Un vecchio articolo di
Citati su Francesco Biamonti e la frontiera.
Pietro Citati
Biamonti fantasmi
oltre frontiera
Settant' anni fa, le
coste della Liguria orientale, ricordate in Ossi di seppia, erano il
più famoso paesaggio metafisico della lirica italiana: i frangenti
sulle rocce, le agavi, qualche pino distorto, la casa del doganiere,
la voce del Mediterraneo. Negli ultimi libri di Caproni, un altro
paesaggio ligure porta un segno metafisico ancora più acuto. Il
viandante lascia la costa: dimentica il mare, come se non fosse mai
esistito quel vasto specchio di barbagli e di illusioni; e si inoltra
nella misteriosa e desolata regione delle colline, tra i radi
torrenti. C' è un balzo improvviso: una scossa; e più avanza, più
il viandante ha l' impressione che il suo viaggio lo conduca nelle
ultime terre di confine, "nei luoghi non giurisdizionali",
dopo il quale si estende l' Erebo - il regno al quale egli e noi
tutti apparteniamo senza saperlo.
Nei libri di Francesco
Biamonti, come nell' ultimo appena pubblicato (Le parole la notte,
Einaudi), incontriamo l' altra, estrema
Liguria: le colline che da Bordighera a Ventimiglia conducono verso
la Francia e il Piemonte. Non c' è paesaggio più arido: rocce,
argille, rovi, ulivi, mimose, un sorbo, un nespolo, un mandorlo,
poche rose - muri a secco, case abbandonate. Tutto è spoglio: la
frutta più vivace è "l' uva d' inverno, ancora attaccata alla
vite, becchettata dalle passere". Strade non asfaltate, sentieri
di polvere conducono chissà dove.
Ma presto volgiamo le
spalle alla terra: perché la forza e la vita si sono concentrate sul
mare, che è diventato il centro dell' universo. Non facciamo che
osservarlo: la luce che si sposta sulle acque e le infiamma, le
nuvole che le adombrano, i venti dolci o furiosi che risalgono verso
terra. Ci sembra che, ormai, ogni filosofia e ogni conoscenza umana
siano impossibili. All' uomo che abita qui, tra i pini e i sorbi,
come a tutti gli altri che credono di vivere altrove e abitano qui,
non resta che cercare di conoscere il mare, la luce, le
trasformazioni della natura.
Non c' è più altro da
conoscere e da sapere. Tutto sembra andato in frantumi: eppure la
natura resta misteriosamente stabile, fedele a sé stessa, forse
eterna. Molto tempo fa, qui è accaduto qualcosa di gioioso: un suono
di campane ha illuminato le colline. Ora tutto sta per spegnersi:
tutto è spossato ed esausto; queste colline vuote, queste strade che
non conducono da nessuna parte, questi pochi viandanti, questi alberi
storti sono il segno che il mondo è abbandonato da qualsiasi vita.
Gli dèi sono morti. Le
idee non esistono più. Le passioni sono spente. I libri illeggibili.
Gli uomini muoiono, o si uccidono - e forse non c' è nemmeno più la
morte, perché quando si giunge di là si trova un Niente
incredibilmente delicato e leggero, abitato da spettri che non osano
aprire la bocca. Quante volte gli uomini hanno annunciato invano la
fine dei tempi: ora essa è finalmente arrivata; e nessuna apocalisse
la annuncia.
La notte, qualcuno passa
ancora in questi luoghi. Emigranti clandestini arabi, o turchi, o
curdi varcano la frontiera. Il mondo è divenuto una sola zona di
frontiera; e non ci resta che varcare il confine, andare altrove e
ancora altrove, in un perenne esilio da una patria e da un passato
scomparsi, e da noi stessi che stiamo per scomparire. Ma sono davvero
uomini quelli che passano la frontiera? O invece gli emigranti
clandestini sono spettri, e qualche traghettatore d' anime li conduce
in un Erebo ancora più irrevocabile di quello di Caproni? In ogni
caso, di là non c' è nulla: nessuna casa, nessuna realtà, nessun
conforto; forse nemmeno il regno dei morti.
Come gli altri libri di
Biamonti, Le parole la notte è scritto sotto il segno della dea
Omissione. Ogni pagina affonda nell' inespresso. Gli eventi sono
cancellati - e sostituiti da quei minimi eventi che sono i
cambiamenti di colore nelle foglie degli ulivi, o una rondine che
raccoglie con le piume la rugiada, o la malattia delle rose.
I personaggi non dicono
mai, o quasi mai, ciò che hanno in mente: ogni parola nasconde un
silenzio profondissimo. I sentimenti e le sensazioni sono cancellati:
oppure nessuna spiegazione li motiva. Solo qualche slancio lirico
rivela i segreti dell' anima. Una mano spietata ed ascetica annulla
ogni parola che non sia assolutamente necessaria; e a volte Biamonti
pare sul punto di rinunciare ad esprimersi. Ma dietro questa
superficie spoglia, quale straziante desolazione amorosa attende una
risposta che non verrà mai. Il vuoto è animato da questo muto
battere d' ali.
La Repubblica - 22
gennaio 1998