Nel settembre 2013 lo
scrittore Marino Magliani ha intervistato Giuseppe Conte a proposito
del suo ultimo romanzo “Il male veniva dal mare”. Ne è uscita
una bella intervista di cui riprendiamo la prima parte.
MM Il mare. Dalla
Liguria dei costoni rivolti all’opaco, è lì ma è più dei
turisti che tuo. Troppo facile. Il mare non si risolve mica così,
con una battuta. Alla fine quelli come me non ci si mettono neanche,
manca il coraggio. Provo a dirmi: sei stato mozzo sul Corsica Ferry,
qualche mese… Ma il mare? Non è andarci noi, esplorarlo, è farlo
emergere. Era questa la sfida, Giuseppe Conte, dopo aver scritto Il
terzo ufficiale con i vascelli carichi di schiavi e dolore, e La
Casa delle onde, l’aria inzuppata che hanno respirato Shelley e
Byron? Era Il male veniva dal mare (NdR: Longanesi, 2013),
il romanzo al quale lavoravi da anni per chiudere la grande
trilogia del mare?
GC La Liguria ha due
mari. Uno è quello dei turisti o peggio ancora dei bagnanti. Un mare
qualunque, scialbo come la sagoma di un ombrellone, addomesticato,
sempre un po’ freddo, totalmente insignificante. Poi ha un altro
mare. È quello delle navi, della Repubblica di Genova, dei capitani
di Porto Maurizio che partivano da qui per varcare Capo Horn, il mare
grandioso e solitario che sta dirimpetto alle scogliere dei Balzi
Rossi, che fronteggia le Alpi sino a Savona e poi il verde degli
Appennini, che rende tutto verticale e fa di tutto una visione e un
miraggio, un mare d’avventura e di metafisica, un mare interiore e
terribile, che a noi non resta che guardare, contemplare, seguire nel
suo movimento incessante. Io ho cominciato a capire il mare quando
sono tornato in Liguria dagli anni passati nelle metropoli del Nord,
a Milano soprattutto, e poi anche a Torino.
Quando ero un
adolescente, non me ne fregava niente del mare, come della campagna.
I miei orizzonti erano esclusivamente urbani. Via Cascione a Porto
Maurizio (allora era davvero una via viva) era la mia Oxford Street,
il mio Boulevard Saint-Germain. Mi vedevo e sognavo in città. I miei
parenti materni sono forse gli unici liguri che risiedendo in Liguria
da più di quattro secoli non abbiano conservato un pezzo di terra.
Poi, i terreni comperati da mio padre a Diano Arentino e a Baiardo e
che ho ereditato li ho tutti venduti: ho commesso il sacrilegio di
vendere gli alberi. Ma era fatale che prevalesse lo sradicamento. Io
amo vincere la forza di gravità, avere radici verso l’alto.
Il mare, come gli alberi
e i fiori, li ho scoperti tornando. Allora mi aggiravo tra le ville
di Sanremo a cogliere gli estremi sussulti di una vegetazione in
splendore. Gli agapanti, gli acanti. Solo dei corrotti possono
pensare che sono fiori e nomi preziosi, da bandire. Sono fiori
comuni, democratici, selvatici alle volte, basta avere occhi
selvatici per vederli. E poi pian piano la mia attenzione si è
rivolta al mare. Mare padre, per il Montale di “Mediterraneo”.
Mare madre, per chi pensa in francese. Mare delle origini, mare della
vita.
Marino Magliani
Nei miei romanzi , il
mare c’è subito, penso al diario della mareggiata che corre lungo
tutta la vicenda raccontata in Equinozio d’autunno ambientata
a Baiardo. Una Baiardo che poteva anche essere in Irlanda, per me
andava bene lo stesso. Ma certo nei miei ultimi romanzi il mare
diventa davvero protagonista, non so se si tratta di una trilogia,
caro Marino, ma tu hai colto bene il filo che passa dal Terzo
ufficiale a La casa delle onde a questo Il male
veniva dal mare. Un mare di libertà e di schiavitù (l’edizione
greca del Terzo ufficiale ha intitolato: Schiavi della
libertà), un mare scuola di vita, un mare rigurgitante di visioni e
di miti, diventa il mare amato da Shelley e Byron, il mare
dell’utopia e della bellezza. E infine questo mare, in Il male
veniva dal mare, quello di oggi e di un futuro vicino, sempre più
avvelenato, infestato da isole di plastica, teatro di morte e di
distruzione.
Il mare è il filo
conduttore. Quello reale e quello fantastico, delle mitologie e delle
visioni , che non può essere ucciso dalla avidità e dalla violenza
dell’uomo. Il mio è un libro riparatorio. Un libro di resistenza.
Senza moralismi e senza soluzioni pronte. Il mare è simbolo della
stessa profondità, complessità, tempestosità dell’anima umana.
Per chi crede che esista una corrente di energia spirituale che
chiamiamo anima, e che esiste un fruitore di questa energia che
chiamiamo essere umano.
https://www.nazioneindiana.com/2013/09/05/magliani-intervista-conte/