80 anni fa iniziava la
guerra civile spagnola. L'ultimo grande tentativo rivoluzionario in
Europa. Ne ripercorriamo le tappe riprendendo un quaderno pubblicato
nel 1986, ma che riteniamo ancora utile per comprendere ciò che
accadde allora.
Giorgio Amico
Spagna '36
All'inizio degli anni '30
si apre in Spagna una crisi rivoluzionaria di ampie proporzioni,
destinata a protrarsi per l'intero decennio e a risolversi più per
il rifluire del movimento operaio e contadino che per un' effettiva
preponderanza delle forze della reazione. Tuttavia, per oltre cinque
anni il movimento rivoluzionario continuerà a creare oggettive
situazioni di dualismo di potere, ponendo all'ordine del giorno la
questione del socialismo.
Nell'aprile 1931 una
forte ondata di lotte nelle campagne e nelle città da l'ultimo
scrollone ad una monarchia agonizzante, nei fatti abbandonata ormai
dalle componenti più dinamiche della borghesia. Il regime
repubblicano che segue ai moti del '31 non è tuttavia più stabile
del precedente. Premuto dalle masse contadine da una parte e dalle
esigenze di sviluppo del capitalismo rappresentato dalle forze del
radicalismo piccolo borghese dall'altra, il nuovo regime repubblicano
è costretto, anche se con mille cautele, a prendere posizione contro
la chiesa cattolica, le sue istituzioni, gli infiniti ordini
religiosi, il loro enorme patrimonio finanziario e fondiario e contro
il ceto dei grandi latifondisti. Il proletariato urbano e agricolo
recepisce la caduta della monarchia e i primi timidi provvedimenti di
riforma del nuovo regime come una propria vittoria.
La repubblica solleva
enormi attese di riscatto sociale. Il movimento si allarga ovunque e
in modo spontaneo: nelle campagne, nelle fabbriche, nei quartieri
proletari delle città industriali nascono le prime forme embrionali
di consigli operai e contadini, le juntas. Le rivendicazioni operaie
e contadine si fanno sempre più pressanti di contro a un governo,
composto da socialisti, radicali e repubblicani, che elude i problemi
di fondo ed in particolare evita accuratamente di decidere in merito
alla tanto attesa riforma agraria.
Nonostante ciò, le forze
più conservatrici, agrari e Chiesa cattolica in testa, si sentono
minacciate e si adoperano per la restaurazione puntando su gerarchie
militari, espressione in prevalenza della borghesia terriera,
fanaticamente legate al culto di una presunta "ispanità
cattolica" minacciata dall'irrompere della modernità.
Già nel '32 viene
scoperto un primo tentativo di colpo di stato militare. Il golpe
organizzato da un generale in pensione, Sanjuro, si rivela una
messinscena da operetta nella tradizione dei pronunciamenti militari
propri dei generali spagnoli. Il generale Sanjuro viene arrestato,
processato e condannato all'esilio. Ma gli altri generali implicati
rimangono ai loro posti. Il tentativo golpista, accantonato in attesa
di tempi migliori, ottiene comunque un immediato risultato, spostando
a destra gli equilibri politici e frenando ulteriormente la già
evanescente volontà riformistica del governo.
La borghesia repubblicana
inasprisce la repressione nei confronti delle lotte operaie e
contadine, tornando a utilizzare come ai tempi della monarchia
l'esercito contro i lavoratori. Nel gennaio 1933 a Casas Viejas la
Guardia Civil massacra spietamente i braccianti in lotta. La
situazione peggiora ulteriormente nel '34, quando nuove elezioni
vedono la vittoria delle forze di centrodestra. Il nuovo governo apre
decisamente ai latifondisti e alla destra cattolica.Vengono inseriti
nel governo alcuni ministri della CEDA, il partito cattolico fondato
nei primi anni Trenta che non nasconde le sue simpatie per il
fascismo. A Madrid e a Barcellona gli operai scendono in piazza per
opporsi a quello che recepiscono come un tradimento delle loro
conquiste.
Nelle Asturie i minatori
insorgono e per alcune settimane controllano la regione. Sarà il
generale Francisco Franco, che per questa impresa verrà poi promosso
capo di stato maggiore, a reprimere nel sangue la rivolta asturiana.
Migliaia di minatori vengono trucidati, decine di migliaia
incarcerati, i quartieri operai delle città asturiane messi a ferro
e fuoco. E' la prova generale di quanto accadrà su scala nazionale
due anni più tardi.
Caratteristiche del
movimento operaio spagnolo
In questo contesto il
movimento operaio spagnolo presenta caratteristiche particolari, che
lo differenziano radicalmente dal resto d'Europa, sia per il netto
prevalere della organizzazione sindacale sulla forma partito sia per
la larga egemonia esercitata dall'anarchismo. Gli anarchici
controllano la potente Confederazione Nazionale del Lavoro (CNT), che
raggruppa i sindacati operai più numerosi e combattivi. La CNT è
anche largamente presente nelle campagne e ispira l'incessante lotta
dei contadini contro il latifondo.
L'altra organizzazione
sindacale di rilievo, l'Unione Generale dei Lavoratori (UGT), la cui
influenza andrà rapidamente crescendo nel corso dei primi anni
Trenta, si colloca nell'area socialista ed è rigidamente controllata
da un apparato burocratico di tendenza riformista. Messi a confronto
col movimento sindacale i partiti politici operai rappresentano ben
poca cosa.
Il partito socialista,
senza dubbio il più grosso e il più influente, appare diviso al suo
interno in due correnti. La prima , facente capo a Largo Caballero e
strettamente legata alla UGT, si caratterizza per un sostanziale
riformismo rivestito di un inconcludente massimalismo.La seconda
corrente, che fa capo a Prieto, espressione di una piccola borghesia
intellettuale, radicale e anticlericale, si dimostra dotata di un
maggiore realismo politico che la porterà ad essere la principale
alleata del PC e insieme ad esso l'interprete più fedele delle
indicazioni di Stalin e del Comintern.
Quanto al Partito
comunista, fino al '36 e al fronte popolare rappresenta ben poca
cosa, sia per l'esiguità dei suoi ranghi sia perchè i suoi pochi
militanti operai risentono ancora dell'isolamento conseguente alla
politica settaria seguita fino al VII congresso dell'internazionale
comunista. Dopo la costituzione del fronte popolare il suo ruolo
continuerà a crescere fino a diventare dominante negli anni della
guerra civile.
A sinistra di socialisti
e comunisti, opera il Partito Operaio di Unificazione Marxista
(POUM), particolarmente radicato nella classe operaia di Madrid e in
Catalogna, inizialmente sulle posizioni dell'Opposizione di Sinistra
(trotskisti) da cui si era staccato per forti divergenze con Trotskij
proprio sulla tattica da seguire nella rivoluzione spagnola.
La politica del Fronte
popolare e del PC
All'inizio del '36, a
causa di uno scandalo finanziario che coinvolge direttamente il primo
ministro Lerroux e buona parte del governo, viene sciolto il
parlamento; le nuove elezioni nel febbraio '36 vedono la vittoria del
Fronte popolare, costituito dalle sinistre (PSOE e PCE) e dai partiti
della democrazia radicale, attorno ad un programma vago e
minimalistico, che prevede tuttavia l'amnistia per le decine di
migliaia di prigionieri politici. Di fronte alla vittoria elettorale
dello schieramento democratico, le forze conservatrici e in primo
luogo i militari e la gerarchia cattolica preparano il colpo di
stato.
I generali operano alla
luce del sole, i nomi dei cospiratori sono noti, il golpe è
l'argomento di moda nei caffè di Madrid, ma il governo non adotta
alcuna misura precauzionale pago del giuramento di fedeltà dei
generali felloni. I cospiratori possono così in assoluta
tranquillità tessere la tela della congiura, stabilendo accordi con
Mussolini e Hitler che si impegnano a fornire armi e sostegno
finanziario, con gli esponenti della CEDA che siedono in parlamento e
col vecchio generale Sanjuro in esilio a Lisbona. Di fronte
all'aperto disegno reazionario dei generali i sindacati operai, in
particolare la CNT, chiedono la formazione di milizie popolari. Il
governo respinge decisamente la proposta, riconfermando la propria
fiducia nella lealtà delle forze armate.
Il 16 luglio 1936 parte
la rivolta dei generali. Anche di fronte all'aperta sollevazione il
fronte popolare si rifiuta di armare gli operai, i contadini, i
militanti delle stesse organizzazioni che lo compongono. Inutilmente
l'UGT, il sindacato vicino al PSOE maggiore forza di governo, reclama
con insistenza l'armamento generale delle masse. Ancora il 18 luglio,
con la rivolta militare in pieno sviluppo, il partito socialista e
il partito comunista dichiarano congiuntamente che la situazione è
difficile ma non disperata e che Il governo è in possesso dei
mezzi sufficienti per soffocare il pronunciamento sedizioso senza
uscire dalla legalità costituzionale.
Il rispetto della
legalità democratica è il paravento che mal cela la sostanziale
paura delle masse armate, tipica di ogni rappresentanza borghese. In
questi due giorni il governo si affatica a trovare un compromesso con
i generali rivoltosi per arrivare a una mediazione e ad una
ricomposizione pacifica della crisi. E' il rifiuto dei franchisti,
che approfittano delle esitazioni del governo per conquistare
terreno, a rendere inevitabile l'armamento del popolo.
E comunque sono gli
operai a bloccare il golpe, attaccando, spesso a mani nude, le
caserme, recuperando armi, convincendo i soldati di leva a passare
dalla parte del popolo dopo aver fucilato gli ufficiali. Dal 19 gli
operai armati cominciano a organizzare colonne di miliziani che
passano al contrattacco riconquistando parte del territorio caduto
sotto il controllo dei franchisti. Il 20 luglio, allo scadere dei
quattro giorni programmati dai generali per la conquista di tutta la
Spagna, sono in mano ai rivoltosi le colonie, poche città
dell'Andalusia occidentale a Sud e una parte della Vecchia Castiglia
e del Léon al nord. Ovunque la reazione dei proletari, dei
braccianti, dei contadini è stata immediata anche se lasciata alla
spontaneità e disorganizzata.
E' questo l'inizio di un
rapido processo rivoluzionario che investe tutta la Spagna. Ovunque
si formano comitati rivoluzionari di operai, di braccianti, di
contadini che assumono tutto il potere; confiscano terre e le
distribuiscono, requisiscono le fabbriche e ne controllano la
produzione, formano sotto il loro controllo forze di polizia, aprono
e gestiscono nuove scuole. I simboli del vecchio potere, le chiese,
le gendarmerie, le sedi dei partiti e dei giornali di destra vengono
date alle fiamme, si processano e si giustiziano i fascisti. Un pugno
di giorni basta a far esplodere la rabbia immensa del popolo,
accumulata in secoli di servaggio.
Ma non è una collera
cieca, senza prospettive. Forte è la consapevolezza fra le masse
della necessità dell'organizzazione del potere proletario. Il
governo centrale, che non riesce a star dietro al ritmo incalzante
degli avvenimenti, è come se non ci fosse. Tutto il potere è nelle
mani di un proletariato in armi fieramente determinato a combattere
fino alla fine. Mentre questa potente ondata rivoluzionaria incendia
la Spagna, blocca e fa retrocedere il golpe franchista, i dirigenti
del PCE, scavalcati da un movimento che nulla hanno fatto per
scatenare e che non controllano, ribadiscono con ostinazione che in
Spagna non è all'ordine del giorno la presa del potere da parte del
proletariato, ma la difesa delle conquiste democratiche garantite
dalla vittoria del fronte popolare nelle elezioni del febbraio. Su
l'Humanité del 3 agosto fanno scrivere per rassicurare la borghesia
spagnola e internazionale: "Il popolo spagnolo non sta
combattendo per stabilire la dittatura del proletariato...esso non
conosce che uno scopo: la difesa dell'ordine repubblicano nel
rispetto della proprietà".
La tattica,
apparentemente miope e suicida del PC, si spiega ampiamente nel
quadro più complessivo della strategia staliniana. Per Stalin la
questione spagnola si inserisce in un più generale disegno
internazionale che tende a privilegiare gli interessi dello Stato
russo rispetto a quelli della rivoluzione. L'alleanza con la Francia
in funzione antitedesca rappresenta in quegli anni l'asse portante
della diplomazia sovietica e a tale obiettivo va sacrificata ogni
altra considerazione. Su questo punto Stalin è irremovibile: sia in
Francia che in Spagna non si deve in alcun modo uscire dall'ambito di
Fronti popolari intesi come ragguppamenti sul piano della democrazia
borghese di forze politiche e sociali diverse.
In Spagna, poi, va
assolutamente evitata ogni accelerazione rivoluzionaria che possa
impensierire la borghesia "democratica" di Francia e
Inghilterra. Questo ripete incessantemente la stampa del Comintern,
per la quale l'azione diretta delle masse è una forzatura
"estremistica" che oggettivamente gioca a favore del
fascismo, isolando il campo repubblicano.
Palmiro Togliatti, nella
sua qualità di segretario dell'Internazionale, individua la presunta
peculiarità della rivoluzione spagnola nel suo carattere "popolare,
nazionale e antifascista"."Noi -dichiara il PCE nell'estate
del '36 proprio mentre è più forte la spinta rivoluzionarie delle
masse operaie e contadine- non possiamo oggi parlare di rivoluzione
proletaria in Spagna, poichè le condizioni storiche non lo
consentono. Noi desideriamo solo lottare per una repubblica
democratica con un contenuto sociale esteso. Non può essere
questione oggi, né di dittatura del proletariato né di socialismo,
ma soltanto di lotta della democrazia contro il fascismo".
Il governo repubblicano,
diretto dal moderato José Giral, evita così accuratamente di
prendere tutte quelle decisioni che, come la proclamazione
dell'indipendenza del Marocco o una radicale riforma agraria,
avrebbero costituito un potente elemento di sfaldamento delle truppe
controrivoluzionarie, in gran parte composte di soldati marocchini,
oltre che a portare la rivoluzione nelle retrovie franchiste.
La guerra civile
Fin dai primi giorni la
rivolta dei generali comincia a ricevere consistenti aiuti materiali
da Hitler e da Mussolini, grazie ai quali riesce rapidamente a
superare le difficoltà impreviste dovute agli insuccessi militari e
al mancato appoggio della marina che è rimasta fedele alla
repubblica. Le truppe more e la legione straniera che dovevano essere
trasportate via mare in Spagna rimangono bloccate in Marocco; ma già
nel mese di luglio un ponte aereo organizzato dai nazi-fascisti
garantisce l'afflusso di queste truppe nel territorio spagnolo
occupato dai rivoltosi. Rapidamente Franco può riorganizzare il suo
schieramento e rilanciare con forze fresche l'offensiva verso Madrid.
Il governo repubblicano è
costretto a chiedere aiuto: si rivolge al governo di fronte popolare
in Francia, presieduto dal socialista Léon Blum. Ma senza esito.
Dopo consultazioni con gli inglesi, il governo francese dichiara di
auspicare una politica di non-intervento, limitandosi ad una
inconcludente azione di pressione diplomatica su Italia e Germania
perchè anche le due potenze fasciste si astengano dall'intervenire
apertamente in Spagna.
L'URSS stessa esita.
Fornire a luglio-agosto del '36 armi alla Spagna repubblicana
significa irrobustire il potere del popolo in armi; il governo
ufficiale non ha alcun potere, non dispone di un esercito regolare o
di forze di polizia. Stalin non vuole una rivoluzione in Spagna, gli
aiuti verranno concessi col contagocce e sempre mirando a irrobustire
lo Stato borghese e il governo. Gli aiuti dell'URSS arriveranno e
saranno pagati in oro, circa i 2/3 dell'intera riserva aurea dello
stato spagnolo, non appena si profilerà una rottura dell'equilibrio
fra masse e governo centrale, a favore di quest'ultimo, e quindi un
principio di restaurazione.
Gli aiuti sovietici sono
preceduti da vari emissari dell'IC e infine da una delegazione
ufficiale che stabilirà i termini dell'accordo: oltre a forniture di
armi e viveri arriveranno dall'URSS tecnici militari e agenti della
Ghepeu col compito, questi, di riorganizzare i servizi di polizia. Il
governo Giral non ha alcuna autorità e influenza presso i proletari
o i contadini per convincerli a smobilitare le strutture di potere
autonome e non ha la forza materiale per farlo.
Ai suoi ripetuti
tentativi di sciogliere ora questo ora quel Comitato si erano opposte
tutte le organizzazioni operaie, eccetto il PC. Durante i due mesi
dell'estate '36 il PC si conquista con l'appoggio dato al governo
Giral, la fiducia e la stima di tutte le componenti borghesi del
fronte popolare, dai repubblicani ai socialisti di destra. Esso si
afferma, malgrado continui ad essere una forza minoritaria
all'interno del fronte popolare, come il garante più sicuro della
restaurazoine del potere statale, come la forza che più di tutti
crede nella continuità del potere borghese.
Questo ruolo di gendarme
a baluardo della democrazia borghese verrrà accresciuto dal peso che
avranno nella vita politica della repubblica gli aiuti e l'assistenza
sovietica. Prima ancora dell'arrivo della delegazione diplomatica
russa, è il PCE, ormai controllato e diretto dagli emissari dell'IC,
tra cui Togliatti, la chiave di volta della politica governativa: su
iniziativa sua si procede all'inizio di settembre del '36 a un
rimpasto ministeriale che porta alla formazione del governo
Caballero. Esso sarà composto da esponenti di tutte le forze
politiche del fronte popolare e dell'UGT e da novembre anche gli
anarchici della CNT vi saranno inclusi.
Il governo Caballero
Col governo Caballero si
avvia e si porta a compimento la prima tappa della restaurazione:
l'eliminazione della situazione di dualismo di potere e
l'accentramento del potere nelle mani dell'apparato statale centrale.
Quest'opera viene realizzata quasi in maniera indolore; nel governo
sono presenti tutte le forze che dirigono i comitati e i poteri
locali, e queste presentano l'operazione di smantellamento delle
strutture del potere proletario come dovuta alla necessità di
centralizzazione delle conquiste e della direzione della rivoluzione.
Gran parte dei comitati
vengono sciolti o si trasformano in mere rappresentanze locali del
potere centrale controllate direttamente da questo. Nelle fabbriche
viene posta fine a ogni forma di controllo e di "autogestione"
delle officine: gli orari di lavoro aumentano e i salari scendono di
un terzo rispetto al '34-35.
Nelle campagne le terre
dei latifondisti stranieri o fedeli alla repubblica vengono
restituite ai legittimi proprietari; si blocca in ogni regione la
spinta alla collettivizzazione; le milizie armate vengono
irregimentate sotto il controllo di commissari governativi, sono
reintrodotti i gradi militari e le differenze di paga; si da inizio
ai primi tentativi di ricostituire un esercito regolare borghese
organizzando centralmente il reclutamento di leva; i reparti di
polizia sotto il controllo dei comitati vengono sciolti e sostituiti
progressivamente da un apparato di polizia sotto il controllo del
ministro degli Interni, inquadrato da "esperti" sovietici.
La "rivolta" di Barcellona
A Barcellona nel maggio
'37 il governo sferra l'ultimo attacco al potere proletario che da
quella città controlla ancora di fatto il sistema di
telecomunicazioni dell'intero paese. I proletari di Barcellona
scondono spontaneamente in piazza, respingono le forze di polizia e
per quattro giorni erigono barricate, in difesa del potere dei
consigli operai.E' l'ultimo vero tentativo rivoluzionario, ma questa
volta la direzione del movimento è ancora più debole: solo il POUM,
estromesso dalla coalizione governativa, approva e appoggia il
movimento; CNT e FAI non prendono apertamente posizione. Il governo
ha mano libera nella repressione.
Dopo i fatti di
Barcellona la repressione colpisce con estrema violenza trotskisti,
poumisti, anarchici e più in generale chiunque sia sospettato di
simpatizzare per la sinistra rivoluzionaria. Il POUM viene posto
fuori legge, i suoi dirigenti arrestati e condannati a pesanti pene
per tradimento. Andrés Nin, leader storico del partito e del
movimento operaio spagnolo, viene sequestrato e dopo atroci torture
assassinato perchè rifiuta di confessare sul modello dei processi di
Mosca.
La polizia segreta russa
ha in Spagna un'organizzazione efficiente, con proprie prigioni
segrete, e gode di assoluta libertà d'azione. I rivoluzionari sono
oggetto di una caccia implacabile. Molti spariscono senza lasciare
traccia come l'austriaco Kurt Landau o il segretario di Trotskij,
Erwinn Wolff. Di altri vengono ritrovati i corpi crivellati di
pallottole, come nel caso degli anarchici italiani Berneri e
Barbieri.
La sconfitta della rivoluzione
La normalizzazione della
spagna repubblicana apre inevitabilmente la strada alla sconfitta
anche sul piano militare. Lo svuotamento radicale delle conquiste
della rivoluzione ha come immediata conseguenza la smobilitazione
generale. Pochi giorni prima di essere assassinato, Camillo Berneri
aveva scritto che il "dilemma guerra o rivoluzione" non
aveva alcun senso e che il solo vero dilemma era "o la vittoria
su Franco grazie alla guerra rivoluzionaria, o la sconfitta".
Privato del suo contenuto sociale, il conflitto diventa sempre più
un confronto puramente militare fra la repubblica allo stremo e le
armate franchiste massicciamente appoggiate da Hitler e Mussolini.
I comunisti sono i più
decisi perchè si passi rapidamente dalla guerra di popolo ad una
guerra classica condotta secondo le regole dell'arte militare. Forti
del controllo sugli aiuti sovietici, ormai unica fonte di
sopravvivenza della repubblica, il PCE alleato ai socialisti di
destra determina la caduta del governo Caballero, considerato troppo
movimentista, e la formazione di una nuova coalizione diretta da Juan
Negrín. In pochi mesi Negrin liquida le residue milizie operaie e
contadine, scioglie con la forza i comitati di villaggio
dell'Aragona.
La repubblica lentamente
agonizza, lacerata da lotte intestine, priva del sostegno delle masse
popolari, ormai demoralizzate e deluse. A partire dall'estate del '37
la guerra si trasforma in un lento stillicidio di sconfitte.
Lentamente, ma inesorabilmente le truppe franchiste assumono il
controllo del paese. Nel mese di giugno cade Bilbao, in ottobre tutto
il nord, nel febbraio 1938 l'Aragona.Il 26 gennaio 1939 Barcellona
cade nelle mani dei franchisti, il 28 marzo i fascisti entrano a
Madrid, il 1 aprile tutte le potenze, eccetto l'URSS, riconoscono il
governo di Franco.
Bilancio di una
sconfitta
Di fronte alla tragedia
spagnola molti dei protagonisti e degli storici si sono arrampicati
sugli specchi per giustificare la politica del Partito comunista,
sostenendo la tesi che non si poteva dividere il fronte repubblicano
di fronte all'attacco franchista. I più smaliziati sull'esempio di
Togliatti, che come segretario dell'IC porta gravissime
responsabilità nel disastro spagnolo e nella repressione dei
movimenti rivoluzionari, hanno sostenuto che si trattava di
consolidare la prima fase della rivoluzione, quella democratica e che
il passaggio alla seconda, quella sociale, sarebbe stato prematuro e
distruttivo anche perchè la Spagna repubblicana aveva bisogno
dell'appoggio esterno e nessun paese sarebbe stato disposto a fornire
aiuti a un governo rivoluzionario.
In realtà, è proprio
l'arresto del processo rivoluzionario, la separazione meccanica ed
astratta della lotta democratica dalla battaglia per il socialismo, a
isolare la Spagna, a impedire il consolidamento delle conquiste
democratiche, a dare nuova forza e impulso alla spinta delle masse
verso forme sempre più avanzate di gestione consiliare del potere.
Sciolto il rapporto che lega le masse alla rivoluzione, restaurato lo
stato borghese, trasformata la guerra rivoluzionaria nel conflitto di
due eserciti regolari, i lavoratori perdono ogni identificazione con
gli obiettivi della lotta.
L'esperienza spagnola
dimostra che l'ondata rivoluzionaria ha bisogno di essere di continuo
alimentata e spinta in avanti, legando indissolubilmente e sempre più
stabilmente gli interessi immediati delle masse proletarie a quelli
della rivoluzione. Se questo legame viene reciso l'ondata
rivoluzionaria si esaurisce per rifluire nell'apatia e nel
disincanto.
E' l'intera esperienza
del movimento operaio di questo secolo a confermare questa lezione.
In Spagna, ma anche nella Francia del fronte popolare, così come
nell'Italia del 1945-48 o nel Cile di Salvador Allende, l'abbandono
da parte dei comunisti di una chiara posizione di classe, l'appoggio
o addirittura l'entrata nei governi della borghesia in nome di un
presunto "realismo" ha sempre determinato conseguenze
catastrofiche per il movimento operaio.