Giornalista, scrittore, poeta, drammaturgo, pittore, ma soprattutto uomo libero, schierato dalla parte degli ultimi, degli "innocenti" schiacciati da un sistema che vede nel profitto e nel potere valori assoluti a cui tutto va sacrificato. Un autore attualissimo che aiuta a comprendere il presente.
Guido Seborga (1909-1990)
Non si sceglie dove nascere, ma dove vivere si. Per questo Guido Hess, più noto come Guido Seborga (adottò questo pseudonimo nel dopoguerra), nato a Torino nel 1909, resta la voce più autentica dell'estremo Ponente ligure. Ma la Liguria di Seborga non è un paesaggio disabitato, una cartolina. A Seborga interessavano gli uomini e le donne, soprattutto gli invisibili, quelli di cui nessuno parla, quelli che non interessano a nessuno: Quinto lo scaricatore, Milano l'operaio cacciato dalla fabbrica, Desdemona la bella immigrata calabrese vittima della violenza brutale del potere.
Seborga studiò nella Torino antifascista di Augusto Monti (di cui era stato allievo) e Felice Casorati, di Gobetti e poi di Mila e di Bobbio, ma la sua insofferenza all’ordine lo spinse a nuovi ambienti, conoscenze ed esperienze a Berlino, poco prima dell’avvento del nazismo, poi a Parigi, luogo amatissimo in cui tornò con frequenza lungo tutta la sua vita. L'esperienza parigina, che lo mise in contatto diretto con il movimento surrealista, fu fondamentale nella sua formazione e segnò fra le altre cose l'inizio del suo amore per la pittura. Il biennio 1938-39 rappresenta un periodo centrale nel percorso artistico ed umano di Guido Seborga. Tornato da Parigi, dove ha potuto conoscere e frequentare Tristan Tzara e altri esponenti di punta del movimento surrealista, nel 1938 entra in contatto con Ezra Pound che lo incoraggia a perseguire nella sua ricerca espressiva. Il 1939 è segnato, poi, da tre eventi cardinali della sua vita: il matrimonio con Alba Galleano, l'inizio della stesura del suo primo romanzo, L'uomo di Camporosso, la rottura definitiva con il fascismo e l'inizio dell'attività cospiratoria.
“So di essere nato nel 1939 – scriverà molti anni dopo – quando mi ribellai al fascismo, presi netta posizione, organizzai la lotta clandestina, mi lasciai prendere dalla collera in tutto il mio sangue...”.
La matrice antifascista torinese lo indusse all’azione, alla diserzione dalla guerra fascista e alla partecipazione alla guerra partigiana, prima col Partito d’azione, poi nelle brigate socialiste “Matteotti”. Nel primo dopoguerra di dedicò all’ attività politica nel Partito Socialista. A Roma con Basso diresse la rivista “Socialismo” e collaborò con la direzione del partito occupandosi della politica culturale.
Già presente dagli anni ‘30 sulle principali riviste culturali italiani (Circoli, Campo di Marte, Prospettive, Letteratura, Maestrale), nel dopoguerra contribuì alla riapertura della redazione torinese del ” Sempre Avanti” poi ridiventato “Avanti”, scrivendo su quotidiani e riviste della sinistra italiana e internazionale. Partecipò con Ada Gobetti, Franco Antonicelli, Felice Casorati, Massimo Mila ed altri alla fondazione dell’Unione Culturale di Torino, fu tra gli organizzatori dell’allestimento del Woyzeck di Buchner rappresentato nel ‘ 46 al teatro Gobetti.
A Parigi, dove fu direttore di “Italia Libera” e collaborò a “Europe” e alle ”Editions des Minuit” fu parte dell'ambiente culturale e artistico dei surrealisti, del Cafè Flore, di Sartre, Vercors, Artaud, Eluard, Tzara, di Severini, Franchina e Magnelli, scrivendo di teatro, cinema, musica, letteratura, pittura.
Nel 1948 Mondadori pubblicò nella prestigiosa Medusa degli italiani “L’uomo di Camporosso”, nel 1949 “Il figlio di Caino” accolti con grande interesse dalla critica. Scrittore di forte intonazione realista Seborga racconta di un mondo di diseredati che combattono per la sopravvivenza e per la dignità in una terra ligure aspra e dura. Fu alla sua scuola che si formò il giovane Francesco Biamonti.
Nei primi anni Cinquanta segue come giornalista la grande lotta dell'Ilva di Savona, ne ricaverà materiale per "Gli innocenti" il romanzo della Savona operaia, omaggio grandioso alla città e alla sua gente coraggiosa e fiera. Qualche anno dopo è la volta di "Ergastolo", una storia ambientata nel porto di Genova in cui Seborga descrive la condizione dei lavoratori negli anni del boom economico. Ancora la storia di una lotta, il racconto drammatico di una battaglia per il lavoro e per la difesa della propria dignità di uomini liberi.
Guido Seborga affiancò all’attività di scrittore quella di poeta, presente fin dagli anni giovanili e approdata nel 1965 alla prima di tre raccolte ” Se avessi una canzone” in cui dominano il mare, il sole, il vento, le aspre valli di confine di una terra di ulivi e viti, selvaggia come i suoi abitanti.
Fin da bambino fu affascinato dalle incisioni rupestri della Valle delle Meraviglie, che costituiscono il legame ideale fra poesia e pittura: dagli anni ‘60 riprese a disegnare e dipingere creando nelle “ideografie” una forma di pittura originale che unisce il segno dinamico e le nere silouettes di figure arcaicizzanti alle contrastanti accensioni cromatiche degli sfondi in cui esse si profilano.
Il suo amore per la città di Bordighera si è manifestato negli anni anche con una concreta e attiva partecipazione alla vita culturale del ponente ligure. Seborga partecipò attivamente all’organizzazione negli anni ‘50-’60 del premio di letteratura e pittura “Cinque Bettole” insieme a personaggi di rilievo quali Calvino, Vigorelli, Accrocca,Betocchi, Natta, Balbo; per poi negli anni ‘60 - 70 contribuire alla creazione e allo sviluppo dell’Unione Culturale Democratica di Bordighera nei cui locali con il suo contributo furono organizzate mostre, dibattiti, conferenze, opere teatrali.
Morirà il 13 febbraio 1990, dopo una lunga malattia, all'ospedale Mauriziano di Torino nell'indifferenza quasi generale di stampa e critica.
Un silenzio durato fino al 2003 quando il giornalista torinese Massimo Novelli fa uscire il volume L'uomo di Bordighera, che è al contempo inchiesta giornalistica, tentativo di biografia e appassionato tributo ad uno dei più significativi scrittori del secondo dopoguerra. Da allora l'interesse verso Guido Seborga è andato crescendo: convegni, mostre (Seborga fu anche apprezzato pittore), ricerche, ristampe. Un doveroso risarcimento per un silenzio durato troppo a lungo.
Nel 1961 esce presso l'editore Ceschina di Milano "Gli innocenti" il romanzo in cui Guido Seborga ricostruisce la grande lotta dell'Ilva di Savona del 1950. Il romanzo della Savona operaia, un omaggio sincero e intenso ai suoi lavoratori coraggiosi e tenaci nella difesa dei loro diritti e dell'avvenire economico della loro città.
Lunedì 2 aprile alle ore 17.30 presso il MAP (Museo delle arti Primarie) di Savona, al piano superiore del Mercato Civico in Corso Mazzini, Giorgio Amico, direttore editoriale della Fondazione TribaleGlobale, introdurrà e coordinerà l'incontro:
Identità perduta, la Savona di Guido Seborga
Sarà presente Laura Hess Seborga
"Savona era lucente nella fredda mattina invernale. Pochi giorni prima era caduta la neve sulle colline e montagne intorno. La cittadina si sviluppava stretta alle spalle dalla montagna, di dove scende la ferrovia che viene dal Piemonte, di fronte il mare con le sue insenature, il sacco blu chiuso del porto con la torre di Leon Pancaldo, che fa ricordare in piena vita moderna un mondo antico diventato posticcio in quell’atmosfera di navi di depositi di fabbriche. Le case si allungano sulla costa sino a Spotorno che appare ridente dopo il Capo. Ma dalla parte di Savona la costa è brulla, severa, coi comignoli delle fabbriche; e non c’è demarcazione tra Vado e Savona, ma un susseguirsi ininterrotto di casoni grigi e tristi. Quando verso sera le sirene delle fabbriche lacerano l’aria, le strade e i filobus cominciano a riempirsi di frotte di operai, e anche le biciclette compaiono numerose, e si coglie forse meglio che in ogni altra ora, la qualità della città, durante il giorno le grandi strade sono quasi deserte, solo l’Aurelia mantiene sempre il suo traffico.
Questo è un centro industriale, dove l’organizzazione nazionale e internazionale ha impresso un suo segno, che ha sollevato non pochi drammi umani. Molti uomini anche dai paesi vicini erano venuti qui con la speranza di realizzare degnamente la loro vita nel lavoro. Era una sera fredda e lucente, e gli operai terminato il lavoro uscivano dalla fabbrica...
Da “ Gli innocenti ” 1961