Non è difficile
andando in montagna incontrare tracce del lupo. A noi è capitato, ed
è stata un'esperienza strana, come assistere al riemergere alla luce
di una parte del nostro inconscio. Perchè il rapporto millenario di
amore/odio con il lupo fa parte della storia della nostra specie. Proprio per questo il problema della presenza del lupo di nuovo vicino a noi va affrontato con grande equilibrio.
Valeria Salvatori
Un predatore di gran
successo
Il lupo fa parte del
nostro patrimonio naturale: da sempre presente in tutta Europa, in
Italia è stato vicino all’estinzione negli anni 70. La sua
capacità adattativa, il suo opportunismo, insieme ad altri fattori
come l’abbandono delle campagne, il ripopolamento – naturale o
indotto dall’uomo – dei boschi da parte delle sue prede
selvatiche, essenzialmente cinghiale e capriolo, e la protezione
totale dal 1971, gli hanno permesso di riprendersi i territori da cui
era stato sterminato, spingendosi anche oltre.
Il lupo non è solo nei
nostri boschi, ma ovunque: nel nostro immaginario, nei libri delle
favole, nei dipinti, nella mitologia. Perché fa parte del nostro
patrimonio culturale e ha plasmato alcune delle nostre abitudini: in
Abruzzo, ad esempio, mai si può pensare di avviare un’attività
zootecnica senza prevedere misure per proteggere il bestiame dagli
attacchi del lupo. Condiziona perciò anche il nostro lavoro.
Ultimamente, ha avuto
grande spazio nel dibattito pubblico, perché si discute
sull’accettabilità di un documento che dovrebbe fornire
indicazioni ai gestori del nostro territorio: cosa fare quando il
lupo è presente nei territori che dobbiamo governare? Non sempre la
risposta è lineare e, anzi, si potrebbe dire che in rari casi ne
esista una giusta.
La verità è che il lupo fa il suo lavoro: il
predatore. E lo sa fare molto bene, perché si adatta a predare
animali diversi, con il minor dispendio energetico possibile, vive in
gruppi con una struttura sociale definita, di tipo familiare e
gerarchico, e questo gli consente di essere vincente. Quando negli
anni ’70 cominciò la campagna per la sua protezione si paventava
la scomparsa di un animale fiero ed elusivo, che abitava segretamente
i nostri boschi. Oggi la sua elusività sembra essere diminuita, se
ne vedono sempre più di frequente, anche perché la persecuzione da
parte dei «lupari» è terminata da ormai mezzo secolo.
L’interazione con
l’uomo risale alla preistoria, quando uomo e lupo erano entrambi
cacciatori di prede di medie-grandi dimensioni. La qualità
dell’interazione varia a seconda delle culture e dei momenti
storici ed evolutivi: da simbolo spirituale che infonde forza,
simbolo mitologico nelle società greca e romana ad animale nocivo da
sterminare. Il passaggio dalla cultura della cacciagione a quella
agricola e pastorale ha determinato un profondo cambiamento della
posizione del lupo nella sfera della nostra percezione.
La pastorizia,
nell’economia delle antiche società, era fondamentale per la
sopravvivenza delle diverse comunità. Non si poteva permettere al
lupo di minacciare un’attività così importante e per questo non
si è esitato a dare avvio a campagne di sterminio tramite i lupari,
esperti cacciatori, che venivano pagati per offrire un utile servizio
alla società, eliminando la minaccia. Poi le cose sono cambiate:
nell’ultimo secolo si è cominciato a considerare il lupo una
specie interessante da studiare, e nel 1940 si è cominciato a
parlare di una sua reintroduzione nel parco Nazionale di Yellowstone,
in Nord America, poi avvenuta nel 1995 e ad oggi unico esempio al
mondo di reintroduzione nella storia della conservazione del lupo.
Quando nel 1971 è stato
dichiarato specie protetta, in Italia non si contavano più di 100
esemplari, concentrati perlopiù sulle montagne dell’Appennino
centrale. Il Wwf in prima linea, insieme a tante altre associazioni
ambientaliste, hanno promosso azioni che garantissero la
sopravvivenza di questo predatore.
Nel 1992 l’Unione
Europea lo ha inserito nella lista delle specie di interesse
comunitario, dichiarandola specie prioritaria, e ha posto come
obiettivo quello di raggiungere uno «stato di conservazione
soddisfacente». Niente di più vago! Esistono dei criteri generali
per stabilire se lo stato di conservazione sia soddisfacente, ma sono
passibili di interpretazione, non sempre univoca. Nel 2008 si è
tentato un approccio che potesse facilitare l’interpretazione dello
stato di conservazione soddisfacente: il concetto di popolazione. Nel
frattempo diverse iniziative continuavano a essere portate avanti con
impiego di risorse ma senza un obiettivo preciso. Si contribuiva alla
protezione – all’inizio – e alla conservazione – dopo – del
lupo. Dalla protezione si è passati a parlare di conservazione,
termine che implica una certa dose di dinamismo, considerando le
interazioni che la specie ha con l’ambiente in cui vive.
Quando si chiama in causa
la conservazione di una specie non c’è spazio per soffermarsi alle
attenzioni verso il singolo individuo: si parla di patrimonio
genetico, di garantire la sopravvivenza di un gruppo sufficientemente
ampio di individui per preservare la stabilità genetica della specie
e del suo ruolo nell’ambiente. Ma l’ambiente in cui vive il lupo
include l’uomo e alcune attività economiche possono essere
influenzate dalla sua presenza: non si può pensare di conservare il
lupo senza considerare il suo ruolo e il suo impatto sulle economie
locali.
Oggi, dopo circa 40 anni,
stiamo assistendo a un successo che ha pochi precedenti. Possiamo
affermarlo perché abbiamo indicazioni da diverse fonti che il lupo
sia presente in quasi tutto l’Appennino e le Alpi occidentali, non
perché siamo in grado di dire con certezza di quanto sia cresciuta
la popolazione. In tutti questi anni sono state portate avanti
iniziative per facilitare la protezione del lupo, ma sono state
localizzate e di durata limitata e non c’è mai stata una strategia
nazionale a lungo termine con obiettivi ragionati. Quando si ha un
problema e si decide di intervenire, bisognerebbe prima di tutto
stabilire cosa fare e quali risultati si vogliano raggiungere.
Quali sono le minacce per
la specie oggi? Il lupo è adattabile e può vivere in tanti ambienti
diversi, ma ha bisogno di aree particolari in cui stabilire la sua
tana nei momenti di riproduzione. È poi talmente adattabile che può
accoppiarsi con i cani producendo una prole fertile, che potrebbe non
garantire il mantenimento del patrimonio genetico caratteristico
della specie: dobbiamo controllare la presenza dei cani vaganti sul
territorio.
Il lupo preda gli animali
domestici, di solito più facilmente di quelli selvatici, se non sono
ben custoditi: non possiamo permettere che questo intacchi la
sopravvivenza delle attività lavorative di alcuni di noi. Il lupo
può suscitare voglia di rivalsa e sentimenti di rabbia che portano a
gesti deplorevoli come il bracconaggio: tali gesti devono essere
condannati, ma le persone non devono essere spinte all’esasperazione.
Dobbiamo tutti fare uno sforzo perché non possiamo permetterci di
perdere il lupo.
Esistono esempi virtuosi
di iniziative che vanno in questa direzione. Il contributo dei
progetti Life, cofinanziati dall’Unione Europea è importante.
Oggi il progetto Life medwolf (life11nat/it/069) lavora a
Grosseto per fornire assistenza agli allevatori impreparati a dotarsi
degli strumenti più adeguati, ma quanto lavoro in più richiede?
Tutti vogliamo il
lupo, dovremmo però essere sensibili di fronte alle difficoltà
degli allevatori che ci convivono. Life Mirco-lupo
(Life13nat/it/728) cerca faticosamente di impedire che
l’ibridazione con i cani domestici nei parchi nazionali
dell’Appennino tosco emiliano e del Gran Sasso e Monti della Laga.
Ma quanto costa alla
società la cattura e la sterilizzazione degli ibridi? Non sarebbe
più semplice tenere sotto controllo i nostri cani domestici,
evitando occasioni di incrocio? Il progetto Life ibriwolf
(life10nat/it/265) ha trasferito gli esemplari ibridi catturati
in centri di recupero per evitare che causassero danni al patrimonio
zootecnico. Non sarebbe più facile scongiurare l’incontro
cane-lupo, magari mettendo dei collari con Gps ai nostri cani (spesso
i cacciatori lo fanno)?
Il progetto Life
wolfalps (life12nat/it/807) promuove il monitoraggio, la
protezione del bestiame e la valorizzazione turistica del paesaggio,
anche in quelle aree di recente apparizione del lupo, mentre il Life
pluto (life13nat/it/311) prevede la formazione di nuclei
cinofili antiveleno. Ma in situazioni non più gestibili, forse
un’azione di intervento gestionale estremo, come il prelievo, può
essere una soluzione valida. Non senza prima aver tentato, con tutte
le risorse possibili, di evitarlo.
Il Manifesto – 5
febbraio 2017