Che l'attuale non sia
il migliore dei mondi possibili non necessita di dimostrazione e il
Covid 19 ne ha, semmai ce ne fosse stato bisogno, offerto
un'ulteriore dimostrazione. Ovunque, e non solo Italia, una
insoddisfazione profonda non riesce a prendere forma politica
costruttiva e si esaurisce spesso a destra, in una rabbia populista e
xenofoba priva di sbocchi. In questo la sinistra non è esente da
colpe. Noi pensiamo che la storia non si ripeta mai nelle stesse
forme e che dunque le esperienze politiche del passato siano oggi
improponibili, ma pensiamo anche che senza la consapevolezza della
propria storia e delle proprie radici non ci sia futuro possibile. In
questa mancanza di identità e di radici, in questo strappo con la
storia del movimento operaio e socialista crediamo consista una delle
debolezze più profonde dell'attuale sinistra. Un strappo talmente
evidente che anche un politico navigato come Fausto Bertinotti, che
di tutto si può accusare meno che di essere un rivoluzionario, si è
sentito in dovere di ricordare che la battaglia ambientale non può
di certo sostituire la lotta di classe. Ma la lotta di classe, fatto
fisiologico generato spontaneamente e incessantemente dalle
contraddizioni del presente, in sé può, come appunto accade oggi,
significare molto poco, perché per diventare lotta organizzata e
cosciente per un domani diverso ha bisogno della mediazione della
cultura e della memoria storica. Insomma, per poter immaginare il
futuro occorre riflettere sul passato. Piaccia o no, è così che
funziona. Per questo consideriamo preziosi gli interventi, come
quello di grandissimo spessore storico e politico che proponiamo oggi, che offrono una rilettura critica
della storia del movimento operaio come primo passo per la
ricostruzione di una sinistra politica, sociale e culturale.
G.A.
Sergio Dalmasso,
militante della sinistra dagli anni del Movimento studentesco, si
dedica da sempre a un'opera accurata di ricostruzione della storia
del movimento operaio italiano negli anni della Repubblica con
particolare riguardo a figure e movimenti che potremmo definire
ereticali. Tra i suoi ultimi lavori ci piace in particolare ricordare
“Lelio Basso. Vita e opere di un socialista eretico” e il
recentissimo e davvero utilissimo (ci sia premesso l'apprezzamento) “Lucio Libertini. Lungo viaggio nella sinistra
italiana”.
Sergio Dalmasso
Rodolfo Morandi: nuovo
socialismo, politica unitaria, frontismo, consigli di gestione.
Morandi stalinista?
Il 12 gennaio 1949, “La
squilla”, foglio socialista di Bologna ospita un duro scritto in
cui Rodolfo Morandi replica ad un articolo di Riccardo Lombardi
pubblicato sull'”Avanti” del 31 dicembre 1948.
Il PSI è uscito
sconfitto dalle elezioni politiche del 18 aprile 1948. Non solamente
il Fronte popolare ha raccolto solamente il 31% dei voti, ma,
all'interno di questo, i candidati socialisti sono stati superati da
quelli comunisti. Al successivo congresso nazionale, ha prevalso la
corrente centrista (autonomista), non appiattita sul PCI e
parzialmente critica verso l'URSS. L'ex azionista Lombardi è
direttore dell'”Avanti”, per le difficili condizioni economiche,
ridotto a foglio di poche pagine.
Lombardi esprime
preoccupazione per la degenerazione che lo stato di guerra latente
produce nella lotta politica, cristallizzandola e rilancia una
proposta di pace, di dialogo fra i blocchi, rivendicando la fedeltà
al socialismo internazionale e alla prospettiva europeista (richiamo
a Eugenio Colorni?).
I ceti diseredati...tale
sfiducia traducono nell'affidare la realizzazione delle loro istanze,
meno allo sforzo autonomo e rivoluzionario delle masse, alla
iniziativa popolare, alla diuturna conquista e alle faticose
realizzazioni che non alla pressione politica e militare dell'Unione
sovietica. Non è chi non veda la pericolosa deformazione, per non
dire la degenerazione che lo stato di guerra latente impone alla
lotta politica, configurando la lotta di classe, anziché in termini
di autoliberazione per opera dei lavoratori stessi, come mera
preparazione o assecondamento di un'azione politica o militare
estranea o superiore, incontrollabile anche se benefica.
La replica di Morandi è
durissima, nei contenuti e nel tono. Lo scritto di Lombardi è di
gravità eccezionale, frutto di snobismo intellettualistico che mai
aveva prodotto tali enormità.
Compagno Lombardi, la
tradizione di combattimento del nostro partito, la fiducia profonda
nell'Unione Sovietica che ha sempre alimentato le masse dei nostri
militanti, esigono il tuo rispetto. E ti diciamo: non sarai tu a
svellere il socialismo italiano dalla realtà estraniandolo dalla
lotta nella quale si decidono i destini della classe operaia e di
tutti i lavoratori liberi!
Le posizioni di Lombardi
derivano dalla formazione azionista, dal rifiuto del marxismo,
dall'incomprensione nel ruolo dell'URSS quando sostiene che le masse
sono ridotte ad:
“affidare la
realizzazione delle loro istanze meno alla forza autonoma e
rivoluzionaria delle masse... non alla pressione politica e militare
dell'Unione sovietica...” Ti facciamo solo notare che il partito
non ha mai inteso sostituire al suo marxismo il bagaglio ideologico
di G. L.
La debole maggioranza
autonomista nel partito ha vita breve. Nel maggio 1949, la sinistra
interna riconquista, con forte accentuazione “frontista”, il
controllo del partito. Nell'aprile 1950, il convegno nazionale
giovanile (Modena) segna la fine della larga autonomia della
Federazione giovanile. Nel suo intervento, Morandi proclama
nettamente l'assunzione del leninismo come interpretazione e sviluppo
del marxismo, attacca frontalmente il socialismo spurio che si
prosterna davanti al nemico di classe. I pochi mesi di gestione
centrista hanno significato infiacchimento e decadimento progressivo
del partito che deve liberarsi dalle remore che lo hanno frenato:
l'umanitarismo ideologico,legato alla concezione illuministica e la
localizzaione nell'ambito nazionale della lotta di classe:
Ideologicamente, senza
riserva alcuna, noi assumiamo il leninismo come interpretazione e
sviluppo del marxismo. Storicamente, noi ribadiamo il superamento
della socialdemocrazia nella sua duplice espressione di riformismo e
massimalismo. Possiamo dire dunque di avere attinto idealmente la
identità.
La mediazione tipica
della socialdemocrazia svanisce e si trasforma in posizione
conservatrice, di tutela delle residue rendite imperialiste dello
stato borghese. La riprova è nel titoismo, identità sostanziale con
l'imperialismo della socialdemocrazia.
In questo quadro, il PSI
propugna l'unità d'azione con i comunisti come via all'unificazione
della classe e nella politica unitaria trova le condizioni del
proprio sviluppo. La disciplina interna, la militanza,
l'organizzazione sono fondamentali e devono superare un partito
correntizio, incapace di sintesi. La struttura organizzativa, mutuata
da quella del PCI, è forgiata in questi anni per superare
l'inferiorità rispetto al maggior partito della sinistra, ma anche
per tentare di costruire un politica unitaria, ma non subordinata
rispetto a questo:
Solo un partito che abbia
eliminato il seme della divisione nel suo interno, un partito capace
di stroncare qualsiasi tentativo di riprodurre nel suo seno
situazioni degenerative, un partito che abbia sbaragliato i
personalismi, le clientele e le cricche...un partito che non si
consumi in se stesso, ma sia in grado di protendersi verso l'esterno,
un partito che si accresca di forze...che elevi incessantemente il
grado della sua combattività, può a un tale obiettivo dirigersi!
E' l'azione di massa a
rendere vitale il partito. Tutta l'organizzazione deve essere
proiettata sull'iniziativa di massa e richiede, quindi, chiarezza di
linea politica e disciplina. I successi possono nascere solamente
dall'unità.
Il ventinovesimo
congresso nazionale (Bologna, gennaio 1951) per la prima volta, nel
dopoguerra, non vede correnti contrapposte. La mozione organizzativa,
dopo aver affermato la necessità di una efficace organizzazione che
possa corrispondere alle esigenze e alle finalità dell'azione di
massa, auspica la costituzione di un largo gruppo di quadri stabili
per realizzare il contatto tra le organizzazioni di partito e la base
e tra il partito e le varie organizzazioni di massa.
Inizia la formazione del
“quadro morandiano” che guiderà il PSI per tutto il decennio e
caratterizzerà anche il PSIUP, dal 1964. Vengono progressivamente
sostituiti quadri di altra formazione e non organici al disegno e
alla formazione maggioritaria.
Il PSI, almeno sino al
1953, è totalmente allineato sulle posizioni sovietiche. Non vi è
una nota critica sui processi staliniani che in tutti i paesi
dell'est Europa colpiscono dirigenti di partito accusati di
“deviazionismo” e “titoismo”.
La stampa socialista accetta in toto le accuse di tradimento, di
connivenza con il nemico, per Tito di nazionalismo che confina con il
sostegno all'imperialismo.
Le tensioni dello scontro
politico, a livello nazionale e internazionale, fanno sì che il tono
usato verso ogni posizione critica sia sempre quello impiegato nel
corso della guerra. E' noto lo scritto di Pietro Secchia,
che Claudio Pavone definirà infelice articolo, in cui le formazioni
che criticano l'unità del movimento resistenziale sono strumenti al
servizio dei nazisti, sciocchi servitorelli di Hitler, mentre le loro
pubblicazioni sono luridi fogli...di una vigliaccheria
inqualificabile.
Nei mesi immediatamente
successivi alla liberazione, il tono non cambia, anche davanti alla
non attuazione di tante delle istanze resistenziali e agli scacchi
subiti nella collaborazione governativa, in cui tornano a prevalere
le forze moderate. Ne sono testimonianza due scritti, su “Rinascita”,
di Felice Platone. Il trotskismo è agenzia criminale e senza
scrupoli dei più feroci nemici della rivoluzione. Attorno a Bordiga
si è formata una accolta di avventurieri che esprime ogni sorta di
sabotatori del movimento proletario, provocatori e agenti stipendiati
dall'OVRA.
Non mancano note quasi
grottesche:
Gli aggruppamenti
equivoci, più apparentati con la malavita che con la politica e nei
quali si fondono vecchi e nuovi trotskisti, tenitori di tabarins e di
bische clandestine, speculatori di mercato nero ed eroi del
brigantaggio notturno, rappresentano forse ancora un pericolo per il
movimento operaio, democratico, di liberazione nazionale...?
Il PCI, anche se non si è
ancora liberato da ogni traccia di settarismo, ha vinto la battaglia
contro l'azione sabotatrice di questi gruppi, rafforzando la propria
unità.
Nel luglio 1952, Pietro
Nenni riceve il premio Stalin per la pace che ritira personalmente a
Mosca, avendo anche un incontro di carattere privato con il dirigente
sovietico.
Nel marzo 1953, la Camera
dei deputati commemora la morte di Stalin. Dopo il lungo intervento
di Togliatti e prima di quello di Taviani, ministro degli esteri,
Nenni rievoca la figura del leader sovietico, con toni commossi e con
un bilancio stoico senza ombre.
Si trovò di fronte al
compito tremendo di unificare il corso della rivoluzione sovietica
per sottrarla al destino che era toccato alla rivoluzione
francese...Si può dire che la storia ha deciso prima ancora che
Stalin affrontasse il giudizio della posterità...Gli
eventi...permisero ad ogni uomo di buonafede di correggere l'errore
di credere che Stalin fosse un dittatore sostenuto da un sistema di
forza, là dove la sua vera forza è stata...il consenso di milioni e
milioni di uomini...L'estate scorsa ebbi occasione di incontrare
Stalin, egli mi disse parole che mi sembrano oggi poter racchiudere
la lezione della sua vita: non ammettere mai che non ci sia più
niente da fare, non rompere mai il contatto con l'avversario...In
questo senso noi socialisti italiani ravvisiamo in lui una garanzia
di pace.
Il socialismo integrale
Le posizioni di Morandi
nella drammatica stagione della guerra fredda sono in continuità o
in contrasto con la sua formazione, il suo impegno negli anni '30,
quello nella resistenza, la sua esperienza governativa sino al 1947
ed ancora con l'ultima breve fase della sua vita politica, interrotta
dalla morte prematura nel 1955?
Nella sua formazione vi
sono nodi e passaggi importanti.
Nato a Milano nel 1902,
all'università di Pavia (giurisprudenza) aderisce al Partito
repubblicano. E' in contatto con gli studenti socialisti (Basso,
Faravelli). Sono forti, in lui, i riferimenti a Mazzini e ad Hegel,
l'impegno dopo il delitto Matteotti. Fonda con Basso i Gruppi
goliardici per la libertà ed è tra i fondatori della rivista
“Pietre”, collabora a “Quarto stato”. E' critico verso la
scelta dell'Aventino che ritiene passiva e inadeguata. In un
soggiorno di studio in Germani entra maggiormente in contatto con il
pensiero socialista. Nel 1931 pubblica la Storia della grande
industria in Italia che studia l'industrializzazione del paese tra
'800 e '900 e mette in luce le arretratezze del paese (si pensi alla
questione meridionale), dovute alle carenze del ruolo dirigente della
borghesia, priva di una cultura civile.
Nello stesso anno lascia
Giustizia e libertà, mettendo in discussione le posizioni liberal-
socialiste di Carlo Rosselli e proponendo una lettura marxista e
classista della realtà. La lotta antifascista si deve legare alla
lotta di classe. I due elementi, democratico e sociale non vanno mai
disgiunti.
E' il tema centrale del
suo scritto (1931) La rivoluzione italiana dovrà essere una
rivoluzione socialista. E' il proletariato il soggetto storico del
cambiamento che non può limitarsi in un semplice ritorno alla
democrazia borghese. L'identità socialista è difesa contro
l'ipotesi comunista (nonostante un intenso rapporto con Giorgio
Amendola), ritenuta statalista e burocratica, tale da non favorire
l'autonomia delle organizzazioni di classe e contro la
socialdemocrazia che è stata incapace di combattere l'ascesa
fascista e non legge le trasformazioni della realtà europea.
La vittoria di Hitler in
Germania modifica ulteriormente lo scenario e spinge a maggiori forme
di unità. Se il PCd'I ipotizza, dalla crisi del 1929, una situazione
rivoluzionaria a breve termine, una crisi irreversibile del regime
fascista e tenta di ricostruire le proprie strutture nel paese (per
Amendola è un errore provvidenziale), il PSI, alla struttura
costituita dai fuorusciti, somma la nascita del Centro socialista
interno (CSI), principali dirigenti, oltre a Morandi, Lucio Luzzatto
e Bruno Maffi, che produce una rottura, analitica e organizzativa,
con la tradizione socialista e antifascista.
Già in una lettera (11
giugno 1928) ad Alberto Tarchiani, Morandi analizza in termini
realistici la situazione italiana: il fascismo ha conquistato le
coscienze egli istituti dello Stato, i partiti tradizionali sono
ormai ferri inutili, privi di legami con la popolazione. La fine
della democrazia liberale e il classismo sono declinati nella realtà
italiana. La critica a G.L. (interessanti le repliche di Rosselli)
mette in discussione il giacobinismo, ma soprattutto la
sopravvalutazione del ruolo della piccola borghesia:
Si tratta di definire i
termini nuovi di un'azione socialista, la quale oggi non può essere
non può che dichiararsi rivoluzionaria...restano delle masse che
oggi chiedono di essere orientate, resta una quantità di elementi
giovani, ancor in cerca di un definitivo indirizzo
Se questa ipotesi
innovativa per i comunisti pecca di centrismo e per i G.L. di
filocomunismo, essa rientra nel tentativo di rimescolare le carte, di
superare i limiti dei partiti pre-fascisti,
di cercare nuovi paradigmi. Ne sono esempio due riviste che escono
fra il 1931 e il 1932.
“Pensiero antifascista”
pubblica nove numeri, dal 1 dicembre 1931 al 12 maggio 1932, “Unità
rivoluzionaria” esce dal 1 febbraio al 15 marzo 1932.
Le riviste segnano la volontà di costruire una politica unitaria di
classe, per la costruzione dello Stato operaio, contro la
socialdemocrazia e le varianti storiche dello Stato liberale. Lo
sbocco rivoluzionario della lotta contro il fascismo produce la fine
della divisione politica e ideale tra comunisti e socialisti
rivoluzionari. La politica unitaria non è alleanza fra partiti, ma
prassi nuova, basata sui contenuti. Essa deve dimostrare la
possibilità di una opzione classista diversa da quella comunista e:
...passa sulle ceneri del
meccanismo delle vie democratiche e costituzionali; sulle ceneri cioè
di una metodologia di azione che giunga a rompere il rapporto
dialettico tra lotta per la democrazia e lotta per il socialismo in
una successione temporale in cui le scelte democratiche finiscono per
vanificare la prospettiva socialista a una funzione puramente
nominalistica.
Sono significativi, come
documenti della polemica verso G.L. e della maturazione classista,
alcuni articoli di Morandi. Nel febbraio 1932, scrive:
Il tentativo di suscitare
un'opposizione attiva al fascismo, che stesse sotto l'ispirazione
democratica, si può oggi considerare per intero fallito. Fallito
materialmente e idealmente...La portata rivoluzionaria di una lotta
recata veramente a fondo contro il fascismo oggi sempre più appare
chiara. E perché nella situazione presente sempre più limpidamente
vengono a spiccare i tratti che definiscono il fascismo come un
fenomeno di reazione di classe.
E' assurda la posizione
di G.L. che tenta di fondere liberalismo e socialismo,
Gli intellettuali e la
piccola borghesia devono decidersi: vogliono combattere con gli
operai o contro gli operai?...Il fascismo è la dittatura della
piccola borghesia italiana nel periodo del capitale finanziario e
della rivoluzione proletaria. La rivoluzione antifascista sarà
quindi una rivoluzione sociale o non sarà. Il proletariato è
l'unica classe che possa assolverne i compiti.
Il passaggio su posizioni
classiste, la progressiva differenziazione da Rosselli, la non
identificazione nelle posizioni comuniste, la ricerca di nuove vie,
linguaggi, metodologie... è comune ad una generazione di giovani
socialisti e sarà costante nei decenni successivi. Scrive, nel
1934, Lelio Basso, in una polemica contro il socialismo nostalgico,
legato alla politica prefascista, a parole d'ordine che portano il
peso della sconfitta:
In Italia, dodici anni di
fascismo che son passati e gli altri che si preparano, son venuti
formando e finiranno col plasmare una generazione per la quale le
espressioni “democrazia”, “liberalismo”, “socialismo”,
saran vuote di senso...Parlare oggi agli italiani di “difesa delle
libertà democratiche” è parlare un linguaggio che non intendono
più. Bisogna convincersi che il fascismo è una realtà di fatto
della quale si deve tener conto e che non i problemi di venti anni
fa, ma quelli che il fascismo lascia oggi possono essere la matrice
da cui scaturiscono le soluzioni di domani. Diversamente si è dei
sopravvissuti. Le sconfitte della socialdemocrazia su quasi tutti i
fronti d'Europa, l'involuzione del comunismo, ci permettono
finalmente di liberarci dai pesi morti, dalle formule, dai luoghi
comuni per iniziare veramente un lavoro nuovo con animo realistico e
spregiudicato, totalmente sgombro da nostalgie e da soluzioni già
pronte.
E' diversa, ma con alcune
connessioni, la riflessione dell'austromarxismo. Il suo principale
esponente, Otto Bauer (1881-1938), nello stesso 1934, in Democrazia e
socialismo analizza le diverse forme dello stato proletario: la
democrazia proletaria, la dittatura di una democrazia di lavoratori e
la dittatura totalitaria di un partito proletario. La prima forma
cozza contro la necessità di espropriare gli espropriatori, di
socializzare i mezzi di produzione. La seconda richiama Marx ed
Engels che hanno individuato questa forma di potere nella Convenzione
francese del 1792-1793 e nella Comune di Parigi (1871):
La dittatura del
proletariato significava per Marx ed Engels non la soppressione della
democrazia, bensì una democrazia in una situazione rivoluzionaria,
una democrazia sotto la pressione di masse proletarie armate, una
democrazia che non è più, come quella borghese, uno strumento del
dominio di classe della borghesia e nemmeno mantiene, come la
democrazia proletaria, il dominio del proletariato sotto la tutela
dei diritti di libertà di tutti i cittadini, bensì una democrazia
che spezza con mezzi terroristici la resistenza della borghesia
contro la volontà delle masse lavoratrici che hanno trasformato la
democrazia nello strumento della loro volontà.
L'analisi della terza
forma, la dittatura totalitaria, è l'occasione, per Bauer, di
tornare sulle critiche al bolscevismo, con toni che lo avvicinano
alle posizioni di Martov e di Rosa Luxemburg. Questo ha trasformato
una dittatura di una democrazia di lavoratori in una dittatura di
partito che limita o sopprime la libertà del proletariato. La meta è
la democrazia socialista; la dittatura del proletariato ha carattere
transitorio, deve estinguersi perché forma dello stato di classe e
deve produrre una società senza classi.
E' di due anni successiva
la sua opera principale, Tra due guerre mondiali? La crisi
dell'economia mondiale, della democrazia e del socialismo che, a
causa della sua morte precoce, diviene una sorta di testamento
spirituale, lasciato alle giovani generazioni di socialisti, da un
militante e dirigente formatosi negli anni che hanno preceduto la
guerra. Pur essendo aperti al nuovo, gli anziani debbono trasmettere
la propria esperienza che deriva da una stagione di realizzazioni e
vittorie, mentre i giovani conoscono solamente le drammatiche
sconfitte del dopoguerra. Tutto il testo è percorso dalla forte
rivendicazione del ruolo del socialismo austriaco che ha dato:
la grande realizzazione
della Vienna rossa e l'impresa eroica dell'insurrezione di
febbraio...La
voce austriaca non può mancare neppure oggi nel grande concerto del
socialismo internazionale. L'apporto che possiamo dare scaturisce da
tutta la storia del socialismo in Austria. Intendo parlare della
concezione del “socialismo integrale” che si eleva al di sopra
dei contrasti che hanno lacerato il proletariato mondiale per
superarli.
Il termine è stato
coniato dal socialista francese Benoit Malon nel 1891 e si riferisce
ad un socialismo attinente a tutte le manifestazioni dello spirito
(economia, politica, etica...) e ad un processo rivoluzionario che
non si limiti alla trasformazione economica, ma implichi una
trasformazione sociale, morale, politica e un movimento dell'intera
società.
In Bauer socialismo
integrale è inteso come superamento della concezione riformista e di
quella bolscevica in una sintesi superiore capace di unire l'ethos
del socialismo democratico e il pathos di quello rivoluzionario.
La ricostruzione storica,
soprattutto economica degli anni fra le due guerre mondiali, con la
conseguente vittoria del fascismo e la sua ombra che si estende
sull'Europa intera, mostra gli errori dei socialdemocratici e dei
comunisti. E' compito storico possibile e necessario il
riconoscimento e il superamento di questi errori. La giusta dittatura
del proletariato, che realizza la democrazia sociale, è diversa da
quella burocratica di partito, affermatasi in Russia:
Il trionfo supremo di una
classe si ha quando le sue idee sono dominanti nel tempo e essa non
ha più bisogno di privilegi politici, non ha più bisogno di privare
le altre classi dei diritti, né di esercitare su di esse la
violenza, ma con la forza delle sue idee può dominare su tutte le
classi del popolo.
L'esperienza sovietica ha
inizialmente analogie con quella comunarda: Il soviet:
non doveva significare la
soppressione della democrazia, ma, al contrario, una forma più
elevata e più completa di democrazia
ma poi piega su posizione
autoritarie, mentre la socialdemocrazia occidentale ha compiuto
errori speculari:
Nei primi anni del
dopoguerra, i socialdemocratici e i comunisti, pur percorrendo strade
affatto diverse, hanno compiuto i medesimi errori; sotto la spinta
del violento sconvolgimento sociale provocato dalla guerra, gli uni e
gli altri hanno sottovalutato la capacità di resistenza del
capitalismo. I socialdemocratici hanno creduto di poter costruire un
ordine sociale socialista con i mezzi pacifici della democrazia...i
comunisti hanno creduto di poter sfruttare dovunque lo sconvolgimento
della società capitalistica provocato dalla guerra ai fini della
rivoluzione proletaria.
Il socialismo integrale è
quindi lo strumento per mezzo del quale il movimento operaio deve
ritrovare l'unità, modificando la rigida contrapposizione tra
socialismo riformista e rivoluzionario, trasmettendo al socialismo
rivoluzionario i valori della lotta per la democrazia, bene
universale e a quello riformista l'eredità delle rivoluzioni
proletarie.
E' gravissima la assenza
di una Internazionale, anche a causa del fallimento del tentativo di
mediazione da parte della Internazionale due e mezzo. Bauer prevede
una nuova guerra mondiale e ad essa affida la prospettiva di
riunificazione del movimento operaio in una sintesi più avanzata.
La posizione di Bauer ha
un forte influsso sui giovani del Centro socialista interno ed in
particolare su Morandi. E' chiara l'assonanza nelle sua relazioni
alla Direzione socialista:
Non è questo il momento
di attenuare le nostre posizioni classiste e internazionaliste, ma
anzi di riconfermarle e rinvigorirle...Non smorziamo la nostra
sensibilità rivoluzionaria, se non vogliamo perdere il possibile
contatto psicologico con l'ambiente italiano.(novembre 1936).
Le nostre differenze coi
comunisti non debbono essere artificiosamente forzate come neanche
non debbono venire celate per timidezza. In un punto esse si
concretano ed appaiono degne di essere con forza affermate: in una
concezione più chiara, più ferma della libertà. Come autonomia
della vita politica civile, proprio là dove più confusa e
oscillante appare la posizione dei comunisti. Tutta la recente
evoluzione dei partiti e della vita europea accentra decisamente
questo motivo nella concezione rivoluzionaria. Non temiamo di dire
che ad un concezione “libertaria” (non nel volgare senso
d'anarchismo, ma come antistatalismo, antiburocratismo) deve aprirsi
oggi senza mezzi termini il socialismo se vuole salvarsi dalle
“Scilla” e Cariddi della “democrazia” e dell'”autoritarismo”
e sfruttare in pieno i vantaggi di una posizione antitetica in
assoluto col fascismo. (11 dicembre 1936)
Queste valutazioni
tornano nel saggio che specificamente Morandi dedica a Bauer,
interpretando il pensiero della nuova generazione che ipotizza
l'unità come revisione radicale delle vecchie posizioni:
Disincagliandosi dalle
secche in cui l'una e l'altra Internazionale hanno dato, superando i
punti morti di democrazia e autoritarismo,il nuovo socialismo deve
dichiararsi schiettamente libertario (senza punto impaurirsi della
baldanza anarchica di questa qualifica!). E' l'eredità gravosa del
lungo periodo di lotta legale, lo statalismo, che ha spezzato le reni
così alla Seconda come alla Terza Internazionale che è da
scrollarsi di dosso. E' tutta la critica marxista dello Stato e della
burocrazia che è da riprendere e da portare a nuovi sviluppi
Valicare l'abissale
rottura operatasi nel dopoguerra tra socialdemocrazia e comunismo,
levarsi da una antitesi morta, per affermarsi su una posizione nuova
genuinamente marxista e classista, schiettamente rivoluzionaria:
questo il problema postosi da gran tempo al socialismo italiano come
ragione stessa del suo esistere, l'assillo costante delle sue forze
rimaste a rappresentarlo nel paese.
L'attenzione dei giovani
per Bauer e il socialismo austriaco deriva dal tentativo di
costituire un ponte fra due generazioni, di intrecciare
l'insegnamento del vecchio movimento con il rinnovamento di
riferimenti e metodi di lavoro dei giovani. Morandi rifiuta, però,
l'attendismo di Bauer che sembra delegare una trasformazione alle
conseguenze indotte dalla guerra, piega anche maggiormente verso il
rinnovamento nella dialettica continuità/discontinuità. Il
tentativo di Bauer non coglie il fatto che i due corpi che tenta di
accordare sono logorati da sconfitte perché guasto è il sangue
nell'uno e nell'altro, mentre occorre sangue nuovo.
Lelio Basso, in una
riflessione a posteriori, sottolinea come la sua generazione, avendo
accettato il mito dell'unità formale, si sia trovata, nel
dopoguerra, sopraffatta dal vecchio opportunismo che ha ripreso il
sopravvento
e riprenderà questo tema durante il periodo resistenziale:
Fra le formule e le
strategie superate consideravamo anche quelle di cui erano state
espressione l'Internazionale socialista e l'Internazionale comunista,
ormai sciolte entrambe e la cui risurrezione ci appariva suscettibile
di cristallizzare il movimento operaio su posizioni e lacerazioni che
nella nostra coscienza erano superate.
Il lavoro unitario
procede nonostante la forte polemica per la proposta del PCd'I che
rivolge un appello ai “fratelli in camicia nera”.
La replica socialista è netta, ma le contingenze internazionali
(vittoria del Fronte popolare in Francia e Spagna, guerra civile
spagnola, espandersi di regimi autoritari in tutta l'Europa dell'est)
spingono all'unità e all'accantonamento dei contrasti.
Nel 1937, Morandi è
arrestato e condannato a dieci anni di carcere. Ne sconta sei a
Castelfranco Veneto e Saluzzo (Cuneo). E' in libertà condizionale,
per motivi di salute, dal febbraio 1943. E' nella direzione del
ricostituito partito socialista, redattore all'”Avanti!” di
Milano, quindi a Lugano, in Svizzera, segretario del Comitato di
liberazione. Rientra in Italia nel giugno 1944, su invito di Sandro
Pertini, in quella fase segretario del partito. E' tra i fondatori,
con Basso e Guido Mazzali, della rivista “Politica di classe”.
La sua fermezza
ideologica rimase indiscussa. Polemizzò con democratici come Altiero
Spinelli sul Manifesto di Ventotene (contestando il capitolo che
equiparava il collettivismo allo statalismo e alla burocratizzazione)
e con i comunisti sul problema della classe (sostenendo che i
socialisti, diversamente dal PCI, riconoscevano un'autonomia alla
partecipazione del proletariato). Per Morandi il programma del
partito, all'indomani della definitiva sconfitta dell'Asse, doveva
incentrarsi sulle nazionalizzazioni dei grandi monopoli e delle
banche, sulla riforma fiscale ed agraria, vale a dire su una serie di
tappe preparatorie della transizione allo stato socialista. Con
analoga intransigenza, affrontò il dibattito aperto dal Partito
d'Azione sulla funzione dei Comitati di liberazione nazionale (CNL) e
sul rapporto con il governo di Roma, schierandosi a favore del
potenziamento del ruolo politico dei Comitati rispetto all' esecutivo
formato nell'Italia liberata.
Nell'aprile 1945,
partecipa all'insurrezione di Torino e viene nominato presidente del
CLNAI. Somma l'attività di partito, convinto soprattutto della
necessità di formazione dei quadri e della lotta contro la deriva
socialdemocratica, all'ipotesi governativa, con la Commissione
economica del CNLAI, nel tentativo, fallito, di trasformare i
Comitati in strutture di governo.
Il dopoguerra, i Consigli
di gestione, il partito.
Dal dicembre 1945
all'aprile 1946 (congresso di Firenze), Morandi è segretario
nazionale del partito, in una fase di difficile equilibrio fra
correnti molto differenziate (nel gennaio 1947 vi sarà la scissione
di palazzo Barberini).
Convinto del ruolo dello
Stato, sostiene la necessità di controllo pubblico di alcuni settori
strategici (l'energia elettrica), di programmazione degli
investimenti, di risorse per il Mezzogiorno. Ipotizza la
programmazione economica, collabora, da posizioni diverse, con
Pasquale Saraceno, contribuendo alla creazione dell'Associazione per
lo sviluppo industriale del Mezzogiorno (SVIMEZ). E' ministro
dell'Industria e del commercio nel secondo governo De Gasperi, dal 14
luglio 1946 al 1 luglio 1947 (quando termina la collaborazione
governativa tra DC e sinistra).
L'impegno maggiore è
quello per la realizzazione dei Consigli di gestione nei luoghi di
lavoro. Serve a sottolineare l'importanza della partecipazione
operaia e prende atto di una realtà di fatto: gli operai avevano
occupato le fabbriche e spesso le avevano salvate. Se, per Basso, i
Consigli debbono essere scuole di autogoverno per preparare i quadri
alla futura socializzazione, Morandi insiste sulla loro natura di
organi di unità nazionale, non di classe. Afferma nel settembre
1945:
Essi non sconvolgono i
rapporti di proprietà esistenti. Non sono stati ideati per
sovietizzare alla chetichella, come qualcuno insinua, le imprese,
bensì per dare loro una spina dorsale più robusta, per rafforzarle,
s'intende non a prò di interessi particolaristici e speculativi, ma
in ordine all'interesse della nazione che deve moderare, in questa
calamità, la voracità dei singoli
L'esperienza dei consigli
conosce varie tappe. Dalla liberazione all'estate del 1946, il
movimento si estende e si radica, nonostante la resistenza delle
forze padronali, la presenza degli Alleati, dei freni posti da
democristiani e liberali. Dopo l'estate 1946, le prospettive di
riconoscimento giuridico si chiudono e diventano nulle dopo
l'estromissione di comunisti e socialisti dal governo (1947) e dopo
la sconfitta delle sinistre alle elezioni politiche dell'aprile 1948.
Morandi, prima e durante
l'incarico governativo, insiste sulla funzione e sulla necessità di
arrivare ad un a legge sul tema. Dice al primo convegno nazionale dei
Consigli di gestione (novembre 1946):
Noi abbiamo bisogno, in
un modo o nell'altro, e non conta tanto la formula che la legge potrà
trovare, di proteggere lo sforzo ricostruttivo su qualche cosa di più
solido che non sia la pavida, incerta volontà di troppe parti di
quella categoria o classe che ha in mano le forze produttive...
E ribadisce, ancora
ministro, a Milano, nel marzo 1947:
Il piano come noi lo
vediamo...non può essere un documento in base a semplici criteri
tecnici...esso richiede revisione e continuo aggiornamento e richiede
in forme efficaci la partecipazione attiva e diretta della classe
lavoratrice.
La programmazione
economica deve accompagnarsi ad un controllo pubblico sui
finanziamenti statali alle industrie. In questa concezione, i
Consigli sono la longa manus dello Stato all'interno delle aziende.
Questo ruolo supera qualunque chiusura aziendalistica.
Rodolfo Morandi
intervenne nel dibattito pubblico prima ancora della presentazione
del suo disegno di legge con un'intervista al “Corriere della sera”
nella quale presentò i principi ispiratori del progetto: consentire
la partecipazione del lavoro alla vita dell'impresa, contribuire al
miglioramento tecnico della produzione e delle condizioni dei
dipendenti, assicurare il coordinamento fra l'attività dell'impresa
e la formazione e l'attuazione del piano industriale, in funzione del
generale interesse della nazione. Il disegno di legge...definiva i
Consigli di gestione quali organismi finalizzati a a) far partecipare
i lavoratori all'indirizzo generale dell'impresa b) contribuire al
miglioramento tecnico ed organizzativo dell'impresa... c) creare
nelle imprese strumenti idonei per permettere ad esse di partecipare
alla ricostruzione industriale e alla predisposizione della
programmazione e dei piani di industria...Nella relazione di
accompagnamento del disegno di legge, si precisava che il Consiglio
era da intendersi come uno strumento di elevazione del lavoratore,
non più semplice mezzo di produzione, ma responsabile collaboratore
dell'impresa.
I governi non tengono
fede agli impegni e la proposta di legge viene affossata. De Gasperi
dichiara la neutralità del governo nella vertenza tra le parti
sociali.
E' certo che questo
governo ha assunto una tale posizione negativa che ci induce a
considerare che, chiusasi la fase legale di preparazione della legge,
quella fase in cui i governi precedenti si consideravano impegnati a
votare la legge e avevano quindi già dato moralmente il loro
riconoscimento, chiusa questa fase se ne apre una nuova: una fase di
lotta per conquistare quelle posizioni che ci vengono contese per
avere il riconoscimento dei consigli di gestione.
Non mancano le note
autocritiche. Dopo la sconfitta del Fronte popolare, la riflessione
morandiana coinvolge anche gli errori di partito e sindacato:
Per troppo tempo nei
Consigli di gestione abbiamo semplicemente incorporato una generica
rivendicazione di diritto; per troppo tempo abbiamo così duellato,
come i cavalieri antichi, per conquistare a essi un puro titolo
giuridico...di un tale aspetto della questione ci pare dovrebbe oggi
occuparsi la confederazione del lavoro piuttosto che di quello,
superatissimo, del riconoscimento giuridico.
L'appoggio su cui possono
contare i Consigli di gestione è incerto. I sindacalisti puri, alla
cui testa è Giuseppe Di Vittorio, li vedono come pericolosi organi
di mediazione che tendono a distorcere la normale dialettica
aziendale e, al limite, ne temono la concorrenza. Togliatti e il
gruppo egemonico comunista li guardano con freddezza in parte per
scarsa comprensione del loro significato, in parte per timore di
essere condotti, per questa via, a quello scontro con gli industriali
e con la DC che, in quei mesi, vogliono assolutamente evitare.
All'opposizione dei
governi centristi e atlantisti, in polemica frontale con la
socialdemocrazia di Saragat che ha abbandonato qualunque ipotesi di
reale autonomia socialista e di equidistanza fra i due blocchi,
Morandi è, per anni vice-segretario del partito. Scrive Aldo Agosti:
Ecco il
tentativo:costruire un partito in funzione dell'azione di massa, un
partito diverso da quello socialista tradizionale; un partito che
ricostruiva se stesso nella società civile, tra gli operai, i
braccianti, i giovani...un partito in rapporto di collaborazione ma
anche di concorrenza con il PCI.
L'apertura ai cattolici
La morte di Stalin e in
Italia la crisi della formula centrista spingono il PSI a modificare
parzialmente e gradualmente le posizioni, lasciando alle spalle gli
anni del più rigido stalinismo.
Dal 31 marzo al 3 aprile
1955, il 31° congresso nazionale segna una svolta e la prima
apertura al mondo cattolico. Lo precede di poco la storica sconfitta
della CGIL alle elezioni per la commissione interna alla FIAT,
causata dalla politica di intimidazione padronale, ma anche dalle
difficoltà del sindacato di leggere le trasformazioni strutturali
nella prima industria italiana divenuta competitiva sul mercato
internazionale.
Il tema centrale del
congresso è il rapporto con il mondo cattolico e con la DC che ne è
espressione. La questione non è nuova, perché Nenni la ha già
proposta più volte, dando al PSI il ruolo di saldare la frattura
provocata dalle scelte democristiane nel 1947. Nuova è, però, la
situazione in cui si colloca. L'attenuarsi della tensione
internazionale favorisce il dialogo tra forze popolari di differente
tradizione. E' Nenni in particolare a farsi alfiere di questa
ipotesi. Già al congresso del 1953 aveva parlato della politica
delle cose:
attuazione della Costituzione, riforma fondiaria, potenziamento
dell'IRI, difesa dell'ENI, scelte per il sud. La DC è il partito
guida della borghesia italiana, ma la sua base popolare esprime
esigenze e spinte contrastanti. La fine della fase degasperiana, lo
scontro fra il nuovo quadro politico e il vecchio gruppo dirigente
fanno sperare che la DC rinunci alla polemica antisocialista e
anticomunista e imbocchi una politica di riforme e di rinnovamento.
Il PSI può incidere sulle scelte. L'alternativa del paese è
drammatica: o si attua una apertura a sinistra oppure la crisi
politica esce dal quadro istituzionale, provocando una pericolosa
involuzione reazionaria (in Nenni è sempre presente il rischio del
diciannovismo).
Per la prima volta, Nenni
rinuncia alla netta opposizione al Patto atlantico, ritenendo sia già
in atto un processo di superamento dei blocchi.
L'intervento di Morandi
(in quello che sarà per lui l'ultimo congresso nazionale) è
centrato sull'impostazione da dare all'unità d'azione con il PCI,
sulle crescenti contraddizioni del centrismo, sull'apertura al
dialogo con le masse cattoliche.
Davanti ai rigurgiti di
fascismo, causati dalla impetuosa pressione che la destra economica
esercita sulla vita pubblica e lo Stato, sempre più numerosi sono
infatti coloro che vanno prendendo consapevolezza che l'unità dei
lavoratori e delle masse popolari costituisce il solo dato
consistente della lotta democratica, il solo termine fermo della
politica italiana. Ho parlato delle masse e dei lavoratori cattolici
come del grande protagonista della storia e della civiltà nazionale,
al quale vorremmo maggiormente avvicinarci, con il desiderio di
meglio conoscerci reciprocamente. Ma è chiaro che il nostro
interlocutore sulla scena politica non può essere il mondo cattolico
e che una risposta non da esso ci può venire, Bensì solo dalla
Democrazia Cristiana che è, essa, il protagonista riconosciuto della
lotta politica. Orbene, con la Democrazia Cristiana il discorso volge
necessariamente in altro tono e su materia ben più determinata.
Molti volti diversi e disparati linguaggi parla oggi la Democrazia
Cristiana. Presenta un volto a piazza del Gesù, un volto al Viminale
e tanti altri ancora nelle varie province d'Italia.
E' quindi necessario che
scelga, che superi le ambiguità, che affronti i nodi drammatici del
paese, che rifiuti le sirene che la spingono ad alleanze con
monarchici e missini:
E' venuto il momento che
la Democrazia cristiana si pronunzi. Infatti non si fugano questi
nembi addensatisi all'orizzonte della vita nazionale e nemmeno si
placa la propria coscienza, limitandosi a delineare il quadro di un
disastro che incombe e che urge di essere allontanato con opera
tenace prestata fino ad oggi...Ecco qual è il preciso quesito che
dobbiamo porre ai dirigenti della Democrazia cristiana: pensate forse
che un partito il quale deve rispondere dei propri atti alle sue
masse operaie e contadine, a tre milioni e mezzo di elettori che
sicuramente si sono pronunciati per una democrazia rinnovata e
rinvigorita, per la distensione e per la pace, che questo partito
possa...lasciarsi invischiare in una artificiosa polemica attorno
all'”apertura a sinistra”?...
Dobbiamo dunque lavorare
senza sosta contro tali resistenze, inerzie, ottusità e
incomprensioni, perché i problemi del lavoro si risolvono sulla base
di garanzie certe di libertà...Dobbiamo, con lena instancabile,
lavorare per la pace , facendo leva sul sentimento e la aspirazione
radicata delle stesse masse democristiane.
L'ultimo intervento
pubblico è al congresso dei giovani, a Perugia, il 2 luglio, quasi
un passaggio di testimone alle giovani generazioni. Ruolo dei
giovani, richiamo all'antifascismo nel decennale della liberazione,
solidarietà verso il mondo socialista, apertura del dialogo con le
masse cattoliche.
E' la consapevolezza
della pericolosità estrema di questo momento che ci induce a
moltiplicare gli sforzi per sottrarre la lotta politica al clima
arroventato della guerra ideologica e delle scomuniche. Diciamo che è
necessario entrare in un clima nuovo, il quale consenta di esperire
tutti i tentativi per arrivare a comprendersi... Tali e non altre
sono le ragioni e le finalità del dialogo che vogliamo aprire,
indirizzandoci alle masse cattoliche e democristiane.
Il 26 luglio, per
complicazioni seguite ad un intervento chirurgico, apparentemente
semplice, Morandi scompare, lasciando una eredità controversa.
Morandi e il
“morandismo”. Quale interpretazione?
E' chiaro che la figura e
la personalità di Morandi siano complesse e che le valutazioni sulla
sua opera siano molteplici e differenziate.
La discussione più ovvia
riguarda la continuità o discontinuità nel suo pensiero. La
biografia più completa e interessante, quella di Aldo Agosti ha il
merito di valorizzare gli anni del CSI, l'originalità delle
tematiche sollevate, di utilizzare compiutamente il materiale
analizzato dal lavoro pionieristico e coraggioso svolto dalla
“Rivista storica del socialismo”. L'analisi della tematica degli
anni '30 mostra contraddizioni con il Morandi della guerra fredda,
del legame con l'URSS. Secondo Stefano Merli, l'interpretazione di
Agosti risente del periodo (1971) in cui la biografia è stata
pubblicata, del lavoro di fabbrica del PSIUP torinese (molto
specifico e “fabbrichista”):
I risultati politici e
storiografici del volume di Agosti erano particolarmente importanti
perché se da un lato riconfermavano la freschezza e la sostanziale
validità metodologica delle posizioni del CSI e in generale della
politica unitaria, dall'altro davano anche un contributo a
individuarne i limiti, a spiegarne le contraddizioni e i compromessi
cui la sua tematica dovette soggiacere in modo particolare nel lavoro
politico successivo di Morandi.
Le accuse a Morandi uomo
della guerra fredda, legato a doppio filo al PCI, incapace di una
qualunque autonomia nei suoi confronti, manovratore dell'apparato...
sono costanti, soprattutto sino a tutti gli anni '50, quando si
afferma un giudizio più complessivo e meno legato a contingenti
polemiche politiche. E' indicativo di questa lettura unilaterale e
polemica il giudizio, subito dopo la sua morte, di “Risorgimento
socialista”, il settimanale dell'USI, la formazione eretica di
Magnani e Cucchi:
Egli era chiuso, freddo e
talvolta scostante nei contatti personali, oratore monotono e
incolore; sembrava maturare i suoi propositi nell'ombra e li
esplicava con lenta ostinazione. Fin dal 1945, Morandi è posto alla
testa di coloro che lottavano per la distruzione del Partito
socialista e per il suo assorbimento da parte del Partito comunista,
non facendo mistero del suo convincimento che l'esistenza del partito
socialista fosse solamente “il prodotto dell'immaturità delle
condizioni storiche”.
E' interessante la
lettura/interpretazione del morandismo in Raniero Panzieri, per anni
suo “discepolo”. Nella sua critica, dopo il 1956 e nella stagione
dei “Quaderni rossi”, della tradizione gramsciana e poi
togliattiana
sul “ruolo nazionale della classe operaia”, vi è la ricerca di
una linea classista, di un movimento di classe che percorre la storia
italiana, anche all'interno delle strutture maggioritarie, che media
le suggestioni storiche (il Gramsci dei consigli, Rosa Luxemburg, il
Lenin dei soviet) allo sviluppo concreto di movimenti di massa. La
rottura di Panzieri con il partito, con il funzionariato, la sua non
adesione al PSIUP nel 1964 mostrano una variante del pensiero
morandiano lontana da quella della maggioranza del quadro da lui
formato che costruisce e regge appunto questo partito, dopo
l'adesione socialista ai governi di centro-sinistra.
Il dibattito
storiografico si intreccia con quello politico nella fervida stagione
dei primi anni '60. Il lavoro della “Rivista storica del
socialismo” che ha riportato alla luce il CSI (interessante il
dibattito sulla figura di Curiel, il suo rapporto con CSI e PCd'I e
la sua lettura della politica unitaria, come della “svolta”
togliattiana) assume valenza politica nello scontro interno che porta
alla nascita del centro-sinistra. Arfè rivendica la scelta
“autonomista” e originale del Centro interno e invita a:
Spiegare come per una
logica superiore ad ogni buona volontà, Morandi sia approdato dalle
sue posizioni antiburocratiche e finanche libertarie degli anni del
fascismo ad un frontismo cupo, incapace nonché di modificare,
neanche di esprimere riserve nei confronti della perdurante
degenerazione staliniana
Nel congresso socialista
(novembre 1963) che precede l'ingresso al governo e la scissione del
PSIUP, Pieraccini, del CSI, coglie l'autonomia rispetto al comunismo
e la volontà di costruire unità nella libertà. Al contrario,
Vecchietti vede nella collaborazione governativa la fine di una
specificià del socialismo italiano che ha sempre negato al sistema
capitalistico il sostegno organico della classe lavoratrice:
Sa come (il CSI) si sia
opposto anche apertamente alle concezioni diplomatiche del fronte
antifascista, per il suo minimalismo impostogli dalla convergenza di
partiti che nulla rinunciavano della sostanza della loro politica
prefascista, dei loro stessi errori...
E' indubbio che tra i
limiti nei quali i svolge, in tutto il suo percorso, la parabola del
PSIUP (1964-1972) vi sia la formazione di un quadro cresciuto negli
anni '50, in posizione di subalternità in cui opera, dopo le
scissioni sindacale e socialdemocratica e nella fase più acuta della
guerra fredda.
Se interpretazioni di
parte “operaista” addebitano al CSI- e indirettamente a Morandi-
la scarsa attenzione per la tematica consiliare, è significativo che
la biografia di Agosti non produca dibattito alla sua uscita, ma che
le questioni storiografico- teoriche acquistino una valenza politica
legata alla crisi del PSIUP, il partito che più si ritiene erede di
Morandi, nelle scelte complessive e nella formazione dei dirigenti.
La discussione sul testo
sembra coincidere con gli ultimi mesi del partito, ormai avviato
verso lo scioglimento. Apre il dibattito Franco Livorsi.
Replica Lucio Libertini, le cui formazione e storia sono molto
atipiche, ma sempre segnate dal rifiuto dello stalinismo, che
sottolinea l'opzione unitaria, ma non subalterna, di Morandi, ma, a
differenza di Agosti coglie continuità fra gli anni '30 e gli anni
'50. Il progetto unitario non ha significato confluenza, ma ricerca
dei problemi irrisolti in campo socialista e comunista, per una
strategia adeguata ai nuovi livelli del capitalismo e
dell'imperialismo:
Nella storia del
movimento operaio di questo secolo vi è un indirizzo di pensiero e
di azione politica che...si ripropone continuamente come una
riflessione e una prospettiva nelle quali si condensano nel modo più
acuto le questioni fondamentali che travagliano la sinistra. E'
questo un indirizzo di socialisti che hanno rotto nel modo più
drastico con la socialdemocrazia e con tutto quanto di
socialdemocratico- di destra e di sinistra- vi sia nella tradizione
socialista; che marxisti fanno propria l'esperienza ideologica e
politica leninista, ma muovono criticamente dalle gravi questioni
che il leninismo pose e non risolse: e tuttavia rimangono
problematicamente socialisti perché elementi troppo importanti li
separano dalla esperienza comunista...e pongono l'esigenza essenziale
di una ristrutturazione della sinistra che avanzi nel vivo della
politica unitaria di massa.
Se il disegno morandiano
non ha avuto successo nel PSI, esso è ancora ben vivo. Il PSIUP non
deve limitarsi a rilanciare la prospettiva unitaria, ma deve
affrontare le nuove contraddizioni che emergono dalle trasformazioni
impetuose della società.
Interviene direttamente
la direzione del settimanale. Non vi è contraddizioni fra le
posizioni che Agosti differenzia e contrappone. La spinta unitaria è
ridotta alla confluenza nel partito maggiore.
Egualmente proiettata su
una dimensione politica è la valutazione di Tullio Vecchietti.
Nella sua analisi non vi
è contraddizioni tra le posizioni espresse nel CSI e quelle della
“politica unitaria”. Nel primo caso, la proposta è l'unità di
classe su contenuti nuovi, per un internazionalismo che rifiuta lo
stato-guida.
Al burocratismo
socialdemocratico da un lato e allo stalinismo dall'altro egli
opponeva la visione del partito della classe e non per la classe...
Secondo Vecchietti, il
Morandi degli anni '50, vicesegretario e organizzatore del PSI,
prosegue il disegno incompiuto di venti anni prima, ipotizzando una
rifondazione ideologica e organizzativa di tutta la sinistra,
insistendo sulle inadeguatezze di ambedue i partiti, soprattutto
davanti alle istanze dei nuovi movimenti di lotta. L'attualità è
data dall'adesione al socialismo storico, nel tentativo di cambiarlo
dall'interno.
Essere socialisti
significa, ancora oggi come ai tempi di Morandi, lottare per dare
alla classe quel partito nuovo che dovrà nascere dalla convergenza
della componente socialista con quella comunista in un solo partito.
Anzi potrà nascere se ciascuna componente del movimento operaio
saprà rinnovarsi per proprio conto prefigurando in sé lo sbocco
della unificazione.
E' chiaro come il
dibattito storico venga piegato, a fini interni, in un partito in cui
la maggioranza guarda alla confluenza nel PCI.
E' ancora più netto
l'uso “strumentale” del dirigente socialista in un articolo
successivo. La polemica contro la sinistra interna, contraria alla
confluenza e tesa a cercare un nuovo spazio politico, esterno ai
partiti maggiori, si accompagna alla riproposizione della polemica
contro la socialdemocrazia.
Anche Dario Valori,
segretario del partito nella sua ultimissima fase, cerca nella storia
scelte di confluenza, richiamandosi a Serrati e ai “terzini”,
confluenza
la quale, non a caso, è
stata piuttosto l'organizzazione della ritirata che non l'avvio di
una politica nuova, quale, a mio avviso, sarà in seguito la politica
unitaria. Una interpretazione, quindi, che uscì dal dibattito che
precedette e accompagnò la liquidazione del partito, che oscillava
fra elementi contraddittori. La stessa sinistra non fu in grado e non
a caso, di recuperare la tradizione del partito e nello stesso tempo
di superarla, inserendola nella realtà sociale e politica nuova che
il '68 aveva aperto. Si lasciò pertanto interpretare da Libertini,
il quale rifletteva le posizioni della generazione del '56 e non di
quella del '68 ed esprimeva una esigenza garantista intesa a
preservare uno spazio e un bagaglio di sinistra socialista e non
certo la lotta per superare questo limite.
Sempre Merli, nel suo
studio sul socialismo italiano, ben diverso dalle sue scelte
successive, appiattite sul craxismo, legge nel recupero della parte
migliore della tradizione del movimento di classe uno strumento per
una autentica rifondazione di paradigmi e della prassi politica. Con
un entusiasmo, simile a quello di Panzieri, alla nascita dei
“Quaderni rossi” (E' una fase storica inedita ed entusiasmante,
per la prima volta la classe operaia può liberare se stessa), lo
storico piacentino coglie nella situazione del post '68 una novità
epocale cui può contribuire l'indagine storica sulle radici del
movimento di classe, lontane dalle interpretazioni maggioritarie:
Per la prima volta,
all'interno del movimento operaio, è chiamata in causa la linea
nazional-popolare come facciata dello stalinismo; per la prima volta,
la linea gramsciana,
nel suo apporto originario e negli sviluppi che ha avuto in Togliatti
viene contestata come linea di rinnovamento dopo Stalin, come
soluzione del problema rivoluzionario in una situazione di
capitalismo avanzato, scoprendone- pur nella ricchezza e originalità
del pensiero- una matrice comune con un indirizzo strategico e
tattico che si caratterizzò e si esaurì nella lotta antifascista e
nella ricostruzione dello Stato democratico. Parallelamente si
osserva un fenomeno altrettanto significativo. All'interno del
movimento operaio si fa avanti una linea di interpretazione
alternativa a quella egemonica degli ultimi decenni.
Ovviamente, il quadro
attuale è del tutto diverso. La soppressione di riferimenti teorici
e organizzativi, la cancellazione del passato, l'inesistenza di
partiti e sindacati che siano “scuola” e trasmettano valori,
creando legame tra il passato e il presente, è fatto ormai
consolidato. Il nome di Morandi, come quello della quasi totalità
dei dirigenti socialisti, è sconosciuto, annullato nella scomparsa
del PSI ad inizio anni '90. I nodi sollevati, il rapporto
autonomia/unità, la centralità della classe (declinata nella
situazione strutturale dell'oggi), la lettura- certo contraddittoria
e, nel tempo, non univoca- dell'internazionalismo restano, però,
temi non secondari.
Come altre figure (Basso,
Foa, Lombardi, Colorni...) andrebbe oggi conosciuto, discusso, non
santificato e ridotto ad icona da utilizzarsi nelle polemiche
partitiche, ma valorizzato nel difficile tentativo (forse
definitivamente sconfitto) di ricostruire una sinistra sociale,
politica e culturale.
Genova, agosto 2020.