In
ricordo di Sandro Saggioro pubblichiamo una sua relazione svolta il
24 aprile 2002 al C.S.O.A. Cox 18 - Archivio Primo Moroni - Libreria
Calusca City Lights di Milano. Un testo di grande interesse che
testimonia del suo rigore di storico e della sua passione di
militante.
Sandro Saggioro
Contro venti e maree
La Seconda
Guerra mondiale e gli internazionalisti del "Terzo Fronte"
Gli argomenti di cui
si parlerà in questo incontro - la Seconda Guerra mondiale, la
Resistenza, l'attività e il profilo dei piccoli gruppi di sinistra
che si opposero alla guerra in Italia e, più in generale, a livello
europeo - sono stati uno degli oggetti centrali della ricerca storica
di Arturo Peregalli. Ciò che vi dirò, fondamentalmente, si basa
sugli studi e gli appunti di lavoro di questo amico e compagno,
scomparso il 13 giugno 2001, a soli 53 anni.
Domani sarà il 25
aprile, l'anniversario della Liberazione, che, come sempre, verrà
celebrato dall'intero arco politico-istituzionale, con il "popolo
della sinistra", ancora una volta, a dire che la Resistenza è
stata tradita o che non ne sono state adempiute le legittime
aspettative. L'incontro di questa sera, anche simbolicamente, per la
data in cui cade, vuole esprimere un diverso
posizionamento.
Comincio dal punto centrale: la Seconda Guerra
mondiale.
Sappiamo tutti che le
scelte strategiche delle grandi potenze s'ammantano d'ideologia
ogniqualvolta occorra coinvolgere le masse nel dramma della guerra. Ž
quello il momento in cui le classi dirigenti agitano le bandiere
della nazione, della democrazia, delle religioni o di qualsiasi altra
ideologia che serva alla bisogna. Basti vedere quanto sta accadendo
da almeno dieci anni a questa parte con il "nuovo ordine
mondiale", le "guerre umanitarie", l'"unità di
tutto il popolo contro il terrorismo", la "giustizia
infinita" eccetera.
Durante la Prima
Guerra mondiale la borghesia coinvolse il proletariato sulla base
dell'ideologia patriottarda; nella Seconda Guerra mondiale la
borghesia si aggiornò e il conflitto bellico divenne una "crociata
della democrazia contro il nazifascismo". (Vedremo poi come il
ruolo della Russia nella Prima e nella Seconda Guerra mondiale fu
molto diverso.)
Iniziamo con lo
sfatare il mito che la Seconda Guerra mondiale sia stata uno scontro
fra democrazia e totalitarismo (quest'ultimo rappresentato dal Terzo
Reich e dall'Italia fascista): fra gli Alleati c'era l'Unione
Sovietica, un Paese non certo democratico, bensì totalitario.
Non è nemmeno
corretto qualificare come antifascista la Seconda Guerra mondiale,
dal momento che essa fu combattuta essenzialmente contro la Germania
e l'Italia, indubbiamente fasciste, ma non contro il fascismo in
quanto tale: Paesi come Spagna e Portogallo, anch'essi fascisti, non
vennero toccati, né durante né dopo la guerra (per esempio, la
Spagna aveva inviato in Russia una sua legione a combattere a fianco
dei nazisti, ma il regime di Franco non ne ebbe a patire alcuna
conseguenza).
Secondo un'altra
interpretazione la Seconda Guerra mondiale fu combattuta contro il
razzismo: ciò è ancora più ridicolo, in quanto nell'esercito
americano esisteva allora la segregazione razziale (i negri non
potevano prestare servizio né in aviazione né in marina; e un
ferito bianco non poteva essere trasfuso col sangue di un negro).
Razzista non era il solo Hitler: Roosevelt era presidente di uno
Stato in cui i bianchi erano giuridicamente superiori ai negri, per
non parlare poi del Sudafrica, vera e propria perla d'antirazzismo
nel campo alleato.
A partire dalla fine
dell'Ottocento, dopo la Comune di Parigi del 1871, le guerre che si
combattono in Europa non sono altro che scontri armati per la difesa
degli interessi del capitale dei rispettivi gruppi concorrenti
(questa è la posizione difesa dal marxismo rivoluzionario). La
Germania degli anni Trenta, facilitata in ciò dall'iniezione di
capitali americani, aveva conosciuto un massiccio incremento del
proprio processo produttivo. La dinamica capitalista le imponeva la
conquista di nuovi mercati e una politica espansionista, ma ciò
andava a cozzare con gli interessi delle altre potenze, le quali non
potevano permettere che la Germania acquisisse il predominio a
livello europeo. Per questo motivo la Seconda Guerra mondiale si
caratterizza come una guerra imperialista, che al suo termine vede il
trionfo della potenza economicamente più forte, gli Stati Uniti
d'America, trionfo che dura a tutt'oggi. (Nel 1944, quasi alla fine
del conflitto, con gli accordi di Bretton Woods la supremazia degli
USA emerge in piena evidenza nella ridefinizione del sistema
monetario, da lì in poi basato sul dollaro.)
Esistono tuttavia
alcune importanti differenze tra la Prima e la Seconda Guerra
mondiale.
Di fronte alla Prima Guerra mondiale il Partito
Socialista Italiano riesce a restare neutrale (anche se bisognerebbe
vedere più da vicino il significato di questa neutralità); abbiamo
la posizione di Lenin e della sinistra di Zimmerwald (trasformare la
guerra imperialista in guerra civile per l'abbattimento del capitale)
e lo scoppio della Rivoluzione russa.
Un'altra differenza
tra le due guerre mondiali sta nel crescente coinvolgimento delle
popolazioni civili: durante la Prima esse patiscono fame e
privazioni, ma non bombardamenti massivi, feroci distruzioni e stragi
come durante la Seconda (in entrambi i campi).
La Russia che
combatté nella Seconda Guerra mondiale era uno Stato che ormai aveva
vissuto una degenerazione della rivoluzione e il ristabilimento,
sotto il falso nome di comunismo, di una società capitalista (ciò
che, per inciso, la Russia era sempre stata). Quindi il ruolo di
Mosca fu quello di asservire il proletariato agli imperativi del
capitale e dello Stato russi, nonché e soprattutto di distruggere
sul piano teorico le posizioni rivoluzionarie.
Arturo Peregalli
Oggi pomeriggio, a
casa di Arturo, prima di venire qui, mi è capitato di dare
un'occhiata a Ex, un libro di Felice Chilanti, uno scrittore che
aveva militato nel gruppo Bandiera Rossa. Ne ho tratto un brano in
cui l'Autore descrive un suo colloquio con Tigrino Sabatini, operaio:
"Tigrino s'incurva a parlarmi, il suo fiato in viso: Lenin
cambiò in rivoluzione la guerra, Stalin Togliatti Alicata mandano
rivoluzionari a fare la guerra".
Importante è il
ruolo che il Partito Comunista Italiano svolse durante il conflitto,
e anche prima. Il PCI fu uno strumento di Mosca che egemonizzò il
movimento operaio, non solo organizzativamente, ma anche e
soprattutto teoricamente. Va tenuto presente, peraltro, che la linea
politica del PCI sulla Seconda Guerra mondiale non fu sempre la
stessa: nel periodo in cui restò in vigore il patto
Ribbentrop-Molotov, la guerra veniva qualificata come imperialista
(sebbene questo giudizio non muovesse da presupposti
internazionalisti bensì dal rispetto dei mutevoli dettami imposti
dalle giravolte della politica estera sovietica); poi col giugno
1941, dopo l'attacco tedesco alla Russia, la posizione del partito
cambiò improvvisamente e la guerra diventò uno scontro tra
totalitarismo fascista e antifascismo.
Da questa
impostazione derivava la necessità di unire le forze progressiste
per resistere alla barbarie, rappresentata dalla Germania nazista e
dal regime di Mussolini. Se però la guerra mondiale diventava uno
scontro in difesa della democrazia, tutto doveva essere finalizzato
alla sconfitta del nazismo, in una lotta da combattersi a fianco
degli Alleati. E infine, con l'occupazione del territorio nazionale
da parte del nemico nel settembre '43, la guerra diventò anche
guerra di liberazione nazionale, cioè guerra patriottica.
Ovviamente, in quest'ottica, si perse completamente di vista la
natura imperialista della guerra, che nello scontro militare vedeva
contrapporsi le varie frazioni del capitale mondiale.
La classe operaia era
stata sconfitta già prima dello scoppio del conflitto bellico; la
fraternizzazione dei lavoratori al di sopra delle frontiere contro il
comune nemico di classe era al di là d'ogni reale possibilità in
quegli anni. Ciononostante alcuni episodi concretarono brevemente,
quali scintille nel buio, le prospettive di fraternizzazione fra i
proletari. Per esempio, nella Francia del '43, sorse, all'interno
della Wehrmacht e in collegamento con alcuni operai locali, un
raggruppamento che pubblicava un giornale, "Arbeiter und
Soldat", in cui venivano ribadite le posizioni d'unità tra i
proletari dei due campi in guerra, contro le rispettive borghesie e
il massacro imperialista. Questi elementi rivoluzionari furono
rapidamente scoperti ed eliminati dalla Gestapo.
Occorre comunque
precisare che ogni tentativo di rottura della guerra da un punto di
vista rivoluzionario e comunista non avrebbe avuto alcuna speranza di
successo. La Comune di Varsavia lo testimonia: quando i proletari
della capitale polacca si sollevano, l'Armata Rossa, che è alle
porte della città e sta per conquistarla, si ferma e aspetta che
gl'insorti vengano massacrati, lasciando insomma ai nazisti il lavoro
sporco, prima di fare il suo ingresso. E il martirio greco nella
Seconda Guerra mondiale e nella guerra civile è un'ulteriore
dimostrazione della saldezza del dominio imperialista in quegli anni.
Qualificata la natura
della guerra, passiamo a descrivere brevemente alcuni dei movimenti
politici dissidenti che agirono in Italia nella fase finale del
conflitto. Li definiamo dissidenti perché non accettarono
l'impostazione prevalente della Resistenza come lotta solo contro il
fascismo e per il ripristino della democrazia.
Conosciamo la lettura
che della Resistenza dà lo storico che più l'ha studiata a fondo,
Claudio Pavone. A suo avviso, tre sono le possibili interpretazioni
della Resistenza. La prima è quella di guerra nazionale e
patriottica: lo straniero è stato combattuto, vinto e scacciato,
insieme con i suoi manutengoli della Repubblica Sociale Italiana; e
questa è l'interpretazione ufficiale. La seconda è quella della
Resistenza come guerra di classe e come momento di riscatto delle
masse popolari oppresse, che riacquistano un'azione indipendente:
questa è la visione che, mantenutasi viva in una parte del PCI negli
anni del dopoguerra, sarà riproposta dai movimenti di sinistra sorti
dopo il '68 e da chi parlerà di Resistenza tradita e si farà
portavoce di una Nuova Resistenza. La terza interpretazione è quella
sostenuta dai fascisti e dalla destra: la Resistenza come guerra
civile. Per Pavone tutte e tre queste interpretazioni - diciamo così,
queste tre anime - sono presenti all'interno della Resistenza.
Nessuna di queste
interpretazioni, però, tiene conto di un dato fondamentale, e cioè
che la Resistenza era inserita in una guerra mondiale, quella stessa
guerra che abbiamo caratterizzato prima come imperialista.
Sul piano militare la
Resistenza fu un'attività di guerriglia dietro le linee nemiche,
svolta in appoggio alle armate angloamericane e con margini di
autonomia sostanzialmente inesistenti. Le formazioni partigiane erano
completamente integrate all'interno del quadro bellico, sia prima sia
dopo il loro riconoscimento ufficiale, e nella propria azione non
fuoruscirono mai dal controllo degli Alleati.
Ritornando ai gruppi
dissidenti, vi fu senz'altro chi pensava di condurre una lotta per
una società diversa, socialista, e chi mirava a riproporre in Italia
l'esperienza russa. Ma va precisato che il referente di questa
riproposizione non era la Russia dell'Ottobre: era la Russia
staliniana. Il socialismo propugnato da queste formazioni dissidenti
ricalcava il modello sovietico di quegli anni, in cui se i padroni
erano stati eliminati tuttavia erano ben presenti e vigevano i
rapporti di produzione capitalistici. La Russia durante la Seconda
Guerra mondiale rappresentò un polo d'attrazione micidiale per la
classe operaia, anche per quegli elementi radicali che pure
esistevano nelle file della Resistenza. E ciò si riallaccia a quanto
detto prima circa il ruolo dello stalinismo quale agente di
distruzione della teoria del proletariato, delle posizioni per le
quali la classe operaia si era battuta nella Rivoluzione russa e
negli anni Venti.
Per caratterizzare il
dissidentismo resistenziale, insomma, si può dire che in buona
misura esso non faceva che estremizzare la linea del PCI. Non potendo
fornire qui un quadro esaustivo delle varie formazioni, mi limiterò
a ricordarne alcune.
A Torino esisteva il
Partito Comunista Integrale, meglio noto come Stella Rossa, dal nome
del suo organo di stampa. Si trattava di un movimento accesamente
stalinista, i cui aderenti pensavano che Stalin avrebbe appoggiato la
classe operaia italiana sulla via della rivoluzione. Alla fine della
guerra, Stella Rossa, dopo l'uccisione del suo capo, Temistocle
Vaccarella, confluì nel PCI. Quest'omicidio - avvenuto al parco
Sempione di Milano per mano di elementi picisti - può essere legato
al fatto che Vaccarella in quel periodo stava cercando di allacciare
rapporti con gl'internazionalisti di "Prometeo". Il partito
di Togliatti paventava una possibile unificazione tra le forze della
dissidenza, e quindi, a scanso di pericoli, era meglio eliminare chi
si faceva portatore di una simile istanza. L'omicidio politico era
una prassi abbastanza consueta in quegli anni (vedremo poi che anche
militanti del Partito Comunista Internazionalista furono uccisi dagli
stalinisti).
Nel Lazio e a Roma
agiva il Movimento Comunista d'Italia (organo: "Bandiera
Rossa"), un gruppo molto forte e formato anch'esso in buona
parte da elementi d'orientamento staliniano. (Sarebbe interessante
capire come e perché Bandiera Rossa incappò pesantemente nelle
retate tedesche dopo l'attentato di via Rasella. Benché le
interpretazioni al riguardo debbano essere valutate con cautela,
provenendo da gente di destra, sembra che ci sia stata un'azione del
PCI affinché venissero catturati molti militanti e quadri di
Bandiera Rossa. Comunque sia, questa organizzazione fu decapitata
alle Fosse Ardeatine.)
Nel Sud Italia erano
attive altre formazioni, tra cui la Frazione di Sinistra dei
Socialisti e Comunisti Italiani, che si basava sull'azione condotta
dalla CGL di Napoli, su posizioni classiste. Questo movimento, sul
finire della guerra, si fuse con il Partito Comunista
Internazionalista.
Passiamo ora a quest'ultimo. Differenziandosi
in ciò nettamente dalle altre organizzazioni del dissidentismo, il
Partito Comunista Internazionalista si richiamava al Partito
Comunista d'Italia del '21 e alla Frazione Italiana della Sinistra
Comunista, attiva nell'emigrazione all'estero sotto il fascismo. Il
suo organo clandestino era "Prometeo" (1943-45). In alto a
sinistra, sopra la testata del giornale era scritto: "Anno XXI,
serie III", per segnare la continuità con il "Prometeo"
che la Sinistra Italiana aveva pubblicato a Napoli nel '24 e con
quello che la Frazione aveva fatto comparire in Francia dal '28 al
'38. Inoltre, sotto la testata del primo numero del giornale, ben in
grosso e sottolineato, si leggeva: "Sulla via della sinistra".
Ž con il numero due, dicembre 1943, che appare la dicitura "Organo
del Partito Comunista Internazionalista".
L'articolo di fondo
che apre il primo numero di "Prometeo" ne esplicita fin dal
titolo le posizioni: Alla guerra imperialista il proletariato oppone
la ferma volontà di raggiungere i suoi obbiettivi storici. Il
Partito Comunista Internazionalista nasce nel '43 - ma già alla fine
del '42 alcuni militanti si erano organizzati - con l'idea che si
sarebbe potuto ripetere quant'era avvenuto nel primo dopoguerra. Era
ritenuta prossima una nuova ondata rivoluzionaria, simile a quella
che aveva investito la Russia nel '17 e l'Europa alla fine della
Grande Guerra. Agli occhi dei comunisti internazionalisti la lotta
per la liberazione nazionale non aveva alcun senso da un punto di
vista rivoluzionario: partecipare alla difesa della propria patria
significava infatti inserirsi in uno dei fronti militari del
capitalismo.
"Prometeo"
interpretò la caduta del fascismo, nel luglio '43, come l'abbandono
dei fascisti al loro destino da parte della classe dominante. Un
volantino dell'agosto successivo affermava: "La borghesia, la
monarchia, la Chiesa - creatori e sostenitori del fascismo - che
buttano oggi Mussolini in pasto al popolo per evitare di essere
travolti con lui, e che assumono vesti democratiche e popolaresche
per poter continuare lo sfruttamento e l'oppressione delle classi
lavoratrici non hanno nessun diritto di dire una parola nella crisi
attuale: questo diritto spetta esclusivamente alla classe operaia, ai
contadini e ai soldati, eterne vittime della piovra imperialistica".
Durante il periodo
badogliano, cioè tra il 25 luglio e l'8 settembre 1943, il Partito
Comunista Internazionalista si batté soprattutto per la fine
immediata della guerra. Con questa parola d'ordine s'inserì negli
scioperi dell'estate '43 e poi in quelli del dicembre successivo.
(Non è qui possibile prendere in esame una serie di altri
avvenimenti importanti, come per esempio gli scioperi del
marzo-aprile '43, che furono lotte economiche del proletariato,
contro la mancanza di generi alimentari, i licenziamenti, le
riduzioni di paga. Ž questo il terreno su cui, a Milano e a Torino,
i proletari si compattarono e si mossero, non contro il fascismo,
come poi è stato raccontato dalla storiografia resistenziale, bensì
contro il potere del governo - fascista o democratico che fosse - che
rendeva insopportabili le loro condizioni di vita.)
Il Partito Comunista
Internazionalista, nel dicembre '43, lanciò un appello per la
creazione di un fronte unico proletario. Vi leggo un volantino che
venne diffuso in questa occasione:
"OPERAI
MILANESI!
Voi avete incrociato
le braccia. Soddisfatte o no le vostre richieste di oggi, voi vi
muovete fatalmente in un vicolo cieco e sarete, in breve, costretti
ad incrociare ancora le braccia.
Perché?
Perché i capitalisti
e il governo nazi-fascista, responsabili della guerra, sono incapaci
non solo di risolvere la tremenda crisi che ha polverizzato
l'economia nazionale, ma persino di sfamare voi e le vostre famiglie,
costringendovi ancora a fabbricare cannoni per la guerra.
OPERAI!
Un solo
mezzo avete per uscire dalla crisi: fare della vostra forza di classe
una cosciente forza rivoluzionaria. Solo unendovi compatti contro la
guerra, contro il capitalismo, contro gli sfruttatori di ogni colore
che si servono delle vostre braccia e della vostra vita per la loro
lotta criminale di dominio, solo spostando la vostra azione dal
terreno economico a quello politico, riuscirete a spezzare le catene
che ancora vi imprigionano.
OPERAI!
Al
capitalismo, colpito a morte dalla sua stessa guerra, contrapponete
ora la vostra capacità e la vostra forza di nuova classe dirigente.
Contro il fascismo,
che vuole la continuazione della guerra tedesca, e contro il Fronte
Nazionale dei sei partiti, che vuole la continuazione della guerra
democratica, voi organizzatevi sul posto di lavoro, cementate in un
FRONTE UNICO PROLETARIO i vostri comuni interessi, il vostro stesso
destino di classe che vi indica come già iniziata la lotta decisiva
per la conquista del potere.
Il Partito Comunista
Internazionalista è al vostro fianco.
Abbasso la guerra
fascista!
Abbasso la guerra
democratica!
Viva la rivoluzione
proletaria!
[Firmato:] Il Partito
Comunista Internazionalista".
Ovviamente, le
posizioni del partito Comunista Internazionalista gli attirarono una
condanna durissima da parte del PCI. Questa condanna non fu soltanto
verbale - "agenti del fascismo e della Gestapo", così
venivano definiti gl'internazionalisti sulla stampa picista - ma
arrivò fino all'eliminazione fisica di suoi militanti, come Mario
Acquaviva e Fausto Atti.
Visto che domani è
il 25 aprile, vorrei leggervi un altro volantino del Partito
Comunista Internazionalista, diffuso nelle settimane successive alla
Liberazione col titolo: Proletari! Disertate i C.[omitati] di
Liberazione Nazionale. Eccone il testo:
"I dirigenti
cosiddetti comunisti (che noi chiamiamo giustamente voltagabbana, per
il semplice fatto che hanno tradito l'idea base del partito sorto a
Livorno nel 1921) si atteggiano a difensori dei partiti componenti il
C.[omitato] di L.[iberazione] N.[azionale] (vedi Unità di domenica
17 giugno) i quali, essendo rappresentanti della classe borghese,
sono di conseguenza i creatori del metodo fascista, il quale fu
creato dalla borghesia per impedire la marcia trionfale del
proletariato verso la presa del potere politico. Dire come è stato
detto da un massimo esponente del centrismo [NdC: i comunisti
internazionalisti in quegli anni definivano centrismo lo stalinismo]:
che il fascismo è stato un errore commesso dalla borghesia, è una
menzogna a duplice portata, poiché da una parte si vorrebbe ridurre
ad un semplice sbaglio (e perciò riparabile in sede giuridica) le
grandi sofferenze ed il sangue versato dal proletariato in un quarto
di secolo, e dall'altra negare la realtà di un periodo di
dominazione capitalista sulla base dei propri interessi classisti di
accumulazione di ricchezze e di mantenimento dell'autorità borghese
nei confronti di un proletariato combattivo, ed infine negare il
ruolo di avanguardia nella provocazione alla guerra, di quella guerra
voluta del capitalismo poiché tutta la società capitalista mondiale
era contaminata alle sue stesse basi. Il fascismo non è uno sbaglio
ma bensì l'arma controrivoluzionaria che la borghesia sa servirsi in
date situazioni, in dati settori del mondo capitalista.
PROLETARI!
Oggi sul settore
italiano il metodo fascista ha finito il suo ruolo di conservatore
degli interessi di classe del vostro nemico, al suo posto subentra un
altro metodo che ha come base la demagogia, l'imbroglio e la
deformazione delle idee proletarie, anche questa volta la borghesia
non commette uno sbaglio, anzi per essa è una vera cuccagna di poter
servirsi di organismi ad etichetta proletaria per convogliare il
proletariato al carro della ricostruzione, vale a dire al carro dello
sfruttamento, di poter avere dei ministri di governo comunisti.
Quello che conta per il capitalismo è una sola cosa: impedire al
proletariato di trovare il filo di congiunzione con le vecchie
battaglie e continuare così il grande cammino della lotta di classe
verso la sua totale emancipazione economica e politica.
LAVORATORI!
Ieri con il
fascismo, oggi con il C. di L.N., la borghesia continua a dominare e
ad illudervi. Il centrismo dirigente ci chiama traditori? Noi
rispondiamo che se si tratta di traditori della patria possono
risparmiare il loro fiato, noi come tutti i proletari non abbiamo
patria, abbiamo una classe che si chiama proletariato, se per
traditori si vuole alludere alla nostra posizione contro la guerra e
alla nostra parola d'ordine: proletari disertate e sabotate la
guerra, ebbene per noi è un onore immenso di avere denunciato il
massacro tra i proletari dei diversi paesi. Se infine noi siamo dei
traditori perché non apparteniamo al C. di L.N. dichiariamo subito
che questi insulti non ci toccano poiché si deve provare che il
Partito Internazionalista ha tradito la causa della classe proletaria
e la sua rivoluzione, anzi denunciando al proletariato il C. di L.N.
noi non facciamo altro che continuare a smascherare il mostro
capitalista disposto a trasformarsi esteriormente in ogni situazione
pur di mantenere intatto il suo metodo di prelevamento del sangue e
dei sudori sul lavoro degli operai e lavoratori tutti. Noi non
crediamo sia un insulto quello di dire che nel C. di L.N. si rintana
il capitalismo nelle sue diverse spoglie, fascismo compreso, noi non
crediamo sia un insulto dichiarare che il centrismo collabora con i
peggiori nemici del proletariato, che ha rinunciato ad ogni principio
classista accentuando i principi antiquati della borghesia
patriottarda. Il vero insulto verso il proletariato è proprio quello
di chiamarsi Comunista da parte di un partito il cui contenuto
politico rappresenta tutto, salvo l'idea rivoluzionaria classista.
Abbasso i disfattisti
della rivoluzione proletaria!
Abbasso i collaboratori e
conservatori del dominio borghese!
W la rivoluzione proletaria
italiana e mondiale!
[Firmato:] Il Comitato federale di Torino e
provincia del Partito Comunista Internazionalista".
È una citazione lunga,
ma non ho voluto rinunciarvi perché mi pare che questo volantino
sintetizzi efficacemente il contenuto di questa parte della mia
relazione.
Arturo Peregalli
aveva svolto un approfondito studio sulla Resistenza e sui gruppi che
si erano allora posti alla sinistra del PCI (i frutti di questo
lavoro sono raccolti nel volume L'altra Resistenza. Il PCI e le
opposizioni di sinistra 1943-1945, Graphos, Genova, 1991). Sua
intenzione era di estendere la ricerca a livello europeo. Purtroppo
la malattia e poi la morte gli hanno impedito di portare a termine
l'impresa. L'unica parte finora apparsa è quella contenuta nel libro
Contro venti e maree. La Seconda Guerra mondiale e gli
internazionalisti del "Terzo Fronte". Capitolo quinto.
Grecia: Aghis Stinas e l'Unione Comunista Internazionalista (Colibri,
Paderno Dugnano, MI, 2002).
Nel progetto
originario del libro, Arturo e io volevamo prendere in
considerazione, per quanto riguarda la Francia, la Frazione Italiana
della Sinistra Comunista (la cui azione di quegli anni non è ancora
stata studiata), i Revolutionere Kommunisten Deutschlands (RKD),
l'Organisation Communiste Révolutionnaire (fuoruscita dal
trotskismo) e, infine, l'Union des Communistes Internationalistes
(una formazione, nata nel '42-43, alla quale partecipò anche
Maximilien Rubel).
Sono, tutti questi,
gruppi estremamente minoritari, i cui aderenti si contano nell'ordine
delle decine. Gli altri capitoli avrebbero dovuto trattare di
Grandizio Munis (che a quel tempo viveva in Messico), dei comunisti
dei consigli olandesi (che s'opposero anch'essi alla guerra) e del
gruppo animato da Henk Snevlieet (il Marx-Lenin-Luxemburg Front). Il
libro avrebbe cercato, insomma, di fornire un quadro a livello
europeo di quelle che erano state le posizioni internazionaliste e di
riportare alla luce l'attività degli uomini che vi si erano
ispirati.
È questo, a mio
avviso, un compito importante, non solo da un punto di vista storico
ma anche per l'oggi, vista la situazione nella quale ci troviamo a
vivere: una situazione che se non è ancora di guerra ne è la
preparazione, una situazione in cui si cerca di compattare
proletariato e popolo tutto a sostegno delle esigenze del capitale,
nella lotta comune a un nemico fantomatico, il quale trova una
definizione assai generica qual è quella di terrorismo. La settimana
scorsa un piccolo aereo è andato a sbattere contro il grattacielo
Pirelli a Milano. Immediatamente, il presidente del senato ha
dichiarato trattarsi di atto terroristico, salvo poi dover ammettere,
a malincuore, ch'era stato un incidente. Non essendo crollata alcuna
Torre Gemella, non è stato stavolta possibile unire l'Italia,
lavoratrice e non, contro l'immane pericolo, il nuovo demone
terrorista.
Oggi, quando sotto la
copertura di interventi "umanitari" e di operazioni di
"giustizia infinita" le diverse frazioni del capitale
mondiale cercano di assicurarsi la conquista di posizioni strategiche
in vista d'un futuro conflitto, è tanto più utile ribadire qual è
la posizione del comunismo rivoluzionario di fronte alla guerra e
alle Sacre Unioni cui sempre i proletari vengono richiamati.