TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 30 luglio 2024

Lascerem la Testafochi...

 


Sembra ieri, ma sono giusto in questi giorni cinquant'anni che finivo il servizio militare e ritonavo alla vira civile dopo quasi due anni passati in divisa, prima come assaltatore e poi (titolo di studio obblige) come magazziniere di battaglione.

Quattordici mesi alla Testafochi (oggi demolita per far spazio ai moderni edifici dell' Università) , un niente paragonato ai miei 75 anni, ma sufficienti per innamorarmi di Aosta e sentirmi per sempre valdostano d'adozione, parte di quel mondo e di quella città.. Tanto che ancora oggi Aosta resta per me un luogo del cuore.

Più che Savona, città in decadenza e senza identità, in cui vivo dal 1962 ma sempre più da straniero, da meteco, come i Greci chiamavano gli estranei allo spirito della polis..

Certo, come sempre, il ricordo degli anni giovanili attenua le contraddizioni e tende a mettere in risalto solo gli aspetti positivi legati alla vitalità della giovinezza.

In realtà, furono mesi duri in una caserma dura, ma questo non attenua il mio amore per Aosta, anche se la sera del congedo, ubriaco perso, saltellavo seminudo in camerata con altri venti invasati cantando.


E' finita
E' finita per davvero
Lascerem la branda e il telo
Lascerem la Testafochi
Per chiavare come pochi...

Avevo venticinque anni e gli ormoni andavano a mille.
Oggi di quel periodo resta il ricordo
e qualche amicizia che ha resitito agli anni (vero Bobo?)
e l'immagine di un giovane che guardava con occhi critici ma fiduciosi all'avvenire.
Un giovane che, nonostante il mezzo secolo passato, ancora vive dentro di me.
Accanto al bambino curioso e vivace che sono stato.
Un giovane e un bimbo che nei momenti critici escono fuori.
Mi guardano seri e mi ricordano chi sono veramente.
E mi impediscono così  di affogare nella opacità del presente.



venerdì 12 luglio 2024

Antifascismo come lotta di classe

 


Riprendiamo la premessa a un libro uscito all'inizio degli ormai lontani anni Settanta. Un documento di oltre cinquant'anni fa ma sempre molto attuale. Con una differenza fondamentale. Allora la coscienza politica e sociale era viva e suscitava una voglia diffusa di approfondimento e confronto, di cui questo libro, contenente gli atti di un convegno delle forze della nuova sinistra è testimonianza. Oggi ci si limita a ripetere slogan usurati dal tempo, pensando che basti cantare "Bella ciao" per fare i conti con il fascismo.

In questo secondo quaderno di «Unità Proletaria» vengono pubblicati gli atti del convegno che il quindicinale del PdUP organizzò lo scorso anno (9 e 10 giugno 1973) a Firenze, sul tema Per un nuovo antifascismo militante —L'involuzione autoritaria oggi in Italia.

L'idea di organizzare un momento collettivo di riflessione su questa problematica era partita da un gruppo di compagni, e particolarmente da Luciano Della Mea, in seguito ad un dibattito, apertosi sulle colonne del giornale, e al quale avevano partecipato alcuni comandanti partigiani.

Fortunato Avanzati, il famoso «Viro», comandante della brigata «Spartaco Lavagnini» si era fatto portatore di una proposta precisa: rivitalizzare L'ANPI con l'ingresso delle nuove generazioni, toglierla dal clima decrepito delle mere celebrazioni, ridare slancio all'azione antifascista, conferendole un carattere militante di vigilanza e di controinformazione.

Da poco erano stati assassinati Mario Lupo, un giovane di Parma, dai fascisti e Franco Serantini, un altro giovane pisano, dalla polizia; da pochi anni l'iniziativa fascista aveva ripreso vigore e baldanza, con la complicità dello Stato e della DC in primo luogo.

In più si veniva già profilando una crisi economica di dimensioni internazionali che acutizzava il contrasto di classe e lasciava prevedere l'intensificazione dello scontro sociale.

D'altra parte la sinistra si presentava divisa e incerta di fronte all'attacco reazionario, la stessa unità sindacale conosceva i suoi momenti più difficili.

In questo contesto maturava, dentro il PdUP e fuori di esso, l'esigenza di ripensare le esperienze sin lì compiute, elaborare nuove proposte, costruire i presupposti per una unità antifascista fondata su una chiara visione di classe.

Il convegno, organizzato dalla redazione di UP insieme con îl comitato regionale toscano di coordinamento del PdUP, ha avuto dal compagno Della Mea (che poi, per malattia, non poté partecipare direttamente ai lavori) un insostituibile contributo sia per il documento preparatorio sia per la collaborazione nello stendere la relazione introduttiva insieme con il compagno Frolli.

La partecipazione di molte centinaia di militanti, la presenza di varie forze della sinistra (Lotta Continua, PCI, PSI, Manifesto, Movimento Studentesco, Acli, PCd'I m-l), di rappresentanti delle organizzazioni partigiane., e quindi il livello qualitativo degli interventi hanno fornito gli elementi principali per il successo del convegno, di cui in questo quaderno riportiamo larga parte del dibattito.


mercoledì 3 luglio 2024

Il Partito comunista italiano e il mutamento sociale nell'Italia degli anni Ottanta


 

E' disponibile sul sito academia.edu il sedicesimo quaderno della serie Archivi per la storia del movimento operaio. Ne proponiamo l'introduzione.


Il saggio che presentiamo in questo quaderno, uscito su Rinascita esattamente quaranta anni fa, rappresenta un documento di eccezionale valore. Colpisce la precisione con cui l'autore individua le profonde trasformazioni in atto nel sistema produttivo italiano e nella composizione di classe, così come nelle aspettative dei giovani a partire dall'atteggiamento verso il lavoro in fabbrica.

Il documento è importante perché per la prima volta in un organo a larga diffusione, come Rinascita, destinato ai quadri di base del partito, si abbandona ogni visione mitologica della classe e si vanno ad individuare con estrema precisione quelli che saranno poi i processi centrali nei decenni successivi a partire dalla scomparsa, non della classe operaia, ma della configurazione che questa aveva assunto a partire dagli anni del boom.

Fine dell'operaio massa, frammentazione crescente del lavoro, perdita di una identità di classe ben definita sono gli elementi centrali di questa realtà che, come si è detto, avrà nei decenni succesivi ulteriori sviluppi e determinerà il crollo dell'impalcatura sociale e dei miti su cui si reggeva lo stesso Partito comunista e più in generale la sinistra, compresa la componente rivoluzionaria in tutte le sue declinazioni.

Proprio dalle profonde trasformazioni negli assetti di classe che il saggio analizza con estrema lucidità deriverà il crollo della combattività operaia, la crisi della rappresentanza sindacale, ma soprattutto la fine di quella tradizione politica iniziata a Genova nel 1892, continuata a Livorno nel 1921 e rilanciata dal nuovo "biennio rosso" 1968-69.

Molto correttamente l'autore dello studio avvertiva che non di scomparsa della classe operaia si trattava, ma di mutazione profonda e invitava nelle conclusioni il partito a prenderne atto. La perdita di centralità della grande fabbrica e la frammentazione sociale che inevitabilmente ne derivava avrebbe richiesto uno svecchiamento radicale del partito ma al contempo un radicamento ancora più profondo nella società. La scelta del gruppo dirigente comunista postberlingueriano fu diversa. Si preferì la via del "nuovo", seguendo il percorso già iniziato con il Congresso di Rimini dal PSI craxiano. Si iniziò a parlare di "partito leggero", le sezioni furono abbandonate a se stesse, "luoghi bui e polverosi" le definì un giovane dirigente destinato poi a una brillante carriera, fu radicalmente ridimensionato l'apparato di propaganda a favore dell'occupazione di spazi televisivi (la terza rete) ritenuti mezzo più efficace di comunicazione con la società. Alla verifica impietosa della storia il partito non resse. Il crollo rovinoso della esperienza sovietica, vide un partito indebolito e privo ormai di identità, totalmente a rimorchio degli avvenimenti che infatti lo travolsero.

Tutti elementi rintracciabili anche nell'esperienza della componente diventata poi il Partito della Rifondazione comunista, incapace non solo di rifondare la teoria, ma anche di ricostruire un minimo di radicamento sociale. La stagione farsesca di Bertinotti, tutta giocata fra salotti televisivi e uscite estemporanee (il partito dei movimenti, la sinistra arcobaleno, lo zapatismo e via discorrendo) ne fu la manifestazione più evidente e portò alla fine stessa del PRC destinato poi a vivacchiare sempre più stentatamente ai margini del sistema..

Non migliore fu la sorte della sinistra rivoluzionaria, con l'eccezione di Lotta comunista, unica realtà sopravvissuta a quel mutamento epocale grazie ad un lavoro sistematico di radicamento nella CGIL e allo spostamento del baricentro dell'attività dall'agitazione a tutto campo alla diffusione porta a porta con criteri "manageriali" del giornale.

Ma di tutto questo tratteremo in altra occasione.


Savona, luglio 2024