversazione. Con mio grande stupore, osò criticare Lenin
che caratterizzò come dispotico e tirannico. A suo avviso, Trockij
era la vera testa della rivoluzione, un politico e uno stratega
geniale, un brillante oratore e un ottimo scrittore. La discussione
mi è rimasta bene impressa nella memoria (…). Korsch si esprimeva
molto brillantemente e con grande sicurezza di giudizio; d’un
tratto vidi confondermi tutte le mie concezioni gerarchiche
tradizionali. Naturalmente allora per noi comunisti tedeschi anche
Trockij era uno dei grandi, ma il vero e proprop dio,
l’irraggiungibile, era Lenin. Trockij si collocava su un
piedistallo più basso. In fondo, in un uomo come Korsch, il culto di
Trockij, il padre della teoria della rivoluzione permanente, il
creatore dell’Armata Rossa, non avrebbe dovuto stupirmi molto; come
tanti comunisti tedeschi, egli era sorretto dalla speranza in una
prossima rivoluzione tedesca ed era convinto che fosse imminente”.
1
Nonostante le memorie di
Margarete Buber Neumann siano in genere molto attendibili, questo
passaggio che dipinge un Korsch critico feroce di Lenin e ammiratore
entusiasta di Trotsky suscita non poche perplessità. E non solo
perchè il 1922 rappresenta l’anno in cui forse più forte è
l’identificazione di Korsch con il leninismo e la Russia ed è
quindi difficilmente comprensibile un tale astio verso chi
unanimemente – e la stessa Buber Neumann a suo modo lo conferma –
era considerato il principale artefice della rivoluzione d’Ottobre.
Ma anche considerato come dall’intera produzione korschiana di quel
periodo in nessun modo traspaiano convincimenti così radicali.
Secondo la moglie Hedda non solo non ci furono mai contatti diretti
fra i due, ma è persino difficile comprendere cosa egli realmente
pensasse del fondatore dell’Armata Rossa.
“Per quanto ne so egli
non non ebbe alcun contatto con Trotsky. Riteneva che Trotsky avesse
ragione su molte cose ed era favorevole all’idea della rivoluzione
permanente; ma pensava che anche Trotsky avrebbe giocato un gioco di
potere basato sulle alleanze in maniera nazionalista, cosa che Korsch
disapprovava. Trotsky scrisse e disse anche delle cose che dimostrano
chiaramente come egli avesse un modo diverso di considerare la lotta
di classe: Trotsky poneva un’enfasi minore di Korsch sulla
necessità della coscienza tra gli operai, privilegiando invece la
questione della direzione del partito”. 2
Dunque Korsch non era nel
1922 e non sarà mai neppure in seguito “trotskista”, qualunque
sia il significato che si vuole attribuire a questo termine. Il che
non significa, ovviamente, che come esponente di primo piano del
comunismo tedesco non entri in qualche modo in rapporto con il grande
rivoluzionario russo. Certo è che egli non simpatizza, né
politicamente né umanamente, per Trotsky alle cui posizioni accenna
raramente e solo in articoli di polemica immediata redatti per dovere
di partito. Nei suoi scritti teorici egli si confronta con Kautsky,
Bernstein, Hilferding, Bucharin e Lenin, ma praticamente mai con
Trotsky.
L’ambiguità di un
Korsch lacerato dai dubbi, ma fedele alla linea si traduce in una
costante tensione tra riflessione teorica e azione politica che ne
indebolisce l’immagine di leader rivoluzionario e rende sterile sul
piano più immediato della lotta di frazione il suo stesso
adattamento alle giravolte della politica sovietica. Chiariamolo
subito: Korsch non è un’ «anima bella», un intellettuale animato
da una forte carica etica, ma privo di formazione politica. Egli non
è uno sprovveduto, un “professorino” rosso come sarcasticamente
lo definirà Zinov’ev nel fuoco delle polemiche successive al V
Congresso dell’Internazionale Comunista. Al pari degli altri
esponenti dell’ala sinistra della KPD, egli è pienamente
consapevole della giungla che è diventata l’Internazionale
Comunista a partire almeno dal secondo congresso del 1920. 3
Lo stesso “culto di
Lenin”, iniziato nella primavera del 1923 con il XII Congresso del
Partito comunista russo 4 allo scopo di rafforzare l’autorità del
triumvirato Zinov’ev-Kamenev-Stalin e zittire le opposizioni
interne e internazionali, aveva chiarito al di là di ogni
ragionevole dubbio come ormai si stessero mettendo le cose a Mosca e
all’interno del Comintern. Approfittando anche dell’inspiegabile
silenzio di Trotsky, Zinov’ev si era spinto per la prima volta
tanto in avanti nella demonizzazione degli avversari da enunciare il
principio, da allora punto fermo della prassi comunista, che “ogni
critica alla linea del partito, anche la critica cosiddetta di
‘sinistra’, è da questo momento obiettivamente una critica
menscevica” 5 cioè oggettivamente controrivoluzionaria.
La lotta di frazione
nel Partito comunista tedesco e la questione Trotsky
Agli inizi del 1924 la
direzione della KPD si spezza. La maggioranza degli aderenti al
gruppo Brandler-Thalheimer abbandona la frazione e si costituisce
come “gruppo di centro”. Grazie allo sfaldamento della vecchia
direzione, la sinistra di Ruth Fischer e Arkadij Maslow si trova in
maggioranza e assume il controllo del partito. Tutta la questione è
gestita dietro le quinte da Zinov’ev e rappresenta sostanzialmente
uno dei tasselli della lotta in corso nel partito russo e
nell’internazionale per la definitiva esclusione di Trotsky dal
potere. Da quel momento e fino alla vittoria definitiva di Stalin nel
1927 la lotta frazionistica russa si sarebbe ripercossa nella KPD
con una violenza che non trova riscontro in nessun altro partito
affiliato al Comintern.
Il IX Congresso della
KPD, che si tiene dal 7 al 10 aprile a Francoforte, segna una
completa vittoria della frazione di sinistra, totalmente supportata
dai sovietici, nei confronti del vecchio gruppo dirigente
brandleriano. Il fatto che la nuova leadership Fischer-Maslow, pur
criticando aspramente la politica condotta dalla direzione in
occasione dei tragici fatti dell’Ottobre 1923, centrasse l’intero
congresso sulla parola d’ordine della “organizzazione della
rivoluzione” dimostra come, prigioniero del suo passato, il Partito
comunista tedesco non riesca a elaborare una analisi corretta della
situazione reale e si condanni pertanto ad una posizione di sterile e
velleitario isolamento.
Come abbiamo già visto,
Korsch condivide le speranze della direzione comunista in una
prossima ripresa della offensiva rivoluzionaria delle masse
proletarie tedesche. Altrettanto decisamente egli si schiera con
l’intera sinistra della KPD dalla parte di Zinov’ev e della
direzione russa nella lotta contro il “trotskismo”. Sono proprio
gli esponenti più accesi della sinistra a ricordare che il
“trotskista” Radek era stato il più influente ispiratore della
politica dei “destri” Brandler-Thalheimer a loro volta
ex-spartachisti. Ciò non toglie che, a dimostrazione della
complessità della situazione, almeno fino al V Congresso del
Comintern, che si tiene all’inizio dell’estate del 1924, Korsch
faccia trasparire dai suoi scritti un tono critico, non perfettamente
allineato alla vulgata moscovita. Così, recensendo il libro di
Lukács su Lenin, se egli non perde l’occasione di criticare come
“unilaterale e insufficiente” l’idea di Rosa Luxemburg che vede
nell’organizzazione un prodotto del movimento rivoluzionario di
massa, non pare, tuttavia, accettare completamente la visione
leninista del rapporto masse-partito. Per Korsch il partito
rivoluzionario opera non contro, né sopra, ma attraverso i consigli
operai che “già nelle loro primissime forme meno sviluppate
mostrano il loro carattere essenziale di controgoverno proletario”.
6 Certo, il potere dei consigli operai stride con la realtà concreta
di una Russia che, uscita dalla tragica parentesi della guerra civile
e del comunismo di guerra, ha imboccato la via più moderata della
NEP. Korsch non si nasconde le contraddizioni della fase che
risultano principalmente essere il
“mantenimento da parte
dei bolscevichi della vecchia struttura di partito, della vecchia
«antidemocratica» dittatura del partito anche dopo il loro
«ritorno» al capitalismo; il rimanere fermi nel compito di
preparare e organizzare la rivoluzione mondiale, mentre lo Stato del
proletariato russo cerca di stringere la pace con le potenze
imperialiste, di attirare il capitalismo imperialista nella
costruzione della Russia; l’energica pulizia ideologica e il
rafforzamento organizzativo del partito proletario, mentre nello
stesso tempo la politica economica della repubblica dei soviet è
ansiosamente preoccupata di prevenire ogni allentamento
nell’alleanza con i contadini”. 7
La condanna al V
Congresso dell’Internazionale Comunista
Proprio al pensiero di
Lenin, Korsch dedica nella primavera del 1924 un lungo saggio che
vuole essere un contributo ortodosso al dibattito in corso
nell’Internazionale in vista dell’ormai prossimo Quinto
Congresso. Accettando i presupposti teorici della “bolscevizzazione”,
egli riconosce che compito fondamentale dell’ora è la conquista
della maggioranza della classe operaia. La soluzione di questo
compito pratico richiede però l’esistenza di forti partiti
leninisti. “La propaganda del leninismo”, cioè la
bolscevizzazione dei partiti comunisti dell’Occidente, diventa
dunque la parola d’ordine di ogni sezione dell’Internazionale
Comunista. Schierato sulle posizioni di Zinov’ev, Korsch porta il
suo tributo personale alla linea della direzione, criticando chi
anche nel partito tedesco non riconosce nel pensiero di Lenin “il
metodo più completo e vero della dialettica materialistica, il
metodo restaurato del marxismo rivoluzionario”,8 preferendogli la
dialettica luxemburghiana “che dal lato pratico non è una
dialettica completamente ‘materialistica’. 9
Fin qui tutto bene:
Korsch ripete la vulgata ufficiale del Comintern, omaggia la
Direzione, critica ritualmente l’estremismo di Rosa Luxemburg. I
conti incominciano a non quadrare quando egli rivolge la sua critica
alle tesi avanzate in Germania da Thalheimer, accusandolo di
storicismo, di positivismo, di un praticismo completamente
adialettico, di “falsificazione teorica dell’essenza del metodo
marxista e leninista”. 10
In realtà, accusa
Korsch, “sotto la bandiera rivoluzionaria del ‘leninismo’ […]
si tenta oggi di contrabbandare nella prassi e nella teoria del
comunismo rivoluzionario elementi revisionisti, riformatori,
opportunisti e liquidatori di varia specie”. 11 Per cui
l’interpretazione del leninismo offerta da Thahleimer e dalla sua
frazione è “solo una falsa teoria per una falsa prassi politica”.
12 La conclusione, pur espressa con grande cautela, è di quelle che
non piacciono ai custodi di un’ortodossia “leninista” sempre
più rigidamente codificata:
“Il V Congresso come in
tutte le altre questioni immediate pratiche della politica comunista,
così anche nella discussione dei fondamenti teorici di questa
politica, nella questione del programma e dei fondamenti del
leninismo dovrà erigere speciali valli di difesa contro la marea
montante del revisionismo comunista. Con l’adempimento di questa
funzione negativa esso può efficacemente opporsi alla minacciosa
crisi del metodo della scienza marxista rivoluzionaria, restaurata e
completata da Lenin, che nella sua essenza non è altro che la
coscienza teorica dell’azione rivoluzionaria della classe operaia.
Per una definizione positiva dell’essenza del leninismo come metodo
l’attuale momento di sviluppo della Internazionale non è adatto,
come non lo è neppure per la determinazione di un programma
comunista definitivo per un’epoca intera della politica comunista”.
13
L’intervento di Korsch
che – va ricordato – non interviene nel dibattito da semplice
iscritto, ma nella sua veste ufficiale di redattore capo della
rivista teorica del partito, suona come un campanello d’allarme
alle orecchie dei russi che stanno già lavorando alla liquidazione
politica della direzione Fischer-Maslow. L’incauto Korsch finisce
nel mirino dei censori. Il suo libro Marxismo e filosofia, apparso
l’anno precedente in Germania e già tradotto in russo viene
passato ai raggi X e accusato di eresia. Al V Congresso, dove Korsch
è presente come delegato, egli viene duramente attaccato. Il suo
libro è stroncato come “revisionista” e Zinov’ev in persona lo
invita ironicamente a studiare meglio il marxismo e il leninismo. I
russi pretenderebbero addirittura l’estromissione del reprobo dalla
direzione di Die Internationale, ma con un ultimo soprassalto
d’orgoglio i tedeschi non si piegano a quella che appare a tutti
una richiesta veramente eccessiva e Korsch resta al suo posto. Si
tratta solo di un rinvio. Finito nella lista nera di Zinov’ev, egli
verrà allontanato dal suo incarico qualche mese più tardi.
Con il V Congresso inizia
il periodo più contradditorio della vita politica di Korsch. Tornato
in Germania dalla Russia, egli si allinea ancora una volta alla
maggioranza fornendo un pesante contributo alla campagna di
“bolscevizzazione” del partito. Anche se i suoi interventi non
hanno mai la rozzezza denigratoria e la brutalità tipiche della
publicistica comunista dell’epoca, egli riprende acriticamente gran
parte degli argomenti usati contro Trotsky e la Luxemburg, senza
accorgersi di utilizzare nella polemica politica spicciola molte
delle categorie tipiche di quel marxismo volgare che tanto
efficacemente aveva combattuto in Marxismo e filosofia. In Leninismo
e trotskismo, scritto nel febbraio del 1925, Korsch evidenzia come
sino al 1923 le idee di Rosa Luxemburg abbiano costituito la base
teorica del partito comunista tedesco e la necessità
improcrastinabile di “sfruttare la discussione sul trotskismo per
liquidare ancora nello stesso tempo in modo definitivo il
luxemburghismo”. 14
Quanto a Trotsky, egli
sarebbe portatore di una concezione “astratta” della rivoluzione
proletaria che non sa porre nei giusti termini la questione delle
alleanze. “L’errore di Trotsky non consiste nel dichiarare
permanente la rivoluzione, ma nel modo in cui egli immagina questa
rivoluzione permanente, che non è propriamente permanente, ma
integrale, una rivoluzione tutta d’un colpo”. Ne deriva che “il
leninismo si differenzia dal trotskismo per il fatto che per esso il
proletariato non fa una ‘pura’ rivoluzione proletaria con le sue
sole forze e ai soli fini di classe del proletariato, bensì
(esattamente come in epoca precedente fece la classe borghese
rivoluzionaria) fa una sorta di «rivoluzione popolare»“. 15
Korsch è fortemente
influenzato dalle tesi esposte da Stalin ne I principi del leninismo
di cui in un altro scritto esalta “la chiarezza cristallina e la
forza espressiva del linguaggio”. 16 Nonostante gli sforzi
disperati di qualche studioso di ricercare con “un’attenta
decifrazione del gergo ideologico-politico” anche in questi scritti
qualche traccia del pensiero critico korschiano, 17 gli intenti di
Korsch sono qui bassamente apologetici. L’opera di Stalin diventa
così per Korsch “il primo libro in tedesco che presenti il vero
leninismo nella sua interezza (…). Una leva potente per
bolscevizzazione del partito [che] non solo presenta li insegnamenti
di Lenin ma li depura dalle deformazioni aggiunte, li rafforza contro
le deformazioni che li minacciano” 18 e via discorrendo con simili
banalità. Gli scritti di questo periodo, tristissimo per Korsch,
sono tra le cose peggiori che egli scriverà in tutta la sua vita.
Non ne parlerà mai volentieri, anzi cercherà di far dimenticare il
più possibile questo suo temporaneo, ma reale momento di abiezione
politica.
Dato per scontato che,
come per altro dimostrerà il suo impegno degli anni successivi,
Korsch non crede minimamente a ciò che scrive sul futuro “padre
dei popoli”, viene naturale chiedersi perché allora egli si presti
ad una così imbarazzante incombenza. Certamente c’è il tentativo
di recuperare con un atto di formale sottomissione al leninismo di
stampo staliniano lo scivolone del V Congresso. Nelle sue memorie la
moglie Hedda ricorda come durante la sua permanenza a Mosca come
delegato egli avesse avuto la sensazione di essere in pericolo, tanto
da partire prima della data prevista. “Alcuni compagni – scrive –
lo avvertirono che avrebbe potuto essere arrestato perché era
fortemente sospettato di deviazionismo e di commenti sediziosi contro
la leadership sovietica”. 19
È una spiegazione
coerente con il pesante clima di caccia alle streghe che si sta ormai
instaurando nell’Internazionale, ma non basta a spiegare il
comportamento di un uomo che in ogni occasione, dalla guerra ai fatti
dell’Ottobre 1923, ha sempre dato prova di grande coraggio. Occorre
pensare a qualcosa d’altro, a qualcosa di più profondo che scatta
ad un certo punto nell’animo di uomini che come lui hanno dedicato
l’intera vita alla rivoluzione e che si sentono ora orfani di una
speranza. Un sogno tanto grande da giustificare ogni sacrificio non
può spegnersi così. Se, nonostante le sconfitte parziali subite dal
movimento operaio in Occidente, la fase resta rivoluzionaria e la
Russia sovietica il baluardo del movimento comunista, i rivoluzionari
coerenti non possono che schierarsi con Mosca se non vogliono
condannarsi ad uno sterile isolamento. Rompere con Zinov’ev e
Stalin, scrive nel 1923 Togliatti, delineando uno scenario
psicologico per molti versi simile, significa ineluttabilmente
“mettersi in lotta
aperta coll’Internazionale comunista, mettersi fuori di essa,
trovarsi quindi privi di un potente appoggio materiale e morale,
ridotti ad un piccolissimo gruppo tenuto assieme da legami quasi solo
personali, ed essere in breve tempo condannati, se non ad andare
tutti dispersi, certamente a perdere ogni influenza reale e pratica
immediata nello sviluppo della lotta politica…”. 20
Visto in quest’ottica
il comportamento di Korsch ci appare immediatamente assumere un altro
significato che oltrepassa tuttavia l’ambito di un realismo
politico portato alle estreme conseguenze per investire una sfera ben
più intima e profonda. La sua temporanea ortodossia “stalinista”
acquista il senso di un ultimo, disperato, atto di dedizione a quella
causa comunista a cui negli anni giovanili aveva votato la sua vita.
Nonostante i suoi dubbi, Korsch non esita a restare nel partito in
attesa di tempi migliori anche a costo di rinunciare alla propria
coerenza. La dignità personale, l’amor proprio, l’orgoglio
intellettuale sono considerate debolezze “piccolo-borghesi”,
lasciate definitivamente alle proprie spalle al momento dell’adesione
al partito comunista inteso quasi come un ordine religioso in cui
l’individuo si annulla.
Per questi uomini,
provenienti per lo più da una borghesia agiata, l’offerta della
propria individualità al partito assume quasi il valore di una
rinascita mistica, spesso simboleggiata come per i monaci
dall’assunzione di un nuovo nome. Come monaci guerrieri questi
uomini sono disposti ad uccidere e a farsi uccidere in nome di un
ideale superiore, così come sono pronti ad accettare senza reagire
che sia la loro Chiesa a metterli a morte in nome dell’ortodossia.
Korsch è uno di questi uomini. La loro tragedia personale
rappresenta la tragedia ma anche paradossalmente la grandezza
terribile del comunismo del Novecento. 21
1 M. BUBER NEUMANN, Da
Potsdam a Mosca, Il Saggiatore, Milano 1966, p. 83.
2 H. KORSCH, cit., p.
12.
3 Per una testimonianza
di prima mano sul clima avvelenato nell’Internazionale Comunista
già dagli anni di Lenin cfr. A. BALABANOFF, La mia vita di
rivoluzionaria, Feltrinelli, Milano 1979. Per un’ impietosa, ma
affascinante ricostruzione di quel periodo cfr. il bel romanzo di M.
RAGON, La memoria dei vinti, Nuove Edizioni Internazionali, Milano
1997.
4 “Noi conosciamo -
aveva affermato Kamenev aprendo il congresso – soltanto un antidoto
contro ogni crisi, contro ogni errore di decisione: l’insegnamento
di Vladimir Il’íc”. Citato in E.H. CARR, La morte di Lenin,
Einaudi, Torino 1965, p. 258. Sul XII Congresso, il primo senza
Lenin, cfr. anche R.V. DANIELS, La coscienza della rivoluzione,
Sansoni, Firenze 1970, pp. 282-316.
5 L’inspiegabile
passività di Trotsky al XII Congresso ha da sempre colpito
l’attenzione degli storici che hanno parlato di “occasione
perduta”. Cfr. in proposito, oltre al già citato R.V. DANIELS,
P. BROUÉ, Trotsky, Fayard, Paris 1988, pp. 352-367 e I. DEUTSCHER,
Il profeta disarmato, Longanesi, Milano 1970, pp. 130-143. Trotsky
stesso ne parla diffusamente e in modo autocritico nelle sue memorie.
Cfr. L. TROTSKY, La mia vita, Mondadori, Milano 1961, p. 404.
6 K. KORSCH, Su Lenin e
il leninismo. In Scritti politici, 1, cit., pp. 79-80.
7 Ivi.
8 K. KORSCH, Lenin e il
Comintern. In Scritti politici, 1, cit., pp. 68-69.
9 Ivi.
10 Ivi, p. 74.
11 Ivi, p. 75.
12 Ivi.
13 Ivi, pp. 75-76.
14 K. KORSCH, Leninismo
e trotskismo. In Scritti politici, 1, cit., p. 101.
15 Ivi, p. 102.
16 K. KORSCH, Su lenin e
il leninismo. In Scritti politici, 1, cit., p. 86
17 E’ il caso di G.E.
Rusconi nelle note introduttive agli Scritti politici di Korsch.
18 K.
KORSCH, Su Lenin…, cit., pp. 86-87.
19 H.
KORSCH, cit., p. 12.
20 P.
TOGLIATTI, Lettera a Gramsci del 1 maggio 1923. In La formazione del
gruppo dirigente del Partito comunista italiano nel 1923-1924,
Editori Riuniti, Roma 1984 (IV ed.), p. 55.
21
Questo accostamento fra militanza rivoluzionaria e vita monastica
potrà forse sembrare azzardato, ma ci è stato suggerito dall’uso
del termine moine-soldat fatto da Robert Barcia, principale
esponente dell’organizzazione trotskista francese Lutte ouvrière,
per indicare un tipo di militanza rivoluzionaria particolarmente
rigorosa come quella di LO. Cfr. a questo
proposito R. BARCIA, La véritable histoire de Lutte ouvrière,
Denoël, Paris 2003; F. KOCH, Le vraie nature d’Arlette, Seuil,
Paris 1999; C. NICK, Les Trotskistes, Fayard, Paris 2002.