Ultima lezione di un
corso tenuto nel 1996. Dopo il fallimento della rivoluzione del 1848
Marx si dedica allo studio approfondito del modo di produzione
capitalistico visto in tutte le sue sfaccettature (economiche,
politiche, sociali, culturali). Il Capitale è un capolavoro della
scienza economica, ma anche uno straordinario racconto della società
e degli uomini del suo tempo. Allo stesso tempo Marx, che tutto fu
meno che un uomo da biblioteche, svolse un'immensa mole di lavoro
come organizzatore e dirigente di un movimento operaio e socialista
diventato mondiale.
Giorgio Amico
Karl Marx scienziato
del capitale (1851-1883)
Alla fine del 1851 Karl
Marx e Friedrich Engels erano ormai pienamente convinti che solo sul
lungo periodo si sarebbe potuto parlare di ripresa rivoluzionaria e
che i tempi di tale processo erano determinati dall'andamento del
mercato mondiale. In quest'ottica perdeva interesse l'azione politica
immediata, giudicata del tutto priva di prospettive reali. Le esigue
forze del partito andavano utilizzate in un più utile lavoro di
studio e di orientamento teorico del movimento rivoluzionario
internazionale. Occorreva soprattutto prendere con estrema chiarezza
le distanze dagli esponenti di punta della democrazia rivoluzionaria,
quali Mazzini e Kossuth, respingendo con decisione ogni ipotesi di
attività cospirativa. I tempi non potevano essere accelerati
volontaristicamente, non si poteva tornare indietro alla fase delle
sette. La teoria diventava il primo campo d'azione del partito:
occorreva studiare i meccanismi di riproduzione del capitale per
portarne alla luce le contraddizioni, ma più di tutto occorreva
cimentarsi con l'arduo problema dei tempi, nella certezza
incrollabile che tutto lavorava per la rivoluzione, che la vecchia
talpa non aveva smesso di scavare.
Il processo dei
comunisti di Colonia e il "18 Brumaio"
La via della
cospirazione, come previsto da Marx, si rivelò ben presto
impraticabile e ciò non senza gravi colpi per il partito. In
Germania la polizia aveva facilmente smantellato la fragile rete
clandestina che la Lega aveva tentato di costruire dopo il riflusso
del movimento rivoluzionario. Nel mese di ottobre si aprì a Colonia
il processo ai comunisti arrestati. Da Londra Marx prese
coraggiosamente le difese degli imputati, denunciando le
macchinazioni della polizia, smascherando numerosi agenti provocatori
infiltratisi nel movimento, smontando sistematicamente le
innumerevoli calunnie diffuse dalla stampa. Fu un lavoro enorme che
occupò interamente Marx ed Engels, come testimonia una lettera
scritta in quel periodo dalla moglie di Marx:
"I documenti
prodotti dalla polizia non sono che bugie. Essa ruba, falsifica,
scassina uffici, aggiunge falsi giuramenti a false testimonianze e la
cosa più enorme è che si crede in diritto di agire così di fronte
ai comunisti che si sono messi fuori della società. E' veramente
inconcepibile il modo con cui la polizia ignobilmente si attribuisce
tutte le funzioni del pubblico ministero e presenta come fatti
giuridicamente stabiliti, come prove, falsi certificati, semplici
voci, rapporti, "si dice". Poiché tutte queste manovre non
possono essere smascherate che a Londra, mio marito ha dovuto
lavorare dalla mattina fino a notte inoltrata. Tutte le prove dei
falsi della polizia sono state ricopiate da sei a otto volte e
spedite in Germania con i mezzi più vari, via Parigi, via
Francoforte, ecc., poiché tutte le lettere di mio marito e tutte le
lettere inviate da qui a Colonia sono intercettate e aperte. Ora la
lotta è tra la polizia e mio marito, al quale si attribuisce la
responsabilità di tutto, dalla rivoluzione fino allo svolgimento del
processo".
Nonostante l'impegno
instancabile di Marx, il 12 novembre il tribunale emise un verdetto
di colpevolezza per gli imputati. Cinque giorni più tardi, su
proposta di Marx, il Comitato Centrale della Lega decise lo
scioglimento dell'organizzazione, divenuta ormai un piccolo gruppo
privo di prospettive. A dimostrazione che Marx aveva visto giusto,
poco tempo dopo anche il gruppo dissidente di Willich-Schapper si
sciolse. Willich emigrò in America, dove si distinse come generale
dell'esercito nordista durante la guerra di secessione, mentre
Schapper si ricollegò con Marx ed Engels ammettendo il suo errore di
valutazione.
Nello stesso tempo Marx
ruppe decisamente con l'ambiente degli esiliati, stufo delle sterili
dispute, dei progetti inconcludenti, dell'incapacità di ripensare
criticamente l'intera esperienza rivoluzionaria del '48. Il partito
della democrazia rivoluzionaria si era dimostrato incapace di
risolvere una sola delle questioni nazionali aperte in Europa.
Italia, Germania, Polonia, Ungheria restavano questioni irrisolte.
Terrorizzata dallo spettro del comunismo, apertamente la borghesia
abbandonava il terreno democratico, come con ogni evidenza
testimoniava il caso della Francia dove, invece della tanto attesa
ripresa rivoluzionaria, il colpo di stato di Luigi Bonaparte regolava
i conti con la stessa democrazia parlamentare. A questo avvenimento
Marx dedicò uno studio accurato, pubblicato con il titolo di "Il
diciotto brumaio di Luigi Bonaparte". Con uno stile brillante
egli spiegava gli avvenimenti francesi sulla base della concezione
materialistica della storia, spiegando come le circostanze avessero
reso possibile a un personaggio mediocre e grottesco come Bonaparte
di recitare la parte dell'eroe. Nelle prime pagine di quest'opera
Marx delinea in poche righe una grandiosa descrizione della
dialettica del processo rivoluzionario e del comunismo di grande
interesse soprattutto oggi, dopo il crollo del falso socialismo
dell'Est e le chiacchiere interessate sulla "fine del comunismo"
e della storia:
"Le rivoluzioni
borghesi, come quelle del secolo decimottavo, passano tempestivamente
di successo in successo; i loro effetti drammatici si sorpassano l'un
l'altro; gli uomini e le cose sembrano illuminate da fuochi di
Bengala; l'estasi è lo stato d'animo di ogni giorno. Ma hanno una
vita effimera, presto raggiungono il punto culminante; e allora una
lunga nausea s'impadronisce della società, prima che essa possa
rendersi freddamente ragione dei risultati del suo periodo di febbre
e di tempesta. Le rivoluzioni proletarie invece, quelle del secolo
decimonono, criticano continuamente se stesse; interrompono a ogni
istante il loro proprio corso; ritornano su ciò che già sembrava
cosa compiuta, per ricominciare daccapo; si fanno beffe in modo
spietato e senza riguardi delle mezze misure, delle debolezze e delle
miserie dei loro primi tentativi; sembra che abbattano il loro
avversario solo perché questo attinga dalla terra nuove forze e si
levi di nuovo più formidabile di fronte ad esso; si ritraggono
continuamente, spaventate dall'infinita immensità dei loro propri
scopi, sino a che si crea la situazione in cui è reso impossibile
ogni ritorno indietro e le circostanze stesse gridano: Hic Rhodus,
hic salta! Qui è Rodi, qui salta!...":
L'esilio londinese
I primi anni di esilio a
Londra rappresentano forse il periodo più difficile della vita di
Marx. Egli passa le sue giornate nella grande sala di lettura della
biblioteca del British Museum, intento a consultare migliaia di
giornali, riviste e volumi finalizzati sia agli studi di economia,
finalmente ripresi, che alla stesura di articoli di politica
internazionale per il giornale americano "New York Tribune".
La collaborazione con questo giornale, schierato su posizioni
democratiche, rappresenta per Marx l'unica fonte di reddito. La
redazione paga due sterline per ogni articolo pubblicato e Marx, che
conosce poco l'inglese, si vede costretto a farsi aiutare da Engels.
Dall'agosto 1851 al settembre 1852 la "New York Tribune"
pubblica diciotto articoli sugli avvenimenti tedeschi, firmati da
Marx, ma in realtà scritti da Engels che verranno in seguito riuniti
in volume con il titolo di "Rivoluzione e controrivoluzione in
Germania". A partire dall'estate del 1852 Marx è ormai in grado
di scrivere in inglese e collabora stabilmente con il giornale
newyorkese, inviando decine di articoli di commento dei più
importanti avvenimenti internazionali. Friedrich Engels, che nel
frattempo per poter aiutare l'amico in difficoltà ha ripreso il suo
lavoro di dirigente della fabbrica tessile del padre, collabora con
assiduità, raccogliendo e traducendo materiali, ma anche stendendo
materialmente molti articoli che poi Marx firma.
Le condizioni di vita di
Marx e dei suoi familiari sono veramente terribili: ad uno ad uno
egli e la moglie vedono morire di malattia e di stenti tre dei loro
figli. Disperatamente alla ricerca di denaro, vessato dai creditori,
Marx si aggrappa disperatamente all'aiuto che gli viene da Engels e
da pochi altri compagni per poter continuare nell'opera intrapresa.
La moglie gli è vicina e lo sostiene fino in fondo, senza timore di
chiedere l'aiuto dei vecchi amici. Come nella lettera che segue,
scritta a Joseph Weydemeyer, vecchio membro della Lega emigrato in
America. Dopo aver descritto le traversie patite, la malattia del
bimbo più piccolo, lo sfratto, la vendita per pochi soldi dei mobili
e il rifugio in un albergo per poveri, Jenny conclude
orgogliosamente:
"Non crediate che
queste miserie meschine mi abbiano abbattuta; so troppo bene che la
nostra lotta non è isolata, e sono ancora felice e favorita dal
destino perché il mio caro marito, il mio sostegno nella vita, sta
ancora al mio fianco. Ma quello che mi mortifica veramente, che mi fa
sanguinare il cuore, è il triste fatto che mio marito deve subire
tutte queste meschinità, quando basterebbe poco per liberarci dalle
strettezze; vederlo così privo di qualsiasi soccorso, proprio lui
che ha aiutato così generosamente tanta gente... Ma mio marito la
pensa diversamente. Mai, neppure nei momenti più terribili, egli ha
perduto la fede nell'avvenire...".
E i momenti attraversati
furono veramente tali da abbattere anche l'uomo più forte. Il figlio
Guido fu il primo a morire "vittima della miseria borghese"
come il padre disse a Engels. Poi toccò alla figlia Franziska,
perduta nel primo anno di vita. Disperato, Marx aveva scritto a
Engels: "Il dottore non potevo e non posso chiamarlo, perché
non ho denaro per le medicine. Da otto o dieci giorni ho nutrito la
famiglia con pane e patate, ed è anche dubbio che io riesca a
scovarne oggi". Infine, nel 1855 il colpo più duro, la perdita
dell'ultimogenito Edgard. In quell'occasione egli scrive a Engels:
"La casa è
naturalmente del tutto desolata e vuota dopo la morte del caro
bambino che ne era l'anima. Non si può dire come il bambino ci
manchi a ogni istante... Mi sento spezzato... Tra tutte le pene
terribili che ho passato in questi giorni, il pensiero di te e della
tua amicizia, e la speranza che noi abbiamo ancora da fare insieme al
mondo qualche cosa di intelligente, mi hanno tenuto su".
"Per la critica
dell'economia politica"
Nel 1857 la crisi tanto
attesa da Marx ed Engels venne ad interrompere la fase di
ininterrotto sviluppo iniziata con il declino della rivoluzione del
1848. Partita dagli Stati Uniti, la crisi investì dapprima
l'Inghilterra e poi il continente. Nonostante la sua precaria
situazione economica aggravata dal fatto che a causa della crisi la
"New York Tribune" aveva drasticamente ridotto le
corrispondenze dall'estero, Marx saluta con rinnovata speranza i
primi segnali di una riapertura della contesa politica. "Per
quanto mi trovi in ristrettezze finanziarie - scrive a Engels nel
novembre 1857- dal 1849 non mi sono mai sentito tanto a mio agio come
con questo crollo". Sua unica preoccupazione, la non
corrispondenza tra il precipitare della situazione e i tempi lenti di
maturazione del proletariato:
"Sarebbe
desiderabile - scrive- che, prima che arrivasse un secondo colpo
decisivo, si verificasse quel "miglioramento" che rendesse
la crisi, da acuta, cronica. La pressione cronica è necessaria per
un certo tempo per riscaldare il popolo. Il proletariato in questo
caso colpisce meglio, con una migliore conoscenza di causa e con
maggiore accordo... Non vorrei che scoppiasse qualcosa troppo presto,
prima che tutta l'Europa ne fosse contagiata... Per la lunga
prosperità le masse debbono essere cadute in profondo letargo...".
Rivitalizzato
dall'apparente precipitare dell'economia, che confermava le sue
previsioni sul carattere ciclico delle crisi, Marx si getta a
capofitto negli studi economici con il duplice obiettivo di elaborare
le linee fondamentali di una critica dell'economia classica e di
seguire con estrema attenzione il decorso della congiuntura
economica. Egli riprende ora con decisione il progetto di una grande
opera di economia politica iniziato con la critica a Proudhon e poi
abbandonato nel fuoco rivoluzionario del '48, ripreso ancora a Londra
nel 1851, ma portato avanti con estrema lentezza a causa delle gravi
traversie economiche e familiari. Nel 1857 egli inizia la stesura
dell'opera che appare nel 1859 con il titolo di "Per la critica
dell'economia politica". Rispetto al piano originale di trattare
"il capitale in generale", il volume affronta solo la
questione della merce e del denaro e di fatto rappresenta un lavoro
preparatorio per la gigantesca costruzione de "Il capitale".
Come sottolinea Ernest Mandel, in quest'opera "Marx perfezionerà
la sua teoria del valore, e al tempo stesso la teoria del
valore-lavoro in generale, formulando la sua teoria del valore
astratto, creatore di valore di scambio".
Oltre che sul piano della
teoria economica, l'opera riveste una straordinaria importanza per la
conoscenza dell'evoluzione del pensiero di Marx. La prefazione a "Per
la critica dell'economia politica" rappresenta il più efficace
compendio del metodo scientifico marxiano, un'opera indispensabile
per la comprensione del materialismo storico. Dalla prefazione
risalta con assoluta evidenza la straordinaria organicità della
costruzione teorica marxista, con buona pace di chi, a partire da
Althusser, ha voluto evidenziare una presunta insanabile frattura fra
un Marx dialettico ed umanista dei "Manoscritti" e un Marx
determinista ed economicista de "Il capitale". Scrive Marx
nella prefazione:
"Nella produzione
sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti
determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti
di produzione, che corrispondono a un determinato grado di sviluppo
delle loro forze produttive materiali. L'insieme di questi rapporti
di produzione costituisce la struttura economica della società,
ossia la base reale sulla quale si eleva una soprastruttura giuridica
e politica e alla quale corrispondono forme determinate della
coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale
condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale
della vita.
Non è la coscienza degli
uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro
essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato punto del
loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano
in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i
rapporti di proprietà (il che è l'equivalente giuridico di tale
espressione) dentro dei quali esse forze per l'innanzi s'erano mosse.
Questi rapporti da forme di sviluppo delle forze produttive, si
convertono nelle loro catene. E allora subentra un'epoca di
rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si
sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura.
Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile
distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni
economiche della produzione, che può essere constatato con la
precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche,
religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche, che
permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di
combatterlo.
Come non si può
giudicare un uomo dall'idea che egli ha di se stesso, così non si
può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che
ha di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le
contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente tra
le forze produttive della società e i rapporti di produzione. Una
formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte
le forze produttive a cui può dare corso; i nuovi superiori rapporti
di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno
alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza.
Ecco perché l'umanità
non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a
considerare le cose da vicino, si trova sempre che il problema sorge
solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già
o almeno sono in formazione. A grandi linee, i modi di produzione
asiatico, antico, feudale e borghese moderno, possono essere
designati come epoche che marcano il progresso della formazione
economica della società. I rapporti di produzione borghesi sono
l'ultima forma antagonistica del processo di produzione sociale;
antagonistica non nel senso di un antagonismo individuale, ma di un
antagonismo che sorga dalle condizioni di vita sociali degli
individui. Ma le forze produttive che si sviluppano nel seno della
società borghese creano in pari tempo le condizioni materiali per la
soluzione di questo antagonismo. Con questa formazione sociale si
chiude dunque la preistoria della società umana".
La crisi del 1857 e la
ripresa del movimento operaio
Nonostante la crisi non
si fosse trasformata nella rivoluzione proletaria come speravano Marx
ed Engels, essa dette l'avvio ad una nuova fase di effervescenza
sociale e politica in molti paesi. In America riprese slancio il
movimento per l'abolizione della schiavitù, in Russia si posero le
condizioni per la soppressione della servitù delle masse contadine,
in India l'Inghilterra dovette fronteggiare una grande insurrezione
popolare, in Europa acquistarono nuovo vigore le questioni nazionali
irrisolte, a partire dal problema italiano e da quello tedesco. Su
tutte queste questioni Marx si espresse vigorosamente, tenendo sempre
come centrale l'interesse della rivoluzione proletaria, senza
cedimenti alle infatuazioni nazionalistiche della democrazia
rivoluzionaria.
Quanto al movimento
operaio, dopo quasi dieci anni di riflusso conseguente alla sconfitta
del 1848 la crisi economica determinò una ripresa delle lotte di
fabbrica a partire dall'Inghilterra. Negli anni Cinquanta il forte
sviluppo dell'industria inglese, unito all'intenso flusso migratorio
verso gli Stati Uniti e l'Australia, aveva ridotto ad una percentuale
irrisoria il numero dei disoccupati con il conseguente deciso aumento
dei salari. Il movimento cartista aveva assunto posizioni
estremamente moderate, decomponendosi in una miriade di gruppi locali
e di giornali che, abbandonata ogni prospettiva di classe, di fatto,
con l'eccezione del piccolo giornale "The People's Paper" a
cui Marx ed Engels collaboravano regolarmente, si erano posti a
rimorchio dei più influenti gruppi riformisti piccolo-borghesi. La
crisi del 1857 riapriva la questione, determinando un brusco
peggioramento delle condizioni economiche del proletariato e il
riapparire minaccioso di una vasta disoccupazione. Il movimento
operaio, nelle sue correnti più avanzate, faceva una nuova,
importante esperienza: nella società capitalistica non esistono per
i proletari conquiste definitive, tutto, anche ciò che è
considerato ormai stabilmente acquisito, può essere messo in
discussione al variare della congiuntura economica. Le conquiste dei
lavoratori si fondano sui reali rapporti di forza tra le classi e non
sulla norma giuridica. Invariante nella società capitalistica resta
la lotta di classe e la conseguente necessità per il proletariato
dell'organizzazione politica e dell'analisi scientifica, cioè del
partito rivoluzionario di classe.
Nonostante la crisi del
1857 fosse stata rapidamente riassorbita e il mercato avesse
ricominciato ad espandersi, il padronato tentò di sfruttare la
situazione di precarietà che si era comunque determinata per fasce
consistenti di lavoratori, generalizzando la riduzione dei salari. La
risposta operaia non si fece attendere. Nel 1859 Londra viene
paralizzata da un grande sciopero generale. Ovunque si formano
organizzazioni di categoria dei lavoratori allo scopo di lottare
contro il tentativo padronale di riduzione generalizzata dei salari.
A Londra e poi via via nel resto del paese nascono i "Consigli
delle Unioni Professionali", la prima forma di confederazione
sindacale moderna. Nel 1862 le Trade Unions sono ormai una realtà
consolidata nel quadro politico inglese.
Quanto alla Francia, dopo
il 1860 si assiste al rapido diffondersi delle organizzazioni
cooperative di mutuo soccorso controllate dai proudhoniani fautori di
un programma, sostanzialmente moderato, incentrato sulla concessioni
di crediti agevolati e la legalizzazione delle società operaie. In
Germania, infine, dove l'impetuoso sviluppo industriale degli anni
Cinquanta aveva determinato la formazione di un consistente
proletariato di fabbrica, un nuovo movimento operaio si stava
organizzando attorno alla figura contraddittoria di Ferdinand
Lassalle, un intellettuale di origine ebraica, convertitosi al
comunismo nel 1848. Lassalle sosteneva la necessità di costruire un
partito operaio, fondato su una rete di cooperative operaie
finanziate dallo Stato. Per raggiungere questo scopo Lassalle non
esitò a stringere ambigui rapporti con Bismarck, presidente del
consiglio dei ministri di Prussia, interessato a dividere
l'opposizione progressista.
Per celebrare la ripresa
del capitalismo nel 1862 fu organizzata a Londra una grandiosa
esposizione universale. L'occasione fornì l'occasione alle
organizzazioni operaie francesi, inglesi e tedesche per riannodare i
legami interrotti dal 1849. Delegazioni di operai francesi e
tedeschi, inviate dai rispettivi governi, parteciparono infatti
all'esposizione, entrando in contatto con le associazioni operaie
inglesi. Il 5 agosto 1862 si tenne un solenne ricevimento in onore
dei settanta delegati degli operai francesi. Nei discorsi pronunciati
in questa occasione si sostenne la necessità di stabilire regolari
rapporti di collaborazione fra le organizzazioni operaie in quanto
portatrici degli stessi interessi e delle stesse aspirazioni.
Nonostante il carattere estremamente moderato e legalitario
dell'iniziativa, tenuta con il patrocinio dello stesso mondo
imprenditoriale britannico e del governo imperiale francese, si
iniziavano a porre le basi per un nuova associazione internazionale
del proletariato.
La fondazione della
Prima Internazionale
Nel 1863 la Polonia
insorse contro il dominio russo. In Inghilterra e Francia le
organizzazioni operaie si schierarono senza esitazioni a fianco degli
insorti. Il 22 luglio 1863 a Londra si svolse una grande
manifestazione anglo-francese di solidarietà con la Polonia. In
questa occasione dirigenti operai inglesi e francesi convennero sulla
necessità di costituire un'associazione operaia internazionale, allo
scopo principale di combattere la tattica padronale di importare
manodopera dall'estero per spezzare gli scioperi, ed elessero un
comitato incaricato dei lavori preliminari. I lavori si protrassero
per oltre un anno, finalmente il 28 settembre 1864 nella St. Martin's
Hall di Londra si svolse la seduta inaugurale del congresso
costitutivo dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori.
Marx fu invitato come
rappresentante degli operai tedeschi. Egli accettò volentieri
l'invito consapevole dell'importanza dell'iniziativa che non riuniva
più, come per il passato, i rappresentanti di piccoli gruppi senza
radicamento sociale, ma, come ebbe a scrivere a Engels, "vere
potenze" rappresentative del proletariato tanto in Francia
quanto in Inghilterra. Preferì, tuttavia, assistere "come un
personaggio muto", proponendo come oratore tedesco l'operaio
Jorg Eccarius, già dirigente della Lega dei Comunisti.
La riunione ebbe pieno
successo. Presero la parola delegati francesi, inglesi, tedeschi,
italiani, irlandesi. All'unanimità il congresso decise di fondare
un'associazione operaia internazionale, con sede centrale a Londra.
Marx fu nominato membro del comitato incaricato di stendere programma
e statuti. Il comitato si rivelò presto pletorico e eterogeneo dal
punto di vista politico. Tra i 55 membri vi erano cartisti, owenisti,
blanquisti, proudhoniani, mazziniani, semplici democratici e,
naturalmente, una piccola componente comunista. Di fronte al
procedere inconcludente dei lavori venne costituito un sottocomitato
che diede carta bianca a Marx per la stesura dei testi. Egli si trovò
nella necessità di svolgere una vera e propria battaglia politica
soprattutto nei confronti di Mazzini, contrario all'idea stessa di
lotta di classe in nome della superiore causa nazionale. La cosa non
era semplice, considerata la necessità di non incrinare l'unità del
movimento. Come scrisse a Engels , era "difficilissimo condurre
la cosa in modo che il nostro punto di vista apparisse in una forma
la quale lo rendesse accettabile all'attuale punto di vista del
movimento operaio...". Marx vi riuscì egregiamente. L'assoluta,
integrale autonomia del proletariato nella lotta politica fu il
concetto fondamentale attorno a cui ruotarono Programma e Statuti e
venne lapidariamente riassunto nella frase: "L'emancipazione
della classe operaia deve essere opera della classe operaia stessa".
L'Internazionale doveva
essere un'associazione di partiti rivoluzionari a base di massa, con
ampia autonomia d'azione per le sezioni nazionali. Come recitava
l'articolo primo degli Statuti: "L'Associazione è istituita per
creare un mezzo centrale di collegamento e di collaborazione fra le
associazioni operaie esistenti nei diversi paesi e che hanno il
medesimo scopo, e cioè la difesa, il progresso e la completa
emancipazione della classe operaia". Di contro alle tesi
proudhoniane o oweniste sulla collaborazione di classe con la
borghesia e la limitazione dell'azione al mero terreno della
cooperazione economica e delle riforme sociali, l'Indirizzo
inaugurale proclama con estrema chiarezza che "la conquista del
potere politico è divenuto il compito principale della classe
operaia". Per questo era necessario organizzare ovunque partiti
operai.
La classe operaia però
non doveva rinchiudersi in una politica angustamente nazionale, ma
seguire attentamente l'evoluzione della politica internazionale,
respingendo ogni pregiudizio nazionalistico, in una visione
strategica internazionalista. I partiti operai dovevano costruire la
loro linea politica a partire dalle condizioni nazionali in cui
operavano, ma considerandosi sempre reparti di un unico esercito
proletario internazionale. Il vecchio motto della Lega dei comunisti,
"Proletari di tutto il mondo unitevi!", acquistava ora
autentico respiro internazionale.
Marx dirigente
internazionale del proletariato
L'Internazionale conobbe
fin da subito un rapidissimo sviluppo. Il 23 febbraio 1865 Marx
scriveva all'amico Kugelman che i successi dell'Associazione in
Inghilterra, Francia, Svizzera, Italia e Belgio superavano di gran
lunga ogni più ottimistica aspettativa. Il Comitato eletto al
congresso costitutivo, che aveva nel frattempo assunto il nome di
Consiglio Generale, era costretto ad un lavoro estenuante che in gran
parte ricadeva sulle spalle di Marx, ormai da tutti considerato come
il principale esponente dell'Internazionale. Parallelamente con il
crescere dell'influenza dell'associazione fra i lavoratori, si
approfondivano le divergenze interne fra le varie componenti. I primi
ad andarsene furono i mazziniani, riuniti nell'Associazione degli
operai italiani di Londra, contrari all'aperta caratterizzazione di
classe dell'Internazionale. Il conflitto si allargò poi ai
proudhoniani, largamente maggioritari nel movimento francese,
contrari ad ogni ipotesi di tipo collettivistico in quanto
sostenitori di una politica cooperativistica sostanzialmente
piccolo-borghese. Gli esponenti proudhoniani avversavano decisamente
gli scioperi, considerati economicamente dannosi per i proletari,
così come ogni forma di azione politica e sindacale.
Instancabilmente Marx si opponeva, con l'aiuto di Engels e di pochi
altri, a queste deviazioni.
"I signori parigini
- scriveva a Kugelmann nell'ottobre del 1866 - avevano la testa piena
delle più vane frasi proudhoniane. Essi cianciano di scienza e non
sanno nulla. Disdegnano ogni azione rivoluzionaria, cioè ogni azione
che scaturisca dalla lotta di classe stessa, ogni movimento sociale
concentrato, tale cioè che si possa attuare, anche con mezzi
politici (come, per esempio, riduzione della giornata di lavoro per
legge). Col pretesto della libertà e dell'antigovernativismo o
dell'individualismo antiautoritario questi signori, che da 16 anni
hanno sopportato e sopportano tanto tranquillamente il più
miserabile dispotismo, predicano in realtà la volgare economia
borghese, soltanto proudhonianamente idealizzata".
Proprio al fine di
combattere le tesi di chi riteneva inutile l'azione sindacale per gli
aumenti di salario, Marx presentò il 26 giugno 1865 al Consiglio
Generale un saggio su "Salario, prezzo e profitto" in cui
si dimostrava in modo semplice ed esauriente la falsità della tesi,
ancora oggi tanto in voga da essere alla base della politica di
concertazione delle organizzazioni sindacali, di uno stretto rapporto
tra aumenti salariali e inflazione.
Lo sviluppo
dell'Internazionale pareva inarrestabile. Se al primo congresso del
1866 erano rappresentate solo quattro nazioni: Inghilterra, Francia,
Germania e Svizzera; al congresso di Basilea del 1869 esse erano
diventate nove, essendosi aggiunte l'Austria, il Belgio, l'Italia,
gli Stati Uniti e la Spagna, mentre sezioni più piccole erano state
create in Ungheria, Olanda, Algeria e America Latina. Fortissima era
anche l'adesione delle organizzazioni sindacali: dal 1867 al 1869 le
associazioni operaie di Inghilterra, Svizzera, Germania, Austria,
Stati Uniti avevano via via richiesta l'affiliazione
all'Internazionale. Marx considerava fondamentale la crescita delle
organizzazioni sindacali, che andavano seguite nel loro sviluppo e
orientate politicamente. Come sottolinea David Rjazanov:
"Uno dei compiti
principali che Marx consigliava era lo studio metodico, scientifico,
della situazione della classe operaia di tutto il mondo, studio che
doveva essere intrapreso per iniziativa degli operai stessi. Tutto il
materiale raccolto doveva essere inviato al Consiglio Generale che lo
avrebbe elaborato. Marx indicava a grandi linee le principali
questioni su cui doveva vertere questa indagine operaia".
Sulla base di questo
materiale Marx redasse una risoluzione sui sindacati che venne poi
sottoposta al vaglio dell'Internazionale. Per Marx i sindacati sono
il risultato immediato della lotta fra capitale e lavoro e rispondono
soprattutto all'esigenza di eliminare la concorrenza fra i proletari
sul mercato della forza lavoro. I sindacati sono però anche centri
di organizzazione per la classe operaia, nuclei fondamentali
dell'organizzazione di classe del proletariato e come tali vanno
conquistati ad una corretta strategia politica. In polemica con i
trade unionisti inglesi che volevano limitare il ruolo del sindacato
alle questioni del salario e dell'orario di lavoro, Marx ribadisce
con forza il concetto, poi ripreso da Lenin, del sindacato come
scuola di guerra del proletariato, luogo dove i proletari fanno
concreta esperienze di lotta e dove apprendono l'esigenza
dell'organizzazione politica e la necessità di impostare i problemi
avendo sempre chiara la prospettiva strategica del movimento operaio
e le sue finalità storiche. Per questo Marx si batte con grande
decisione perché le organizzazioni sindacali entrino
nell'Internazionale e ne seguano la linea politica.
"Il Capitale"
Nonostante le difficili
condizioni economiche e l'impegno intensissimo nell'azione quotidiana
di direzione politica dell'Internazionale, Marx non aveva smesso di
lavorare alla redazione del grandioso lavoro intrapreso sul capitale.
Alla fine del 1865 il lavoro poteva considerarsi concluso, ma solo
nella forma di un gigantesco manoscritto che andava, per usare una
colorita espressione dello stesso Marx, "leccato e lisciato come
un figliolino dopo tanti dolori di parto". Dal canto suo, Engels
salutò come una liberazione per l'amico il termine di un lavoro a
cui questi aveva dedicato gran parte della sua vita:
"Ho sempre pensato
che questo maledetto libro, a cui hai dedicato così lunga fatica,
fosse il nocciolo di tutte le tue disgrazie, da cui non saresti
uscito né mai avresti potuto uscire fino a quando non te lo fossi
scrollato di dosso. Questa eterna cosa incompiuta ti schiacciava
fisicamente, spiritualmente e finanziariamente, e posso benissimo
concepire che dopo la liberazione da questo incubo a te sembri adesso
di essere completamente un altro uomo, specialmente perché il mondo,
non appena vi farai di nuovo il tuo ingresso, non t'apparirà così
nero come prima".
Ed in effetti come è
stato scritto "il Capitale nacque negli anni della miseria,
nella fame, nella malattia. Mentre lo scriveva, Marx era assalito
dall'inquietudine, torturato dai disagi dei bambini, angosciato dal
pensiero del domani. Ma nulla potè abbatterlo". Il 16 agosto
1867, alle due di notte, Marx terminò la correzione delle bozze di
stampa del primo volume e immediatamente scrisse a Engels per
ringraziarlo di un aiuto prezioso, senza il quale quest'opera
titanica non avrebbe mai visto la luce:
"Dunque questo
volume è pronto. Debbo soltanto a te, se questo fu possibile! Senza
il tuo sacrificio non avrei potuto compiere il mostruoso lavoro dei
tre volumi. Ti abbraccio, pieno di gratitudine! Salute, mio caro,
caro amico!".
Il primo volume de "Il
Capitale" uscì ad Amburgo all'inizio del mese di settembre in
mille esemplari. L'impatto fu enorme. Il congresso di Bruxelles
dell'Internazionale nel 1868 adottò una risoluzione che invitava gli
operai di tutto il mondo a studiare l'opera. La risoluzione
sottolineava l'incalcolabile contributo teorico offerto da Marx alla
lotta di liberazione del proletariato: egli era "il primo
economista che avesse sottoposto il capitale ad un'analisi
dettagliata e lo avesse ricondotto ai suoi elementi fondamentali".
Come ha scritto Lenin:
"Egli dimostrò che
il valore di ogni merce è determinato dalla quantità di lavoro
socialmente necessario alla sua produzione, ovvero dal tempo di
lavoro socialmente necessario alla sua produzione. Là dove gli
economisti borghesi vedevano dei rapporti tra oggetti (scambio di una
merce con un'altra), Marx scoprì dei rapporti tra uomini. Lo scambio
delle merci esprime il legame tra singoli produttori per il tramite
del mercato. Il denaro indica che questo legame diventa sempre più
stretto, fino a unire in un tutto indissolubile la vita economica dei
produttori isolati. Il capitale indica lo sviluppo ulteriore di
questo legame: la forza lavoro dell'uomo diventa una merce. L'operaio
salariato vende la sua forza lavoro al proprietario della terra,
delle fabbriche, degli strumenti di produzione. L'operaio impiega una
parte della giornata di lavoro a coprire le spese di mantenimento suo
e della famiglia (il salario), e l'altra parte a lavorare
gratuitamente, creando per il capitalista il plusvalore, fonte del
profitto, fonte della ricchezza della classe dei capitalisti. La
dottrina del plusvalore è la pietra angolare della teoria economica
di Marx".
La Comune di Parigi
Negli anni Cinquanta e
Sessanta l'economia tedesca aveva conosciuto un tale sviluppo da
farle superare la stessa Francia. Sconfitta nella guerra del 1866
l'Austria, la Prussia del cancelliere Bismarck aveva riunificato
intorno a se l'intera Germania e si poneva ormai in diretta
competizione con la Francia di Napoleone III per l'egemonia
sull'Europa continentale. Nell'estate del 1870 allo scoppio della
guerra fra i due paesi, il Consiglio Generale dell'Internazionale
pubblicò un manifesto sulla guerra, scritto da Marx. In esso si
sosteneva che "da parte tedesca la guerra era una guerra
difensiva" e che la classe operaia tedesca doveva vigilare
perché la difesa della Germania non degenerasse in una guerra contro
il popolo francese. Il manifesta lodava poi gli operai francesi per
essersi dichiarati contro la guerra e contro Napoleone. Di fronte
alla vittoria lampo dell'esercito prussiano, al crollo dell'impero e
all'instaurazione della repubblica a Parigi, la posizione
dell'Internazionale muta. La Prussia non ha più nulla da temere
dalla Francia, la guerra, voluta da Napoleone, ormai sconfitto e
prigioniero, deve cessare immediatamente senza l'annessione al Reich
dell'Alsazia e della Lorena. Il 9 settembre il Consiglio Generale
pubblicò un secondo manifesto, sempre redatto da Marx, in cui si
denunciavano le mire espansionistiche di Bismarck. Marx ed Engels
avevano ben chiare le prospettive che si aprivano in un'Europa
dominata dalla Germania. In una lettera a Friedrich Sorge, uno dei
membri del Consiglio Generale, Marx evidenzia con mezzo secolo di
anticipo come l'affermarsi su scala continentale della potenza
tedesca renda inevitabile lo scontro con la Russia e come tutto ciò
aprirà la via alla rivoluzione nell'anello più debole della catena,
la Russia zarista:
"Quegli asini dei
prussiani non si accorgono che l'attuale guerra conduce a una guerra
tra la Germania e la Russia, con la stessa necessità che la guerra
del 1866 conduceva alla guerra tra la Prussia e la Francia. Per la
Germania è il miglior risultato che io attendo da questa
guerra....questa guerra numero due sarà la levatrice della
rivoluzione sociale inevitabile in Russia".
Di nuovo riemerge la
questione dei tempi: la preoccupazione di Marx e Engels è che il
proletariato francese si getti in un'avventura senza prospettive.
"Dopo la pace tutte le prospettive saranno più favorevoli per
gli operai di quel che fossero mai prima", dichiarava Engels in
una lettera a Marx del 12 settembre. "Se a Parigi si potesse
fare una qualche cosa, si dovrebbe impedire che gli operai si
muovessero prima della pace...Se vincono ora...saranno inutilmente
sconfitti dalle armate tedesche e rigettati indietro di
vent'anni...". Già nel secondo manifesto del Consiglio Generale
Marx aveva messo in guardia i proletari parigini dal pericolo
rappresentato dall'impazienza:
"La classe operaia
francese si muove dunque in circostanze estremamente difficili. Ogni
tentativo di rovesciare il nuovo governo, nella crisi presente,
mentre il nemico batte quasi alle porte di Parigi, sarebbe una
disperata follia....Migliorino con calma e risolutamente tutte le
possibilità offerte dalla libertà repubblicana, per lavorare alla
loro organizzazione di classe. Ciò darà loro nuove forze erculee,
per la rinascita della Francia e per il nostro compito comune,
l'emancipazione del lavoro. Dalla loro forza e dalla loro saggezza
dipendono le sorti della repubblica".
Alla fine del mese di
gennaio 1871 il governo repubblicano firma un armistizio con i
tedeschi che assediavano Parigi, alla metà di marzo viene firmata la
pace. Il governo prussiano, temendo il precipitare della situazione
in senso rivoluzionario , si impegna a liberare nel più breve tempo
possibile i prigionieri di guerra francesi per permettere la
ricostituzione dell'esercito nazionale. Parallelamente il governo
provvisorio si assume l'onere di disarmare gli operai parigini che,
organizzati in una Guardia Nazionale, avevano assicurato la difesa
della capitale dopo la disfatta di Sedan. Nonostante la messa in
guardia di Marx, il proletariato parigino, diretto politicamente da
esponenti blanquisti e bakuninisti, insorge contro questo patto
scellerato. Il 18 marzo Parigi è nelle mani dei rivoltosi che
proclamano la Comune rivoluzionaria. Marx non crede nelle possibilità
di una vittoria, tuttavia decide di schierarsi decisamente a fianco
dei rivoluzionari parigini, di cui pure non condivide in nulla la
linea politica. Se il proletariato tenta "l'assalto al cielo",
i rivoluzionari devono mettere da parte ogni differenziazione e
schierarsi senza esitazioni al suo fianco. Di più, Marx criticherà
duramente l'indecisione dei dirigenti della Comune, che esitano ad
allargare la guerra civile all'intero territorio francese, che non
colgono l'occasione di marciare su Versailles dando così tempo al
governo provvisorio di riorganizzarsi.
Nei due mesi di vita
della Comune, Marx instancabilmente inviò centinaia di lettere
dovunque avesse relazioni per difendere i comunardi dalle calunnie
della borghesia e per sollecitare la solidarietà del movimento
operaio e democratico. A maggio l'esercito nazionale, riorganizzato e
armato dalla Germania, soffoca nel sangue l'insurrezione. In una
settimana di lotta furibonda per le vie di Parigi, ventimila
comunardi vengono massacrati sulle barricate , mentre altre decine di
migliaia verranno in seguito sommariamente fucilati o condannati ai
lavori forzati alla Cayenna. Il 30 maggio 1871 Marx legge al
Consiglio Generale il suo indirizzo su "La guerra civile in
Francia". La Comune, afferma è stata essenzialmente "un
governo della classe operaia, risultato della lotta delle classi
produttrici contro le classi possidenti, la forma politica finalmente
scoperta con la quale si sarebbe potuto lavorare all'emancipazione
economica del lavoro". E conclude con l'orgoglio del vecchio
combattente di cento battaglie rivoluzionarie:
"Parigi operaia, con
la sua Comune, sarà celebrata in eterno, come l'araldo glorioso di
una nuova società. I suoi martiri hanno per urna il grande cuore
della classe operaia. I suoi sterminatori, la storia li ha già
inchiodati a quella gogna eterna dalla quale non riusciranno a
riscattarli tutte le preghiere dei loro preti!"
La rottura con Bakunin
e lo scioglimento dell'Internazionale
La drammatica fine della
Comune aggravò i contrasti all'interno dell'Internazionale fra la
direzione marxista e la componente bakuniniana, che tanta
responsabilità portava per gli avvenimenti parigini. Michail
Bakunin, di nobile famiglia, era nato nel 1814 in Russia.
Trasferitosi in Germania, aveva aderito alla sinistra hegeliana
berlinese e aveva collaborato con Marx e Ruge agli "Annali
franco-tedeschi". Combattente nella rivoluzione tedesca,
arrestato e deportato nelle prigioni dello zar., era stato confinato
in Siberia da dove era fuggito con una rocambolesca evasione
attraverso mezzo mondo. Rientrato in Europa si era buttato a
capofitto nell'attività cospirativa e nel 1864 aveva aderito
all'Internazionale al cui interno aveva costituito una frazione
segreta, la "Fraternità internazionale", di stampo
massonico e carbonaro. Uomo della preistoria del movimento operaio,
Bakunin si collocava a pieno nella fase cospirativa e carbonara
dell'organizzazione operaia. Avversario dell'azione politica e
sindacale, Bakunin puntava sull'azione diretta degli strati marginali
della società ed in particolare del sottoproletariato urbano e delle
masse contadine. Totalmente in contrasto con l'ipotesi strategica
marxiana, che tacciava di autoritarismo e di statalismo, Bakunin
aveva concentrato l'attività della sua frazione in Italia, in Spagna
e nella Svizzera francese, dove esistevano per l'arretratezza stessa
del tessuto sociale le condizioni adatte alla sua propaganda.
Nei mesi che seguirono
alla disfatta della Comune, Marx ed Engels lavorarono con grande
impegno alla riorganizzazione dell'Internazionale. Nella conferenza
di Londra del settembre 1871 Marx presentò una risoluzione relativa
alla lotta politica nella quale si chiariva come :
"Considerando che la
reazione più sfrenata reprime con la violenza il movimento degli
operai verso l'emancipazione e cerca di mantenere con la forza
brutale la divisione in classi e il conseguente dominio delle classi
dominanti; che questa organizzazione del proletariato in un partito
politico è necessaria per assicurare il trionfo della rivoluzione
sociale e del suo obiettivo ultimo, l'abolizione delle classi; che
l'unione delle forze operaie è ottenuta già attraverso la lotta
economica e deve comunque essere una leva tra le mani della classe
operaia nella lotta contro il potere politico degli sfruttatori; la
conferenza ricorda a tutti i membri dell'Internazionale che, nel
piano di lotta della classe operaia, il suo movimento economico e la
sua attività politica sono indissolubilmente legati".
Nei mesi successivi alla
conferenza di Londra le polemiche all'interno dell'Associazione
internazionale dei Lavoratori aumentarono di intensità. I seguaci di
Bakunin accusarono il Consiglio Generale di autoritarismo e di aver
imposto all'Internazionale la risoluzione sull'azione politica di
partito. Essi pretesero la convocazione di un nuovo congresso per
definire una volta per tutte la questione. La frazione bakuninista
accusava la conferenza di Londra di aver adottato delle deliberazioni
che "costituiscono un grave attentato agli statuti generali e
tendono a fare dell'Internazionale, libera federazione di sezioni
autonome, un'organizzazione gerarchica e autoritaria di sezioni
disciplinate, poste interamente nelle mani di un Consiglio Generale,
il quale a suo piacimento può rifiutarne l'ammissione ovvero
sospenderne l'attività".
Il Consiglio Generale
rispose con un'altra circolare in cui si denunciava l'attività
frazionistica di Bakunin e si convocava il congresso per il mese di
settembre all'Aja. Al congresso presero parte 65 delegati, 40
facevano parte della componente marxista, 25 erano invece sulle
posizioni di Bakunin. Quanto alle sezioni nazionali, belgi, olandesi,
svizzeri e spagnoli erano con la minoranza, tedeschi, danesi,
ungheresi, boemi, americani e francesi erano schierati con Marx. Le
sedute si svolgevano di sera perché gli operai potessero assistervi,
in un clima incandescente. A larga maggioranza passò la tesi
marxista sull'azione politica già approvata dal congresso di Londra.
Poi il congresso decise di aumentare i poteri del Consiglio Generale
che sarebbe stato trasferito a New York. Infine, dopo un infuocato
dibattito, venne decisa l'espulsione di Bakunin e Guillaume, essendo
stata dimostrata l'azione scissionistica compiuta dalla loro
frazione. La decisione di rompere definitivamente con Bakunin fu così
giustificata da Marx in una lettera a Bebel:
"Se noi avessimo
voluto all'Aja mostrarci concilianti, se noi avessimo tentato di
dissimulare la scissione...quale sarebbe stato il risultato? I
settari, cioè i bakuninisti, avrebbero potuto per un anno ancora
commettere bestialità e infamie ancor peggiori in nome
dell'Internazionale".
Marx pensava che
occorresse preservare l'Internazionale dalle manovre di Bakunin in
attesa di tempi migliori. Egli, animato come al solito da un forte
ottimismo della volontà, riteneva prossima l'apertura di una nuova
fase rivoluzionaria. In realtà, ancora una volta i tempi si
rivelarono più lunghi del previsto e la scelta di New York segnò di
fatto la fine dell'esperienza dell'Internazionale. Nel 1876 il
Consiglio Generale da New York annunciò lo scioglimento
dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori.
Gli ultimi anni di
Marx
Dopo il 1873 Marx
abbandonò l'attività politica aperta, dedicandosi totalmente alla
revisione della seconda edizione del primo libro del Capitale e alle
traduzioni francese e russa dell'opera. Stroncato da una vita di
stenti, Marx si ammalò tanto gravemente da non poter più lavorare.
Il progetto di dare forma definitiva agli altri libri del Capitale
restò incompiuto. "Esser incapace di lavorare - scrisse- è la
sentenza di morte per ogni uomo che non voglia essere un bruto".
Se non poteva più studiare ai ritmi impossibili tenuti fino ad
allora, egli non rinunciò alla lettura e alla corrispondenza. Da
tutto il mondo esponenti dei giovani partiti socialdemocratici si
indirizzavano a lui per avere consigli, indicazioni, proposte. E Marx
rispondeva a tutti, così come seguiva le pubblicazioni e i congressi
delle organizzazioni operaie, anche le più insignificanti. Anche se
la rivoluzione tanto attesa non c'era stata, egli vedeva giorno dopo
giorno il proletariato crescere in forze organizzate sulla linea che
egli e Friedrich Engels fin dal 1844 avevano tracciato e
ostinatamente difeso. E questo valse a rendergli gli ultimi anni meno
dolorosi, nonostante la perdita della moglie e della figlia maggiore.
Marx morì il 14 marzo
1883, a sessantacinque anni. Fu Friedrich Engels a dargli a nome del
proletariato mondiale l'estremo saluto:
"Il 14 marzo, alle
due e quarantacinque pomeridiane, ha cessato di pensare la più
grande mente dell'epoca nostra... Non è possibile misurare la
gravità della perdita che questa morte rappresenta per il
proletariato militante d'Europa e d'America, nonché per la scienza
storica... Così come Darwin ha scoperto la legge dello sviluppo
della natura organica, Marx ha scoperto la legge dello sviluppo della
storia umana... Ma non è tutto. Marx ha anche scoperto la legge
peculiare dello sviluppo del moderno modo di produzione capitalistico
e della società borghese da esso generata. La scoperta del
plusvalore ha subitamente gettato un fascio di luce nell'oscurità in
cui brancolavano prima, in tutte le loro ricerche, tanto gli
economisti borghesi che i critici socialisti... Per lui la scienza
era una forza motrice della storia, una forza rivoluzionaria.. Perché
Marx era prima di tutto un rivoluzionario... la lotta era il suo
elemento. Ed ha combattuto con una passione, con una tenacia e con un
successo come pochi hanno combattuto... Marx era perciò l'uomo più
odiato e calunniato del suo tempo. I governi assoluti e repubblicani
lo espulsero, i borghesi, conservatori e democratici radicali, lo
coprirono a gara di calunnie. Egli sdegnò tutte queste miserie, non
prestò loro nessuna attenzione, e non rispose se non in caso di
estrema necessità. E' morto venerato, amato, rimpianto da milioni di
compagni in Europa e in America, dalle miniere siberiane sino alla
California. E posso aggiungere senza timore: poteva avere molti
avversari, ma nessun nemico personale. Il suo nome vivrà nei secoli
e così la sua opera!".
IV 1996