Per non dimenticare
Giorgio Amico
Gli schiavi di Hitler
La seconda guerra
mondiale fu una guerra totale. Per la prima volta, almeno per quanto
riguarda l'Europa, fu l'intera popolazione senza distinzione d'età o
di sesso ad essere coinvolta negli eventi bellici, tanto che le
vittime civili superarono quelle militari. E questo per effetto di
due fenomeni entrambi inediti e di enorme portata: i bombardamenti
terroristici sulle città effettuati da entrambi gli schieramenti e
la deportazione di milioni di persone che invece è fenomeno solo
tedesco e va ad intrecciarsi all'altra peculiarità nazista, lo
sterminio degli ebrei dei paesi occupati. Le cause del fenomeno
deportazione sono riscontrabili oltre che nella ideologia nazista
della razza superiore, nelle particolari condizioni della Germania in
guerra. Fu per far fronte allo sforzo bellico che i nazisti, avendo
gran parte della popolazione maschile al fronte e dunque un'enorme e
continua necessità di forza lavoro, programmarono e attuarono un
enorme e spietato programma di deportazione che negli ultimi anni di
guerra coinvolse milioni di uomini e donne, rastrellati da tutti gli
angoli d'Europa e rinchiusi in campi di lavoro destinati alla
costruzione di armi e munizioni. Considerati veri e propri schiavi,
costretti a turni di lavoro massacranti, mantenuti in condizioni di
vita spaventose, sottoalimentati e sfruttati fino al totale
esaurimento fisico, milioni di questi deportati morirono di stenti e
di fatica o vennero brutalmente eliminati non appena si rivelarono
non più produttivi.
Circa 800.000 italiani,
uomini e donne, vissero questa tragedia, deportati in territorio
tedesco dal settembre 1943 fino all'aprile 1945. Di questi 650.000
erano militari, rastrellati dopo lo sbandamento dell'esercito dell'8
settembre 1943 e internati negli Oflager e negli Stammlager, i campi
gestiti direttamente dalla Wehrmacht e destinati rispettivamente agli
ufficiali e ai soldati.
Altri 100.000 erano
uomini e donne fermati durante i rastrellamenti antipartigiani dalle
truppe tedesche o dalle milizie di Salò. Accusati di renitenza alla
leva o di favoreggiamento dei "ribelli" furono raccolti in
centri di detenzione per essere poi deportati in Germania negli
Arbeitlager, campi di lavoro dipendenti dalle industrie belliche.
Circa 40.000 furono
invece i deportati per motivi politici o razziali. Di questi 8000
erano ebrei, gli altri partigiani combattenti o comunque assimilati a
questi. Operai per lo più, arrestati per aver partecipato ai grandi
scioperi della primavera 1944 o per sabotaggio della produzione, ma
anche familiari di combattenti della Resistenza presi in ostaggio o
patrioti fiancheggiatori della lotta armata.
Mentre gli ebrei finirono
quasi interamente nel campo di sterminio di Auschwitz, gli altri
32.000 vennero inviati nei campi di concentramento
(Konzentrationslager-KL) di Dachau, Mauthausen, Buchenwald,
Flossenburg e Ravensbruck, dove l'eliminazione fisica si attuava
principalmente attraverso il lavoro forzato.
Nonostante l'esistenza di
una vasta memorialistica, manca ancora oggi una storia generale,
scientificamente attendibile e definitiva, del fenomeno deportazione.
Analogamente alla pagina drammatica delle stragi naziste in Italia
rimaste a lungo impunite, un lavoro ricerca sistematico e scientifico
sulla deportazione partì tardi. Per decenni l'argomento fu
considerato tabù (e non solo a livello storico, ma anche
giudiziario) a causa del clima politico indotto dalla guerra fredda e
in conseguenza di accordi segreti intercorsi in nome di una
malintesa solidarietà filooccidentale e atlantica fra il governo
italiano e quello tedesco. E' solo a partire dalla fine degli anni
Sessanta che, a causa soprattutto del vivo fermento culturale e
politico creatosi nel Paese come conseguenza diretta delle grandi
lotte studentesche ed operaie, iniziano ad apparire le prime
ricostruzioni storiografiche attendibili sia sul più generale
fenomeno della deportazione che sui campi di concentramento in
Italia. Da allora questo lavoro di ricerca non si è più arrestato
grazie soprattutto all'impegno costante di associazioni come
l'Associazione Nazionale Deportati (ANED), l'ANPI, la rete degli
Istituti Storici della Resistenza (ISREC) e il Centro di
documentazione ebraica contemporanea di Milano.
All'interno di questa
storia tragica Savona detiene il triste primato di aver dato l'avvio,
immediatamente dopo l'8 settembre, alla deportazione di politici ed
ebrei. Infatti il secondo trasporto di politici dall'Italia occupata
dalle truppe naziste verso la Germania - un convoglio con un
migliaio di prigionieri destinati a Gusen sottocampo di Mauthausen -
partì dalla nostra provincia e precisamente dal campo di
internamento di Cairo Montenotte ospitato nei locali dell'allora
ex-riformatorio e ora scuola allievi della Polizia penitenziaria e di
Villa Toselli in località Vesima. Il convoglio era composto in
maggioranza da prigionieri italiani di origine slava, antifascisti e
partigiani "titini", provenienti da Gorizia, Trieste e
Capodistria. Questi prigionieri erano detenuti a Cairo M. già dalla
fine del 1942, a testimonianza di come la Resistenza sul confine
orientale, in Istria e Dalmazia fosse iniziata ben prima dell'8
settembre 1943 e fosse principalmente rivolta contro il tentativo del
regime fascista di italianizzare a forza la minoranza slava della
Venezia Giulia entrata a far parte del regno d'Italia dopo la prima
guerra mondiale.
(Da un testo in via di pubblicazione a cura dell'ISREC di Savona)