E' con slogan come questi che negli anni Trenta prima in Germania e poi in Italia si procedette all'arresto in massa e poi alla deportazione dei rom considerati un pericolo per la società e per la purezza della razza. Il passo successivo fu lo sterminio, proprio come per gli ebrei. Di fronte al risorgere dei fantasmi del passato, ora e sempre Resistenza.
Giorgio
Amico
Il
genocidio dei Rom, un orrore rimosso
Porajmos
è il termine con cui Rom e Sinti indicano lo sterminio del proprio
popolo perpetrato da parte dei nazisti durante la seconda guerra
mondiale. Il termine può essere tradotto anche come "devastazione"
o più semplicemente "tutti morti". A differenza della
Shoah di cui ormai si conosce quasi tutto, lo sterminio dei Rom resta
ancora un orrore sconosciuto, un "genocidio dimenticato",
su cui solo di recente si è iniziato a far luce.
Una
rimozione forse dovuta al fatto che gli zingari restano ancora oggi
un soggetto percepito come poco simpatico con cui è difficile
identificarsi, Questo popolo nomade, geloso dei suoi costumi e poco
disposto a farsi assimilare, sconta anche così la secolare
diffidenza nutrita nei suoi confronti.
I primi
provvedimenti contro i Rom
Secondo i nazisti gli
zingari erano ladri, truffatori, soggetti pericolosi, non per i
comportamenti effettivamente tenuti, ma per cause genetiche. Già
nella primavera 1933, poco dopo la nomina di Hitler a Cancelliere, il
governo nazista allestì un Campo di lavoro a Dachau, un sobborgo di
Monaco, per internare gli individui considerati "asociali":
Rom, vagabondi, mendicanti, alcolizzati, prostitute e omosessuali.
Nell'indifferenza della
maggior parte della popolazione, i nazisti elaborarono leggi sempre
più dure per i Rom, non solo per comportamenti considerati devianti
e criminali, ma perché essi minacciavano gravemente la "purezza
della razza" tedesca.
Per dare una parvenza di
scientificità alla persecuzione nella primavera del 1936 venne
istituito a Berlino un istituto di ricerca con il compito di indagare
sulla popolazione nomade. A dirigerlo fu posto il dottor Robert
Ritter considerato il massimo esperto in materia.
Nei suoi scritti pseudoscientifici Ritter affermava «che non c'erano
più zingari puri poiché avevano assimilato le caratteristiche
peggiori delle popolazioni dei numerosi Paesi in cui avevano
soggiornato nella loro secolare migrazione dall'India. Pertanto, non
si potevano considerare "ariani puri" ma "ariani
decaduti", appartenenti a una "razza degenerata"».
Nel
giugno 1936 in occasione dei Giochi olimpici di Berlino la
cosiddetta « lotta contro la piaga zingara» diventa affare di
polizia di polizia. Nel 1937, su pressione diretta del partito
nazista, viene istituito un primo campo per zingari a Francoforte sul
Meno.
L'8 dicembre 1938 Himmler
emana un decreto fondamentale sulla « questione zingara» , che
riassume e rende esplicite tutte le direttive precedenti. La
questione zingara andava « considerata una questione di razza» da
risolvere mediante la sterilizzazione coatta. Così secondo i piani
minuziosamente predisposti dall'equipe del dottor Ritter si
procedette prima a sterilizzare tutte le donne zingare sposate con
uomini ariani, poi tutti i bambini che avevano superato il
dodicesimo anno di età. Gli zingari non si dovevano più riprodurre.
Ma cosa fare di quelli viventi? La guerra fornì la soluzione.
La persecuzione dopo
lo scoppio della guerra
Il 17 ottobre 1939, dopo
l'inizio della guerra e l'invasione della Polonia, l’Ufficio
centrale per la sicurezza dello Stato, ordinò che gli zingari
presenti in tutto il territorio del Reich fossero schedati e
confinati in campi di internamento, in visione di una soluzione
finale. I campi di concentramento a cui erano destinati gli zingari,
oltre ad Auschwitz-Birkenau, furono quelli di Treblinka, Belzec,
Sobibor e Majdanek.
Nell'aprile 1940 iniziò
la deportazione massiccia degli zingari nei campi di concentramento.
Catalogati come puri (Z), mezzi zingari con predominanza di sangue
zingaro (ZM+), mezzi zingari con predominanza di sangue ariano (ZM-)
e misti con sangue per metà zingaro e per metà ariano (ZM), gli
zingari cominciarono a partire per la Polonia occupata.
Il 22 giugno 1941
l'invasione dell'Unione Sovietica segna un ulteriore passo avanti
sulla via dell'orrore. Il 2 luglio 1941 viene disposta "l'uccisione
di tutti gli indesiderabili dal punto di vista razziale e politico,
in quanto pericolosi per la sicurezza delle truppe tedesche",
raggruppati in quattro categorie: funzionari comunisti,; asiatici di
razze inferiori; ebrei; Rom.
Per l'eliminazione,
furono costituiti quattro Unità Operative (Einsatzgruppen) aggregati
alle armate tedesche che in pochi mesi massacreranno 800.000 ebrei
e decine di migliaia di zingari.
Il 16
dicembre 1942 Himmler firma l'ordinanza per la deportazione degli
zingari ad Auschwitz in una sezione appositamente riservata a loro:
lo Zigeunerlager di Birkenau un campo destinato a ospitare gruppi
familiari. In breve gli zingari iniziano ad arrivare da tutti i
territori conquistati e occupati dai nazisti: Francia, Belgio,
Olanda, Jugoslavia (e dal 1944 anche dall'Italia).
Il primo convoglio di Rom
arrivò ad Auschwitz il 26 febbraio 1943. Un secondo arrivò il 1°
marzo. Molti altri arrivarono entro maggio.Già alla fine del 1943, i
Rom nel lager erano 18.738, spesso (soprattutto i bambini) utilizzati
come cavie negli esperimenti “medici” del dottor Mengele.
Il 23 marzo 1943, fu
operata la prima eliminazione di massa. In poco più di un anno lo
sterminio fu totale: il 27 gennaio 1945 , al momento della
liberazione del lager da parte delle truppe sovietiche su 4.000
prigionieri era rimasto un solo zingaro.
E' difficile stabilire
il numero totale dei rom vittime del nazismo: le cifre ufficiali
indicano circa 500.000 vittime di cui circa 300.000 furono gli
assassinati dagli Einsatzgruppen in Ucraina, Russia e Crimea. 34.000
furono gli zingari tedeschi, 28.000 quelli provenienti secondo le
autorità jugoslave dalla sola Serbia. Le consistenti comunità rom
di Polonia e Olanda furono interamente cancellate, per non parlare
dei massacri operati in Croazia dagli Ustascia di Ante Paveljc.
La persecuzione in
Italia
Lo sterminio degli
zingari ebbe un capitolo anche italiano, finora poco studiato anche
per il rifiuto spesso inconscio ad accettare la dimensione razziale
della persecuzione.
Più facile (ed è
accaduto) liquidare la questione
affermando che in Italia la politica discriminatoria fu tardiva e
indirizzata essenzialmente contro gli stranieri per ragioni di ordine
e sicurezza. Secondo questa teoria fu l'occupazione nazista della
Jugoslavia a determinare la fuga di molti rom verso l'Italia e di
conseguenza a indurre le autorità fasciste a internarli. Insomma, il
mito degli “italiani brava gente” anche in questo campo ha
impedito di fare seriamente i conti con ciò che era realmente
accaduto.
In
realtà la lotta agli zingari fu una campagna accuratamente studiata,
propagandata e messa in atto dal regime fascista già dalla metà
degli anni Venti indipendentemente da ciò che avveniva in Germania.
Una pagina vergognosa della storia italiana di cui ancora oggi quasi
non si parla di cui è possibile sulle base di ricerche recenti
ricostruire sinteticamente gli snodi fondamentali.
1926:
la politica dei respingimenti alle frontiere
Il
19 febbraio 1926 una circolare inviata ai prefetti precisava di
respingere gli “zingari”, qualsiasi fosse la loro provenienza
anche se in possesso di documenti validi per l’ingresso in Italia.
L’8 agosto di quello stesso anno il Ministero degli Interni
precisava che l’obiettivo da perseguire era l’epurazione del
territorio nazionale dalla presenza di carovane di “zingari”,
di cui era superfluo ricordare la pericolosità nei riguardi della
sicurezza e dell’igiene pubblica.
Iniziava
una politica di espulsione verso qualsiasi rom o sinto potesse essere
individuato come soggetto privo di cittadinanza italiana;
saltimbanchi, giostrai, allevatori di cavalli, calderai, venditori di
vimini o di stoffe ricamata che fino ad allora avevano girato
l'Italia senza eccessivi problemi iniziarono a essere fermati dalla
polizia, accompagnati ai confini ed espulsi dal territorio nazionale.
1938:
gli zingari diventano un problema di sicurezza nazionale
Il 17
gennaio 1938 il capo della polizia Arturo Bocchini ordina alle
questure di schedare tutti i rom istriani dividendoli tra
soggetti con precedenti penali non pericolosi, soggetti senza
precedenti penali e pericolosi e soggetti pericolosi.
Il
prefetto istriano Cimoroni stila immediatamente liste
dettagliatissime e tra febbraio e maggio avvia la pulizia etnica
dell’Istria dai rom e sinti che, imbarcati su traghetti vengono
mandati al confino in decine di paesini nelle province di Nuoro e
Sassari. La stessa pratica di allontanamento venne adottata per i
sinti trentini. In tutto tra le 100 e le 150 persone, componenti
interi nuclei famigliari, vennero sottoposte a questo trattamento
che prefigurava il vero e proprio internamento di massa degli anni di
guerra.
Non
ha dunque fondamento la tesi di chi considera la persecuzione dei
nomadi come un portato diretto della guerra e delle pressioni
dell'alleato tedesco. Argomentazioni usate come scusanti, come se se
ciò attenuasse in qualche modo le responsabilità del fascismo. Ma
le cose non stanno così. Come per gli ebrei anche per gli zingari si
trattò sempre di scelte autonome del regime fascista e del suo capo
Benito Mussolini.
1939:
La Difesa della Razza e la campagna contro gli zingari
A
partire dal 1939, riviste di regime come La Difesa della Razza e
pubblicazioni accademiche in particolare di Medicina sociale
denunciano la pericolosità sociale degli “zingari” che
rappresentano “uno sfavorevole apporto razziale alla genìa
italica”. Capofila di questa campagna sono l'antropologo Guido
Landra e Renato Semizzi, ordinario di Medicina sociale a Trieste e
firmatario del Manifesto della Razza.
Nel1940
Guido Landra, direttore dell’ufficio Demografia e Razza presso il
Ministero degli interni, compie un ulteriore passo avanti inserendo
la “questione zingari” nei pericoli che minacciano la purezza
razziale degli italiani. Gli zingari venivano assimilati agli ebrei e
alle popolazioni di colore delle colonie. Con loro gli Italiani
“ariani” non debbono mescolarsi. Il Ministero degli Interni
inizia a progettare l'apertura di campi di concentramento da
riservare ai nomadi. Inutile dire che nessuno dei funzionari che a
vario titolo partecipò a questi progetti ebbe nel dopoguerra
conseguenze giudiziarie o di carriera.
1940:
inizia la persecuzione
L’11
settembre 1940 con una circolare telegrafica indirizzata a tutte le
prefetture del Paese il capo della polizia Arturo Bocchini da
disposizioni per il rastrellamento di tutti gli zingari presenti nel
Regno e il loro internamento «sotto rigorosa sorveglianza in
località meglio adatte ciascuna provincia».
Una
circolare applicata con zelo e cura insolite. Da tutto il paese
(Udine, Ferrara, Aosta, Bolzano, Ascoli Piceno, Trieste, Verona,
Campobasso), giungono al ministero telegrammi di risposta che
informano sulle persone catturate e chiedono cosa farne. La soluzione
sarà trovata come in Germania nell'internamento in appositi campi.
La
costruzione dei campi di internamento
Il
primo campo di internamento fu un ex-tabacchificio a Bojano, un
piccolo paese in provincia di Campobasso: tra il 1940 ed il 1941 vi
giunsero 58 rom e sinti provenienti da tutto il territorio nazionale.
Chiuso
Boiano per motivi logistici, i prigionieri nel frattempo aumentati di
altre cento unità furono spostati nel vicino paese di Agnone che
divenne così il luogo specifico d’internamento fascista riservato
agli “zingari”. Ma visto il numero elevato degli arrestati altri
campi di concentramento per rom e sinti vennero aperti a Berra
(Ferrara), Prignano sulla Secchia (Modena), Torino di Sangro
(Chieti), Chieti e Fontecchio negli Abruzzi.
Il 27
aprile 1941 fu emanata un’altra circolare da parte del Ministero
dell'Interno con indicazioni riguardanti l’internamento degli
zingari della Jugoslavia occupata. A Tossicìa , nelle montagne
abruzzesi, venne creato un campo riservato ai rom provenienti dalla
Slovenia. Altri centri di internamento provvisori sorsero un po' in
tutta Italia.
1943:
la deportazione nei lager
Il
crollo del regime e l’armistizio con gli angloamericani portarono
al collasso dei campi di concentramento fascisti quasi tutti ubicati
nel meridione. Molti internati riuscirono a fuggire, alcuni per
unirsi alla Resistenza.
Chi
invece si trovò nelle zone occupate dai nazisti o dalla Repubblica
Sociale prese la strada della Germania. Grazie ad un progetto di
ricerca avviato nel 2000 è stato possibile (dopo quasi
sessant'anni!) ricostruire molti di questi percorsi. Dai territori
controllati dalla RSI gli zingari vennero avviati al campo di
concentramento di Bolzano e da lì smistati nei campi di sterminio
tedeschi di Birkenau e Ravensbrück. Impossibile ad oggi calcolare
il numero preciso dei deportati e dare un volto e un nome alle
vittime che furono comunque molto numerose.
Eppure
del Porajmos restano poche tracce nella memoria
collettiva. Perché, come è stato scritto, «la
memoria ha bisogno di un contesto sociale
disposto ad ascoltare». E anche nell'Italia repubblicana
lo stereotipo dei Rom come pericolosi, si rivela
duro a morire.
E
oggi?
Il
Porajmos rischia così di essere una pagina di storia che torna ad
essere il nostro presente. Di nuovo vediamo sfilare nelle nostre
strade cortei che inneggiano a un triste passato come soluzione ai
problemi del momento, che gridano “prima gli italiani”, che
vedono negli zingari (e nei migranti) un nemico da combattere.
Nessuno può fare finta di nulla, voltarsi dall'altra parte, non
sentirsi coinvolto. Perchè come ci ricordano i versi di Bertolt
Brecht:
“Prima di tutto vennero a prendere
gli zingari.
E fui contento perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei.
E stetti zitto, perché mi stavano
antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti, ed
io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me, e non
c'era rimasto nessuno a protestare”.
(Da: I Resistenti n.1/2015)