Decimo capitolo del
nostro “Il «rinnegato» Korsch. Storia di un'eresia comunista".
La critica del kautskysmo conduce Korsch ad una approfondita
riflessione sul leninismo e sullo stalinismo. Le conclusioni sono
drastiche: il marxismo sovietico è la teoria dello sviluppo del
capitalismo di Stato russo, nuova forma concentrata e dispotica del
dominio sull'uomo.
Giorgio
Amico
La
critica del leninismo (1930)
Ancora alla fine del 1929
nel suo scritto su la Comune rivoluzionaria Korsch aveva denunciato
le “flagranti contraddizioni” esistenti fra la denominazione di
«Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche» e la reale
situazione politica e sociale di un paese dove, nonostante il
continuo, ossessivo richiamo alla «grande rivoluzione d’Ottobre»
e ai suoi ideali
“quella «dittatura»
che oggi, dal vertice dell’apparato di un partito governativo
estremamente esclusivo che solo nel nome ricorda il Partito
«comunista» e «bolscevico» di una volta, viene esercitata sul
proletariato e sull’intera Russia consiliare per tramite di milioni
di burocrati non ha più niente a che fare con il pensiero consiliare
rivoluzionario del 1917 e del 1918…”. 1
Nel tentativo di andare
al fondo della questione, egli aveva, tuttavia, dovuto riconoscere
che l’accusa di tradimento rivolta alla direzione stalinista da
parte di molti oppositori di sinistra non spiegava nulla, ricavandone
la lapidaria conclusione che “è il fatto stesso del tradimento che
richiede una spiegazione”. 2
Da qui egli parte per una
approfondita riflessione sulle radici stesse del leninismo, che in
larga parte utilizza il materiale critico ricavato nel 1927 da una
lettura attenta di Materialismo ed empiriocriticismo, allora appena
pubblicato in Germania. Lo studio di questo e di altri scritti
filosofici di Lenin lo convince del fatto che una critica reale del
dogmatismo “marxista” non possa fermarsi a Kautsky e al marxismo
della Seconda Internazionale, ma debba investire direttamente anche
il pensiero del leader bolscevico. Nel 1930, sette anni dopo l’uscita
della prima edizione, egli pubblica una seconda edizione di Marxismo
e filosofia, facendola precedere da una lunga messa a punto su Lo
stato attuale del problema «Marxismo e filosofia» (Anticritica), in
cui si confronta per la prima volta in modo sistematico e senza più
alcun timore reverenziale con il pensiero filosofico di Lenin.
Nell’Anticritica Korsch
esprime apertamente quello che lo separa ormai non solo
dall’ortodossia di Kautsky – con cui come abbiamo visto aveva
poco prima regolato una volta per tutte i conti a livello teorico –
ma anche dalla nuova ortodossia “marxista-leninista” della nuova
“chiesa” bolscevica come ironicamente la definisce già dalle
prime pagine dell’opera. Rispetto al 1923 il suo atteggiamento è
notevolmente cambiato: se allora egli si era rammaricato delle
critiche ricevute in ambito comunista dal suo libro, ritenendole
ingiuste, ora non solo le accetta, ma quasi se ne compiace, come
fossero una prova ulteriore della correttezza della sua critica al
dogmatismo della vecchia e nuova ortodossia:
“I più autorevoli
rappresentanti delle due principali correnti del «marxismo»
ufficiale dei nostri giorni, con il loro istinto sicuro, hanno
immediatamente fiutato in questo modesto scritto la sollevazione
eretica contro certi dogmi che, nonostante tutti i contrasti
apparenti, sono a tutt’oggi patrimonio comune delle due confessioni
della vecchia chiesa marxista ortodossa e hanno ben presto proceduto
a condannare davanti al concilio riunito, quale deviazione dalla
dottrina tramandata, le idee espresse nello scritto”. 3
Passa quindi a
ricostruire per sommi capi la polemica reazione dei dirigenti e
teorici delle due Internazionali, quella socialdemocratica e quella
comunista, contro le affermazioni contenute nel suo testo ritenute
una revisione idealistica del marxismo. Per Korsch la condanna senza
appello delle sue tesi sui rapporti tra marxismo e filosofia,
dimostra che, al di là delle polemiche contingenti tra i due
schieramenti in cui dopo l’agosto 1914 si è diviso il movimento
socialista, sul piano della teoria la differenza fra
socialdemocratici e leninisti non è poi così radicale come
pubblicamente entrambi affermano. Entrambi sono sostenitori e
propagandisti di un marxismo evirato della sua carica dialettica e
dunque immediatamente sovversiva, ridotto a una tranquilla «scienza»
della società epistemologicamente non dissimile dalle scienze della
natura. Entrambi, infatti, credono che tale conoscenza scientifica
sia un riflesso della realtà mediante il pensiero e che la natura e
la società siano governate da leggi oggettive che l’uomo deve
scoprire e dominare. Esiste dunque una verità oggettiva assoluta che
può essere scoperta, come risolutamente afferma Lenin:
“Dal punto di vista del
materialismo storico moderno cioè del marxismo, i limiti
dell’approssimazione delle nostre conoscenze alla verità oggettiva
assoluta sono storicamente relativi, ma l’esistenza stessa di
questa verità non è contestabile, come non è contestabile che ci
avviciniamo ad essa”. 4
Per Korsch è un passo
indietro, una ricaduta nella metafisica o peggio ancora una
“modificazione esclusivamente terminologica” dell’idealismo
hegeliano per cui l’assoluto non viene più chiamato «Spirito» ma
«Materia». 5
Fino a qui la critica
korschiana considerata per decenni scandalosa, ma evidentemente non
priva di fondamento se, anche uno studioso “ortodosso” come
Luciano Gruppi si trova a dover riconoscere che in Materialismo ed
empiriocriticismo, parlando di verità assoluta raggiungibile
attraverso il riflesso, Lenin ipostatizza platonicamente il concetto
di verità e di conseguenza ricade nella metafisica:
“Dopo aver evitato il
pericolo di cadere in una concezione metafisica della materia, con
l’affermazione che l’unica proprietà della materia è di
esistere indipendentemente dal soggetto pensante, Lenin ricade poi
nel materialismo metafisico ponendo, come mediazione tra oggetto e
soggetto, il riflesso e considerando perciò la verità come totale
adeguazione del soggetto, che conosce, all’oggetto, conquista di
una verità che esiste di per sé”. 6
Marxismo e movimento
operaio: un rapporto ambiguo
Ma se al marxismo è
estraneo ogni assoluto, la trasformazione della teoria critica in
“concezione del mondo” proletaria rispecchia una mutata realtà
in cui l’obiettivo dei “marxisti” non è più la trasformazione
rivoluzionaria del mondo, ma la gestione dell’esistente. Su questo
terreno gli “apparati” ritrovano una loro sotterranea affinità
che si traduce in un linguaggio comune alle burocrazie. Questa
concordanza di fondo spiega perché nei fatti i rappresentanti
ufficiali della Terza Internazionale continuino a considerare il
“marxismo della Seconda Internazionale” come ortodosso almeno
fino all’agosto 1914, quando apertamente i dirigenti socialisti si
schierano dalla parte dei loro governi e votano i crediti di guerra.
Il cedimento della socialdemocrazia di fronte alla guerra
imperialista appare loro come una rottura fra una teoria ancora sana
e una pratica opportunistica. In realtà, per Korsch è l’intera
storia del marxismo dell’ultima parte del XIX secolo a dover essere
ripresa in considerazione. Korsch nega che a questo proposito si
possa parlare di una effettiva saldatura tra teoria marxista e classe
operaia:
“Il movimento
socialista, che nel corso dell’ultimo terzo del XIX secolo,
incondizioni storiche mutate, si è risvegliato e rafforzato, in
realtà non ha mai accolto – come invece si sostiene – il
marxismo nel suo complesso. L’«adozione del marxismo» in questa
nuova fase storica del movimento operaio moderno, che secondo
l’ideologia dei marxisti ortodossi e dei loro avversari accomunati
sullo stesso terreno ideologico dogmatico si sarebbe riferita –
nella teoria e nella pratica – al marxismo nel suo complesso, in
realtà anche sul terreno teorico si riferiva sempre solo a singole
«teorie» economiche, politiche e sociali isolate dal contesto della
concezione rivoluzionaria marxiana complessiva; questo fatto, oltre a
trasformarle nel loro significato generale, di solito le alterava e
le mutilava anche nel loro contenuto particolare”. 7
Si tratta di una tesi
condivisa anche da altri marxisti critici come Arthur Rosemberg, per
il quale la mancanza di una situazione rivoluzionaria nella Germania
di fine secolo aveva reso praticamente impossibile per il movimento
operaio adottare le teorie di Marx nella loro integralità
rivoluzionaria. 8
Nel suo studio su I
socialdemocratici nella Germania imperiale, Guenther Roth imputa a
Rosenberg e Korsch di essere stati eccessivamente generici in questa
loro analisi che pure sostanzialmente condivide. Egli si applica a
fornire una più articolata descrizione del “ruolo del marxismo
nella subcultura socialdemocratica” che in estrema sintesi così
riassume:
“L’incapacità del
movimento operaio di uscire dal suo isolamento da una parte, e il suo
progresso quasi inesorabile in un settore ampiamente isolato
dall’altra, fecero di un marxismo caratterizzato in senso
deterministico una ideologia particolarmente adatta alla subcultura
socialdemocratica. Il movimento operaio aveva un fine umanitario: una
vita materialmente e spiritualmente più ricca per le classi
inferiori. Il marxismo offriva l’immagine di un mondo futuro
migliore. Prometteva la vittoria finale attraverso l’unione delle
masse contro un sistema che sembrava inevitabilmente destinato a
crollare a causa delle sue contraddizioni interne e della crescita
del movimento operaio. Attribuiva un significato «scientifico» alle
frustrazioni e ai risentimenti dei lavoratori verso la società nel
suo insieme. La convinzione di possedere un'ideologia scientifica
contribuì notevolmente a rafforzare la fiducia dei lavoratori. Data
la effettiva stabilità della Germania imperiale durante più di
quattro decenni di pace, il marxismo sostenne la convinzione che il
futuro sarebbe stato del proletariato e incoraggiò notevolmente a
perseverare nella lotta quotidiana contro il sistema dominante. In
tal modo spesso non veniva sentita, psicologicamente, la superiorità
degli avversari e la contraddizione tra teoria e pratica”. 9
E’ una realtà che Karl
Korsch conosce bene avendola vissuta personalmente negli anni della
sua giovinezza. Non stupisce dunque che l’approfondito studio di
Roth, apparso agli inizi degli anni Sessanta, sviluppi per molte
pagine quanto in poche righe lo studioso marxista tedesco aveva
efficacemente sintetizzato nel 1930:
“(…) in questo
periodo storico, per il movimento operaio che si richiamava ad esso
sul piano formale, il «marxismo» sin dal principio non è stato una
vera teoria, vale a dire «semplice espressione generale del
movimento storico quale si sta effettivamente svolgendo» (Marx),
bensì sempre soltanto un’ «ideologia», presa bell’e pronta
«dall’esterno»”. 10
Il marxismo da teoria
critica si trasforma così in “scienza” avulsa dal movimento
storico concreto, ma valida sempre e comunque. Una concezione
“scientifico-positivistica” del marxismo sostanzialmente
recuperata dalla nuova ortodossia rappresentata dal comunismo
ufficiale che la usa senza alcuno scrupolo per porre sotto “tutela”
ogni manifestazione del pensiero fino a giungere ad una vera e
propria “dittatura ideologica”. Per Korsch
“Questa tutela
«filosofica» materialistica di tutte le scienze della natura e
della società come pure dell’ulteriore sviluppo complessivo della
coscienza culturale nella letteratura, nel teatro, nelle arte
figurative, ecc., che dagli epigoni di Lenin è stata spinta fino
alle più assurde conseguenze, ha finito col condurre alla formazione
di quella singolare dittatura ideologica, oscillante tra progresso
rivoluzionario e oscura reazione, che nella Russia sovietica dei
nostri giorni, in nome del cosiddetto «marxismo-leninismo», viene
esercitata su tutta la vita spirituale non solo della burocrazia di
partito che detiene il potere, ma dell’intera classe operaia, e che
recentemente si è tentato di estendere anche oltre le frontiere
della Russia sovietica, a tutti i partiti comunisti dell’Occidente
e del mondo intero”. 11
Il che significa non solo
rinnegare ciò che il marxismo vuole rappresentare e cioè una
critica radicale di ogni aspetto del mondo presente, ma anche
perdere il senso profondo della battaglia per il socialismo. Per
Korsch come per Marx
“nel suo fine e lungo
tutta la sua strada il socialismo è una battaglia per la
realizzazione della libertà”. 12
Nella sua introduzione
alla raccolta degli scritti politici di Korsch, apparsa per i tipi
della casa editrice Laterza alla fine del 1975, Gian Enrico Rusconi
ha ritenuto opportuno mettere in guardia il lettore nei confronti di
questa celebre affermazione korschiana.
“Il concetto di libertà
– scrive Rusconi – che compare negli scritti di Korsch di questo
periodo (1930) va inteso in modo corretto. Non si tratta della
libertà in senso democratico, liberale: anche quando si parla di
libertà d’espressione per l’individuo o il gruppo contro la
dittatura di partito, la si intende univocamente come scelta per la
radicalità rivoluzionaria. La «libertà» è la negazione di ogni
vincolo antirivoluzionario, la negazione – da ultimo – dello
Stato stesso”. 13
Ci permettiamo di
dissentire da una simile lettura che ci pare schematica e tutto
sommato banale. Certo, Korsch non intende il concetto di libertà in
senso formale come semplice godimento di diritti. La libertà di cui
parla Korsch è il principio fondante la vita stessa della classe
operaia che proprio tramite la lotta recupera a pieno il valore
profondo della propria esistenza. Se tramite la lotta gli operai
emancipano se stessi, l’azione autonoma del proletariato che spezza
le catene dello sfruttamento capitalistico e dell’alienazione
umana è fattore di liberazione ed al tempo stesso esperienza diretta
di libertà. Una libertà che va intesa non come mero obiettivo
finale dell’azione rivoluzionaria, ma come elemento fondante,
costitutivo del processo stesso di liberazione. Korsch pensa in
positivo, per lui la libertà non è semplice “negazione di ogni
vincolo” come banalmente scrive Rusconi, ma affermazione positiva
della classe operaia che lottando per il comunismo si riappropria
della propria umanità più profonda. Anche in questa occasione
Korsch si rivela interprete fedele del pensiero di Marx.
“Quando gli operai
comunisti – scrive nel 1844 da Parigi il giovane Marx – si
riuniscono, essi hanno primamente come scopo la dottrina, la
propaganda, ecc. Ma con ciò si appropriano insieme di un nuovo
bisogno, del bisogno della società, e ciò che sembra un mezzo, è
diventato scopo. Questo movimento pratico può essere osservato nei
suoi risultati più luminosi, se si guarda ad una riunione di
«ouvriers» socialisti francesi. Fumare, bere, mangiare, ecc. non
sono più puri mezzi per stare uniti, mezzi di unione. A loro basta
la società, l’unione, la conversazione che questa società ha a
sua volta per iscopo; la fratellanza degli uomini non è presso di
loro una frase, ma una verità, e la nobiltà dell’uomo s’irradia
verso di noi da quei volti induriti dal lavoro”. 14
La critica di Lenin
Se la lotta per il
socialismo è realizzazione del principio di libertà, la riduzione
della teoria critica espressione del movimento reale a dogma non può
che comportare lo svuotamento di tale lotta di ogni significato
libertario. Il sogno si muta in incubo. L’emancipazione in una
nuova, più terribile schiavitù. Secondo Korsch Lenin porta per
intero la responsabilità di questo rovesciamento di senso. Pur
partito da un’esigenza corretta di ristabilire la natura
rivoluzionaria del marxismo come teoria critica, egli è presto
ricaduto in una visione dogmatica che perde ogni dimensione
dialettica nel momento in cui concepisce la conoscenza come mero
rispecchiamento della realtà. Ne deriva uno spostamento dalla
dialettica marxista ad un materialismo volgare incapace di cogliere
la realtà come processo in atto di cui la stessa conoscenza
rappresenta un elemento costitutivo.
“Col trasporre
unilateralmente la dialettica nell’oggetto, nella natura e nella
storia e col definire la conoscenza come semplice rispecchiamento e
riproduzione passiva di questo essere oggettivo nella coscienza
soggettiva, Lenin e i suoi distruggono effettivamente ogni rapporto
dialettico tra l’essere e la coscienza e, come conseguenza
necessaria, anche tra la teoria e la prassi”. 15
Una frattura che
costituisce sul piano più direttamente politico la base della teoria
della “coscienza portata dall’esterno” su cui poggia l’intera
concezione leniniana del partito e che rispecchia il classico
concetto giacobino di rivoluzione. Un concetto, su questo Korsch non
ha dubbi, non proletario, ma diretta espressione delle rivoluzioni
della borghesia. Sviluppando un concetto che verrà più tardi
ripreso e ampliato da Anton Pannekoek nella sua confutazione di
Materialismo ed empiriocriticismo, per Korsch il leninismo affonda
le sue radici materiali nelle particolari condizioni di arretratezza
della realtà sociale ed economica russa. Una situazione che ha posto
particolari compiti “pratico-politici” alla rivoluzione stessa,
costretta almeno nella sua prima fase a farsi carico di incombenze
“giacobine”. Considerato da questa angolazione, il leninismo non
può essere un’esperienza teorica adeguata alle “esigenze
pratiche della lotta di classe del proletariato internazionale nella
sua attuale fase di sviluppo”. 16 Lo stesso carattere teorico
della filosofia materialistica di Lenin ne risente. Come abbiamo già
avuto modo di osservare, il suo è un materialismo volgare,
lontanissimo dal materialismo dialettico di Marx ed Engels che
“riporta tutta la
discussione tra il materialismo e l’idealismo a una fase storica
precedente, già superata dalla filosofia idealistica tedesca da Kant
a Hegel”. 17
Passato attraverso la
dura esperienza della dissidenza e della lotta di frazione nel
partito tedesco e nell’Internazionale, Korsch perviene qui ad un
totale rovesciamento delle posizioni che avevano caratterizzato il
primo periodo della sua militanza comunista. Il marxismo russo,
“questo marxismo russo” come sottolinea significativamente, gli
appare ora ancora più ortodosso, ideologico e dogmatico della tanto
criticata ortodossia marxista kautskiana. Il suo è un giudizio
profondamente disincantato, spietato nelle conclusioni a cui giunge:
rispetto a Kautsky Lenin è
“in contraddizione
ancor più stridente con il reale movimento storico di cui pretendeva
essere l’espressione ideologica”. 18
Con la sua Anticritica
Korsch ritiene dunque di aver risposto all’interrogativo sollevato
nel suo scritto di un anno prima sulla Comune rivoluzionaria. Il
“tradimento” degli ideali dell’Ottobre ha finalmente una
spiegazione: il dispotismo staliniano rimanda direttamente
all’ambiguità del marxismo di Lenin.
“Lo stesso carattere
ideologico e la stessa conseguente contraddizione tra teoria
«ortodossa» adottata e reale carattere storico del movimento [che]
affliggono il marxismo russo (…) trovano la loro espressione più
evidente nella teoria marxista ortodossa e nella prassi per nulla
ortodossa del rivoluzionario Lenin e, come grottesca caricatura,
nelle stridenti contraddizioni tra teoria e prassi nel «marxismo
sovietico» dei nostri giorni”. 19
Se la teoria non é
espressione e al contempo parte costitutiva stessa del movimento
reale, ma diviene dottrina “scientifica”, patrimonio di un
partito che la fa calare sugli operai dall’esterno della quotidiana
lotta di classe, la separazione fra teoria e prassi non può che
diventare totale. Le parole perdono a questo punto ogni significato e
si trasformano nel loro esatto contrario. L’estinzione dello Stato
diventa rafforzamento dello Stato ad un livello mai visto prima nella
storia. La dittatura del proletariato diventa dittatura sul
proletariato e allo stesso tempo dittatura dei vertici del partito
sul partito. La credenza positivistica nell’esistenza di una
“verità obiettiva”, espressa da leggi di natura, raggiungibile
attraversa la “scienza” diventa fede cieca nell’infallibilità
di un partito che in ogni momento ritiene di possedere tale verità e
di esprimere di conseguenza il senso stesso della storia. Un senso
che esso incarna e che rende morale tutto ciò che fa. 20 Una
storia, che, come lo stesso Korsch annoterà in uno scritto
successivo, “non è più fatta, ma è invece sofferta e accettata
passivamente dagli uomini”. 21
Il mutamento di
funzione del marxismo
Nei primi anni Trenta
Korsch porta dunque alle sue estreme conclusioni la sua critica del
leninismo. Sviluppando ulteriormente le tesi esposte
nell’Anticritica, egli giunge nel 1932 alla conclusione che il
marxismo russo nella sua totalità, non rappresenti che una
sovrastruttura ideologica, un “mascheramento” della spinta alla
modernizzazione capitalistica del paese. Per Korsch
“Se si prescinde da
tutti i travestimenti ideologici sotto i quali le diverse generazioni
e le diverse correnti del marxismo russo in lotta tra di loro hanno
portato a coscienza e combattuto il conflitto scoppiato nello
sviluppo storico reale del loro paese, rimane il nudo dato di fatto
che il marxismo russo in tutte le sue fasi di sviluppo e in tutte le
sue correnti, dal principio in poi, non è stato nient’altro che la
forma ideologica per la lotta materiale per la riuscita dello
sviluppo capitalistico nella Russia zarista feudale. La società
borghese già pienamente sviluppata all’Ovest aveva bisogno per la
sua affermazione storica all’Est di una nuova veste ideologica (…).
E l’ideologia marxista ricevuta dall’Occidente potè rendere
questo servizio alla rivoluzione borghese in Russia poiché essa –
al contrario dell’ideologia russa locale del populismo
rivoluzionario – a partire dalle sue peculiari condizioni storiche
di nascita, presupponeva la civilizzazione capitalistica come fase di
passaggio storicamente necessaria in tutti i casi per la
realizzazione della società socialista”. 22
Stalin rappresenta con la
sua teoria della costruzione del socialismo in un solo paese
solamente l’ultimo stadio di questo processo. Lo stalinismo,
deformazione caricaturale e grottesca del marxismo, rappresenta ormai
una vera e propria «religione di Stato» che schiaccia sotto il suo
peso il proletariato e giustifica ideologicamente la costruzione di
uno «Stato capitalista nella sua tendenza di sviluppo effettivo».
Ciò non significa tuttavia che, come affermano i trotskisti, la
degenerazione inizi con Stalin:
“Non fu certo solo
l’epigono leninista Stalin, ma il marxista ortodosso Lenin, che per
primo, nel momento cruciale della storia dello sviluppo
rivoluzionario, quando con il passaggio alla NEP limitò in modo
praticamente decisivo agli obiettivi borghesi la tendenza fino ad
allora incerta della rivoluzione russa, preparò contemporaneamente
l’indispensabile integrazione ideologica per il compimento di tale
limitazione. E fu il marxista ortodosso Lenin colui che alla svolta
degli anni 1920-21 enunciò con piena consapevolezza, in contrasto
con tutte le sue precedenti posizioni, il nuovo mito marxista del
carattere in sé socialista dello Stato Sovietico e della
possibilità, con ciò garantita in linea di principio, della
realizzazione della società socialista nella Russia sovietica”. 23
Quello che e avvenuto in
Russia segna per Korsch un «mutamento storico di funzione», per cui
il marxismo da «espressione teorica di un movimento rivoluzionario
proletario socialista» si è trasformato nella «ideologia
“socialista” di un movimento di costruzione borghese
capitalistico», 24 a questo mutamento di funzione hanno contribuito
non solo Lenin e Stalin, ma in qualche misura anche gli stessi Marx
ed Engels.
“Anche Marx ed Engels
infatti erano pronti sotto determinate condizioni a trasformare la
loro teoria critico-materialistica «marxista» a favore di un
movimento rivoluzionario in Oriente con opportune modifiche nel mero
travestimento ideologico di un movimento rivoluzionario
presuntivamente socialista, ma nella sua sostanza reale limitato in
senso borghese”. 25
È una critica ingiusta.
Prigioniero di una visione della rivoluzione come moto puramente
proletario e immediatamente comunista, Korsch non concepisce le
aperture di Marx ed Engels ai populisti e il loro giudizio
sostanzialmente positivo su ciò che resta dell’originaria comunità
contadina russa. Non comprende, anche se lo cita, il senso profondo
della chiusura della prefazione all’edizione del 1882 del Manifesto
del partito comunista in cui Marx ed Engels sostengono che
“se la rivoluzione
russa sarà il segnale di una rivoluzione proletaria in Occidente,
così che entrambe si completino reciprocamente, allora l’attuale
proprietà comune russa della terra potrà servire come punto di
partenza di un’evoluzione comunista”. 26
Quello che a Korsch
importa è il fatto che queste ed altre “concessioni teoriche”
fatte da Marx ed Engels ai populisti sono ora riprese dai sostenitori
della teoria della costruzione del socialismo in un solo paese per
presentare come marxismo ortodosso ciò che in realtà rappresenta un
«abuso del marxismo». 27
Non è questa la sede per
approfondire questa questione già per altro ampiamente dibattuta. 28
Al di là della fondatezza o meno della critica a Marx ed Engels
resta il fatto che a partire dall’analisi della questione russa
Korsch coglie lucidamente i segni di una nuova, profonda crisi del
marxismo. Per cui
“non soltanto in
Russia, ma in altre forme anche in Occidente il marxismo nel suo più
recente sviluppo si è sempre più trasformato da teoria e prassi
rivoluzionaria in pura ideologia che viene riconosciuta solo a parole
dal movimento pratico, ma rinnegata nei fatti”. 29
Per Korsch sarebbe una
posizione superficiale e falsa vedere l’essenza della crisi
sempplicemente nella falsificazione ad opera degli epigoni
socialdemocratici e bolscevichi dell’originaria teoria di Marx ed
Engels.
“L’attuale crisi del
marxismo significa piuttosto nella sua ultima ragione anche una crisi
della teoria di Marx ed Engels stessi. La separazione ideologica e
dottrinaria della «dottrina pura» dal movimento storico reale,
compreso lo sviluppo della teoria, è essa stessa una forma della
crisi in atto”. 30
L’unica uscita
possibile da questa crisi sta in una piena riconquista del carattere
rivoluzionario autonomo della classe operaia internazionale in una
lotta a fondo contro il capitalismo e le sue mascherature ideologiche
socialdemocratiche e staliniane che sappia darsi veste teorica nuova
in diretta continuità storica con il marxismo:
“Il marxismo come
fenomeno storico che è sorto nei suoi tratti fondamentali
innanzitutto nella lotta rivoluzionaria della prima metà del XIX
secolo, e si è mantenuto e trasformato nella seconda metà del
secolo in ideologia rivoluzionaria di un movimento operaio a sua
volta però non più rivoluzionario nella sua reale essenza, questo
marxismo è oggi un fatto del passato. Nondimeno, in un senso storico
più profondo, anche la teoria della rivoluzione proletaria – da
elaborare nel prossimo futuro – sarà una prosecuzione storica del
marxismo. Per il futuro della lotta di classe proletaria la teoria
rivoluzionaria con la quale Marx ed Engels nel primo periodo dello
sviluppo rivoluzionario della lotta di classe proletaria hanno
fornito la prima grandiosa sintesi delle idee proletare, rimane la
forma classica della coscienza rivoluzionaria moderna della classe
operaia in lotta per la sua liberazione”. 31
1 K. KORSCH, La Comune
rivoluzionaria, cit., p. 251.
2 Ivi, p. 252.
3 K. KORSCH, Lo stato
attuale del problema «Marxismo e filosofia» (Anticritica), in
Marxismo e filosofia, cit., p. 8.
4 LENIN, Materialismo
ed empiriocriticismo, Sapere Edizioni, Milano 1970, p. 109.
5 K. KORSCH, Lo stato
attuale…, cit., p. 28.
6 L. GRUPPI, Il pensiero
di Lenin, Editori Riuniti, Roma 1970, pp. 122-123. Una affermazione
quasi banale nella sua linearità, sufficiente tuttavia per suscitare
le ire dei guardiani del Mausoleo di Lenin, come Sebastiano Timpanaro
che seccamente rimprovera a Gruppi di “concedere di gran lunga
troppo agli antileninisti” (S. TIMPANARO, Korsch e la filosofia di
Lenin, in Sul Materialismo, Unicopli, Milano 1997).
7 K. KORSCH, Lo stato
attuale…, cit., p. 16.
8 A. ROSENBERG, Storia
del bolscevismo, Leonardo, Roma 1945, p. 24.
9 G. ROTH, I
socialdemocratici nella Germania imperiale, cit., p. 161.
10 K. KORSCH, Lo stato
attuale…, cit., p. 19.
11 Ivi, pp. 31-32.
12 Ivi, p. 36.
13 G.E. RUSCONI,
Autonomia operaia e controrivoluzione, cit., p. XIX.
14 K. MARX, Manoscritti
economico-filosofici del 1844, Einaudi, Torino 1968, p. 137.
15 K. KORSCH, Lo stato
attuale…, cit., p. 29.
16 Ivi, p. 27.
17 Ivi, p. 28.
18 Ivi, p. 33
19 Ivi, p. 34.
20 Del tutto
correttamente il “leninista” Trotsky assimilerà i bolscevichi ai
gesuiti. Cfr. L. TROTSKY, La nostra morale e la loro, in Letteratura,
arte, libertà, Schwarz, Milano 1958, pp. 139-140.
21 K. KORSCH, Note sulla
storia, in Scritti politici, 2, cit., p. 343.
22 K. KORSCH, Per la
storia dell’ideologia marxista in Russia, in Scritti politici, 2,
cit., pp. 381-382.
23 Ivi, p. 386.
24 Ivi, p. 383.
25 Ibidem.
26 K. MARX- F. ENGELS,
Prefazione all’edizione russa del 1882, in Manifesto del Partito
Comunista, Edizioni Lotta comunista, Milano 1998, pp. 106-107.
27 K. KORSCH, Per la
storia…, cit., p. 383.
28 Cfr. a questo
proposito A. WALICHI, marxisti e populisti: il dibattito sul
capitalismo, Jaca Book, Milano 1973.
29 K. KORSCH, Per la
storia…, cit., pp. 386-387.
30 K. KORSCH, Crisi del
marxismo, in Dialettica e scienza nel marxismo, Laterza, Bai 1974, p.
134.
31 Ivi, pp. 139-140.