Riprendiamo dal blog "Utopia Rossa" un saggio
di grande interesse che
tratta dei complessi rapporti tra protocristianesimo e gnosticismo.
Un testo attraversato da una domanda inespressa, ma chiara e
attualissima: quando un'eresia utopica si istituzionalizza e diventa
chiesa, quale via deve percorrere chi intende restare fedele
all'originario messaggio di liberazione? E non è certo per caso che di questo si occupi il collettivo di Utopia Rossa, da anni impegnato con rigorosa coerenza alla ridefinizione di un marxismo critico, libertario e umanista.
Pier Francesco Zarcone
Il Vangelo di Tommaso
Nonostante l’ampio
prestigio riscosso nell’antichità, non è stato il Vangelo di
Tommaso a entrare nel Canone neotestamentario, bensì quello di
Giovanni, pur essendo stato considerato meno importante nei primi
tempi del Cristianesimo. Il testo giovanneo entrò nel Canone con
qualche difficoltà - sia per la sua difformità dai tre Sinottici,
sia per certi elementi suscettibili di essere considerati di tipo
gnostico - ma vi entrò. Del Vangelo di Tommaso, prima che venisse
ritrovato tra gli antichi libri copti trovati in Egitto a Nag Hammadi
nel 1945, si sapeva solo che era stato dichiarato apocrifo per il
fatto di presentare (anche’esso) elementi di tipo gnostico.
Due parole
d’inquadramento sull’aggettivo “apocrifo” (ἀπόκρυφος).
Originariamente voleva dire nascosto, segreto e, se applicato a un
testo, significava riservato a iniziati capaci di intenderlo. Di modo
che anticamente aveva un carattere del tutto neutro in ordine
all’attribuzione del valore. Ma quando nel II secolo si sviluppò
il contrasto fra le correnti gnostico-cristiane e quella che si
andava costituendo come “Grande Chiesa”, i polemisti di
quest’ultima iniziarono ad attribuire alla parola il significato
negativo che si è poi perpetuato. Non stupisce quindi che per un
fanatico intollerante come Tertulliano (n. 155?) il termine
“apocrifo” fosse equivalente a falso, senza mezzi termini[1];
mentre Origene, per esempio, ancora si mantenne su una posizione più
equilibrata poiché, pur usandolo col valore di “non-canonico”,
sostenne che non tutto il contenuto degli apocrifi era da
respingere[2]. Progressivamente, infine, “apocrifo” acquisì la
connotazione di inaffidabile, dottrinalmente ambiguo, se non
addirittura eterodosso o eretico.
Differenze dai Vangeli
canonici e problema della datazione
Dal punto di vista
formale la prima differenza che si riscontra nel testo attribuito a
Tommaso rispetto agli altri Vangeli sta nella totale assenza di
struttura narrativa: si compone solo di detti o “loghia” di Gesù
(da λόγια) dei quali 79 su 114 in comune con i Sinottici.
Il primo e importante
problema posto da questo Vangelo riguarda la datazione, non solo per
motivi di precisione storico/scientifica, ma soprattutto a causa del
suo contenuto, come in seguito si dirà. Per un certo tempo è
prevalsa la tesi che lo datava successivamente al I secolo, ma oggi
non appaiono più tanto eccentriche le conclusioni di chi considera
almeno il suo nucleo più antico risalente al 60 d.C.[3]; cioè alla
stessa fascia temporale cui apparterrebbe il Vangelo di Marco, almeno
secondo la temporalizzazione ancora vigente in ambiente accademico.
Tuttavia nemmeno può escludersi che quest’opera risalga
addirittura al 40 d.C.: la sua maggiore arcaicità risulterebbe
proprio dalla struttura non-narrativa.
Elaine Pagels, una delle
maggiori studiose del Cristianesimo originario e dei testi di Nag
Hammadi (personaggio tutt’altro che amato dalla Chiesa cattolica),
argomenta che il Vangelo di Giovanni conterrebbe una confutazione di
quello di Tommaso, con l’ovvia conseguenza che quest’ultimo
sarebbe sicuramente anteriore all’opera giovannea. A tutto ciò
deve aggiungersi un fatto ulteriore, suscettibile di incidere in modo
notevole sulla scheda cronologica dei testi evangelici finora
vigente: sono state individuate comunanze fra alcuni loghia riportati
da Tommaso e passaggi delle Epistole di Paolo, di quelle che gli
studiosi ritengono con certezza anteriori alla redazione dei Vangeli
canonici.
Orbene, se Paolo sembra
conoscere il testo di Tommaso, l’ovvia conclusione è che questo
Vangelo sia stato cronologicamente il primo; e non quello di Marco,
cui finora è stata attribuita la priorità temporale[4]. Attualmente
si sta affacciando altresì l’ipotesi della sua redazione durante
la vita di Gesù (non vi si parla infatti né della sua morte né
della missione affidata agli Apostoli). Anzi l’ipotesi prospettata
dalla Pagels sul rapporto fra il Vangelo di Tommaso e il Vangelo di
Giovanni è che quest’ultimo sia stato scritto per confutare quello
di Tommaso[5]. E altresì pone la questione (condivisibile) relativa
a quali sarebbero state le conseguenze per la configurazione del
neonato Cristianesimo se la Chiesa avesse inserito nel Canone il
Vangelo di Tommaso (solo quello o anche quello). Nel senso che
inevitabilmente noi leggeremmo i Sinottici e il testo giovanneo alla
luce di Tommaso.
La provocazione è
palese, ma non infondata, giacché mira ad evidenziare la diversa
prospettiva assunta dal Vangelo di Tommaso, e i problemi da essa
posti. Infatti il Vangelo di Tommaso rivela una forma di
Cristianesimo delle origini più ricca e complessa di quanto si fosse
in precedenza ritenuto.
Detto in sintesi, in tale
Vangelo Gesù non esorta tanto a credere in lui quanto a cercare di
conoscere Dio mediante le capacità di cui siamo in possesso poiché
creati a immagine del Padre. Sul piano dottrinario, poi, anche
Tommaso (come del resto Giovanni) identifica Gesù con la luce divina
primordiale (di cui parla Genesi 1,3), e lo considera luce di Dio in
forma umana; ma Tommaso presenta un aspetto peculiare assente in
Giovanni: per lui la luce incarnata in Gesù è condivisa
“naturalmente” da ogni essere umano proprio per via del suo
essere immagine e somiglianza con Dio. Gesù si presenta come colui
che apre un ciclo di salvezza divina ed è fonte di criteri
d’illuminazione degli esseri umani contro il male e l’ingiustizia.
Il sentore di gnosticismo è nato da qui, ma in realtà le parole di
Gesù riferite da Tommaso (o chi per lui) non starebbero male in
bocca a un grande guru induista.
Ciò crea una
contrapposizione anche verso Paolo, il quale ha fatto della
resurrezione il cardine della fede religiosa cristiana e della
redenzione; invece il Vangelo di Tommaso pone tale cardine
nell’insegnamento spirituale, etico ed esistenziale di Gesù; nel
percorso di realizzazione della pienezza umana da lui additato. Un
ulteriore aspetto è che il Regno di Dio viene inteso come una realtà
spirituale immediata e già presente, e non una realtà futura o
ultraterrena.
Ma se si analizzano i
contenuti dei due Vangeli in questione e si valuta la situazione
ecclesiale cristiana quando fu imposto il Canone, ci si rende subito
conto che Tommaso doveva restare fuori, mentre alla fin fine era più
funzionale Giovanni, a prescindere dalle perplessità che aveva
suscitato in origine.
Gnosticismo o
Protocristianesimo?
Considerare gnostico tout
court il Vangelo di Tommaso (cioè attribuibirlo alla corrente
spirituale storicamente fiorita nel Mediterrano fra il I e il IV
secolo) è discutibile, perché seppure presenti una linea di base
affine alla Gnosi mediterranea, tuttavia in merito al conseguimento
della salvezza sviluppa motivi non esclusivi di quella corrente
culturale. Rifiutare gli sterili sacrifici rituali e additare la via
della consapevole ricerca della propria divinità interiore -
esistente quand’anche ignorata - affinché pure la carne ridiventi
Spirito, sono tutti elementi comuni all'Induismo, al Buddismo, al
Sufismo islamico, oltre che all’universo delle realtà esoteriche
inquadrabili in quella che taluni hanno definito la “Gnosi eterna”.
Testo ricco di ardente
misticismo, lo ha definito Marcello Craveri, che però lo esamina da
un punto particolare come conseguenza della scelta di farlo risalire
alla prima metà del II secolo. Ragion per cui non lo valuta secondo
la diversa luce inerente alla sua possibile contemporaneità con i
canonici o addirittura alla sua anteriorità. Risulta comunque del
massimo interesse una sua considerazione:
«A scagionarlo dalla
grave accusa di “eresia”, dovrebbe bastare il fatto che molte
affermazioni di esso, ispirate allo gnosticismo, trovano esatta
rispondenza in passi di Giovanni e delle lettere paoline. La
conclusione può essere che, al momento della primitiva stesura dei
Vangeli di Tommaso e di Giovanni e delle lettere di Paolo, la
tendenza all’interpretazione gnostica era ancora perfettamente
legittima, ma che in Giovanni e Paolo essa è rimasta in parte
soverchiata da altri motivi, mentre in Tommaso essa appare
prevalente, anzi esclusiva»[6].
Se si tiene per ferma la
datazione al I secolo, la ricaduta di questo Vangelo sui primi tempi
successivi alla morte di Gesù porterebbe a una correzione della
mappatura delle posizioni all’epoca in campo. Il
Protocristianesimo, cioè, sarebbe stato composto da Giacomo e i suoi
seguaci, di stretta impostazione giudaica; dagli ellenisti; dalla
corrente di pensiero di Giovanni; da quella di Paolo di Tarso; e
dalla corrente di Tommaso, che potrebbe apparire in qualche modo
alternativa al giudeo-cristianesimo della comunità di Gerusalemme.
Ad ogni buon conto il testo di Tommaso non manifesta nessun distacco
od ostilità verso Giacomo il Giusto, tant’è che il loghion 13[7]
- esaltandolo addittura come concretizzazione dell’archetipo del
“giusto” - ne proclama senza mezzi termini il primato come guida
della comunità dopo la dipartita di Gesù. Per inciso, i Vangeli in
cui si evidenzia il primato di Giacomo (e non di Pietro) sono stati
dichiarati tutti apocrifi.
Il Gesù del Vangelo di
Tommaso
Ci si potrebbe anche
chiedere se Tommaso rappresenti davvero una linea a sé stante,
oppure se non costituisca solo il lato esoterico del originario del
Protocristianesimo, ovvero il suo insegnamento segreto. Ipotesi non
peregrina, in quanto risulta dai medesimi Vangeli canonici che Gesù
riservava a suoi discepoli la conoscenza dei misteri del Regno di Dio
(Mt. 13, 11), e nel Vangelo di Marco (4, 20) si dice una cosa il cui
tenore gnostico balza subito all’attenzione: «A voi è dato il
segreto del regno di Dio, a quelli invece che sono fuori tutto si fa
in parabole, affinché guardando guardino e non vedano, e ascoltando
ascoltino e non sentano (...) E i seminati sul terreno buono sono
coloro che ascoltano la parola e l’accolgono e fruttificano al
trenta e al sessanta per cento».
Alcuni dei detti di Gesù
contenuti nel testo di Tommaso sono riportati anche da Matteo e Luca,
mentre altri sono estranei ai Sinottici. La Pagels, studiando le
concordanze e le conflittualità fra i Vangeli di Giovanni e di
Tommaso, ha messo in evidenza come siano queste ultime a prevalere,
risultando quindi le due differenti rispettive vie spirituali. Per
entrambi Gesù è la luce che illumina l’umanità, e essi invitano
(a differenza del Sinottici) a volgersi non già alla fine dei tempi,
quanto e soprattutto al loro inizio (Gv. 1, 3; Tm. log. 18). Ma la
grande differenza sta nel fatto che per Giovanni la luce divina è
propria di Gesù, mentre per Tommaso appartiene a tutti gli esseri
umani, perché creati a immagine e somiglianza di Dio, e tutti sono
in grado di conoscerlo. Un forte accento, infine, è posto da Tommaso
nel presentare il Regno di Dio come realtà spirituale in atto, e non
come evento futuro o luogo dell’al di là (log. 3, 51 e 113)[8].
Il Gesù del Vangelo di
Tommaso è un personaggio propenso a parlare in un modo assai più
criptico rispetto alle parabole presenti negli altri Vangeli: a volte
lo stile ricorda molto i koana del Buddismo zen: cioè quei detti
formalmente oscuri con cui i maestri cercano di provocare
nell’allievo l’illuminazione (satori), oppure una maggiore e
superiore consapevolezza di sé e della realtà, mediante una sorta
di corto circuito razionale provocato dalle evidenti limitate
capacità del pensiero razionale di fronte alla complessità del
reale soggiacente alle apparenze[9]. Si pensi al famoso loghion 19:
«Beato colui che era prima di divenire».
L’affermazione della
presenza dell’immagine di Dio nella persona umana, assunta come
base per l’effettiva rinascita, scandalizzò Ireneo, ma sarebbe poi
diventata fondamentale per la concezione bizantina ortodosssa sulla
divinizzazione dell’uomo, insieme alla mistica esicasta della “luce
taborica”. Ne riparleremo a proposito dell’esicasmo.
Nell’essenziale loghion 50 del Vangelo di Tommaso, Gesù dice ai
discepoli: «Se vi chiedono; “da dove venite?”, rispondete:
“veniamo dalla luce, dal luogo in cui la luce si autogenerò, si
innalzò e si manifestò nella loro immagine”. Se vi chiedono:”chi
siete?”, rispondete: “Siamo i suoi figli e siamo gli eletti del
Padre vivente”».
Differenze di Tommaso con
Giovanni
Per questo Gesù non
invita a credere in qualcosa, ma a scoprire il proprio divino tesoro
interiore (log. 70), a cercare il contatto con Dio. Giovanni, invece,
invita a credere in Gesù (20, 31). In un altro testo di Nag Hammadi,
affine al Vangelo di Tommaso - Il Libro di Tommaso il contendente -
Gesù dice, in una prospettiva olistica:
«Chi non conosce se
stesso non conosce nulla, ma chi conosce se stesso conosce
simultaneamente la profondità di tutte le cose» (138, 7-19).
Del Vangelo di Giovanni
non deve ingannare la parte (1, 1-14) in cui si dice che nel Lógos
era la vita e la vita è la luce degli uomini, giacché subito dopo
sottolinea che l’umanità non ha riconosciuto questa luce. In
questo modo la luce divina viene a porsi come un dato esteriore
all’essere umano, calato dall’alto; e per questo Giovanni addita,
come via di uscita, la fede in Gesù.
Per Tommaso, al
contrario, questa luce è consustanziale alla persona umana. Non vi è
dubbio che la tesi dell’affinità (usiamo quesa parola proprio per
la sua indeterminatezza) tra l’essere umano e Dio sia pericolosa
per le istituzioni religiose. E per quanto, sul piano teoretico, essa
faccia parte del patrimonio teologico di molte religioni, tuttavia
laddove esistano (o siano esistiti) assetti istituzionali forti, la
ricerca personale del divino interiore è sempre stata guardata con
sospetto, quando non scoraggiata o addirittura combattuta. Inoltre è
di tutta evidenza che l’assunzione da parte della chiesa
giovanneo/paolina del dogma del peccato originale e della sua
trasmissione anche ai discendenti dell’umanità originaria,
costituisce un ulteriore elemento, anzi un presupposto, per collocare
barriere contro la ricerca interiore del divino da parte della
singola persona.
Nel Vangelo di Filippo
(II secolo) a proposito del battesimo c’è un passaggio (59) che
chiarisce e rafforza la linea di Tommaso, e che in una visione
retrospettiva vale come fotografia di un successivo fenomeno di massa
che ormai connota il Cristianesimo. Si dice in Filippo: «Se
qualcuno scende nell’acqua e ne esce fuori senza aver ricevuto
nulla e dice: “io sono cristiano”, egli si è appropriato del
nome; ma se riceve lo Spirito Santo, ha il dono del nome. Chi ha
avuto il dono, non ne è più privato; ma chi se l’è appropriato,
gli viene tolto».
In buona sostanza ciò
riconferma la parabola dei talenti, e significa una lotta al
quietismo cristiano che la Chiesa dopo il I secolo non poteva
accettare, perché avrebbe implicato privilegiare la qualità sulla
quantità. In una prospettiva esoterica, invece, si privilegiano
invece la qualità, conformemente alla realtà iniziatica di cui
ciascuno è portatore.
La ricerca personale del
divino interiore
Il Cristo del Vangelo di
Tommaso, più che un maestro di saggezza e di sapienza (e infatti
egli rifiuta espressamente questo ruolo)[10] è un esperto della
maieutica spirituale. Egli non offre risposte e credenze, bensì
fornisce indirizzi per un processo di ricerca interiore, che in fondo
non persegue nulla che non ci sia già: solo che è ignorato dal
soggetto che lo contiene. Si tratta della realtà luminosa del
proprio Sé: «Se porterete alla luce quello che è dentro di voi,
quello che porterete alla luce vi salverà. Se non porterete alla
luce quello che è dentro di voi, quello che non porterete alla luce
vi distruggerà» (log. 70); e proprio per questo la persona nella
sua ricerca deve saper separare l’utile dall’inutile[11] con
rispetto e umiltà. Il costante richiamo spirituale all’unità
(cioè il fare uno di due: log. 22)[12] ha un significato nello
stesso tempo goseologico e ontologico, perché si tratta dell’unità
luminosa delle origini; è l’unità transpersonale col tutto, e
quindi con Cristo:
«Gesù disse: Io sono la
luce che sovrasta tutte le cose. Io sono il tutto. Da me tutto è
venuto e a me tutto giunge. Spaccate un legno e io sono lì.
Sollevate una pietra e lì sotto mi troverete» (log. 77).
Questo in fondo si salda
con l’impostazione gnostica per cui chi realizza la gnosi «non è
più un cristiano, ma un Cristo»[13].
Tutta questa impostazione
spiega perché il Gesù del Vangelo di Tommaso parli del Regno di Dio
come di una realtà già esistente e interiore[14]. Vi è anche da
rilevare che in tale Vangelo si presenta la questione - già
accennata nel capitolo sulla Gnosi - circa l’elemento femminile in
Dio. Gesù vi distingue fra i propri genitori terrestri (Maria e
Giuseppe) e quelli celesti: il Padre divino e la Madre, cioè lo
Spirito Santo (log. 108). È interessante notare che la Gnosi
cristiana abbia dato una sua interpretazione del fatto che Gesù sia
“nato da una Vergine”. Questa vergine non sarebbe stata la madre
fisica, Maria, bensì lo Spirito Santo. Il Cristo del Vangelo di
Tommaso punta a preparare i suoi seguaci a una nuova vita, con
prospettiva diversa, e traccia un’immagine di quello che dovrebbe
essere la persona decisa a seguire i suoi insegnamenti:
«La persona prefigurata
in essi è immortale: l’adepto non assaporerà la morte
(insegnamenti 1, 11, 18, 19, 111) e regnerà per sempre (precetto 2),
come individuo con doni e poteri straordinari. Il soggetto
preannunciato da Gesù beneficia di una forma di vita preesistente
(precetto 19), che ha origine dalla luce e ad essa farà ritorno
(precetti 24 e 50), e si manifesta in un’immagine eterna e
invisibile (precetto 84). Questa persona vive nel mondo in modo
distaccato, come in transito (precetto 42) o addirittura come un
viandante senza casa (precetto 86), pur comprendendo chiaramente la
distinzione tra il mondo ipotizzato in queste massime e il mondo
materiale circostante (precetto 47; vedi anche 56, 110, 111). Tale
soggetto lavora duramente per trovare l’interpretazione dei
precetti, ma scopre in questa difficile opera una fonte di vita
(precetto 58). Le parole di Gesù costruiscono una sorta di persona
divinizzata, unita a lui per mezzo della sua bocca (precetto 108),
con una condizione più elevata di quella di Adamo (precetto 85),
meritevole perciò di entrare in rapporto più intimo con Gesù nella
stanza nuziale in cui vivono tutti ni solitari (precetto 75). La
finalità ultima di un individuo è trovare quel riposo (precetti 50,
51, 60, 90) che viene dalla conoscenza dei segreti e delle realtà
nascoste della vita (precetti 5 e 6)»[15].
A salvare questi adepti
non è quindi la Chiesa, ma la parola di Gesù messa in pratica. Si
forma comunque una comunità spirituale fra di essi, ma a livello di
libera confederazione di fatto, dovuta al percorrere la stessa via.
Ben diversa sarà la storia delle chiese cristiane.
[1] De pudicitia, 10, 12.
[2] Lettera a Giulio
Africano, 9; Commentario a Matteo, 23, 27-28.
[3] Richard Valantasis,
Il Vangelo di Tommaso, Arkeios, Roma 2005, p. 31.
[4] E. Pagels, Il Vangelo
segreto di Tommaso, Mondadori, Milano 1994.
[5] Ibid., p. 49.
[6] M. Craveri (a cura
di), I Vangeli apocrifi, Einaudi, Torino 1990, p. 482.
[7] I discepoli chiedono
a Gesù:
«Sappiamo che tu ci
lascerai: chi sarà grande sopra di noi? Gesù rispose loro: Dovunque
andrete seguirete Giacomo il Giusto, colui a motivo del quale sono
stati creati il cielo e la terra».
[8] Comunque anche in
Luca c’è un passo di tenore similare all’impostazione di Tommaso
(Lc. 17, 20-21).
[9] Il Mediterraneo
orientale di quell’epoca era culturalmente assai meno isolato di
quanto avverrà poi nell’alto Medioevo; era anzi un crocevia di
traffici e correnti culturali con e dall’Oriente. Ad Alessandria
era ben noto l’attivismo missionario dei buddisti, e non mancavano
coloro che avevano una qualche conoscenza dell’induismo brahminico.
[10] «Io non sono il tuo
maestro, tu infatti hai bevuto e ti sei inebriato alla fonte
zampillante ce io ho custodito» (log. 13).
[11] «L’uomo è simile
a un pescatore saggio che gettò la rete in mare e la ritirò piena
di pesciolini. In mezzo a essi il pescatore saggio trovò un pesce
grande e buono. Allora rimise nel mare tutti i pesciolini e senza
esitare si tenne il pesce grande. Chi ha orecchie per intendere,
intenda!» (log.8).
[12] «Quando di due
farete uno e renderete l’interno identico all’esterno e l’esterno
identico all’interno e l’alto identico al basso, e fare una cosa
sola del maschio e della femmina, di modo che il maschio non sia
maschio e la femmina non sia femmina, quando farete occhi al posto di
un occhio, una mano al posto di una mano, un piede al posto di un
piede, un’immagine al posto di un’immagine, allora entrerete [nel
Regno]» (log. 22).
[13] Vangelo di Filippo,
67.
[14] «I discepoli gli
chiesero: quando verrà il Regno? Non verrà perché l’aspettate.
Non diranno: Ecco è qui, oppure Ecco, è là. Piuttosto il Regno del
Padre è sparso su tutta la terra, ma gli uomini non lo vedono»
(log. 113).
[15] Richard Valantasis,
Il Vangelo di Tommaso. Versione copta integrale commentata, Arkeios,
Roma 2005, pp. 28-9.
(Da:
www.utopiarossa.blogspot.com)