Scuola di Francoforte
XII capitolo del
nostro “Il «rinnegato» Korsch. Storia di un'eresia comunista".
Dal 1934 Korsch vive in esilio, prima in Danimarca, poi in
Inghilterra ed infine negli Stati uniti dove resterà per il resto
della sua vita. Pur tra mille difficoltà materiali Korsch continua
la sua ricerca, tra il 1934 e il 1938 lavora al suo importante
studio su Karl Marx.
Giorgio Amico
I primi anni
dell'esilio (1934-1938)
Costretto ad espatriare,
Korsch si reca prima in Danimarca e poi in Inghilterra dove può
ancora contare su amicizie risalenti al periodo pre-bellico. Qui si
trova coinvolto nella vicenda, mai del tutto chiarita, del suicidio
di un’amica, ex-dirigente della SPD, anch’essa espatriata per
motivi politici. Il tragico fatto, che coinvolge anche un’altra
donna, offre l’occasione agli stalinisti per montare una campagna
di calunnie contro Korsch, accusato di essere un agente provocatore e
una spia al soldo di Hitler. Pur scagionato da ogni sospetto, Korsch
viene espulso dall’Inghilterra e costretto a un penoso girovagare
fra Svezia, Olanda e Francia, fino a quando alla fine del 1936 riesce
ad ottenere un visto per gli Stati Uniti dove la moglie risiede già
da qualche tempo. Scrive a questo proposito Hedda:
“Dapprima andò in
Danimarca, poi in Inghilterra, dove aveva ancora dei contatti.
Shuster 1 era morto, ma sua moglie era ancora viva; e lui conosceva
diversi giovani inglesi, come Spender e Isherwood, che si erano
recati in Germania durante la Repubblica di Weimar perché sembrava
essere un focolaio di libertà e di sperimentazione, e che ci avevano
fatto visita a Berlino. Karl cercò di trovare un lavoro in
Inghilterra, ma la cosa era estremamente difficile perché i
comunisti locali incominciarono a denunciarlo all’ Home Office. 2
Sostenevano che era un
elemento sospetto e probabilmente un agente nazista poiché, non
essendo ebreo, non aveva alcun motivo di comportarsi in modo strano e
di lasciare la Germania nella maniera in cui l’aveva fatto. Una
conseguenza positiva del suo soggiorno in Inghilterra fu che gli
venne chiesto di scrivere il suo libro su Karl Marx, che gli fu
commissionato dalla London School of Economics”. 3
London School of Economics
Marxismo e lotta di
classe proletaria
Dunque, nonostante il
travaglio di quegli anni drammatici, Korsch continua la sua ricerca
teorica. Con la critica del kautskismo e del leninismo, sintetizzata
negli scritti del periodo 1929-1931, il suo lavoro di ricerca sul
marxismo potrebbe anche ritenersi concluso. Egli ha raggiunto
risultati significativi e offerto una stimolante chiave di
interpretazione del fenomeno staliniano. Ma Korsch è troppo inquieto
per considerarsi soddisfatto del lavoro svolto. Ancora una volta egli
parte dai risultati acquisiti per iniziare una nuova fase di ricerca
diretta questa volta allo stesso corpus originario della teoria
marxista. Questo percorso, iniziato con gli scritti del 1931 su Hegel
e la rivoluzione e su La crisi del marxismo, ha un suo primo sbocco
nel 1932 con la pubblicazione di un’edizione critica de Il Capitale
per conto della casa editrice dei sindacati tedeschi. Questa ricerca
lo porta a modificare radicalmente le sue posizioni e ad iniziare una
critica dei presupposti stessi della teoria marxista che sfocerà,
infine, nella grande opera su Marx a cui lavora dal 1934 al 1938. Una
efficace sintesi di questo percorso è offerta da una lettera del
novembre 1935 all’amico e collaboratore Partos in cui viene esposta
con grande determinazione la convinzione che
“la teoria (e prassi)
marxiana rappresenta una teoria (e prassi ) della rivoluzione
proletaria, ma non come movimento autonomo di sviluppo bensì come
prosecuzione della rivoluzione borghese, (…) la teoria marxiana è,
sotto ogni rispetto, gravata ancora, teoricamente come praticamente,
dall’eredità della forma, storicamente obsoleta, della rivoluzione
borghese”. 4
Korsch dedica larga parte
della sua lettera a descrivere all’amico il percorso teorico
attraverso cui egli è giunto a tale conclusione. È un documento di
grandissimo interesse di cui riportiamo ampi stralci:
“Come tu sai – scrive
Korsch – nel mio periodo «ortodosso» ho sempre sostenuto che il
vero nocciolo rivoluzionario della teoria economica di Marx sta nella
sua «critica», cioè nella sua dissoluzione critica dell’
«economia politica», che è nella sua essenza borghese. Alla
fondazione, sempre più articolata, di questa tesi ho dedicato
diversi anni di lezioni e qualcosa di questo mio lavoro
teorico-critico è emerso anche nei miei primi lavori a stampa. Nel
mio ultimo ciclo di lezioni (inverno 1932-33) ho poi un po’ mutato
il mio punto di vista , mostrando quanto sia limitato, a guardar
bene, il contributo critico rispetto al contenuto economico
fondamentale del Capitale e quanto poco sviluppato sia l’approccio
critico e come una vera critica anche dell’economia classica sia
propriamente rintracciabile solo nel primo volume – da Marx stesso
revisionato – del Capitale, mentre nei manoscritti marxiani
rielaborati e curati da Engels e Kautsky (vol. II e III del Capitale,
Teorie sul plusvalore) Marx si confronti criticamente solo con
l’economia volgare, presentandosi invece come obbediente scolaro
dell’economia classica e suo prosecutore in particolare per ciò
che concerne la teoria del denaro, della rendita, ecc. Tanto per
cambiare presi allora come punto di partenza della mia separazione di
ciò che è vivo da ciò che è morto del marxismo, la posizione
teorica e pratica di Marx nei confronti della «politica». Da tutto
ciò scaturì l’esistenza di un nesso tra il carattere borghese
della politica marxiana e la mancata realizzazione della sua
dissoluzione critica dell’economia borghese in una scienza
direttamente sociale e – corrispondentemente – in una prassi
direttamente social-rivoluzionaria.
Venne anche alla luce che
Marx si è maggiormente avvicinato ad una teoria della rivoluzione
direttamente proletaria allorchè nel 1844 in Francia, attraverso il
contatto con gli operai comunisti francesi e il primo confronto
positivo con Proudhon, si allontanò dai suoi amici
rivoluzionari-borghesi della sinistra hegeliana arrivando invece,
all’approssimarsi della pratica rivoluzione del 1848, a sostituire
alla rivoluzione economicamente sociale ancora una rivoluzione
«totale», cioè – per lui - «politica» e, in questo modo, a
prender parte alla rivoluzione tedesca, fino alla sua sconfitta nel
1849, da democratico borghese, restio ad accogliere gli obiettivi e
l’organizzazione autonoma degli operai”. 5
Korsch sviluppa qui le
idee esposte per la prima volta nel 1931 nelle tre sintetiche tesi su
Hegel e la rivoluzione in cui ipotizzava che, contrariamente a quanto
sostenuto da generazioni di marxisti a partire da Engels, 6 la
dialettica hegeliana non era stata rimessa “sui piedi” da Marx,
ma semplicemente trasferita dalla teoria borghese di rivoluzione a
quella proletaria. Il marxismo sarebbe dunque segnato fin dai suoi
inizi dal peccato originale del giacobinisno:
“Il «salvataggio»,
fatto da Marx ed Engels e rifatto da Lenin, della dialettica
cosciente dalla filosofia idealistica tedesca nella concezione
materialistica della natura e della storia, dalla teoria borghese
della rivoluzione in quella proletaria, ha – storicamente e
teoricamente – solo il carattere di un trasferimento. Quella che è
stata creata con ciò è una teoria della rivoluzione proletaria non
come si è sviluppata sui suoi propri fondamenti, bensì come è
emersa dalla rivoluzione borghese; una teoria dunque che in ogni
rapporto nel contenuto e nel metodo porta i segni originari del
giacobinismo, della teoria borghese della rivoluzione”. 7
In altri termini, per
Korsch non si può affermare che il marxismo sia diventato coscienza
teorica dell’azione proletaria. Al contrario, la concezione
corrente della rivoluzione proletaria dipende ancora strettamente
dalle teorie ereditate dalle rivoluzioni borghesi. Il che si
manifesta a livello teorico nella sovraesposizione rispetto
all’autonoma azione operaia della funzione del partito e dello
Stato. Un giacobinismo riveduto e corretto alla luce dei conflitti di
classe del XX secolo, che rende il marxismo particolarmente adatto a
fungere da teoria rivoluzionaria per i paesi arretrati. In questo
senso si può affermare, e nel secondo dopoguerra le rivoluzioni
cinese, cubana, vietnamita lo dimostreranno abbondantemente, che,
contrariamente alle aspettative iniziali sull’apertura di una nuova
fase della storia umana, la rivoluzione russa ha solo aperto la
strada ad una nuova forma di giacobinismo dai connotati sempre più
accentuatamente nazional-popolari. 8
Karl Marx
Nel 1934, mentre si trova
in Inghilterra, viene invitato a occuparsi della stesura di un volume
su Marx per la serie di monografie «Modern Sociologists», edita da
Morris Ginsberg e Alexander Farquharson. In un abbozzo di schema
inviato a J. Rumney, direttore della collana, Korsch propone di
stendere un’ampia esposizione critica del marxismo nel suo sviluppo
storico. Un ideale ritorno a quel metodo critico riassunto nella
formula «ciò che è vivo e ciò che è morto nel marxismo» che,
come abbiamo visto, dalla fine degli anni Venti rappresenta l’asse
portante del suo lavoro di ricerca. In una lettera a Paul Mattick
dell’agosto 1935 egli chiarisce meglio questo progetto: è sua
intenzione, chiarisce all’amico
“esporre senza molte
polemiche, in circa 40 paragrafi abbastanza concatenati l’uno con
l’altro, ciò che di più valido mi sembra oggi esserci nel
marxismo”. 9
Considerato il carattere
non politico dell’iniziativa, rivolta ad un “colto pubblico
borghese”, 10 egli tralascia ogni elemeno che possa sembrare di
critica esplicita alla teoria marxiana per concentrarsi invece su di
un’efficace sintesi dei suoi elementi centrali: l’analisi della
società civile, dell’economia politica e della storia. Il Karl
Marx diventa così occasione per una organica ricomposizione unitaria
di spunti vecchi e nuovi del suo pensiero, talvolta in passato non
sufficientemente sviluppati. L’opera ha comunque un iter
travagliato: praticamente pronta nel 1936, vedrà la luce solo nel
1938 a causa di problemi intercorsi nella traduzione del testo dal
tedesco all’inglese.
Volendo schematicamente
sintetizzare il contenuto di quest’opera assai complessa e
articolata, possiamo dire che a Korsch interessa principalmente
mettere in risalto il carattere scientifico del marxismo, il rapporto
dialettico che lega il pensiero di Marx a quello di Hegel ed infine
la sostanziale organicità dell’intera opera marxiana dai
Manoscritti giovanili al Capitale. Ma se il marxismo è scienza,
occorre ben chiarire che esso nulla ha a che vedere con le cosiddette
scienze borghesi. Mentre queste si presentano come pura
rappresentazione di una realtà statica, data come immodificabile, la
teoria critica materialistica concepisce
“tutti i rapporti
sociali esistenti puramente nel flusso del loro mutamento e scioglie
tutte le rappresentazioni statiche delle cose in processi dinamici e
in una lotta politica di classe”. 11
Su questo punto Korsch è
categorico:
“La teoria
materialistica della lotta sociale di classe è essa stessa lotta
sociale di classe. La teoria materialistica della rivoluzione sociale
della classe proletaria è espressione e leva della rivoluzione
sociale della classe proletaria”. 12
Il marxismo è dunque da
considerarsi totalmente estraneo alla sociologia moderna, le sue
radici vanno semmai cercate nella filosofia hegeliana, vera sintesi
rivoluzionaria del pensiero borghese del XVIII secolo. Ne consegue
che
“La classe operaia
guidata dalla teoria marxiana è per questo non solo, come ha detto
Friedrich Engels, «l’erede della filosofia classica tedesca», ma
anche l’erede dell’economia classica e della ricerca sociale
borghese. Essa ha portato avanti, in quanto tale la teoria ereditata
dai classici borghesi corrispondentemente alle mutate condizioni
storiche”. 13
Il marxismo rappresenta
però anche il passaggio dalla filosofia alla scienza. Infatti
“Mentre fondava la sua
penetrante critica materialistica dell’idealismo statuale hegeliano
sugli elementi realistici intorno alla natura della società civile
rinvenibili già presso Hegel, ma inaspettati per un filosofo
idealista, Marx ebbe accesso, attraverso Hegel, a quei grandi
enuirers into the social nature of man, 14 che per primi nei secoli
passati avevano avanzato in lotta con l’invecchiato ordine
economico e statuale feudale, il nuovo concetto della società civile
come soluzione rivoluzionaria e nella nuova scienza dell’ economia
politica, avevano già analizzato la base materiale, per così dire
l’ossatura, di questa nuova forma borghese di società”. 15
In Marx, di conseguenza,
la filosofia hegeliana viene abolita proprio perché realizzata
concretamente nella critica della società. Tale teoria critica è al
contempo una teoria pratica in quanto espressione generale del reale
movimento proletario. Il marxismo è dunque “la genunina scienza
sociale del nostro tempo” fondata sul “principio della
specificazione storica di tutti i rapporti sociali”. Ne consegue
che
“La teoria marxiana (…)
è una nuova scienza della società civile borghese. Questa nuova
scienza compare in un’epoca in cui contro la classe borghese
dominante, nella società civile, nel suo Stato, nella sua scienza,
si è levato il movimento autonomo di una nuova classe sociale. Essa
rappresenta, in contrapposto ai principi borghesi, le nuove
concezioni ed esigenze di questa classe oppressa nella società
civile borghese. Essa è pertanto scienza critica non positiva. Essa
specifica la società civile borghese e ricerca le tendenze visibili
del suo presente sviluppo e la via per il suo imminente rovesciamento
pratico. Essa pertanto, in quanto teoria della società civile
borghese, è contemporaneamente una teoria della rivoluzione
proletaria”. 16
Contrariamente alla
critica frequentemente rivolta a Korsch di teorizzare l’esistenza
di una frattura fra il Marx giovane e il Marx maturo de Il Capitale,
egli ribadisce come i Manoscritti economico-filosofici del 1844
anticipino nel contenuto quasi tutte le acquisizioni
critico-rivoluzionari presenti ne Il Capitale, rappresentandole però
ancora in una forma essenzialmente filosofica. Ma già a partire
dagli anni ’50 Marx elabora in forma pienamente sviluppata la sua
teoria materialista.
“Essa è insieme
economia politica e critica dell’economia politica. (…) inteso in
questo senso, il Capitale di Marx non è soltanto l’ultima grande
opera dell’economia classica (borghese), ma è anche, allo stesso
tempo e in quanto tramite fra la teoria economica borghese sviluppata
fino in fondo e la critica rivoluzionaria proletaria dell’economia
borghese, la prima grande opera della scienza sociale rivoluzionaria
proletaria”. 17
Una scienza che non può
in alcun modo essere assimilata alle scienze positive della natura.
Per Marx non esistono leggi della società e dell’economia “nel
senso di leggi naturali inviolabili e definitive, ma solo leggi
transitoriamente valide per un’epoca storica determinata”, 18
né la storia delle società umane può essere vista in modo
evoluzionistico:
“Come il mutamento
delle specie nella biologia moderna non più evoluzionistica, così
anche i mutamenti sociali del modo materiale di produzione non sono
determinati e determinabili in anticipo, Come la mutazione è un
«salto di natura» (malgrado Aristotele), anche la rivoluzione
sociale, con ogni determinazione materialistica dei suoi presupposti
e forme, resta, nella sua esecuzione, un «salto», certo non da un
regno assoluto della necessità a un regno assoluto della libertà,
ma tuttavia da un sistema di determinatezze da lungo tempo irrigidite
e diventate catene a un sistema che si forma nel processo stesso
della rivoluzione e si articola in forme più plastiche di vita
sociale, che danno spazio a un ulteriore sviluppo delle forze
produttive e liberano nuove forme di attività umana”. 19
Ancora una volta, dalle
pagine di Korsch balza fuori con forza l’immagine di un Marx
libertario, ribelle a ogni schematismo a ricordare con rinnovato
vigore, mentre sul proletariato d’Europa si stende il tallone di
ferro dei lager nazisti e del gulag staliniano dove «il lavoro rende
liberi», che
“nel suo fine e lungo
tutta la sua strada il socialismo è una battaglia per la
realizzazione della libertà”. 20
Paul Mattick
In America
Nel 1936 Korsch emigra
negli Stati Uniti, dove vivrà fin alla morte sopravvenuta nel 1961.
In questo periodo egli continua i suoi studi, sempre più isolato.
Perseguitato dagli stalinisti del PCUSA che continuano anche in
America la campagna calunniosa iniziata in Inghilterra, guardato con
sospetto dalle autorità in quanto ex-comunista, ignorato dall’
establishment universitario, egli non riuscirà mai realmente ad
inserirsi nella società d’oltreoceano né a conseguire la
cittadinanza americana. Ricorda la moglie Hedda
“Nel 1936 si recò in
America, e quando vi giunse non aveva preconcetti circa i possibili
sviluppi quaggiù. Ma questo non durò a lungo perché si rese conto
ben presto della piega che le cose stavano prendendo. D’altro canto
scoprì che le forze che agivano nel quadro del capitalismo USA erano
talmente diverse e forti da rendere impossibile prevedere con grande
esattezza il loro orientamento. Riteneva che potessero prodursi dei
rivolgimenti, ma la situazione era talmente pessima che le cose
avrebbero potuto cambiare soltanto in peggio. Negli USA non si
impegnò in nessuna attività politica importante, sebbene venisse
occasionalmente invidato a dare delle conferenze a piccoli gruppi
politici (…). La sua attività principale negli USA consistette
nello scrivere”. 21
Eppure il primo impatto
non era stato negativo, se ancora nel 1939 in una lettera a Partos
Korsch esprimeva un certo ingenuo stupore per il gigantismo degli
spazi e il dinamismo della società statunitense, ma anche un forte
senso di estraneità:
“(…) questa America è
veramente diversa dall’Europa, certamente dalla «vecchia» Europa
nella quale tutti noi abbiamo vissuto e lavorato e condotto le nostre
lotte. (…) tutto appare troppo grande, troppo vasto, troppo
impenetrabile, troppo poco connesso perché si possa avere una
posizione analoga a quella in Europa. Il singolo qui si sente
piccolo, impotente, ignorante di fronte alla vastità, alla
molteplicità, alla mutevolezza dell’esistente e dell’accadere
generale. L’individuo – e il singolo gruppo, tendenza, iniziativa
– si trova entro uno spazio, in cui muoversi e orientarsi, assai
meno determinato e differenziato. Qui non esiste, nel senso europeo,
né uno Stato né una storia, né una determinata articolazione della
società secondo interessi, classi, o idee dominanti. «Possibilità
illimitate» circondano il reale casuale nel passato, nel presente,
nel futuro. Per tutti e per nessuno esiste un’astratta infinità e
libertà. È difficile ancor oggi, volendo descrivere la struttura
peculiare di questo spazio americano, non fare ricorso alle categorie
dell’ «età dei pionieri»”. 22
Korsch conta di inserirsi
nell’ambiente accademico al pari di molti altri esuli tedeschi che
lo hanno preceduto. Resterà presto amaramente deluso. Egli è troppo
connotato politicamente per essere accettato. Il suo pensiero risulta
troppo radicale per i buoni borghesi intellettuali USA. Anche gli
appoggi su cui aveva contato, si rivelano in breve poco affidabili.
Lo delude in particolare il comportamento dei vecchi “compagni”
dell’Istituto per le ricerche sociali, che dopo il 1932 si erano
trasferiti prima a Ginevra e poi a New York. Nonostante lo scopo dei
membri fondatori della Scuola di Francoforte fosse stato quello di
costituire una comunità di studiosi la cui solidarietà avrebbe
dovuto prefigurare la futura società socialista e che l’Istituto
concretamente cercasse di aiutare gli intellettuali tedeschi
antinazisti emigrati in America, 23 Kark Korsch non risulta fra i
beneficiati. Il che in parte almeno spiega l’asprezza con cui egli
giudica i principali esponenti della Scuola: Horckheimer, Adorno,
Marcuse.
“Eccomi dunque –
scrive nell’ottobre 1938 da New York dove ha sede l’Istituto
all’amico Mattick – al terzo giorno del mio triste viaggio alla
ricerca di eventuali possibilità di lavoro e di collaborazione con
l’IFS. 24 (…) Se qui vengo trattato con un rispetto quasi
esagerato, ciò avviene solo in virtù della mia «elevata»
posizione di classe e delle mie –corrispondentemente – maggiori
pretese. Se però questo «rispetto» formale non dovesse tradursi in
qualche cosa di concreto (finanziario) sono deciso ad uscire da
questa partnership (anonima, per quanto mi riguarda) che tutti
sembrano giudicare così positivamente”. 25
Ed effettivamente il
giudizio di Korsch è spietato: nonostante le arie rivoluzionarie
ostentate in privato, in pubblico i rappresentanti dell’Istituto si
guardano bene dall’assumere posizioni in qualche modo in contrasto
con gli interessi dei loro ricchi finanziatori. Un gruppo di
personaggi vili, egoisti, limitati, così egli li descrive a Mattick
che, va ricordato, nonostante l’estremo rigore teorico dei suoi
scritti, non è un intellettuale, ma un operaio impiegato come
attrezzista meccanico in una fabbrica di Chicago. Nessuno si salva da
questo giudizio critico feroce che assume a tratti i toni
dell’invettiva. Non Pollock, totalmente “assorbito dagli affari
capitalistici privati dello Institut”, né Horkheimer che “non è
minimamente disposto a difendere anche all’esterno le sue idee”,
tantomeno Adorno”una delle teste più capaci della filosofia”, ma
politicamente “acora stalinista”. Quanto a Marcuse, egli dimostra
“un po’ più di carattere e di fermezza degli altri, (…) ma dal
punto di vista umano non è particolarmente simpatico”. Quanto a
Löwenthal e a Neumann, essi sono “men che mediocremente dotati,
(…) l’uno nel campo della letteratura, l’altro in quello della
giurisprudenza”. 26
Quanto all’Istituto il
quadro complessivo è ancora più fosco:
“L’intero Institut fu
sempre e completamente costruito sulla base di una partita doppia,
sia nella politica che nella teoria rivoluzionaria. (…) La gente
dello IFS si sente chi sa come rivoluzionaria e militante (dentro di
sé), solo per il fatto di essere semplicemente vile, egoista,
limitata, invece che apertamente controrivoluzionaria. (…) Ecco più
o meno quello che c’è. Di lavoro se ne fa poco e di chiacchere
molte: questo è il loro «lavoro collettivo». Dopo qualche discorso
ognuno dà ragione agli altri sulla base di una determinata
gerarchia: e questa è la loro comunità”. 27
1 Sir Ernest Shuster,
professore universitario di diritto con cui Korsch collabora
strettamente nel suo primo periodo inglese (1912-1914). Cfr. a questo
proposito H. KORSCH, Ricordi su Korsch, cit., p. 8.
2 Il Ministero degli
Interni britannico.
3 H. KORSCH, cit., p.
14.
4 K. KORSCH, Lettera a
Partos del 25/11/1935, in La crisi del marxismo, Altre edizioni, Todi
1978, p. 3.
5 Ivi, pp. 3-4.
6 Cfr. F. ENGELS,
Ludovico Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica
tedesca, cit., p. 41.
7 K. KORSCH, Hegel e la
rivoluzione, in Dialettica e scienza nel marxismo, cit., pp. 168-169.
8 Sarebbe interessante,
ma esula dagli ambiti di questo lavoro, investigare gli elementi di
“socialismo” presenti nel regime mussoliniano che riteniamo
almeno in parte riconducibile a questo processo.
9 K. KORSCH, Lettera a
Paul Mattick del 29.8.1935, citata in G. LANGKAU, Nota filologica, in
Karl Marx, Laterza, Bari 1968, p. XXXII.
10 K. KORSCH, Lettera a
Paul Mattick del 10.5.1935, in Marxiana 1, Bari 1976, p. 145.
11 K.
KORSCH, Karl Marx, cit., p. 70.
12
Ivi, p. 69.
13
Ivi, p. 9.
14
Ricercatori intorno alla natura sociale dell’uomo. (In inglese nel
testo)
15
Ivi, p. 7.
16
Ivi, p. 71.
17
Ivi, pp. 101-102.
18
Ivi, p. 167.
19
Ivi, pp. 228-229.
20 K.
KORSCH, Lo stato attuale…, cit., p. 38.
21 H.
KORSCH, cit., pp, 14-15.
22 K.
KORSCH, La scienza americana, in Dialettica e scienza nel marxismo,
cit., p. 105-106.
23
Circa duecento emigrati furono a vario titolo sostenuti
finanziariamente dall’Istituto. Dal 1934 al 1944 furono distribuiti
sotto forma di borse di studio oltre 200. 000 dollari di aiuti. Cfr.
M. JAY, cit., p. 179.
24
Institut Für Sozialforschung (Istituto per le ricerche sociali)
denominazione ufficiale della Scuola di Francoforte.
25 K.
KORSCH, Lettera a Paul Mattick del 20.10.1938, in Marxiana 1, cit.,
pp. 165-166.
26
vi, pp. 167-168.
27
Ivi.