TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


mercoledì 4 ottobre 2017

5. Karl Korsch e la Russia (1924-1925)


Qualche anno fa, uscì per la la Colibrì di Milano, Il "rinnegato" Korsch. Storia di un'eresia comunista, prima (e ci risulta ancora unica) biografia italiana del filosofo e esponente del comunismo dei consigli tedesco. Il libro andò subito esaurito e non è stato più ristampato. In attesa di una possibile riedizione aggiornata del libro, ne riproponiamo il contenuto. Oggi presentiamo il quarto capitolo relativo al temporaneo allineamento di Korsch alle posizioni del Pc russo.

Giorgio Amico

Il periodo dell'ortodossia (1924-1925)



Con il 1923 anche la vita privata di Korsch muta. In conseguenza dei fatti dell’Ottobre egli viene sospeso dall’insegnamento all’università di Jena. Si dedica dunque a tempo pieno all’attività di partito in qualità di deputato comunista al Reichstag di Berlino, città nella quale si è trasferito con Hedda nella primavera del 1924 e dove ha anche assunto la carica di redattore capo della rivista teorica del partito Die Internationale. È nell’ambito di questa sua nuova attività che egli riflette sull’esperienza della sconfitta, ricercandone le cause non solo all’esterno del partito, ma anche nella politica svolta da questo. Questa sua ricerca si incrocia con l’esplodere in Unione Sovietica del primo grande scontro per la successione a Lenin che vede contrapporsi da un lato i «vecchi bolscevichi» Stalin, Zinov’ev, Kamenev e dall’altra il parvenu Trotsky.

Secondo la testimonianza di Margarete Buber Neumann, allora intima amica di Korsch, già dal 1922 questi sarebbe stato un acceso sostenitore di Trotsky e un critico severo di Lenin:

“Ci trattenemmo – scrive la Neumann - ancora a lungo in un caffè. (…) Korsch, il prototipo dell’intellettuale di sinistra, sostenne quasi da solo tutta la conversazione. Con mio grande stupore, osò criticare Lenin che caratterizzò come dispotico e tirannico. A suo avviso, Trockij era la vera testa della rivoluzione, un politico e uno stratega geniale, un brillante oratore e un ottimo scrittore. La discussione mi è rimasta bene impressa nella memoria (…). Korsch si esprimeva molto brillantemente e con grande sicurezza di giudizio; d’un tratto vidi confondermi tutte le mie concezioni gerarchiche tradizionali. Naturalmente allora per noi comunisti tedeschi anche Trockij era uno dei grandi, ma il vero e proprop dio, l’irraggiungibile, era Lenin. Trockij si collocava su un piedistallo più basso. In fondo, in un uomo come Korsch, il culto di Trockij, il padre della teoria della rivoluzione permanente, il creatore dell’Armata Rossa, non avrebbe dovuto stupirmi molto; come tanti comunisti tedeschi, egli era sorretto dalla speranza in una prossima rivoluzione tedesca ed era convinto che fosse imminente”. 1

Nonostante le memorie di Margarete Buber Neumann siano in genere molto attendibili, questo passaggio che dipinge un Korsch critico feroce di Lenin e ammiratore entusiasta di Trotsky suscita non poche perplessità. E non solo perchè il 1922 rappresenta l’anno in cui forse più forte è l’identificazione di Korsch con il leninismo e la Russia ed è quindi difficilmente comprensibile un tale astio verso chi unanimemente – e la stessa Buber Neumann a suo modo lo conferma – era considerato il principale artefice della rivoluzione d’Ottobre. Ma anche considerato come dall’intera produzione korschiana di quel periodo in nessun modo traspaiano convincimenti così radicali. Secondo la moglie Hedda non solo non ci furono mai contatti diretti fra i due, ma è persino difficile comprendere cosa egli realmente pensasse del fondatore dell’Armata Rossa.

“Per quanto ne so egli non non ebbe alcun contatto con Trotsky. Riteneva che Trotsky avesse ragione su molte cose ed era favorevole all’idea della rivoluzione permanente; ma pensava che anche Trotsky avrebbe giocato un gioco di potere basato sulle alleanze in maniera nazionalista, cosa che Korsch disapprovava. Trotsky scrisse e disse anche delle cose che dimostrano chiaramente come egli avesse un modo diverso di considerare la lotta di classe: Trotsky poneva un’enfasi minore di Korsch sulla necessità della coscienza tra gli operai, privilegiando invece la questione della direzione del partito”. 2

Dunque Korsch non era nel 1922 e non sarà mai neppure in seguito “trotskista”, qualunque sia il significato che si vuole attribuire a questo termine. Il che non significa, ovviamente, che come esponente di primo piano del comunismo tedesco non entri in qualche modo in rapporto con il grande rivoluzionario russo. Certo è che egli non simpatizza, né politicamente né umanamente, per Trotsky alle cui posizioni accenna raramente e solo in articoli di polemica immediata redatti per dovere di partito. Nei suoi scritti teorici egli si confronta con Kautsky, Bernstein, Hilferding, Bucharin e Lenin, ma praticamente mai con Trotsky.

L’ambiguità di un Korsch lacerato dai dubbi, ma fedele alla linea si traduce in una costante tensione tra riflessione teorica e azione politica che ne indebolisce l’immagine di leader rivoluzionario e rende sterile sul piano più immediato della lotta di frazione il suo stesso adattamento alle giravolte della politica sovietica. Chiariamolo subito: Korsch non è un’ «anima bella», un intellettuale animato da una forte carica etica, ma privo di formazione politica. Egli non è uno sprovveduto, un “professorino” rosso come sarcasticamente lo definirà Zinov’ev nel fuoco delle polemiche successive al V Congresso dell’Internazionale Comunista. Al pari degli altri esponenti dell’ala sinistra della KPD, egli è pienamente consapevole della giungla che è diventata l’Internazionale Comunista a partire almeno dal secondo congresso del 1920. 3

Lo stesso “culto di Lenin”, iniziato nella primavera del 1923 con il XII Congresso del Partito comunista russo 4 allo scopo di rafforzare l’autorità del triumvirato Zinov’ev-Kamenev-Stalin e zittire le opposizioni interne e internazionali, aveva chiarito al di là di ogni ragionevole dubbio come ormai si stessero mettendo le cose a Mosca e all’interno del Comintern. Approfittando anche dell’inspiegabile silenzio di Trotsky, Zinov’ev si era spinto per la prima volta tanto in avanti nella demonizzazione degli avversari da enunciare il principio, da allora punto fermo della prassi comunista, che “ogni critica alla linea del partito, anche la critica cosiddetta di ‘sinistra’, è da questo momento obiettivamente una critica menscevica” 5 cioè oggettivamente controrivoluzionaria.



La lotta di frazione nel Partito comunista tedesco e la questione Trotsky

Agli inizi del 1924 la direzione della KPD si spezza. La maggioranza degli aderenti al gruppo Brandler-Thalheimer abbandona la frazione e si costituisce come “gruppo di centro”. Grazie allo sfaldamento della vecchia direzione, la sinistra di Ruth Fischer e Arkadij Maslow si trova in maggioranza e assume il controllo del partito. Tutta la questione è gestita dietro le quinte da Zinov’ev e rappresenta sostanzialmente uno dei tasselli della lotta in corso nel partito russo e nell’internazionale per la definitiva esclusione di Trotsky dal potere. Da quel momento e fino alla vittoria definitiva di Stalin nel 1927 la lotta frazionistica russa si sarebbe ripercossa nella KPD con una violenza che non trova riscontro in nessun altro partito affiliato al Comintern.

Il IX Congresso della KPD, che si tiene dal 7 al 10 aprile a Francoforte, segna una completa vittoria della frazione di sinistra, totalmente supportata dai sovietici, nei confronti del vecchio gruppo dirigente brandleriano. Il fatto che la nuova leadership Fischer-Maslow, pur criticando aspramente la politica condotta dalla direzione in occasione dei tragici fatti dell’Ottobre 1923, centrasse l’intero congresso sulla parola d’ordine della “organizzazione della rivoluzione” dimostra come, prigioniero del suo passato, il Partito comunista tedesco non riesca a elaborare una analisi corretta della situazione reale e si condanni pertanto ad una posizione di sterile e velleitario isolamento.

Come abbiamo già visto, Korsch condivide le speranze della direzione comunista in una prossima ripresa della offensiva rivoluzionaria delle masse proletarie tedesche. Altrettanto decisamente egli si schiera con l’intera sinistra della KPD dalla parte di Zinov’ev e della direzione russa nella lotta contro il “trotskismo”. Sono proprio gli esponenti più accesi della sinistra a ricordare che il “trotskista” Radek era stato il più influente ispiratore della politica dei “destri” Brandler-Thalheimer a loro volta ex-spartachisti. Ciò non toglie che, a dimostrazione della complessità della situazione, almeno fino al V Congresso del Comintern, che si tiene all’inizio dell’estate del 1924, Korsch faccia trasparire dai suoi scritti un tono critico, non perfettamente allineato alla vulgata moscovita. Così, recensendo il libro di Lukács su Lenin, se egli non perde l’occasione di criticare come “unilaterale e insufficiente” l’idea di Rosa Luxemburg che vede nell’organizzazione un prodotto del movimento rivoluzionario di massa, non pare, tuttavia, accettare completamente la visione leninista del rapporto masse-partito. Per Korsch il partito rivoluzionario opera non contro, né sopra, ma attraverso i consigli operai che “già nelle loro primissime forme meno sviluppate mostrano il loro carattere essenziale di controgoverno proletario”. 6 Certo, il potere dei consigli operai stride con la realtà concreta di una Russia che, uscita dalla tragica parentesi della guerra civile e del comunismo di guerra, ha imboccato la via più moderata della NEP. Korsch non si nasconde le contraddizioni della fase che risultano principalmente essere il

“mantenimento da parte dei bolscevichi della vecchia struttura di partito, della vecchia «antidemocratica» dittatura del partito anche dopo il loro «ritorno» al capitalismo; il rimanere fermi nel compito di preparare e organizzare la rivoluzione mondiale, mentre lo Stato del proletariato russo cerca di stringere la pace con le potenze imperialiste, di attirare il capitalismo imperialista nella costruzione della Russia; l’energica pulizia ideologica e il rafforzamento organizzativo del partito proletario, mentre nello stesso tempo la politica economica della repubblica dei soviet è ansiosamente preoccupata di prevenire ogni allentamento nell’alleanza con i contadini”. 7


La condanna al V Congresso dell’Internazionale Comunista

Proprio al pensiero di Lenin, Korsch dedica nella primavera del 1924 un lungo saggio che vuole essere un contributo ortodosso al dibattito in corso nell’Internazionale in vista dell’ormai prossimo Quinto Congresso. Accettando i presupposti teorici della “bolscevizzazione”, egli riconosce che compito fondamentale dell’ora è la conquista della maggioranza della classe operaia. La soluzione di questo compito pratico richiede però l’esistenza di forti partiti leninisti. “La propaganda del leninismo”, cioè la bolscevizzazione dei partiti comunisti dell’Occidente, diventa dunque la parola d’ordine di ogni sezione dell’Internazionale Comunista. Schierato sulle posizioni di Zinov’ev, Korsch porta il suo tributo personale alla linea della direzione, criticando chi anche nel partito tedesco non riconosce nel pensiero di Lenin “il metodo più completo e vero della dialettica materialistica, il metodo restaurato del marxismo rivoluzionario”,8 preferendogli la dialettica luxemburghiana “che dal lato pratico non è una dialettica completamente ‘materialistica’. 9

Fin qui tutto bene: Korsch ripete la vulgata ufficiale del Comintern, omaggia la Direzione, critica ritualmente l’estremismo di Rosa Luxemburg. I conti incominciano a non quadrare quando egli rivolge la sua critica alle tesi avanzate in Germania da Thalheimer, accusandolo di storicismo, di positivismo, di un praticismo completamente adialettico, di “falsificazione teorica dell’essenza del metodo marxista e leninista”. 10

In realtà, accusa Korsch, “sotto la bandiera rivoluzionaria del ‘leninismo’ […] si tenta oggi di contrabbandare nella prassi e nella teoria del comunismo rivoluzionario elementi revisionisti, riformatori, opportunisti e liquidatori di varia specie”. 11 Per cui l’interpretazione del leninismo offerta da Thahleimer e dalla sua frazione è “solo una falsa teoria per una falsa prassi politica”. 12 La conclusione, pur espressa con grande cautela, è di quelle che non piacciono ai custodi di un’ortodossia “leninista” sempre più rigidamente codificata:

“Il V Congresso come in tutte le altre questioni immediate pratiche della politica comunista, così anche nella discussione dei fondamenti teorici di questa politica, nella questione del programma e dei fondamenti del leninismo dovrà erigere speciali valli di difesa contro la marea montante del revisionismo comunista. Con l’adempimento di questa funzione negativa esso può efficacemente opporsi alla minacciosa crisi del metodo della scienza marxista rivoluzionaria, restaurata e completata da Lenin, che nella sua essenza non è altro che la coscienza teorica dell’azione rivoluzionaria della classe operaia. Per una definizione positiva dell’essenza del leninismo come metodo l’attuale momento di sviluppo della Internazionale non è adatto, come non lo è neppure per la determinazione di un programma comunista definitivo per un’epoca intera della politica comunista”. 13

L’intervento di Korsch che – va ricordato – non interviene nel dibattito da semplice iscritto, ma nella sua veste ufficiale di redattore capo della rivista teorica del partito, suona come un campanello d’allarme alle orecchie dei russi che stanno già lavorando alla liquidazione politica della direzione Fischer-Maslow. L’incauto Korsch finisce nel mirino dei censori. Il suo libro Marxismo e filosofia, apparso l’anno precedente in Germania e già tradotto in russo viene passato ai raggi X e accusato di eresia. Al V Congresso, dove Korsch è presente come delegato, egli viene duramente attaccato. Il suo libro è stroncato come “revisionista” e Zinov’ev in persona lo invita ironicamente a studiare meglio il marxismo e il leninismo. I russi pretenderebbero addirittura l’estromissione del reprobo dalla direzione di Die Internationale, ma con un ultimo soprassalto d’orgoglio i tedeschi non si piegano a quella che appare a tutti una richiesta veramente eccessiva e Korsch resta al suo posto. Si tratta solo di un rinvio. Finito nella lista nera di Zinov’ev, egli verrà allontanato dal suo incarico qualche mese più tardi.

Con il V Congresso inizia il periodo più contradditorio della vita politica di Korsch. Tornato in Germania dalla Russia, egli si allinea ancora una volta alla maggioranza fornendo un pesante contributo alla campagna di “bolscevizzazione” del partito. Anche se i suoi interventi non hanno mai la rozzezza denigratoria e la brutalità tipiche della publicistica comunista dell’epoca, egli riprende acriticamente gran parte degli argomenti usati contro Trotsky e la Luxemburg, senza accorgersi di utilizzare nella polemica politica spicciola molte delle categorie tipiche di quel marxismo volgare che tanto efficacemente aveva combattuto in Marxismo e filosofia. In Leninismo e trotskismo, scritto nel febbraio del 1925, Korsch evidenzia come sino al 1923 le idee di Rosa Luxemburg abbiano costituito la base teorica del partito comunista tedesco e la necessità improcrastinabile di “sfruttare la discussione sul trotskismo per liquidare ancora nello stesso tempo in modo definitivo il luxemburghismo”. 14

Quanto a Trotsky, egli sarebbe portatore di una concezione “astratta” della rivoluzione proletaria che non sa porre nei giusti termini la questione delle alleanze. “L’errore di Trotsky non consiste nel dichiarare permanente la rivoluzione, ma nel modo in cui egli immagina questa rivoluzione permanente, che non è propriamente permanente, ma integrale, una rivoluzione tutta d’un colpo”. Ne deriva che “il leninismo si differenzia dal trotskismo per il fatto che per esso il proletariato non fa una ‘pura’ rivoluzione proletaria con le sue sole forze e ai soli fini di classe del proletariato, bensì (esattamente come in epoca precedente fece la classe borghese rivoluzionaria) fa una sorta di «rivoluzione popolare»“. 15

Korsch è fortemente influenzato dalle tesi esposte da Stalin ne I principi del leninismo di cui in un altro scritto esalta “la chiarezza cristallina e la forza espressiva del linguaggio”. 16 Nonostante gli sforzi disperati di qualche studioso di ricercare con “un’attenta decifrazione del gergo ideologico-politico” anche in questi scritti qualche traccia del pensiero critico korschiano, 17 gli intenti di Korsch sono qui bassamente apologetici. L’opera di Stalin diventa così per Korsch “il primo libro in tedesco che presenti il vero leninismo nella sua interezza (…). Una leva potente per bolscevizzazione del partito [che] non solo presenta li insegnamenti di Lenin ma li depura dalle deformazioni aggiunte, li rafforza contro le deformazioni che li minacciano” 18 e via discorrendo con simili banalità. Gli scritti di questo periodo, tristissimo per Korsch, sono tra le cose peggiori che egli scriverà in tutta la sua vita. Non ne parlerà mai volentieri, anzi cercherà di far dimenticare il più possibile questo suo temporaneo, ma reale momento di abiezione politica.

Dato per scontato che, come per altro dimostrerà il suo impegno degli anni successivi, Korsch non crede minimamente a ciò che scrive sul futuro “padre dei popoli”, viene naturale chiedersi perché allora egli si presti ad una così imbarazzante incombenza. Certamente c’è il tentativo di recuperare con un atto di formale sottomissione al leninismo di stampo staliniano lo scivolone del V Congresso. Nelle sue memorie la moglie Hedda ricorda come durante la sua permanenza a Mosca come delegato egli avesse avuto la sensazione di essere in pericolo, tanto da partire prima della data prevista. “Alcuni compagni – scrive – lo avvertirono che avrebbe potuto essere arrestato perché era fortemente sospettato di deviazionismo e di commenti sediziosi contro la leadership sovietica”. 19

È una spiegazione coerente con il pesante clima di caccia alle streghe che si sta ormai instaurando nell’Internazionale, ma non basta a spiegare il comportamento di un uomo che in ogni occasione, dalla guerra ai fatti dell’Ottobre 1923, ha sempre dato prova di grande coraggio. Occorre pensare a qualcosa d’altro, a qualcosa di più profondo che scatta ad un certo punto nell’animo di uomini che come lui hanno dedicato l’intera vita alla rivoluzione e che si sentono ora orfani di una speranza. Un sogno tanto grande da giustificare ogni sacrificio non può spegnersi così. Se, nonostante le sconfitte parziali subite dal movimento operaio in Occidente, la fase resta rivoluzionaria e la Russia sovietica il baluardo del movimento comunista, i rivoluzionari coerenti non possono che schierarsi con Mosca se non vogliono condannarsi ad uno sterile isolamento. Rompere con Zinov’ev e Stalin, scrive nel 1923 Togliatti, delineando uno scenario psicologico per molti versi simile, significa ineluttabilmente

“mettersi in lotta aperta coll’Internazionale comunista, mettersi fuori di essa, trovarsi quindi privi di un potente appoggio materiale e morale, ridotti ad un piccolissimo gruppo tenuto assieme da legami quasi solo personali, ed essere in breve tempo condannati, se non ad andare tutti dispersi, certamente a perdere ogni influenza reale e pratica immediata nello sviluppo della lotta politica…”. 20

Visto in quest’ottica il comportamento di Korsch ci appare immediatamente assumere un altro significato che oltrepassa tuttavia l’ambito di un realismo politico portato alle estreme conseguenze per investire una sfera ben più intima e profonda. La sua temporanea ortodossia “stalinista” acquista il senso di un ultimo, disperato, atto di dedizione a quella causa comunista a cui negli anni giovanili aveva votato la sua vita. Nonostante i suoi dubbi, Korsch non esita a restare nel partito in attesa di tempi migliori anche a costo di rinunciare alla propria coerenza. La dignità personale, l’amor proprio, l’orgoglio intellettuale sono considerate debolezze “piccolo-borghesi”, lasciate definitivamente alle proprie spalle al momento dell’adesione al partito comunista inteso quasi come un ordine religioso in cui l’individuo si annulla.

Per questi uomini, provenienti per lo più da una borghesia agiata, l’offerta della propria individualità al partito assume quasi il valore di una rinascita mistica, spesso simboleggiata come per i monaci dall’assunzione di un nuovo nome. Come monaci guerrieri questi uomini sono disposti ad uccidere e a farsi uccidere in nome di un ideale superiore, così come sono pronti ad accettare senza reagire che sia la loro Chiesa a metterli a morte in nome dell’ortodossia. Korsch è uno di questi uomini. La loro tragedia personale rappresenta la tragedia ma anche paradossalmente la grandezza terribile del comunismo del Novecento. 21


1 M. BUBER NEUMANN, Da Potsdam a Mosca, Il Saggiatore, Milano 1966, p. 83.
2 H. KORSCH, cit., p. 12.
3 Per una testimonianza di prima mano sul clima avvelenato nell’Internazionale Comunista già dagli anni di Lenin cfr. A. BALABANOFF, La mia vita di rivoluzionaria, Feltrinelli, Milano 1979. Per un’ impietosa, ma affascinante ricostruzione di quel periodo cfr. il bel romanzo di M. RAGON, La memoria dei vinti, Nuove Edizioni Internazionali, Milano 1997.
4 “Noi conosciamo - aveva affermato Kamenev aprendo il congresso – soltanto un antidoto contro ogni crisi, contro ogni errore di decisione: l’insegnamento di Vladimir Il’íc”. Citato in E.H. CARR, La morte di Lenin, Einaudi, Torino 1965, p. 258. Sul XII Congresso, il primo senza Lenin, cfr. anche R.V. DANIELS, La coscienza della rivoluzione, Sansoni, Firenze 1970, pp. 282-316.
5 L’inspiegabile passività di Trotsky al XII Congresso ha da sempre colpito l’attenzione degli storici che hanno parlato di “occasione perduta”. Cfr. in proposito, oltre al già citato R.V. DANIELS, P. BROUÉ, Trotsky, Fayard, Paris 1988, pp. 352-367 e I. DEUTSCHER, Il profeta disarmato, Longanesi, Milano 1970, pp. 130-143. Trotsky stesso ne parla diffusamente e in modo autocritico nelle sue memorie. Cfr. L. TROTSKY, La mia vita, Mondadori, Milano 1961, p. 404.
6 K. KORSCH, Su Lenin e il leninismo. In Scritti politici, 1, cit., pp. 79-80.
7 Ivi.
8 K. KORSCH, Lenin e il Comintern. In Scritti politici, 1, cit., pp. 68-69.
9 Ivi.
10 Ivi, p. 74.
11 Ivi, p. 75.
12 Ivi.
13 Ivi, pp. 75-76.
14 K. KORSCH, Leninismo e trotskismo. In Scritti politici, 1, cit., p. 101.
15 Ivi, p. 102.
16 K. KORSCH, Su lenin e il leninismo. In Scritti politici, 1, cit., p. 86
17 E’ il caso di G.E. Rusconi nelle note introduttive agli Scritti politici di Korsch.
18 K. KORSCH, Su Lenin…, cit., pp. 86-87.
19 H. KORSCH, cit., p. 12.
20 P. TOGLIATTI, Lettera a Gramsci del 1 maggio 1923. In La formazione del gruppo dirigente del Partito comunista italiano nel 1923-1924, Editori Riuniti, Roma 1984 (IV ed.), p. 55.
21 Questo accostamento fra militanza rivoluzionaria e vita monastica potrà forse sembrare azzardato, ma ci è stato suggerito dall’uso del termine moine-soldat fatto da Robert Barcia, principale esponente dell’organizzazione trotskista francese Lutte ouvrière, per indicare un tipo di militanza rivoluzionaria particolarmente rigorosa come quella di LO. Cfr. a questo proposito R. BARCIA, La véritable histoire de Lutte ouvrière, Denoël, Paris 2003; F. KOCH, Le vraie nature d’Arlette, Seuil, Paris 1999; C. NICK, Les Trotskistes, Fayard, Paris 2002.